ANNIVERSARI 235 ANNI FA – 30 NOVEMBRE 1786

FESTA DELLA TOSCANA in ricordo di un evento del 30 novembre 1786 – 235 anni fa

235 anni fa il 30 novembre del 1786 il Granduca Pietro Leopoldo abolì la pena di morte nel Granducato di Toscana. Dal 2000 la Regione Toscana in questo giorno lo vuole ricordare assumendosi il compito di paladina della libertà e del rispetto dei diritti civili, opponendosi all’applicazione della pena capitale ancora vigente in alcuni paesi. Le Circoscrizioni di Prato in quella prima occasione assunsero un ruolo di primo piano organizzando riflessioni approfondite su quel tema attraverso momenti culturali quali il convegno che si svolse presso il centro per l’Arte contemporanea “Luigi Pecci”. Nel 2003 furono poi pubblicati gli atti con il titolo PACE E DIRITTI UMANI.
Qui di seguito riporto uno dei contributi “esterni” (l’autrice non era presente ma fu menzionata proprio in quanto un mese e mezzo prima aveva inviato una lettera a “Repubblica” nella quale discuteva del caso di Derek Rocco Barnabei, giustiziato dopo che sulla sua colpevolezza erano emersi seri dubbi), quello della Presidente del Parlamento Europeo di quel tempo, Nicole Fontaine, riportato nel libretto sopra menzionato.

Joshua Madalon

Nicole Fontaine, Lettera aperta agli americani

Nella sua stragrande maggioranza, senza distinzioni di nazionalità o di sensibilità politica, il Parlamento europeo, che è la voce democratica di 370 milioni di europei che costituiscono attualmente l’Unione europea, non comprende il fatto che gli Stati Uniti siano oggi l’unico, tra le grandi democrazie del mondo, a non aver rinunciato a comminare e applicare la pena di morte.

Ogni volta che un’esecuzione capitale è programmata in uno degli Stati del vostro paese, l’emozione e la riprovazione che essa suscita assumono, ormai, una dimensione mondiale. Tutti gli interventi a favore della clemenza, fatti dalle più alte autorità religiose o politiche presso i governatori da cui dipende la decisione finale, ricevono soltanto un netto rifiuto.

Il caso di Derek Rocco Barnabei ha suscitato un’emozione particolarmente grande in Europa, sia perché, ancora una volta, sussistono dubbi sulla sua reale colpevolezza, sia perché, oltre alla sua nazionalità americana, egli è anche originario di uno Stato membro dell’Unione europea, l’Italia.

Le iniziative diplomatiche, che invano in tanti abbiamo intrapreso presso il governatore della Virginia su richiesta dei parenti del condannato e delle associazioni che sostengono la sua causa, non hanno avuto alcun seguito. Mi permetto, allora, di dirigervi questa lettera aperta, non nello spirito di dare delle lezioni, ma in quello del dialogo leale che si addice all’amicizia che unisce i nostri grandi insiemi continentali.
Da questa parte dell’Atlantico, si riconosce che il vostro grande paese simbolizza ampiamente, in tutto il mondo, la libertà e la democrazia. Nessuno ha dimenticato ciò che l’Europa gli deve per averla aiutata a ritrovare la libertà al prezzo del sangue dei suoi figli negli ultimi due conflitti mondiali.

Nessuno contesta che la pena di morte sia stata riconosciuta dalla Corte Suprema conforme alla Costituzione degli Stati Uniti. Nessuno contesta che, in seguito a una condanna capitale, lunghi anni di procedure offrono ai condannati la possibilità di una revisione del loro processo. Nessuno contesta il diritto di una società organizzata a difendersi dai criminali che minacciano la sicurezza delle persone e dei beni, né quello di punirli nella misura dei loro delitti.

L’Europa non dimentica che, fino a poco tempo fa, essa stessa ha usato la pena di morte, e spesso con crudeltà. Alcuni Stati l’avevano abolita da tempo, nel loro diritto penale e nella pratica, ma meno di vent’anni fa alcune grandi nazioni europee, profondamente legate ai diritti dell’uomo e ai valori universali, tra cui il mio paese, la Francia, non vi avevano ancora rinunciato e quando i loro parlamenti hanno affrontato la sua abolizione, i dibattiti politici sono stati veementi quanto lo sono oggi negli Stati Uniti. Oggi, ogni polemica è spenta.

Si è però sviluppata in tutta l’Europa una presa di coscienza collettiva che ha travolto le esitazioni ancora esistenti. Questa presa di coscienza, alla quale mi permetto oggi di invitare il popolo americano, è fondata sui seguenti elementi: nessuno studio obiettivo ha mai dimostrato che la pena di morte abbia un effetto dissuasivo sulla grande criminalità e in nessuno dei paesi europei che l’hanno recentemente abolita si è avuto un aumento della grande criminalità; le società contemporanee hanno dei mezzi sufficienti per difendersi da essa senza spezzare il sacro principio della vita umana; la punizione per mezzo della pena di morte non è che la sopravvivenza arcaica della vecchia legge del taglione: poiché hai ucciso, anche tu morirai; il macabro copione delle esecuzioni capitali ha ben poco di degno ed è piuttosto il rito sacrificale di un omicidio legale; quando una società di diritto perfettamente stabilizzata e che dispone di altri mezzi per difendersi ricorre alla pena di morte, essa indebolisce il carattere sacro di ogni vita umana e l’autorità morale che essa può avere per difenderla dovunque essa sia offesa nel mondo; infine, troppi condannati a cui si toglie la vita sono stati poi riconosciuti innocenti e in quel caso è la società, anche in nome del diritto che si è data, ad aver commesso un crimine irreparabile.

In tutta la storia della giustizia della nostra società moderna, un solo innocente da noi messo a morte per errore, una morte che non comporta alcuna necessità, sarebbe sufficiente per condannare radicalmente il principio stesso di questa pena capitale. Ora, sappiamo tutti che il caso è proprio questo, in particolare negli Stati Uniti.

So che la maggioranza della popolazione del vostro paese rimane favorevole al mantenimento della pena di morte e che, in democrazia, il popolo è sovrano, ma tutto ciò può bastare a chi ha la responsabilità di guidare il proprio paese in modo saggio o moderno? Quando il presidente Lincoln abolì la schiavitù, aveva forse il sostegno della maggioranza degli Stati del Sud? Quando il presidente Roosevelt impegnò gli Stati Uniti al fianco degli europei per ristabilire la pace e la libertà nel mondo devastato dal nazismo o dai suoi alleati, ebbe egli immediatamente il sostegno maggioritario degli americani? Quando il presidente Kennedy impose la fine della segregazione razziale che perdurava in alcuni Stati, egli ebbe il coraggio, senza dubbio a costo della sua stessa vita, di andare controcorrente rispetto ai tanti che intendevano mantenerla, anche con la violenza. E’ possibile che gli uomini politici di oggi, per opportunismo o per motivi elettorali, non siano che una pallida ombra di quei grandi visionari che hanno fatto l’unione e la grandezza della nazione americana?


