8 novembre – “Non posso più credere alla rivoluzione, ma non posso non stare dalla parte dei giovani che si battono per essa.” parte 1

8 novembre – “Non posso più credere alla rivoluzione, ma non posso non stare dalla parte dei giovani che si battono per essa.” parte 1

Un preambolo (apparentemente) fuorviante La nostra vita, quella delle persone semplici che non avranno gli “onori” della memoria storica, quella riservata a donne e uomini che sono riuscite/i a segnare fondamentali tappe nelle varie sezioni (Scrittura, Politica, Storia, Scienze), tali da dover avere una collocazione privilegiata, potrebbe essere del tutto inutile. A meno che non si abbia avuto una funzione di tipo perlomeno “accessoria” nella ristretta cerchia dei rapporti umani.

Le masse Milioni e milioni di persone lasceranno la loro esistenza più o meno nell’anonimato. Una parte di queste presumerà di poter avere un ruolo, una funzione per il cambiamento. Ne saranno convinti attraverso l’opera di pochi promotori, di certo più scaltri e avveduti, che parleranno di “rivoluzione” puntando sui bisogni primari delle masse e sulla ricerca di un minimo livello di dignità da parte loro. Saranno “masse” manovrate ad uso di pochi, come è accaduto – e accade – nelle operazioni belliche. Ben che vada, qualcuno di loro verrà ricordato per qualche gesto di eroismo. Ma non è solo la guerra e le grandi potenze ad utilizzare le masse. In misura minore, è comunque quel che accade nelle nostre pacifiche comunità locali, dove gli “emergenti” e gli “emersi” hanno bisogno di avere manodopera inintelligente, disponibile a poco prezzo per la diffusione di un pensiero critico che crei consenso.

Questo non accade soltanto in una “parte” politica, e non accade solo in “Politica”. Funziona allo stesso modo nel mondo del lavoro, in senso generale; di più nelle strutture industriali, pubbliche o private; meno significativi sono i condizionamenti perversi negli ambienti artigianali.

La Rivoluzione è un falso mito da proporre Si rileva ancor più in quei movimenti estremistici velleitari la volontà da parte dei leader di far credere che sia possibile cambiare radicalmente le posizioni sociali; è un falso mito addirittura il presupporre che vi sia la possibilità di un cambiamento parziale, seppure lento e progressivo. Ogni popolo ha costituito una forma antropologica che non potrà essere posta in discussione in tempi umanamente percepibili. E’ dunque del tutto fuorviante parlare di “Rivoluzione” anche da parte di coloro che si ostinano a contrapporsi orgogliosamente a qualsiasi forma di compromesso, finendo a mantenersi “integri” ma all’interno di recinti ben distinti.

Nei giorni scorsi, trattando di un “triste” anniversario, mi è capitato di leggere alcune frasi che mi hanno colpito. Pasolini commentando per “Le Monde” la sua opera “Trasumanar e organizzar” aveva detto “Non posso più credere alla rivoluzione, ma non posso non stare dalla parte dei giovani che si battono per essa. È già un’illusione scrivere poesia, eppure continuo a scriverne, pure se la poesia non è più per me quel meraviglioso mito classico che la esaltato la mia adolescenza…Non credo più nella dialettica e nella contraddizione, ma alle pure opposizioni…Tuttavia sono sempre più affascinato da quell’alleanza esemplare che si compie nei grandi santi, come san Paolo, tra vita attiva e vita contemplativa”.

Ecco, Pier Paolo Pasolini lo diceva nel 1971, più di cinquanta anni fa, e aveva poco meno di cinquanta anni; ma aveva vissuto in un tempo nel quale, sia lui che moltissimi dei suoi contemporanei avevano percorso tappe inimmaginabili solo mezzo secolo prima. Per comprendere meglio, quel che, con grande difficoltà sto cercando di esprimere, vale la pena ascoltare la voce di quel “grande” a proposito dello “sviluppo” e del “progresso”. I tempi non sono cambiati: non sono di certo cambiati in meglio.

…1….

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *