I REMEMBER
E, allora, mi si dica cosa c’è da festeggiare?!?
A me sembrava strano. Avevo poco più di
venti anni. Mezzo secolo fa. Un amico più anziano di noi quando arrivava il
Natale e negli ultimi giorni, e ore, dell’anno, spariva rinchiudendosi nel suo
“studio” a fare i conti, il resoconto dell’anno che si concludeva. Non un
resoconto economico, come accade negli istituti bancari, ma un reset
dell’anima. Non ne coglievamo il senso, anche perché in tutto il resto
dell’anno riusciva ad illuminarci con le sue amene invenzioni, con il suo
frenetico attivismo, con facezie ed arguzie inconsuete. Geniali. Non so
dove annotasse le tappe del suo lunario e non ci è dato di saperlo, visto che
ci ha lasciato per sempre più di venti anni fa. Ma in alcune delle sue
“produzioni” si trovano alcuni indizi.
Sembrava strano, ma poi con la
consapevolezza esistenziale nel corso del tempo ho avviato una personale
revisione analitica della realtà che mi ha fatto comprendere come si possano
contemperare aspetti contraddittori nel corso della propria vita. Occorre però
avere ben presente che quel che noi chiamiamo Natale, al di là del riferimento
alla tradizione “cristiana” è un giorno come l’altro inserito convenzionalmente
in una data che è a sua volta introdotta in un complesso che noi chiamiamo
“anno”. Ed è così anche per gli ultimi convenzionali giorni dell’anno ed il
primo di quello che segue. Per alcuni tra noi la “vita” è una sequenza di
giorni, e i giorni sono una sequenza di fasi imposte da movimenti ciclici
naturali, esistenziali.
Ecco perché questa smania di “festa” è
solo una consuetudine. Il Natale è dunque per me un giorno comune, nel quale
non mi dispiace fare quello che quotidianamente faccio, nè più nè meno.
Non lo era del tutto quando avevo “venti
anni o poco più”. Anche se, ad osservare quel tempo, mi sono accorto in età
matura che già allora non avevo poi questo grande desiderio di fare “mucchio” in
assembramenti informi, in luoghi fumosi e chiassosi. In realtà non condividevo
quell’ansia di sommare solitudini collettivamente; mi accontentavo di molto
meno, anche se nel corso dei giorni “da giovane” non ho mai smesso di
“organizzare gruppi” e creare momenti di condivisione sociale. Ma non in
momenti, per così dire, “canonici”, nei quali addirittura mi perdevo, smarrivo
le mie certezze e diventavo un malinconico depresso.
Ecco dunque perché non condivido questa
smania di festeggiare, e di scambiarsi doni, solo in prossimità di particolari
“eventi” ciclici.
Si
festeggi quando si vuole, non solo quando le convenzioni sociali quasi quasi
sembrano imporcelo. E, tra l’altro, queste riflessioni potrebbero essere
utilissime proprio in un tempo come questo nel quale gli impedimenti alla
socializzazione “diffusa” sono necessari per un possibile futuro durante il
quale potremo festeggiare come e quando, oltre che quanto, vogliamo.
E, poi, in
una condizione come questa, dovremmo avere un pensiero in più verso chi ha ben
poco da festeggiare: qualsiasi siano i motivi che li abbiano condotti a non
poter gioire. Ho pensato, infatti, in queste ultime ore
prima e dopo quel giorno convenzionale del “Natale”, alle persone care a me ed
a tanti altri che hanno perduto amici e parenti, a coloro che hanno perso il
lavoro ed il sostentamento che questo procurava alla loro famiglia; ed ho
pensato anche ai tanti amministratori onesti che vorrebbero affrontare e
risolvere i problemi sanitari ed economici e non sanno come poter portare
avanti questo loro impegno.
su una lettera “dal
carcere” di Antonio Gramsci datata 30 dicembre 1929 – cioè novanta anni fa
Novanta anni fa, il 30 dicembre 1929, in una lettera
apparentemente “familiare”, Antonio Gramsci “dal carcere” di Turi, dove era
rinchiuso dal luglio del precedente anno, traccia tutta una serie di
riflessioni politiche e pedagogiche, che a tutt’oggi sono elementi fondamentali
per chiunque voglia approssimarsi a divenire un educatore. Come spesso accade,
sono le semplici argomentazioni a divenire, partendo dal “particolare” generico
ed occasionale e proprio per la loro capacità di arrivare al cuore delle
problematiche, in definitiva universali. Gramsci scrive alla moglie Giulia
Schucht, che aveva lasciato l’Italia con il figlio Delio ed incinta di Giuliano
nell’agosto del 1926 e fa riferimento all’altra donna forse addirittura più
importante dal punto di vista intellettuale, la più anziana, e matura, delle
sorelle Schucht, Tatiana, sua prioritaria interlocutrice politica e culturale
in tutto l’arco della sua permanenza in carcere.
Nella lettera del 30 dicembre Gramsci fa un diretto riferimento al rapporto, in
qualche modo condizionato dall’assenza di Giulia con Tatiana, un rapporto molto
più che “epistolare” visto che la donna faceva visita all’illustre recluso e ne
era diventata la principale confidente.
Cara Giulia,
non mi sono ricordato di domandare a Tatiana con la quale ho avuto un colloquio
qualche giorno fa, se ti aveva trasmesso le mie due ultime lettere a lei. Penso
di sí, perché avevo domandato che lo facesse; perché volevo che tu fossi
informata d’un mio stato d’animo, che si è attenuato, ma non è ancora
completamente sparito, anche a costo di procurarti qualche dispiacere.
In Gramsci c’è questo profondo dissidio anche
sentimentale: probabilmente avverte su di sè il peso di una intera famiglia,
alla quale si è legato, la Schucht (innamorato in un primo tempo di Eugenia,
aveva poi sposato Giulia), e comprende pienamente le ragioni che spingono
Giulia a lasciare l’Italia, indebolita nell’animo e nel fisico, per tornare in
Unione Sovietica.
La lettera di cui parlo, partendo da riflessioni condizionate dalla reclusione
e dalla logica distanza con la famiglia si incentra sull’educazione del
primogenito e sul suo grado di apprendimento.
Le osservazioni che
farò devono essere naturalmente giudicate tenendo presente alcuni criteri
limitativi: 1) che io ignoro quasi tutto dello sviluppo dei bambini proprio nel
periodo in cui lo sviluppo offre il quadro piú caratteristico della loro
formazione intellettuale e morale, dopo i due anni, quando si impadroniscono
con una certa precisione del linguaggio, incominciano a formare nessi logici
oltre che immagini e rappresentazioni; 2) che il giudizio migliore
dell’indirizzo educativo dei bambini è e può essere solo di chi li conosce da
vicino e può seguirli in tutto il processo di sviluppo, purché non si lasci
acciecare dai sentimenti e non perda con ciò ogni criterio, abbandonandosi alla
pura contemplazione estetica del bambino, che viene implicitamente degradato
alla funzione di un’opera d’arte.
Dunque, tenendo conto di questi due criteri, che poi sono uno solo in due
coordinate, mi pare che lo stato di sviluppo intellettuale di Delio, come
risulta da ciò che mi scrivi, sia molto arretrato per la sua età, sia troppo
infantile. Quando aveva due anni, a Roma, egli suonava il pianoforte, cioè
aveva compreso la diversa gradazione locale delle tonalità sulla tastiera,
dalla voce degli animali: il pulcino a destra, e l’orso a sinistra, con gli
intermedi di svariati altri animali. Per l’età di due anni non ancora compiuti
questo procedimento era compatibile e normale; ma a cinque anni e qualche mese,
lo stesso procedimento applicato all’orientamento, sia pure di uno spazio
enormemente maggiore (non quanto può sembrare, perché le quattro pareti della
stanza limitano e concretano questo spazio), è molto arretrato e infantile.
Cara Giulia,
non mi sono ricordato di domandare a Tatiana con la quale ho avuto un colloquio
qualche giorno fa, se ti aveva trasmesso le mie due ultime lettere a lei. Penso
di sí, perché avevo domandato che lo facesse; perché volevo che tu fossi
informata d’un mio stato d’animo, che si è attenuato, ma non è ancora
completamente sparito, anche a costo di procurarti qualche dispiacere.
Ho letto con molto interesse la lettera in cui mi hai dato una impressione del
grado di sviluppo di Delio.
Le osservazioni che
farò devono essere naturalmente giudicate tenendo presente alcuni criteri
limitativi: 1) che io ignoro quasi tutto dello sviluppo dei bambini proprio nel
periodo in cui lo sviluppo offre il quadro piú caratteristico della loro formazione
intellettuale e morale, dopo i due anni, quando si impadroniscono con una certa
precisione del linguaggio, incominciano a formare nessi logici oltre che
immagini e rappresentazioni; 2) che il giudizio migliore dell’indirizzo
educativo dei bambini è e può essere solo di chi li conosce da vicino e può
seguirli in tutto il processo di sviluppo, purché non si lasci acciecare dai
sentimenti e non perda con ciò ogni criterio, abbandonandosi alla pura
contemplazione estetica del bambino, che viene implicitamente degradato alla
funzione di un’opera d’arte.
Dunque, tenendo conto di questi due criteri, che poi sono uno solo in due
coordinate, mi pare che lo stato di sviluppo intellettuale di Delio, come
risulta da ciò che mi scrivi, sia molto arretrato per la sua età, sia troppo
infantile. Quando aveva due anni, a Roma, egli suonava il pianoforte, cioè
aveva compreso la diversa gradazione locale delle tonalità sulla tastiera,
dalla voce degli animali: il pulcino a destra, e l’orso a sinistra, con gli
intermedi di svariati altri animali. Per l’età di due anni non ancora compiuti
questo procedimento era compatibile e normale; ma a cinque anni e qualche mese,
lo stesso procedimento applicato all’orientamento, sia pure di uno spazio
enormemente maggiore (non quanto può sembrare, perché le quattro pareti della
stanza limitano e concretano questo spazio), è molto arretrato e infantile.
Io ricordo con molta precisione che a meno di cinque anni, e senza essere mai
uscito da un villaggio, cioè avendo delle estensioni un concetto molto
ristretto, sapevo con la stecca trovare il paese dove abitavo, avevo
l’impressione di cosa sia un’isola e trovavo le città principali d’Italia in
una grande carta murale; cioè avevo un concetto della prospettiva, di uno
spazio complesso e non solo di linee astratte di direzione, di un sistema di
misure raccordate, e dell’orientamento secondo la posizione dei punti di questi
raccordi, alto-basso, destra-sinistra, come valori spaziali assoluti,
all’infuori della posizione eccezionale delle mie braccia. Non credo di essere
stato eccezionalmente precoce, tutt’altro. In generale ho osservato come i
«grandi» dimentichino facilmente le loro impressioni infantili, che a una certa
età svaniscono in un complesso di sentimenti o di rimpianti o di comicità o
altro di deformante. Cosí si dimentica che il bambino si sviluppa
intellettualmente in modo molto rapido, assorbendo fin dai primi giorni della
nascita una quantità straordinaria di immagini che sono ancora ricordate dopo i
primi anni e che guidano il bambino in quel primo periodo di giudizi piú
riflessivi, possibili dopo l’apprendimento del linguaggio. Naturalmente io non
posso dare giudizi e impressioni generali, per l’assenza di dati specifici e
numerosi; ignoro quasi tutto, per non dire tutto, perché le impressioni che mi
hai comunicato non hanno nessun legame tra di loro, non mostrano uno sviluppo.
Ma dal complesso di questi dati ho avuto l’impressione che la concezione tua e
di altri della tua famiglia sia troppo metafisica, cioè presupponga che nel bambino
sia in potenza tutto l’uomo e che occorra aiutarlo a sviluppare ciò che già
contiene di latente, senza coercizioni, lasciando fare alle forze spontanee
della natura o che so io. Io invece penso che l’uomo è tutta una formazione
storica, ottenuta con la coercizione (intesa non solo nel senso brutale e di
violenza esterna) e solo questo penso: che altrimenti si cadrebbe in una forma
di trascendenza o di immanenza. Ciò che si crede forza latente non è, per lo
piú, che il complesso informe e indistinto delle immagini e delle sensazioni
dei primi giorni, dei primi mesi, dei primi anni di vita, immagini e sensazioni
che non sempre sono le migliori che si vuole immaginare. Questo modo di
concepire l’educazione come sgomitolamento di un filo preesistente ha avuto la
sua importanza quando si contrapponeva alla scuola gesuitica, cioè quando
negava una filosofia ancora peggiore, ma oggi è altrettanto superato.
Rinunziare a formare il bambino significa solo permettere che la sua
personalità si sviluppi accogliendo caoticamente dall’ambiente generale tutti i
motivi di vita. È strano ed interessante che la psico-analisi di Freud stia
creando, specialmente in Germania (a quanto mi appare dalle riviste che leggo)
tendenze simili a quelle esistenti in Francia nel Settecento; e vada formando
un nuovo tipo di «buon selvaggio» corrotto dalla società, cioè dalla storia.
Ne nasce una nuova forma di disordine intellettuale molto interessante.
A tutte queste cose mi ha fatto pensare la tua lettera. Può darsi, anzi è molto
probabile, che qualche mio apprezzamento sia esagerato e addirittura ingiusto.
Ricostituire da un ossicino un megaterio o un mastodonte era proprio di Cuvier,
ma può avvenire che con un pezzo di coda di topo si ricostruisca invece un
serpente di mare.
Ti abbraccio affettuosamente.
Antonio
Siamo verso la fine dell’anno 2021 dedicato a Dante nel centenario della sua nascita. Nel rincorrere alcuni esempi di letteratura i cui temi abbiano trattato argomenti simili a quelli svolti da Alighieri nella sua “Commedia”, ed in particolar modo quelli del “viaggio” verso terre sconosciute a noi mortali sono poi arrivato a recuperare alcune traduzioni in lingua dialettale che nulla hanno da invidiare al testo originale per ricchezza di timbri e musicalità. Dopo quella in napoletano presento qui un testo in siciliano (la cui appartenenza autoriale mi è sconosciuta, per motivi tecnologici: non appena la recupererò apporterò la necessaria modifica a questo post) riferito ai primi versi del quinto canto dell’Inferno.
Dunqui lu primu circu abbannunai pri st’autru, ch’è chiù strittu, e chiù stroppia Chà chiù si scinni, e strinci, e su’ chiù guai.
C’è Minos a la porta chi sgrignia, ci fa la causa all’armi appena entrati, e a mezzo di la cura sintinzia.
Comu arrivano ddà l’armi dannati, iddu prima ci fa di cunfissuri, e po’ a tinuri di li so piccati,
lu postu assigna ad ogni piccaturi, e secunnu lu gradu chi ci duna, cu la cuda si fa tanti cudduri.
Armi davanti nn’havi munzidduna, nta un dittu e un fattu fa lu so giudiziu, e l’arrizzola sutta ad una ad una.
“o tu chi veni nta stu tristu spiziu” grida Minos a mia, quannu mi vidi, lintannu un pocu lu mpurtanti uffiziu,
“prima chi trasi, bada a cu’ t’affidi, la porta e granni , ma ‘un tinn’abusari” Ci rispunni lu mastru ”pirchì gridi?
E inutili lu passu ostaculari; Chiddu chi tuttu po cussì disponi, e di nu’ autri chiù nun t’occupari”.
Ora veni la vera afflizioni, ora ‘un su chiù suspiri, ma lamenti, ora è un chiantu chi fa compassioni;
ora e scuru pirfettu, e ccà si senti du murmuru chi fa mari ‘n timpesta quannu si cuntrarianu li venti.
Ccà dintra l’arma vola e mai s’arresta, lu ventu, cu li so rufuliuna di ccà e di ddà fa sbattiri la testa;
quannu a lu pricipiziu arriva ognuna, prova forsi un duluri accussi ntenzu, cha chianci, e strilla, o sfoga a santiuna.
Ntisi ca su’ dannati docu mmenzu Chiddi chi fannu piccati carnali, La ragiuni ‘un scutannu, ma lu senzu;
e comu nta li iorna autunnali, a toccu a toccu li strunedda vannu, cussì d’armi, bianchì sprovvisti d’ali,
iavanu nta du scuru svulazzannu; nò di riposu o pena chiù liggera speranza pri in eternu mai nun hannu.
