un pretesto intorno all’intervista “Quota Rosy” di Susanna Turco (L’Espresso n.46 del 7 novembre 2021)
Un pre-preambolo – L’intervista a Rosy presupponeva una sua ipotesi di candidatura per la carica più alta del nostro Paese. Sono pienamente d’accordo intorno alla valutazione eccelsa che in tanti assegnano alla Bindi e spero “davvero” che vi sia una forma di rispetto e di stima anche da parte di tutti coloro che sono stati avversari e da lei sono stati avversati, che avvertano – dunque – l’onestà intellettuale di una delle figure più limpide e coerenti che la nostra storia ha espresso. Temo che molti tra quelli cui mi riferisco non saranno in grado di comprendere, offuscati dall’acredine e dalla superbia. Speriamo che il popolo italiano possa invece avere questa “fortuna”.
Preambolo Non so ancora quello che
riserva il futuro in questa città (Prato) e in questo nostro Paese. Vivo in una
condizione di Limbo, nel quale lo scetticismo si alterna con il pessimismo e
con la volontà di riscatto sempre più flebile: una sorta di schizofrenia genera
confusione e speranza. Alcune operazioni “politiche” locali potrebbero indurre
a un cauto ottimismo ma troppe volte abbiamo dovuto riconoscere che situazioni
simili non abbiano poi prodotto i risultati sperati, anche quelli “minimi”.
Anzi, chi si presentava come fautore di innovamento si è poi adattato a
sostenere i soliti percorsi: con l’andare del tempo, sempre più ci si
allontanava da una visione globale per accondiscendere ai pochi e praticare, in
questo modo, una scelta molto limitata al soddisfacimento delle istanze della
parte più forte e potente, economicamente e “politicamente” della città. Quel
che penso e che scrivo in tutti questi ultimi anni dal giugno 2014 per oltre
2400 post sta a tracciare questa alternanza di speranza e delusione che non
lascia adito a dubbi. Quello che ho fatto in tutto questo tempo mette in
evidenza la volontà di non arrendersi all’appiattimento, anche di fronte a
delle condizioni che ad altri, a tanti altri, avrebbero suggerito di
intraprendere percorsi meno pubblici e molto riservati, molto molto privati. Ad
altri ma non a me. E infatti continuo a promuovere iniziative, pur dovendo far
fronte a sempre maggiori difficoltà.
Il “virus” nel PD – Ho dato molta
attenzione “critica” al Partito Democratico sia quando ne facevo parte sia
quando ne sono uscito. E mi sono ritrovato dopo la parabola ascendente di
Matteo Renzi a criticare il trasformismo di una gran parte della Dirigenza, a
tutti i livelli territoriali, che ha abbandonato il sostegno ai più maturi
leader per fortificare – anche a proprio vantaggio – quella poderosa scalata. E
mi sono ancora una volta ritrovato a biasimare tutti coloro che, nel momento
dell’abbandono della navicella “dem” da parte di Renzi all’indomani dell’
insuccesso elettorale del marzo 2018 prima con le sue dimissioni e poi, dopo la
crisi del Governo M5S-Lega, con la fondazione di una sua nuova formazione
politica, Italia Viva, non si sono espressi con la necessaria chiarezza. Di
fronte al silenzio di una larga parte dei suoi “grandi sostenitori” locali e
nazionali, che non sono transitati nel nuovo Partito, ebbi a dire che sarebbe
occorsa una fase di chiarificazione complessiva. Lo chiedevo per me ma anche
per tutta quella massa di cittadine e cittadini che avevano fondato, e
sostenuto, il Partito Democratico e che avevano scelto di lasciarlo di fronte
alla mutazione genetica cui lo avevano costretto Matteo Renzi e i suoi fedeli
sostenitori. Dissi allora che occorreva rifondare dalle fondamenta il PD e che
non bastava il silenzio e la scarsa chiarezza di chi continuava a gestire le
sorti di quel Partito a prospettare la possibilità di un rientro di chi ne era
uscito. Poiché queste cose le ho scritte sono stato anche attaccato da chi con
tutta probabilità era consapevole del rischio “per sé e per i suoi” di una
simile eventualità. “Cosa dici?!?” mi apostrofarono alcuni sgherri di seconda e
terza fila.