29 novembre – IN RICORDO DI PIER PAOLO PASOLINI – parte 18

29 novembre – IN RICORDO DI PIER PAOLO PASOLINI – parte 18

continua l’intervento del prof. Antonio Tricomi

Una mia nota: Voglio ancora una volta ricordare che vado riportando il dibattito che si svolse il 27 aprile del 2006 così come riportato dai trascrittori che sbobinarono le registrazioni. Ecco quindi perché a volte ci sono degli errori o comunque delle incertezze.

…..Poi, giudizio non solo mio ma anche ad esempio di Sichi, in realtà ha sempre lavorato così. La differenza sta nel fatto che prima degli anni sessanta questo modo di lavorare non diventa, non viene tematizzato, non diventa esplicito e non è un tassello essenziale della sua poetica. Dopo invece questo modo di lavorare viene esibito al pubblico e diventa il fondamento della sua poetica, però quindi insomma Pasolini è come se ad un’unica opera avesse sempre lavorato ed in particolare nelle opere degli ultimi 10-15 anni ciò lo dimostri in maniera evidente e soprattutto Pasolini lo fa coscientemente. E quindi l’opera non finita o mancata di Pasolini lo è mancata anche in questo paese. Se appunto è un’opera continuata, un’opera che si snoda di opera in opera è, quello di Pasolini, un discorso potenzialmente inesauribile ed infinito per dirlo (parola non comprensibile), cioè l’opera di Pasolini è mancata anche Perché costitutivamente è un’opera aperta, non nel senso che intende Umberto Eco, ma in un senso più vicino a quello di Roland Bart. Aperta nel senso che è un discorso che è stato troncato dalla morte dell’autore, ma non è un discorso finito il discorso di Pasolini, appunto Perché non finite in questo senso sono le sue opere.

Dicevo che in conclusione, dopo avervi descritto in questa maniera le opere di Pasolini, volevo tornare a parlare d’altro Perché così chiudo anche il cerchio dell’intervento pensando a come avevo iniziato. Lo stesso atteggiamento sadomasochistico che vi ho descritto in Pasolini e che lui ha nei confronti del proprio operare e dell’arte, non dobbiamo farci troppo ingannare, Pasolini lo ha anche verso quello che genericamente qui potremmo chiamare (parola non comprensibile). Perché mi preme dire questa cosa? Perché al di là delle sterili direi discussioni che periodicamente ci sono sui giornali, sulla “santità” o meno di Pasolini, sulla non “santità” di altri autori della sua generazione, il duo comico qui è sempre Pasolini-Calvino Perché ci si scorda oramai che sono esistiti anche Volponi, Parise ecc, ecc, Perché Pasolini e Calvino come dire è facile tirarli dentro le polemiche. Volponi oggi lo si legge in pochi e invece probabilmente Volponi è un autore superiore ad entrambi come resa diciamo culturale. Però dicevo queste polemiche mi interessano poco, mi interessa però dire un’altra cosa: quando parlo di atteggiamento sadomasochistico di Pasolini, anche rispetto al potere, mi riferisco a questo: il Pasolini degli anni ’70 non è che scrive sul ciclostile di quartiere, scrive su Il Corriere della Sera luogo dove Fortini ad esempio non vuole andare Perché non siamo nel 2006, ovvero in un periodo in cui Il Corriere della Sera fa dichiarazioni di voto per il Centro Sinistra in campagna elettorale, siamo in un periodo negli anni ’70 in cui Il Corriere della Sera a torto o a ragione, nonostante che in qualche modo anche dentro Il Corriere della Sera stanno succedendo cose di altro tipo, è però percepito come il quotidiano ufficiale della borghesia, cioè di quella borghesia a cui Pasolini dichiara odio eterno. Per cui Fortini non vuole andare a collaborare al Corriere della Sera, Pasolini sì.

…18….

27 Novembre – IL DOMINO LETTERARIO riprende con “Corpo a corpo” poesie di Lorenzo Monticelli

La data è quella del 27 novembre ma la pubblicazione di questo post è slittata di un giorno. Ieri sono stato per l’intera giornata a riflettere tra me e me (“Solo, fra i miei mesti pensieri….) sulla condizione umana, così fragile e precaria. Non basterà un solo giorno, anche perché la morte di un amico. così giovane e pieno di energie positive, lascia ferite inguaribili. Si dirà che la vita va avanti, e apparirà tutto un’ovvietà con il superamento consolatorio, rimembrando il nostro comune destino. Forse la “poesia”, la POESIA maiuscola ci sostiene in questo percorso che porta alla fine e quasi certamente come – per altre condizioni esistenziali – fa l’Alfieri che si consola lungo le rive dell’Arno per un amore bramato, anche noi cercheremo di ricercare le parole che ci consolino in questo viaggio.

Riprendendo il nostro cammino, quello de “IL DOMINO LETTERARIO”, presentiamo Lorenzo Monticelli (vedi sotto la Scheda biografica) – in un prossimo post indicherò la modalità con la quale condurremo l’evento giovedì 2 dicembre ore 21.00 presso il Circolo ARCI di via Cilea 3 San Paolo di Prato. Alla serata sarà presente anche l’attore-autore Alberto Di Matteo

Il libro che viene presentato è “Corpo a corpo” edizioni Ensemble 2021, una raccolta di poesie magistralmente presentate nella Prefazione di Alessandro Fo, intitolata “

Prefazione dando del tu – Il debutto in versi di Lorenzo Monticelli

di Alessandro Fo

«Ora anche tu sei vecchio», Lorenzo, e, chiamando «vecchio» a rimare con «specchio», rintracci (nello specchio stesso e) nello specchio dei versi i lineamenti del tuo burrascoso e fragile padre che «a forza di braccia/ ha attraversato i deserti/ della povertà». O almeno così scrivi, e, anche se troppo vecchio non sei, capisco bene (ho solo pochi mesi più di te) la tua sensazione. Quella di essere di là dalla linea d’ombra, e anzi – soprattutto dati i tempi – quasi sulla chiamata. Con un cuore che «si ferma, poi s’impunta, poi frulla» e «bussa sulla grancassa del costato», prima di finire sotto studio, fra prospettive di corridoi illuminati e ventose indagatrici, addolcite dalle «moine da orso gentile» di un’infermiera cortese.