Comu li groi chi volanu a filera, lu du cantu monotunu e picchiusu, daccussì vitti d’animi una schera
“Poesia Sostantivo Femminile” è stata organizzata dal prof.
Giuseppe Maddaluno insieme alla Circoscrizione Est dal 2001 fino all’anno 2009.
Dal 2010 è organizzata dall’Associazione Dicearchia 2008
sempre con l’appoggio di una parte della Circoscrizione Est, i gruppi PD, IdV e
SeL che credono nel valore di questa iniziativa.
Le autrici e gli autori hanno inviato sotto la loro diretta responsabilità le poesie L’organizzazione declina qualsiasi responsabilità relativa alla proprietà culturale dei materiali inviati, la maggior parte dei quali attraverso mail afferenti alle autrici ed agli autori. L’impaginazione è stata curata direttamente da Maddaluno e supervisionata tecnicamente da Giacomo Doni della Tipografia Si Stampa
Presentazione del libretto
“POESIA SOSTANTIVO FEMMINILE”
dodicesima edizione (2012)
Con la dodicesima edizione di “Poesia Sostantivo Femminile”,
ancora una volta, è gradito desiderio soffermarsi a parlare di donne, nel
predisporre un libretto di poesie a loro dedicato in occasione della festa
dell’8 marzo.
Si coglie l’opportunità per accendere i riflettori su quella
che è sempre stata ed è tutt’oggi la condizione umana più discriminata del
nostro pianeta.
Tenuto conto, infatti, della situazione femminile nella
storia umana, si può arrivare facilmente alle conclusioni che la donna è sempre
stata costretta a ricoprire un ruolo subalterno, comunque secondario se non
addirittura marginale e, salvo poche eccezioni, con quasi nessuna possibilità
di partecipare alla gestione della “cosa pubblica”.
Ancora oggi, malgrado le lotte e la maggiore disponibilità e
sensibilità, siamo ben lontani dal raggiungere la piena parità fra i due generi
umani.
Il nostro paese non fa eccezione. Con la crisi che ci
attanaglia e con la prospettiva incerta del futuro, le donne diventano
l’elemento debole che deve sopportano il carico più pesante della situazione.
Per le assunzioni si pretende la sottoscrizione di
licenziamenti in bianco tanto che la maternità, invece di essere quell’evento
bellissimo e desiderato quale dovrebbe essere, si configura come lo spauracchio
per la perdita del proprio posto di lavoro.
Le donne sono quelle più licenziate, quelle più penalizzate
negli stipendi, le più discriminate nella carriera perché se ne ostacola
l’accesso ai ruoli dirigenziali.
La politica fa la sua parte, espellendole dalla scena
pubblica più dei “maschietti”, o attribuendo loro cariche di minor rilievo.
In famiglia le condizioni non migliorano: in Italia il 70%
del lavoro domestico grava sulle spalle delle donne; le cure parentali e quelle
rivolte ai familiari anziani o infermi sono per lo più un carico femminile.
All’interno delle mura domestiche la violenza è maggiore che
fuori: il 70 % dei “femminicidi” avviene in famiglia.
In Italia ogni tre giorni una donna muore per mano di un
uomo. E sono spesso gli stessi partner o ex partner, quelli che le dovrebbero
amare o aver amato, a compiere i gesti più cruenti in nome di una perverso idea
di possesso: “E’ mia e deve tornare da me”. Sono uomini che non accettano la
libera scelta della donna che vorrebbero sempre a loro assoggettata.
Spesso le violenze non vengono neppure denunciate: anche oggi
accade che, in alcune situazioni, le violenze domestiche non vengano percepite
come reato, specialmente in presenza di contesti “patriarcali” esistenti ancora
nel nostro paese.
Si commettono anche infanticidi, come da cronache recenti,
pur di “punire” la donna, in un delirio infinito che non tende ad attenuarsi in
questi anni.