Rosy
Bindi nell’intervista a “L’Espresso” (di cui sopra) ha detto:
«Tornerei a iscrivermi solo per votare una mozione che dice di andare oltre il
Pd per ricostruire la sinistra italiana». Sono d’accordo.
E, continuando
a riportare parte dell’intervista, Rosy Bindi dice: “…Già dai tempi di Zingaretti
mi permisi di dire che serviva aprire una fase costituente: ma c’era grande
fretta di superare Renzi, che invece poi non è stato superato…” la qual cosa
conferma l’ipotesi che all’interno del Partito Democratico covi un “virus” per
estirpare il quale ancora oggi si attende un utile vaccino e poi “….il centrosinistra dovrebbe
aver imparato che non vincerà nulla se non c’è un progetto condiviso e una
classe dirigente che vuol superare le divisioni.”
E
di mio aggiungo che per un Centrosinistra serio non si può continuare a vincere
solo perché una parte dell’elettorato non partecipa o ancor più perché chi vota
è solo spaventato da possibili alternative ritenute meno affidabili; vedi quel
che è accaduto a Roma, a Milano e precedentemente in Toscana ed in Emilia e
Romagna, dove la Destra non è stata in grado – forse per mancanza di coraggio
forse per altri reconditi progetti – di presentare candidati che fossero
all’altezza di competere.
Con
Rosy Bindi ho una sintonia di vedute da molto tempo, sin da quando nel 2007 ci
incontrammo casualmente nel corso delle Primarie fondative del Partito
Democratico. All’interno di un ordine di “grandezza” molto diverso tutto a
grandissimo vantaggio della Bindi, abbiamo finito per percorrere molta parte
della Storia politica in modo simile. In realtà le “strade” della vita si erano
distinte ma entrambi siamo venuti da esperienze di tipo cattolico (le mie da
adolescente e giovane adulto nel Centro Sportivo Italiano, nell’Azione
Cattolica e nella FUCI, per approdare poi ad una scelta da parte mia per il
Partito Comunista Italiano); ed entrambi poi abbiamo imboccato strade che hanno
portato alla costruzione del PD e, poi, alla critica politica ed all’uscita da
quello stesso Partito che abbiamo contribuito a fondare. Negli ultimi anni, pur
non frequentandoci nella pratica diretta della Politica, entrambi (ma tante
altre persone hanno fatto quella scelta) siamo usciti dal PD, mantenendo un
rapporto molto stretto con tutto quello che di Sinistra rimaneva in quel
Partito e fuori di esso.
In
quell’intervista la Bindi conferma tutto questo: “…C’è da ricostruire un campo, difficile che avvenga se un
partito fa gli inviti. Il PD dovrebbe usare questo tempo per andare oltre se
stesso, costruire una grande forza di sinistra nel Paese.” In un altro blocco
dell’intervista alla domanda: “Da dove bisognerebbe ricominciare?” la Bindi risponde: “…penso al mondo cattolico, di
sinistra, che ha radicamento sul territorio eppure non ha casa, interlocutori.
Navigano tra tentazioni di esperienze identitarie (il riferimento è di certo a
“Insieme” nuovo soggetto politico fondato dall’economista Stefano Zamagni), mentre avvertono tutti che la
sede giusta sarebbe una forza politica capace di esser inclusiva.”
Per quel conto. Se si vuole, per quel che conto, non si può non
riconoscermi l’impegno per la costruzione di una consistente forza di Sinistra
che riesca a mettere insieme oltre il PD tutti gli altri soggetti della
Sinistra dispersa in decine di rivoli, ivi comprese le esperienze civiche come,
relativamente alla città in cui vivo e agisco, “Prato in Comune”. Ovviamente
ciò non può accadere se non si aggregano le reciproche volontà; e ciò non può
avvenire “in extremis” né sotto forma di ricatti. Si avvertono in questi giorni
in città dei segnali, che hanno tuttavia la necessità di andare oltre le
semplici parole (il “bla bla”); occorrono atti di discontinuità che per ora non
si intravedono.