Da una tale stazione lungo il corso della vita prendi la parola in poesia, e ne nasce una lirica semplice e incisiva, tutta cose, senza inutili orpelli («niente sbavature»). Un pugno di testi che corre dalle mosche a Dio, ammesso che poi esista e che la Sua non sia solo cortesia di chi «finge di esistere per farsi odiare»). Un poeta a noi caro, Angelo Maria Ripellino, lamentava che i filistei suoi contemporanei non sapessero vedere il dramma dei rapporti e delle cose, riflesso anche solo in una sedia che si squinterna. Tu hai la tua di sedia, «gialla e rossa/ di ferro e di legno», ed è forse da lì che canti la dignità, la bella sensatezza, della «sconfitta». Chi non ne ha subite e chi non ne subisce? Per alcuni tutta intera la vita è una sconfitta. Ci vuole coraggio per assumerla a metro di una lettura del mondo – a metro di felicità. Se ne occupa l’ultima di queste liriche, dove, non a caso, si tratta anche del «vero poeta». Una vita dedicata alla poesia ne conosce, di sconfitte. Anche quando sembri fortunata sul piano del successo letterario.

Come la tua mosca sbattiamo sui vetri di là dai quali c’è la conoscenza – forse la stessa eternità. Ma, nel nostro al di qua, mosche restiamo, illuse che vi sia una via (ma come? È lì davanti… c’è la luce…), e incredule nel non riscontrarla percorribile.

«Tutto diventa chiaro quando è tardi», quando ti accorgi «che i tuoi morti riposano/ nel duro cemento con tutto il loro amore,/ guardiani benevoli del tuo dolore». Per fortuna continuano a trascorrerci negli occhi i colori e i paesaggi della poesia numero 9, e ci restano ancora (anche se resi problematici dai crudi giorni di pandemia che attraversiamo) incontri come quello qui descritto alla poesia numero 7, «nel giardino fiorito, sotto il tiglio». E «il testo che segue/ è soggetto a varianti./ Tutti i testi lo sono».

Pochi cenni dalla quarta di copertina del libro

Lorenzo Monticelli è nato a Campi Bisenzio (Fi), dove vive, il 26 ottobre 1955. Ha insegnato per circa quarant’anni, dapprima Italiano e Storia in un professionale e poi Storia e Filosofia al Liceo. Ha scritto, interpretato e diretto (insieme a Manola Nifosì) il film Io e Majakovskij, col quale ha vinto il premio Prato nel 1989. Un suo monologo, Euforico, in piena forma psicofisica, tratto dal film, è stato messo in scena da Daniele Trambusti, con la regia di Alessandro Benvenuti. Con il testo teatrale Amici (andato in scena al Teatro di Rifredi di Firenze nella stagione teatrale 1990/91) ha vinto il premio “Ruggero Rimini”.

Insieme a Francesco Burroni ed altri, è tra i fondatori dei Match d’improvvisazione in Italia. Nel 2019 ha pubblicato un romanzo, Sotto il pollaio, Il seme bianco editore. Si dedica ora anche alla scrittura in versi: le sue poesie sono finora inedite.

…un ricordo di Davide Finizio (era l’11 luglio del 2017)

Avrei dovuto pubblicare altro, ma mi è piombata addosso come un macigno la notizia della morte di Davide Finizio. Le parole mi si affollano nella mente e si scontrano con quelle di tanti altri: anche io ho scritto dell’irreparabile danno che ci tocca subire per la mancanza di un giovane che aveva ancora tanto da dare al nostro consesso civile. Ma non voglio aggiungere altro, sentendomi inadeguato, profondamente, a pormi come un vero e proprio giudice. Sarebbe molto meglio, lo dico a me stesso, tacere rispettosamente e poi re-agire nei prossimi mesi, nei prossimi anni per rispettare le idee di Davide, quelle che “oggi” molti riescono a scoprire e porre in evidenza, e portarle a compimento.

STRUTTURA dell’intervento da me coordinato (a nome di Altroteatro) martedì 11 luglio a Montemurlo


Il Comune di Montemurlo, attraverso la Biblioteca, e la sua Direzione (Roberta Chiti, Valerio Fiaschi e Silvia Zizzo) e l’Assessore alla Cultura, Giuseppe Forastiero, mi ha chiesto di organizzare la presentazione del libro “Processo all’obbedienza La vera storia di don Milani” edizioni Laterza. Ho accolto l’invito riservandomi tuttavia il ruolo di aprire la serata con un rapido excursus sul tema che è quello legato al processo che don Milani e Luca Pavolini furono costretti a subire in un tempo nel quale l’obiezione di coscienza era considerata un reato.

Ringrazio i collaboratori, a partire da Antonello Nave, ed i giovani Bianca Nesi e Davide Finizio che hanno letto i brani da me suggeriti.
Alla serata, partecipata ed intensamente vissuta, hanno dato il loro contributo per farla riuscire bene sia il Sindaco Mauro Lorenzini e l’Assessore Giuseppe Forastiero sia il Vescovo di Pistoia (Montemurlo fa parte di quella Diocesi) Fausto Tardelli sia il Governatore della Toscana, Enrico Rossi, oltre all’autore Mario Lancisi.

Qui di seguito il testo:

NARRATORE – Cominceremo con la storia di un’amicizia particolare, quella con il mitico professor Ammannati. Come spesso accade, i rapporti personali non cominciano bene ma la stima alla lunga, quando ci sono i presupposti qualitativi, si consolida con il passare del tempo e si fanno frequenti le lezioni del professor Ammannati spesso con alcuni suoi allievi ai ragazzi di Barbiana.
Ed è così che, in quella domenica 14 febbraio 1965, Agostino Ammannati, salendo lassù, porta con sè un ritaglio di giornale (“La Nazione” del 12 febbraio) e con una faccia molto seria lo mostra al Priore, chiedendogli se lo avesse già visto.
(prima lettura) Davide Finizio
B – Lettura del Comunicato dei cappellani militari (integrale)

Nell’anniversario della conciliazione tra la Chiesa e lo Stato italiano, si sono riuniti ieri, presso l’Istituto della Sacra Famiglia in via Lorenzo il Magnifico, i cappellani militari in congedo della Toscana. Al termine dei lavori, su proposta del presidente della sezione don Alberto Cambi, e stato votato il seguente ordine del giorno:
“I cappellani militari in congedo della regione Toscana nello spirito del recente congresso nazionale dell’associazione svoltosi a Napoli, tributano il loro riverente e fraterno omaggio a tutti i caduti per l’Italia auspicando che abbia termine, finalmente, in nome di Dio, ogni discriminazione e ogni divisione di parte di fronte ai soldati di tutti i fronti e di tutte le divise che morendo si sono sacrificati per il sacro ideale di Patria. Considerano un insulto alla patria e ai suoi caduti la cosiddetta obiezione di coscienza che, estranea al comandamento cristiano dell’amore, e espressione di viltà”.
L’assemblea ha avuto termine con una preghiera di suffragio per tutti i caduti.

Narratore

L’impegno di don Milani nell’ambito del pacifismo, della non violenza e dell’applicazione del dettato costituzionale era già stato espresso in diverse occasioni. Come in quella lettera destinata ad essere stampata, indirizzata a Nicola Pistelli, direttore della rivista cattolica “POLITICA”. Il cui titolo era “Un muro di foglio e di incenso”.
Davanti a quel Comunicato dei Cappellani militari forte fu l’indignazione di tutti i ragazzi di Barbiana ed il loro Priore ed insieme decisero che bisognava dare una risposta. Don Milani impiegò una settimana per scriverla in “un solo foglio scritto molto fitto e stampato in tremila copie, che inviò a undici giornali, soprattutto cattolici, ai sindacati…e a tutti i preti fiorentini… Ma l’unica testata a pubblicarla fu “Rinascita”, una importante famosa rivista comunista.
Seconda lettura Bianca Nesi

“Da tempo avrei voluto invitare uno di voi a parlare ai miei ragazzi della vostra vita…. Non ho fatto in tempo a organizzare questo incontro tra voi e la mia scuola….. Io l’avrei voluto privato, ma ora che avete rotto il silenzio, non posso fare a meno di farvi quelle stesse domande pubblicamente.
PRIMO perché avete insultato dei cittadini che noi e molti altri ammiriamo.
SECONDO perché avete usato vocaboli che sono più grandi di voi.
Non discuterò qui l’idea di Patria in sé. Non mi piacciono queste divisioni. Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri. Certo ammetterete che la parola Patria è stata usata male molte volte. Spesso essa non è che una scusa per credersi dispensati dal pensare, dallo studiare la storia, dallo scegliere, quando occorra, tra la Patria e valori ben più alti di lei. Non voglio in questa lettera riferirmi al Vangelo. È troppo facile dimostrare che Gesù era contrario alla violenza e che per sé non accettò nemmeno la legittima difesa. Mi riferirò piuttosto alla Costituzione. Articolo 11 «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli…». Era nel ’22 che bisognava difendere la Patria aggredita. Ma l’esercito non la difese. Stette a aspettare gli ordini che non vennero. Così la Patria andò in mano a un pugno di criminali che violò ogni legge umana e divina e che, riempiendosi la bocca della parola Patria, condusse la Patria allo sfacelo. In quei tragici anni quei sacerdoti che non avevano in mente e sulla bocca che la parola sacra «Patria», quelli che parlavano come parlate voi, fecero un male immenso proprio alla Patria (e, sia detto incidentalmente, disonorarono anche la Chiesa).

Narratore

Quella parte della società, inneggiante agli eroi della Patria, ai suoi “fasti”, all’apologia della guerra, ed in particolare le Associazioni d’Arma, gli ex-combattenti di Firenze, non tardò a farsi sentire ed il 10 marzo del 1965 espressero solidarietà e profonda gratitudine ai Cappellani militari, e rivolgendosi al procuratore della Repubblica di Firenze gli chiesero “con viva deferenza” di ripristinare l’onore ed il “diritto offeso” denunciando, oltre don Lorenzo, il direttore della rivista “Rinascita” Luca Pavolini ed i firmatari della lettera pubblicata sulla stessa rivista dal titolo “Non è viltà l’obiezione di coscienza”.
Don Lorenzo già non stava bene ed era tuttavia molto motivato a difendersi nel procedimento processuale che con insolita immediatezza (erano appena trascorsi poco più di quattro mesi dall’avvio della vicenda) il Tribunale di Roma aveva aperto per lui e per Luca Pavolini; ma sapeva anche che non sarebbe stato in grado di essere presente per il male che lo stava consumando. Scrisse allora un’articolata difesa nella straordinaria “Lettera ai giudici”.

Terza lettura – Davide Finizio

Brevi stralci dalla “Lettera ai Giudici”
Barbiana 18 ottobre 1965
Signori Giudici,
vi metto qui per scritto quello che avrei detto volentieri in aula. Non sarà infatti facile ch’io possa venire a Roma perché sono da tempo malato.
Allego un certificato medico e vi prego di procedere in mia assenza…..
La mia è una parrocchia di montagna. Quando ci arrivai c’era solo una scuola elementare. Cinque classi in un’aula sola. I ragazzi uscivano dalla quinta semianalfabeti e andavano a lavorare. Timidi e disprezzati.
Decisi allora che avrei speso la mia vita di parroco per la loro elevazione civile e non solo religiosa.
Così da undici anni in qua, la più gran parte del mio ministero consiste in una scuola…….
La questione appartiene a questo processo solo perché vi sarebbe difficile capire il mio modo di argomentare se non sapeste che i ragazzi vivono praticamente con me. Riceviamo le visite insieme. Leggiamo insieme: i libri, il giornale, la posta. Scriviamo insieme…..

Bianca NESI

Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all’ingiustizia. Come ha libertà di parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto.
Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande «I care». È il motto intraducibile dei giovani americani migliori. «Me ne importa, mi sta a cuore». È il contrario esatto del motto fascista «Me ne frego».
Quando quel comunicato era arrivato a noi era già vecchio di una settimana. Si seppe che né le autorità civili, né quelle religiose avevano reagito.
Allora abbiamo reagito noi. Una scuola austera come la nostra, che non conosce ricreazione né vacanze, ha tanto tempo a disposizione per pensare e studiare. Ha perciò il diritto e il dovere di dire le cose che altri non dice. È l’unica ricreazione che concedo ai miei ragazzi. La scuola è diversa dall’aula del tribunale. Per voi magistrati vale solo ciò che è legge stabilita. La scuola invece siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi. È l’arte delicata di condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un lato formare in loro il senso della legalità, dall’altro la volontà di leggi migliori.

Narratore

La “Lettera ai Giudici” è uno dei documenti più alti del pacifismo e dell’antimilitarismo cui ancora oggi tanti di noi laici e credenti ci riferiamo. Nell’udienza del 15 febbraio 1966 ad un anno dall’avvio della vicenda don Milani fu assolto “perché il fatto non costituisce reato”. Diverso fu l’esito dell’appello del 28 ottobre del 1967. Don Milani venne condannato, ma la condanna non poteva essere applicata. Don Lorenzo era spirato il 26 giugno. Negli ultimi giorni aveva detto ai suoi ragazzi che non l’avevano mai abbandonato:

Davide FINIZIO

“Ragazzi, un grande miracolo sta avvenendo in questa stanza: un cammello passa per la cruna di un ago”

Narratore

nel suo testamento egli scrisse

Bianca NESI

“Caro Michele, caro Francuccio, cari ragazzi, non è vero che non ho debiti verso di voi. L’ho scritto per dar forza al discorso! Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo posto”.

Narratore

Il libro di Mario Lancisi tratta in modo completo ed esauriente questa vicenda approfondendone vari aspetti, a partire da quello che emerge dal titolo, e cioè il rapporto tra “obbedienza e disobbedienza” soprattutto in materia di impegno civile.

L’attualità del messaggio che ci ha lasciato don Milani è stato più volte sottolineato da papa Francesco, che tuttavia anche nella recente visita a Barbiana non ha utilizzato termini come “strumentalizzazione” che invece da altre parti viene evidenziata come un pericolo: sembra che i tempi dei fronti contrapposti stiano ritornando a farsi sentire.
Cosa ne pensano i nostri autorevoli relatori?

