17 novembre – L’intero post pubblicato in tre parti dal 12 al 15 novembre 2021 che parte da un pretesto intorno all’intervista “Quota Rosy” di Susanna Turco (L’Espresso n.46 del 7 novembre 2021)

un pretesto intorno all’intervista “Quota Rosy” di Susanna Turco (L’Espresso n.46 del 7 novembre 2021)

Un pre-preamboloL’intervista a Rosy presupponeva una sua ipotesi di candidatura per la carica più alta del nostro Paese. Sono pienamente d’accordo intorno alla valutazione eccelsa che in tanti assegnano alla Bindi e spero “davvero” che vi sia una forma di rispetto e di stima anche da parte di tutti coloro che sono stati avversari e da lei sono stati avversati, che avvertano – dunque – l’onestà intellettuale di una delle figure più limpide e coerenti che la nostra storia ha espresso. Temo che molti tra quelli cui mi riferisco non saranno in grado di comprendere, offuscati dall’acredine e dalla superbia. Speriamo che il popolo italiano possa invece avere questa “fortuna”.

Preambolo Non so ancora quello che riserva il futuro in questa città (Prato) e in questo nostro Paese. Vivo in una condizione di Limbo, nel quale lo scetticismo si alterna con il pessimismo e con la volontà di riscatto sempre più flebile: una sorta di schizofrenia genera confusione e speranza. Alcune operazioni “politiche” locali potrebbero indurre a un cauto ottimismo ma troppe volte abbiamo dovuto riconoscere che situazioni simili non abbiano poi prodotto i risultati sperati, anche quelli “minimi”. Anzi, chi si presentava come fautore di innovamento si è poi adattato a sostenere i soliti percorsi: con l’andare del tempo, sempre più ci si allontanava da una visione globale per accondiscendere ai pochi e praticare, in questo modo, una scelta molto limitata al soddisfacimento delle istanze della parte più forte e potente, economicamente e “politicamente” della città. Quel che penso e che scrivo in tutti questi ultimi anni dal giugno 2014 per oltre 2400 post sta a tracciare questa alternanza di speranza e delusione che non lascia adito a dubbi. Quello che ho fatto in tutto questo tempo mette in evidenza la volontà di non arrendersi all’appiattimento, anche di fronte a delle condizioni che ad altri, a tanti altri, avrebbero suggerito di intraprendere percorsi meno pubblici e molto riservati, molto molto privati. Ad altri ma non a me. E infatti continuo a promuovere iniziative, pur dovendo far fronte a sempre maggiori difficoltà.

Il “virus” nel PD – Ho dato molta attenzione “critica” al Partito Democratico sia quando ne facevo parte sia quando ne sono uscito. E mi sono ritrovato dopo la parabola ascendente di Matteo Renzi a criticare il trasformismo di una gran parte della Dirigenza, a tutti i livelli territoriali, che ha abbandonato il sostegno ai più maturi leader per fortificare – anche a proprio vantaggio – quella poderosa scalata. E mi sono ancora una volta ritrovato a biasimare tutti coloro che, nel momento dell’abbandono della navicella “dem” da parte di Renzi all’indomani dell’ insuccesso elettorale del marzo 2018 prima con le sue dimissioni e poi, dopo la crisi del Governo M5S-Lega, con la fondazione di una sua nuova formazione politica, Italia Viva, non si sono espressi con la necessaria chiarezza. Di fronte al silenzio di una larga parte dei suoi “grandi sostenitori” locali e nazionali, che non sono transitati nel nuovo Partito, ebbi a dire che sarebbe occorsa una fase di chiarificazione complessiva. Lo chiedevo per me ma anche per tutta quella massa di cittadine e cittadini che avevano fondato, e sostenuto, il Partito Democratico e che avevano scelto di lasciarlo di fronte alla mutazione genetica cui lo avevano costretto Matteo Renzi e i suoi fedeli sostenitori. Dissi allora che occorreva rifondare dalle fondamenta il PD e che non bastava il silenzio e la scarsa chiarezza di chi continuava a gestire le sorti di quel Partito a prospettare la possibilità di un rientro di chi ne era uscito. Poiché queste cose le ho scritte sono stato anche attaccato da chi con tutta probabilità era consapevole del rischio “per sé e per i suoi” di una simile eventualità. “Cosa dici?!?” mi apostrofarono alcuni sgherri di seconda e terza fila.