Indubbiamente
un’occasione avrebbe potuto essere quella attivata dalle dimissioni di
Zingaretti, con quella sua dichiarazione sul social Facebook:
«Lo stillicidio non finisce. Mi
vergogno che nel Pd da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie, quando
in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid, c’è il problema del lavoro,
degli investimenti» e di seguito
«Abbiamo salvato il Pd e ce
l’ho messa tutta per spingere il gruppo dirigente verso una fase nuova. Ho chiesto
franchezza, collaborazione e solidarietà per fare subito un congresso politico
sull’Italia, le nostre idee. Non è bastato. Anzi, mi ha colpito il rilancio di
attacchi anche di chi in questi due anni ha condiviso tutte le scelte
fondamentali che abbiamo compiuto. Non ci si ascolta più e si fanno le
caricature delle posizioni. Ma il Pd non può rimanere fermo, impantanato per
mesi a causa in una guerriglia quotidiana. Questo, sì, ucciderebbe il Pd».
e poi
«Visto che il bersaglio
sono io, per amore dell’Italia e del partito, non mi resta che fare l’ennesimo
atto per sbloccare la situazione. Ora tutti dovranno assumersi le proprie
responsabilità»
Zingaretti
metteva a nudo i “mali” del PD, e in particolar modo quel “virus” malefico che
era stato immesso nel suo corpo già debole dall’ascesa del “renzismo”. Non era
necessario possedere una buona “vista”, ne bastava una semplicemente “normale”
per capire quel che stava accadendo nel 2013, quando – già allora – la
candidatura alle Primarie del PD di Matteo Renzi coinvolgeva molte persone
notoriamente di Destra, che facevano molto comodo sia all’allora semplicemente
Sindaco di Firenze sia a tutta la congerie di suoi fedeli sostenitori. In quel
tempo l’attenzione verso Renzi da parte di un consistente gruppo di iscritte ed
iscritti al PD, ivi compresi molti rappresentanti dei dirigenti, veniva, con
una “sospetta ingenuità” giustificata come un’ottima scelta alternativa alla
protervia berlusconiana. La parte più “passionale” della base vagheggiava in
modo forse (in)sanamente ingenuo la possibilità di “vittorie”; alcuni,
soprattutto quelli che provenivano dalla parte politica non chiaramente di
Sinistra, interpretavano le accuse e i sospetti che altri, come me, ponevano
all’attenzione di tutti, come una mera contrapposizione ideologica (non so
quanta ipocrisia ci fosse, o ignoranza!). Di certo, oggi (ma non da oggi) più
che mai è maggiormente evidente la natura politica (e ideologica) di Matteo
Renzi; però non si avvertono segnali di chiara autocritica da parte dei tantissimi
suoi sostenitori che ancora albergano nei piani medio alti del Partito
Democratico, quelli che non sono usciti per formare Italia Viva nel settembre
del 2019; quelli ad esempio che ancora di recente hanno stigmatizzato la
volontà espressa da Enrico Letta di rompere definitivamente con Italia Viva
dopo la torbida vicenda del DdL Zan, cui è seguita una trafila di segnali di
svolta verso il Centrodestra-Destra.
Ora,
cosa dire? In Politica tutto è possibile. Come ho già scritto nel Preambolo
della prima parte pubblicata il 12 novembre, non sappiamo cosa ci riserva il
prossimo futuro. Lo stesso attuale Segretario del PD aveva lasciato ben sperare
nei primi giorni del suo avvento ma poi si è lasciato portare dalla corrente,
dimenticandosi che il “virus” malefico non è ancora stato debellato. Eppure la
pandemìa avrebbe dovuto insegnare in modo indiretto qualcosa.