J.M.

11 luglio Montemurlo 001

25 Novembre – I CONTI NON TORNA(VA)NO – parte 32 per la parte 31 vedi 18 novembre

Nella parte 31 si è conclusa la riunione congiunta delle Commissioni Istruzione e Cultura del Comune di Prato del 18 dicembre 1998 dedicata al tema del “Dimensionamento degli istituti scolastici medi superiori”. In chiusura di essa, il Presidente Chiarugi aveva ritenuto “necessario un approfondimento dei problemi e quindi propone che si tenga una discussione in tempi rapidi in Consiglio comunale”.

Il giorno dopo sono io (ricordo che ero Consigliere Comunale nei Ds) ad inviare un Comunicato alla Stampa che qui di seguito riporto:

“Tutti i presenti all’incontro delle due Commissioni Scuola di Comune e Provincia hanno potuto capire che le ipotesi presentate dall’Assessore Cardillo Cardillo sul dimensionamento non erano condivise dalla maggior parte dei rappresentanti politici, alcuni dei quali (forse troppi) sentivano per la prima volta alcune questioni. Questo è davvero scandaloso e vergognoso. Io chiedo maggiori garanzie ed accuso politicamente l’Assessore Cardillo di pressappochismo e superficialità: questo soltanto perché ancora una volta mi rifiuto di credere che dietro tutto questo ci sia una vera e propria manovra: si è sentito parlare di un “SUPERMANAGER” che dovrebbe coordinare un Polo Tecnico che risorgerebbe, dopo essere stato affossato da tutti gli interlocutori, come l’Araba Fenice. C’é più di qualcosa che non torna nei conti: l’ultima é la pretesa, espressa anche ad esponenti istituzionali da alcuni docenti del “Copernico”, che certamente non parlavano a titolo personale, di trasferirsi al più presto nel solo luogo per loro possibile: il “Dagomari”. Questo è inaccettabile ed è una ragione di più per farci continuare a lottare, non tanto per il nostro territorio, quanto veramente (mi sembra retorico ma è così) per la democrazia e la libertà. Comincio ad essere preoccupato davvero, non tanto per le sorti della mia scuola, ma per quel che significa tutta questa faccenda che si va facendo sempre meno chiara. Faccio un appello a tutte le forze sociali, politiche ed economiche di questa città, faccio un appello ai parlamentari, ai sindaci e ai consigli comunali della provincia affinché si mobilitino per evitare questa ingiustizia. Il “Dagomari” non va spostato perché sta bene dove si trova e per mille altre ragioni che in questi mesi abbiamo spiegato. Bisogna cercare alternative possibili: si è fatto troppo poco finora. Ora bisogna cercare di fare qualcosa di più.

Giuseppe Maddaluno

La discussione in Consiglio comunale viene dunque calendarizzata per il 22 dicembre 1998. Nell’imminenza di questa, due Istituti medi superiori della città, quelli maggiormente coinvolti, in modo però ben diverso, intervengono nel dibattito pubblico cittadino. Gli istituti sono il Liceo “Copernico” e l’ITC “Paolo Dagomari”. Al primo è stata destinata la sede del secondo; a quest’ultimo uno spazio molto distante da quello in cui si trova e per giunta estremamente diverso, molto più piccolo ed inadeguato non solo per il legittimo mantenimento dello “stato attuale” ma anche e soprattutto per uno sviluppo della sua offerta formativa.

Molto diverse e significativamente distintive sono le reazioni. Da parte del Liceo “Copernico” c’è un fuoco di fila di tutte le categorie (insegnanti, genitori, studenti) e gli appelli vengono rivolti a tutta una serie di eccellenze amministrative e politiche. Da parte del “Dagomari” l’appello viene inviato “agli operai della Provincia di Prato”, riconosciuti come ex studenti, genitori, parenti dei loro allievi.

…32…

24 novembre – LE STORIE 2008/2009 e 2013/2014 – 13 – lunedì 8, martedì 9 e mercoledì 10 dicembre 2008 vedi file PER BLOG

Breve preambolo In relazione a quel che scrivevo ieri sulla Democrazia e la sua negazione attraverso la ricerca di un unanimismo di facciata, molto importante sarebbe per tutti ricordare quel che accadde nel 2008/2009 ricorrendo ai documenti che vado pubblicando (oggi è il tredicesimo post dedicato a quelLE STORIE)

l’8 dicembre 2008 un caro compagno scriveva “Cari amici, stavo riflettendo su alcune voci che danno per certe le primarie “di coalizione”, addirittura ho sentito parlare di un confronto Abati – Mezzacappa, e sull’eventuale comportamento che dovranno …
… chiediamo di raccogliere le firme oltre che fra i componenti della Direzione, fra gli iscritti , come previsto dallo statuto. Mi farebbe piacere una vostra opinione per capire come muoverci. ”
Francesco

Da parte mia avevo ricevuto una mail da parte di un altro caro compagno della Sinistra e il 9 dicembre scrivevo

Vi inoltro il “sostegno” di un veterocomunistalaico (lo dice lui stesso) ma, vi assicuro, lo considero sincero, perchè ne avevamo parlato insieme nei giorni precedenti alla “disponibilità” di Massimo.

Buona giornata. Giuseppe

Caro Giuseppe, al  momento che “confermo” la tua e mail, la macchina mi dice che è impossibile inviare conferma di ricevuta. Allora ho pensato   di copiare L’indirizzo e fare un  “invia a “. Vediamo se funziona. Magari dammi conferma di ricevuta.

In merito a Carlesi, credo che sia una buona candidatura. L’unica possibile oggi per Prato. In tutta onestà non riesco a vederne altre. Carlesi è una persona che stimo e apprezzo molto per la sua correttezza e le sue capacità, anche se poi non è esattamente in sintonia con il mio pensiero di “veterocomunistalaico”. Cosciente delle difficoltà che lo aspettano sia nelle primarie che in seguito ad un’auspicabile elezione a sindaco, porgo il mio “In bocca al lupo” e, nei limiti delle mie possibilità anche  il mio appoggio

R. C. (nome e cognome sono criptati ma la mail in oggetto è in mio possesso diretto)

Lo stesso giorno in un commento mi riaggancio ai giochi di corridoio in corso (in realtà il riferimento a Panerati è collegato al fatto che egli era tra i candidati possibili per la Provincia e quindi aveva bisogno di “voti” interni, che a quel punto però scarseggiavano essendo tutti, o quasi, già confluiti altrove. Mi pervenivano messaggi del tipo: ” …ciao giuseppe, mi viene la richiesta di far firmare la candidatura di Panerati, a Salvatore e se possibile anche ad altri, giulia p. ad esempio, nell’ottica di un possibile e futuro contatto mi …

In effetti vi potrebbero essere degli scambi di favore, perché anche Panerati ha bisogno di firme. E’ una situazione assurda; ed anche di questo ha responsabilità la Segretaria e tutta la Segreteria che riteneva di poter gestire a suo piacimento la situazione. Comunque vada dovrebbero “pagare” questo stallo della democrazia cui ci hanno costretto.