Vi sono, inoltre, le violenze meno apparenti, ma più subdole, che condizionano pesantemente la vita delle donne all’interno del contesto familiare: le violenze psicologiche e quelle di natura economica, facili da reiterare con soggetti più deboli per condizione sociale, culturale, lavorativa ed anche per motivi di salute……continua
<<
Grazie ad Antonio Tricomi per questa bellissima presentazione dell’opera di
Pasolini, che colpisce, bastona i lettori come voleva Pasolini appunto, e
bastona anche gli autori cioè mi ha colpito molto questa cosa che tu dici:
Pasolini bastona i suoi lettori e vuole essere bastonato ed è un rapporto non
innocuo quello che lui ci chiede, ed è anche una rottura di quella
santificazione della letteratura che appunto invece molte volte la rende
innocua. E’ un desiderio proprio di arrivare ad un rapporto di lesioni
reciproche.
Questa
volontà di essere coinvolti dentro è molto importante, proprio per quello che
sta invece accadendo adesso e che accade da tempo nel rassicuramento, nel
rassicurarsi reciproco delle aree specialistiche: io mi intendo di questo, tu
ti intendi di quello, lui si intende di quello, l’altro si intende di quello e
così ci rassicuriamo tutti fra di noi, nessuno mai si prova ad andare ad
interferire con l’area degli altri. Per cui, appunto, chi amministra e chi ha
il potere lo esercita in un determinato modo, chi ha i soldi lo esercita invece
in un altro determinato modo. E’ questa separatezza dei poteri che è la fonte
appunto di parte delle nostre sofferenze, ed è proprio contro questa
separatezza delle competenze che Pasolini voleva combattere.
Io
ricordo lunghe discussioni con l’amico Antonio Costa nel 1974 quando era uscito
“Il fiore delle mille e una notte” e ricordo un suo articolo molto
bello “Il fiore dell’ossessione” che venne tradotto subito in inglese
da Wileden e diventò come un manifesto di una serie di riflessioni su Pasolini.
Questo per dirvi che abbiamo ascoltato adesso le parole così intense di un
ricercatore, che ha tante frecce al suo arco, adesso invece ascolteremo le
parole altrettanto intense, ma sedimentate e ponderate, del Professor Antonio
Costa che ci è venuto a trovare per questa giornata dall’Università di Venezia
dove insegna storia e critica del cinema. >>
PERCHE’
L’UNITA’ DELLE SINISTRE deve essere “oltre” il PD
Nelle vicende storiche, in quelle personali o collettive di
donne ed uomini normali, quel che avviene si spiega come conseguenza di altre
vicende che si sono verificate e snodate nel corso del tempo. Quel che accade
non è il frutto di una casualità né l’espressione di un capriccio individuale
che può coincidere con scelte di singoli e di gruppi in modo indistinto.
Anche per questo motivo la scelta di costruire un nuovo soggetto di Sinistra
che coinvolga le Sinistre è per tante e tanti la conclusione di un percorso di
ricerca meditato a lungo e che ha a che fare con la consapevolezza che non vi
sia altra scelta nella rappresentanza di quelle che sono le principali urgenze
da affrontare relative ai bisogni in primo luogo davvero primari della
stragrande maggioranza della popolazione. Indubbiamente la principale forza che
si avvale solo in parte di un retaggio antico di Sinistra ha vissuto
progressivamente un degrado culturale e politico che l’ha allontanata dai
valori fondamentali avvicinandola sempre più ad un neocentrismo depositario di
valori capitalistici più consoni alle Destre, ancorché illuminate democratiche
e liberali.
Le scelte politiche del Partito Democratico sono dunque state forgiate dagli
interessi dei gruppi finanziari e imprenditoriali. Quel Partito si è così
allontanato dal mondo che lo aveva sorretto, preferendo acquisire meriti da
parte di una leadership arrogante insensibile ed aggressiva nei confronti delle
richieste dei più deboli.
La crisi attuale di quel Partito è tutta inscritta in quel quadro che molto
sinteticamente ho qui sopra delineato. Di fronte alla crisi solitamente si
risponde con una presa di coscienza oppure con un’alzata di spalle. Il Partito
Democratico, la sua dirigenza “in toto” con minime prese di distanza, ha scelto
il secondo atteggiamento. Ancor di più, ancor peggio, questo Partito ha
riconosciuto gli addebiti ma non ha proposto le soluzioni; ancor più, ancor
peggio, i maggiori responsabili di queste “storie” sono stati riconfermati nei
loro ruoli e, quando può apparir bene, dirigono nell’ombra i fili dell’agire
politico sia sui territori che a livello nazionale. Per capirci, Renzi è solo
apparentemente “dietro le quinte”: c’è, è lì, ma ancora dirige i fili dei suoi
burattini. La stessa cosa accade nelle realtà periferiche.