Rosy Bindi nell’intervista a “L’Espresso” (di cui sopra) ha detto:
«Tornerei a iscrivermi solo per votare una mozione che dice di andare oltre il Pd per ricostruire la sinistra italiana». Sono d’accordo.

E, continuando a riportare parte dell’intervista, Rosy Bindi dice: “…Già dai tempi di Zingaretti mi permisi di dire che serviva aprire una fase costituente: ma c’era grande fretta di superare Renzi, che invece poi non è stato superato…” la qual cosa conferma l’ipotesi che all’interno del Partito Democratico covi un “virus” per estirpare il quale ancora oggi si attende un utile vaccino e poi “….il centrosinistra dovrebbe aver imparato che non vincerà nulla se non c’è un progetto condiviso e una classe dirigente che vuol superare le divisioni.”

E di mio aggiungo che per un Centrosinistra serio non si può continuare a vincere solo perché una parte dell’elettorato non partecipa o ancor più perché chi vota è solo spaventato da possibili alternative ritenute meno affidabili; vedi quel che è accaduto a Roma, a Milano e precedentemente in Toscana ed in Emilia e Romagna, dove la Destra non è stata in grado – forse per mancanza di coraggio forse per altri reconditi progetti – di presentare candidati che fossero all’altezza di competere.

Con Rosy Bindi ho una sintonia di vedute da molto tempo, sin da quando nel 2007 ci incontrammo casualmente nel corso delle Primarie fondative del Partito Democratico. All’interno di un ordine di “grandezza” molto diverso tutto a grandissimo vantaggio della Bindi, abbiamo finito per percorrere molta parte della Storia politica in modo simile. In realtà le “strade” della vita si erano distinte ma entrambi siamo venuti da esperienze di tipo cattolico (le mie da adolescente e giovane adulto nel Centro Sportivo Italiano, nell’Azione Cattolica e nella FUCI, per approdare poi ad una scelta da parte mia per il Partito Comunista Italiano); ed entrambi poi abbiamo imboccato strade che hanno portato alla costruzione del PD e, poi, alla critica politica ed all’uscita da quello stesso Partito che abbiamo contribuito a fondare. Negli ultimi anni, pur non frequentandoci nella pratica diretta della Politica, entrambi (ma tante altre persone hanno fatto quella scelta) siamo usciti dal PD, mantenendo un rapporto molto stretto con tutto quello che di Sinistra rimaneva in quel Partito e fuori di esso.

In quell’intervista la Bindi conferma tutto questo: “…C’è da ricostruire un campo, difficile che avvenga se un partito fa gli inviti. Il PD dovrebbe usare questo tempo per andare oltre se stesso, costruire una grande forza di sinistra nel Paese.” In un altro blocco dell’intervista alla domanda: “Da dove bisognerebbe ricominciare?” la Bindi risponde: “…penso al mondo cattolico, di sinistra, che ha radicamento sul territorio eppure non ha casa, interlocutori. Navigano tra tentazioni di esperienze identitarie (il riferimento è di certo a “Insieme” nuovo soggetto politico fondato dall’economista Stefano Zamagni)mentre avvertono tutti che la sede giusta sarebbe una forza politica capace di esser inclusiva.”