Ciao.  Giuseppe

Il 10 dicembre scrivo al Comitato per Massimo Carlesi questa mail:

Stamattina mi ha cercato S. B. dichiarando la sua disponibilità a firmare per Massimo. Stasera probabilmente verrà a Cafaggio o perlomeno la vedrò io prima a S. Lorenzo a Pizzidimonte dove si terrà il primo Concerto delle Natalogie dell’Est.

A stasera: vi ripeto che arriverò in ritardo. Se c’è un buon numero di persone, assisterò al primo brano e verrò. Se tuttavia come spesso accade ci sono poche presenze verrò via al termine. Vi saluto.

Giuseppe Maddaluno

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23 novembre – sulla Democrazia ed alcune applicazioni – un preambolo ed un primo approccio IN DEMOCRAZIA l’UNANIMISMO non è un valore parte 1

sulla Democrazia ed alcune applicazioni un preambolo ed un primo approccio – IN DEMOCRAZIA l’UNANIMISMO non è un valore parte 1

Un preambolo –    Con l’avanzare dell’età si accumulano, grazie alle esperienze non sempre positive ma nemmeno del tutto negative (il “saggio” suggerisce che da qualsiasi evento si impara qualcosa: si può imparare, avendo la capacità di non lasciarsi corrompere dalle ambizioni), si sommano – come annunciavo – conoscenze che ti consentono di mantenere una certa equidistanza e provare a formulare concetti validi per tutti coloro che vorranno prenderli in considerazione.

La conoscenza della Letteratura nell’accezione più ampia del “termine” consente anche di poter avere dei punti di riferimento. Ed è con questi “amici” della mia vita che vado districandomi nei meandri delle problematiche, anche quelle più “basse”, nella gerarchia della loro rilevanza, da quelle locali a quelle nazionali.

Esprimerò concetti che appariranno di certo banali, ma mi piace sempre ricordare, a coloro che vorranno avvalersi di tale concezione per contrapporsi con altrettanta facilità alle riflessioni che farò, la storiella degli “Abiti nuovi dell’Imperatore” e della funzione del “bimbo” che ingenuamente osserva una realtà che ad altri, tanti e troppi, sfugge.

Osservando una “realtà” contingente, mi viene da avanzare delle tesi su alcuni aspetti della “Democrazia” applicata. In qualsiasi forma associativa, ricreativa, culturale, economica e politica, coesistono – pur se inserite all’interno di un babaglio comune di valori – opinioni e pensieri molto spesso diversissimi tra loro; nondimeno esistono ambizioni diffuse tra i vari soggetti che partecipano alla costituzione di quel nucleo associativo, anche esse assai diverse e degne di essere prese in considerazione. Accade sia nei piccoli nuclei associativi così come in quelli medi e grandi, come possono essere le formazioni politiche a tutti i livelli. Dalla loro fondazione in poi, di tanto in tanto, si svolgono i Congressi per stabilire i ruoli apicali sia di Governo che di Controllo all’interno del perimetro associativo, composto dalle persone iscritte in tempi e con modalità previste da Regolamenti interni. Più grandi sono i contenitori più facilmente diverse sono le idee che si confrontano. Ovviamente, lo ripeto, a scanso di equivoci, vado riferendomi a contesti “democratici” laddove il confronto tra “diversi” pur appartenenti ad uno stesso gruppo può anche creare uno scontro dialettico veemente, sfociando poi però in una soluzione che, tenendo conto delle differenze, vada ad operare un’unità di intenti finale.   Se tuttavia il confronto-scontro non viene realizzato in modo aperto ma finisce per svolgersi nel chiuso delle piccole stanze, definendosi solo nelle spartizioni correntizie e prefigurando un unanimismo di facciata, la funzione della Democrazia viene ad essere negata, calpestata in nome di interessi molto parziali pur se interni a quelli “comuni” dei Gruppi di Potere. Peraltro quando si arriva ad accordi poco più che “segreti” (che sono ignorati dalla stragrande maggioranza dei partecipanti) si evidenza anche l’assenza di “coraggio” nel pronunciare le idee di ciascuno dei vari contendenti. E in definitiva si ha un’ “impasse” progettuale, che – neutralizzando di fatto i processi progressivi, quelli che possono condurre ad una più coerente applicazione dei progetti costitutivi – non consente di produrre azioni positive sui vari territori di competenza.

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Poesia sostantivo femminile – nuovissime edizioni 2022

Ci si incrocia solitamente su Facebook e qualche volta al supermercato (quasi sempre con la figlia, Giovanna) e non mancano mai gli abbracci;  pochi giorni fa passavo con Mariella  sotto i portici di Parco Prato all’altezza della Coop ed abbiamo incrociato Mirella.  Inevitabilmente abbiamo trattato temi politici, soprattutto collegati alle ragioni che hanno fatto allontanare tante brave persone di Sinistra dal Partito Democratico, e poi si è parlato di Franco che 31 anni fa, colpito da un malore improvviso mentre era da solo, come spesso accadeva, nel suo ufficio, era mancato a tutti noi. In quel periodo lavoravamo per un “progetto” che avrebbe anticipato perlomeno di venti anni (solo nel 2017 a Prato è partito “Manifatture digitali”) l’idea che a Prato si potessero produrre servizi innovativi per le produzioni cinematografiche eaudiovisive.

Oggi che è l’anniversario della sua scomparsa, riprendendo un ricordo che già nel luglio e nel novembre 2014 avevo pubblicato, voglio ricordarlo mettendomi a disposizione per organizzare semmai per il prossimo novembre 2022 una Mostra in sua memoria.

 Nel 2014 trattavo anche un altro tema, quello di “Poesia Sostantivo Femminile” sul quale vado, nel rispetto della tradizione tessile pratese, riannodando fili.

Questo pomeriggio è passato a trovarmi Pippo Sileci; mi ha portato una copia in dvd di “Capelli”, un film scritto da me insieme ad un gruppo di allievi del Liceo “Copernico” alla fine degli anni Ottanta di cui avevo un master in U-Matic e la mente è andata ai giorni in cui per la prima volta conobbi Pippo come collaboratore di Franco Morbidelli prima al Sindacato di Piazza Mercatale e poi in una struttura autonoma situata in una palazzina proprio alla confluenza fra Viale Montegrappa e Viale Veneto. Franco era (purtroppo “era”) uno straordinario artista ed una persona molto attenta a valorizzare idee e persone che presentassero progetti innovativi nel campo della produzione videocinematografica. In quegli anni mi occupavo con l’ARCI di cinema (ero nel Direttivo regionale dell’UCCA) e stavo seguendo per la rivista del Sindacato “Rassegna Sindacale” una serie di interventi sul tema “Cinema e lavoro” (ci si chiedeva, allora, come mai il Cinema non si occupava più da tempo del mondo del lavoro); di lì a poco mi sarei inoltrato nell’impresa di recuperare sia la pellicola che la protagonista del primo film di Gillo Pontecorvo, “Giovanna”, girato a Prato a metà anni Cinquanta. Ma parleremo di questo e di altre vicende che riguardano quel periodo più in qua; ritorno a Franco Morbidelli, alla memoria del quale alla Circoscrizione Est dedicammo alcune iniziative come il Premio di Pittura e di Grafica. E fu proprio nel tentativo di collegare più iniziative in ricordo di Franco (Musica, Arte e Poesia) che, durante una notte insonne (le idee navigano nelle tenebre), mi venne l’idea di abbinare al Premio Morbidelli uno spazio per la Poesia. Il titolo mi venne di getto, per consuetudine metodologica ma anche per razionale concretezza; ed altrettanto per la grande difficoltà di identificare altrimenti il significato del termine. Per rendere più elevata la partecipazione pensai ad una struttura aperta, escludendo il concorso a premi, che mi sembrava macchinoso e costrittivo, fortemente legato alla soggettività delle giurie, contrario alle forme di espressione libera che dovrebbe essere tipica della parola poetica. Era il 2000, il dicembre del 2000,  e nasceva l’idea di “Poesia Sostantivo Femminile” che avrebbe avuto un grande successo per dodici anni vedendo la partecipazione di centinaia di donne ed uomini che, in occasione dell’8 marzo, inviavano i loro versi avendo un solo vincolo, che se non erano prodotti da donne dovevano ad esse essere dedicati. Con la Poesia donne ed uomini soddisfano l’esigenza di utilizzare registri alti per comunicare i propri sentimenti, le proprie ansie, le proprie inquietudini, i propri valori in una società troppo spesso contrassegnata da ritmi eccessivi, da rapporti difficili e complessi, da una diffusa incomunicabilità, da un confronto sempre più competitivo. E la Poesia è libertà, è la voglia prorompente di affermare i propri desideri, di mettere a nudo i propri sogni, le aspirazioni, di esorcizzare le paure, le angosce esistenziali, tutto quello che altri preferiscono a volte mantenere dentro, comprimendolo ed inaridendosi. Coltivare la poesia, sia per le donne che per gli uomini, significa saper sapientemente innaffiare questa tenera pianticella e farla crescere lentamente dentro di sé fin quando non arriva il momento di metterla a disposizione degli altri, del mondo. Un mondo che se fosse senza poesia sarebbe un deserto invivibile. “Poesia Sostantivo Femminile” ha dunque vissuto 12 edizioni dal 2001 al 2012 ma potrebbe essere nuovamente riproposta nel 2015 se si trovassero dei “volontari” per organizzarla. I costi sono sempre stati molto contenuti e la partecipazione è sempre stata alta sia numericamente che per la qualità. Una delle immagini (quella in evidenza in alto) ripropone la copertina della prima Edizione con una poesia di Giovanna Fravoli, che ce l’aveva portata in Circoscrizione scritta di getto su un foglio “Il tempo è troppo lento per chi soffre troppo breve per chi gioisce troppo lungo per chi aspetta, solo tu luce dei miei occhi solo tu stella luminosa nella notte più buia e tu sei lucente solo tu goccia di pioggia sei nel cielo senza nuvole ….solo tu nel mio cuore amica cara il mio bene per te conserverò”

Un’altra immagine è riferita alla undicesima Edizione che si svolse al Dopolavoro Ferroviario. La poetessa che legge una delle sue poesie è Leila Falà che venne da Bologna per partecipare alla nostra iniziativa. L’ultima rappresenta una scritta che potete vedere venendo da Capalle verso Prato sulla vostra sinistra prima di arrivare ai magazzini di Mondo Convenienza.

21 novembre – non solo Dante – Dante in napoletano

Proseguendo nella disamina di opere che abbiano toccato tematiche “dantesche” come quelle del “viaggio nell’aldilà” corre l’obbligo di menzionare una sorta di traduzione della “Divina Commedia” in dialetto napoletano. In realtà ve ne sono diverse. Una degli ultimi è “Nfierno, Priatorio, Paraviso. Nove canti della Divina Commedia in napoletano” edizione LFA Publisher del 2020.

Molto interessante è l’operazione che ha prodotto il quotidiano napoletano “Il Mattino”, fondato nel 1892 da due grandi poeti della seconda metà dell’Ottocento come Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao, Eccovi un file di riferimento per poter avere un’idea intorno a quest’altra possibile proposta.

https://www.ilmattino.it/napoli/cultura/dante_in_napoletano_terzine_divina_commedia_traduzione_mattino-5684506.html

Ma quello che oggi propongo è  Il Dante popolare o la Divina Commedia in dialetto napolitano pubblicato a Napoli nel 1870 a firma di Domenico Jaccarino, professore, giornalista, poeta e saggista, nato nel 1840 a Napoli, dove morì nel 1894. Egli, nel 1867 fu autorizzato dal ministro dell’Istruzione di quel tempo, Michele Coppino a fondare la Scuola popolare dantesca a Napoli. Godetevi questi primi versi del Canto primo dell’Inferno (vv1-99).

A meza strata de la vita mia
Io mme trovaie ntra na boscaglia scura,
Ch’avea sperduta la deritta via.
Ah! quanto a dì comm’era è cosa addura
Sta voscaglia sarvaggia, e aspra, e forte,
Che mme torna a la mente la paura!
E tanto amara che pò dirse morte;
Ma lo bene pe dì che nce trovaje,

Dirraggio cose che non songo storte.
Non saccio manco dì comme passaje,
Tanto comm’a stonato m’addormette,
Quanno la vera strata io llà lassaje.
Ma pò ch’io na collina llà vedette.
Addò chella campagna se feneva,
Che ‘ncore la paura me mettette;
Guardaie pe l’aria, e arreto llà vedeva
Li ragge de lo luceto chianeta.

Che dritte fa sorcà li figlie d’Eva.
La paura no poco fuje coieta
Che dinto a chisto core èra durata
La notte eh’ io passale tanto scoieta.

E comm’a chillo ch’ a lengua affannata,
Arrivato a la riva de lo mare,
S’ avota a l’ acqua che se sbatte, e sciata:
Accussì st’arma mia stette a votare
Pe chillo luoco arreto da bardascio,
Che fice tanta gente annegrecare.
E arreposato io disse: ccà mo nascio,
Mme ncammenaie pe la riva deserta,
Sì,ca lo pede nnanze era cchiù bbascio.