Per quel conto. Se si vuole, per quel che conto, non si può non riconoscermi l’impegno per la costruzione di una consistente forza di Sinistra che riesca a mettere insieme oltre il PD tutti gli altri soggetti della Sinistra dispersa in decine di rivoli, ivi comprese le esperienze civiche come, relativamente alla città in cui vivo e agisco, “Prato in Comune”. Ovviamente ciò non può accadere se non si aggregano le reciproche volontà; e ciò non può avvenire “in extremis” né sotto forma di ricatti. Si avvertono in questi giorni in città dei segnali, che hanno tuttavia la necessità di andare oltre le semplici parole (il “bla bla”); occorrono atti di discontinuità che per ora non si intravedono.

Indubbiamente un’occasione avrebbe potuto essere quella attivata dalle dimissioni di Zingaretti, con quella sua dichiarazione sul social Facebook:
«Lo stillicidio non finisce. Mi vergogno che nel Pd da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie, quando in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid, c’è il problema del lavoro, degli investimenti» e di seguito
«Abbiamo salvato il Pd e ce l’ho messa tutta per spingere il gruppo dirigente verso una fase nuova. Ho chiesto franchezza, collaborazione e solidarietà per fare subito un congresso politico sull’Italia, le nostre idee. Non è bastato. Anzi, mi ha colpito il rilancio di attacchi anche di chi in questi due anni ha condiviso tutte le scelte fondamentali che abbiamo compiuto. Non ci si ascolta più e si fanno le caricature delle posizioni. Ma il Pd non può rimanere fermo, impantanato per mesi a causa in una guerriglia quotidiana. Questo, sì, ucciderebbe il Pd».

e poi
«Visto che il bersaglio sono io, per amore dell’Italia e del partito, non mi resta che fare l’ennesimo atto per sbloccare la situazione. Ora tutti dovranno assumersi le proprie responsabilità»

Zingaretti metteva a nudo i “mali” del PD, e in particolar modo quel “virus” malefico che era stato immesso nel suo corpo già debole dall’ascesa del “renzismo”. Non era necessario possedere una buona “vista”, ne bastava una semplicemente “normale” per capire quel che stava accadendo nel 2013, quando – già allora – la candidatura alle Primarie del PD di Matteo Renzi coinvolgeva molte persone notoriamente di Destra, che facevano molto comodo sia all’allora semplicemente Sindaco di Firenze sia a tutta la congerie di suoi fedeli sostenitori. In quel tempo l’attenzione verso Renzi da parte di un consistente gruppo di iscritte ed iscritti al PD, ivi compresi molti rappresentanti dei dirigenti, veniva, con una “sospetta ingenuità” giustificata come un’ottima scelta alternativa alla protervia berlusconiana. La parte più “passionale” della base vagheggiava in modo forse (in)sanamente ingenuo la possibilità di “vittorie”; alcuni, soprattutto quelli che provenivano dalla parte politica non chiaramente di Sinistra, interpretavano le accuse e i sospetti che altri, come me, ponevano all’attenzione di tutti, come una mera contrapposizione ideologica (non so quanta ipocrisia ci fosse, o ignoranza!). Di certo, oggi (ma non da oggi) più che mai è maggiormente evidente la natura politica (e ideologica) di Matteo Renzi; però non si avvertono segnali di chiara autocritica da parte dei tantissimi suoi sostenitori che ancora albergano nei piani medio alti del Partito Democratico, quelli che non sono usciti per formare Italia Viva nel settembre del 2019; quelli ad esempio che ancora di recente hanno stigmatizzato la volontà espressa da Enrico Letta di rompere definitivamente con Italia Viva dopo la torbida vicenda del DdL Zan, cui è seguita una trafila di segnali di svolta verso il Centrodestra-Destra.

Ora, cosa dire? In Politica tutto è possibile. Come ho già scritto nel Preambolo della prima parte pubblicata il 12 novembre, non sappiamo cosa ci riserva il prossimo futuro. Lo stesso attuale Segretario del PD aveva lasciato ben sperare nei primi giorni del suo avvento ma poi si è lasciato portare dalla corrente, dimenticandosi che il “virus” malefico non è ancora stato debellato. Eppure la pandemìa avrebbe dovuto insegnare in modo indiretto qualcosa.