E a lo principio teccote de ll’erta,
Na diavola veco de pantera,
Che de pilo ammacchiate era coperta.
E mme guardava co na brutta cera,
Anze li fatte mieje tanto guastava,
Ca voleva ì da dò venuto nn’ era.
Tiempo era, e la matina se schiarava
E lo Sole saglieva co le stelle.
Ch’aveva co isso, quanno Dio criava
E’ Ncielo e’Nterra tanta cose belle;
Mme dette da sperare e co ragione
De chella fera la pittata pelle,
E l’ ora de lo tiempo, e la stagione;
Non mperò che paura non me desse
La vista de gruossissemo lione,

Chisto pareva ‘ncontro a mme venesse,
Co la capa auta, e co arraggiuse diente,
Che lo Cielo parea nne resentesse;
E pò na lupa, che de tanta gente
S’avea magnate gamme vraccie e ccore,
Attuorno mme venette into a no niente;
E sentennome mpietto n’antecore
La speranza perdette ch’avea vista,
De saglire a lo monte ncantatore;
E comme a chillo che trisore acquista,
E de morte arrivato ntra lle strette
Cchiù l’arma soja s’arraggia, e se fa trista

Accussì chella bestia mme facette,
Che venennome attuorno chiane chiano
Fice si che a lo scuro mme mettette.
E mentre stea pe scennere a lo cchiano,
Lla nnanze a ll’uocchie mieje se presentaje
Chi zitto e muto steva da lontano.
E quanno lo vedette accommenzaje:
Piatà de me, lo dico nfra de nuje,
O ommo, o ombra, o chello che sarraje.
E isso: Ommo non già, ommo già fuje,
E lli pariente mieje fujeno Lombarde,
A Mantova nascenno tutte e dduje.
Sotto a Giulio nascette, e fuje già tarde,
E stette a Romma sotto a Ron Avusto
Ntiempo de chille Dieie fauze e busciarde.
Fuie Poeta, e cantaie chill’ommo justo,
Anea, che pò de Troja lassaje lle mura,
Quanno li Griece ficero l’arrusto!
Ma pecche tuorne a tanta seccatura?
Pecche non saglie ncopp’a chillo monte,
Prencipio e causa d’ alleria sicura?
Sì tu chillo Vergileo e chella fonte.
Che chiacchiereja comm’a no Papasso?
Lle risponnette co scornosa fronte.
0 de l’autre poete lummo a grasso,
Pe chell’opera toja, pe chill’ammore,
Pecchè letto l’ aggio io passo pe passo.
Tu si lo masto mio, tu si l’aotore,

E da te schitto io lesto copiaje
Lo bello scritto che m’ à fatto annore.
Guarda la bestia, pe essa io m’avotaje.
Saccente mio, mo damme ajuto, e ntutto:
Ch’ essa mme fa tremmà, ma proprio assaje;
Cammino àje da cagnare pe lo ntutto
Dice, pocca ie chiagnette co sospire,
Si vuò sta pe sto luoco ascuro e brutto.

Ga chesta bestia che staje a sentire.
Non fa passa nisciuno pe la strata,
Primma lo sbramma e ppò lo fa morire.
E co natura accussi trista è nata,
Che magna primma, e doppo se nne lagna
E cchiù de primma sta peggio affamata !

20 novembre 2021 CINEMA storia minima – parte 25 – per la parte 24 vedi 14 settembre

CINEMA storia minima – parte 25 – per la parte 24 vedi 14 settembre

Riprendo a trattare in modo “minimo” la Storia del Cinema seguendo una linea cronologica. Sempre nel 1944 (cui appartengono “Prigionieri dell’oceano” di Alfred Hithcock e “La fiamma del peccato” di Billy Wilder, di cui abbiamo trattato nel blocco 24) esce uno dei film più noti di Frank Capra, del quale abbiamo già accennato circa i precedenti “L’eterna illusione” – vedi blocco 14 – e “Orizzonte perduto” – vedi blocco 11. E’ un’operazione ben diversa, di certo meno ambiziosa, quella di mettere in scena una commedia di successo come “Arsenico e vecchi merletti” di Joseph Kesserling. Il successo era scontato, ma a realizzarlo contribuirono non poco le scelte del cast: un protagonista assoluto in una delle sue più riuscite interpretazioni fu Cary Grant, coadiuvato da Peter Lorre e dalle due “ziette” Josephine Hull e Jean Adair, senza dimenticare Raymond Massey che interpreta lo psicopatico Jonathan Brewster, nel ruolo che
nella piece teatrale era stato di Boris Karloff. Il film che ha accompagnato molte generazioni, essendo stato tra i più gettonati dai canali televisivi, non ha avuto molti riconoscimenti ufficiali, ma è stato inserito nella lista AFI’s 100 Years…100 Laughs” come uno dei migliori prodotti della commedia statunitense, alla trentesima posizione. https://it.wikipedia.org/wiki/AFI’s_100_Years…_100_Laughs

Passando a un altro genere ma ugualmente significativo dal punto di vista storico troviamo Howard Hawks con il suo “Acque del Sud”. Lo menzioniamo per poter poi avviare nei prossimi blocchi un recupero di sue realizzazioni che dal 1944 fino alla fine degli Anni Sessanta ne caratterizzarono in modo più significativo la sua carriera mettendo maggiormente in evidenza la sua eclettica professionalità. Nel film i due protagonisti sono interpretati da due mostri sacri del grande schermo, come Humphrey Bogart e Lauren Bacall, che dopo alcune brevi esperienze teatrali a Broadway e l’inizio di una brillante carriera come fotomodella era appena all’esordio. Per parafrasare il grande Poeta, “Galeotto fu…il film…e chi lo diresse” o, meglio, chi li mise insieme. Tra i due scoppiò la passione. La differenza di età (tra i due ve ne erano 25, Bogart aveva 44 anni, Bacall 19) non li scoraggiò e l’anno dopo si sposarono e come nelle più belle “storie” vissero “finchè morte non li separò” (nel gennaio del 1957 Humphrey Bogart morì). Va ricordato che il film è tratto da un romanzo di Ernst Hemingway ed è collegabile sia per lo stile che per i fatti narrati ad uno dei film più noti interpretati da Bogart, cioè “Casablanca”.

Rimanendo negli Stati Uniti e nello “star system” non si può non ricordare l’esordio cinematografico di una stella di prima grandezza come Elizabeth Taylor. Si tratta di “Gran Premio” diretto nel 1944 da Clarence Brown ed interpretato da altre due stelle del firmamento cinematografico come Mickey Rooney e Angela Lansbury. Si tratta di un prodotto tradizionale “per famiglia” con il quale viene raccontato un rapporto di fiducia tra un’umana ed un cavallo; una di quelle storie in cui la cinematografia americana si è distinta, in modo particolare nel settore preferito dall’universo disneyano non solo quello di animazione. Al film vennero due alti riconoscimenti con l’Oscar del 1946 alla migliore interpretazione non protagonista, ad Anne Revere (il doppiaggio italiano di questa attrice fu affidato alla grande attrice di teatro italiano Wanda Capodaglio) ed al montatore Robert Kern.

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