Quel che ho scritto è un semplice preambolo: sintetico quanto basta. Voglio
infatti rispondere a compagne e compagni che avvertono il rischio di nuove
divisioni e potrebbero essere disponibili ad un ultimo appello all’unità da
parte del PD, semmai accompagnato da una sorta di anatema verso coloro che
vadano lavorando per un’altra forma di UNITA’, scaricando su di loro
l’eventuale probabile inevitabile debacle a favore della Destra. Spero non si
lascino incantare: sono sempre gli stessi, non hanno riconosciuto gli errori e
quando hanno accennato a farlo non hanno poi dato seguito a quell’atto.
Continueranno a dire: “Compagni, non è il momento!” rispondendo alla vostra
richiesta di una revisione; e vi prenderanno per la gola.
Qualcuno “sembra” esserci cascato in quella trappola; ma non è così. Vecchie
volpi, “pesce ‘e cannuccia”, creduloni dalla bocca buona ed in perenne attesa
di un riconoscimento. Loro, questi ultimi, diranno che sono alternativi: pura
ipocrisia d’accatto.
POESIA SOSTANTIVO FEMMINILE – 2022 – un recupero dei testi di presentazione, introduzioni e Saluti (cominciamo dalla coda del 2012)
Riprendiamo un progetto. Nel farlo ripartire con una prima mail ed una sorta di Comunicato distribuito nei Gruppi di Facebook, che ho cominciato ad inviare ieri sera, siamo anche ad augurare a tutt* noi che il prossimo anno sia meno avaro di soddisfazioni rispetto a questi ultimi due.
Gentilissim*
Sono Giuseppe Maddaluno, curatore per 12 anni dal 2001 al 2012 della raccolta di poesie dal titolo “POESIA SOSTANTIVO FEMMINILE”.
Nell’augurarVi Buone Feste, Natale e Nuovo Anno 2022, voglio annunciarvi che ripropongo una nuova Edizione della “raccolta” la cui presentazione dovrebbe svolgersi nel prossimo mese di Maggio (quella del 2012 fu presentata l’11 maggio).
Da oggi in poi, insieme ad un gruppo che fa riferimento ad una nuova Associazione, “IDEE IN CIRCOLO”, procederemo alla raccolta delle poesie.
Vi preavverto che, per coprire i costi esclusivamente della impaginazione grafica e della stampa delle copie, avremo bisogno di un contributo minimo, che si aggira intorno alle 10 euro, in cambio delle quali avrete un numero di copie minimo di 5. Il lavoro di organizzazione e di cura del progetto fino alle giornate di presentazione verrà svolto in forma “volontaria”. Nel caso in cui ci fossero dei contributi, essi andranno a ridurre anche il peso dei contributi personali. Ad ogni modo, forniremo un bilancio per la trasparenza a fine iniziativa.
Potete inviare a questo indirizzo mail ideeincircolo2021@gmail.com i vostri componimenti, che ben sapete devono avere alcune caratteristiche: essere opera di donna o essere opera dedicata a donna.
Se avete bisogno di contattarmi potete utilizzare il mio numero di cellulare 3465259722
Vi saluto, augurandovi nuovamente BUONE FESTE e un felicissimo NUOVO ANNO
Vi faccio presente che utilizzerò il vostro indirizzo mail soltanto per questo progetto e rispetterò le indicazioni che ciascun* di voi mi fornirà relativamente all’uso del vostro indirizzo laddove non desideriate espressamente essere coinvolt*.
Giuseppe Maddaluno
Utilizzo il Blog che curo personalmente per riproporre a ritroso quel che scrivevamo nelle precedenti edizioni di POESIA SOSTANTIVO FEMMINILE
Cominciamo con i “Saluti” che apponevo a chiusura del 12mo libretto
Saluti
Eccoci di nuovo qua. La dodicesima Edizione di un’iniziativa che, pur consolidata e collaudata, non cessa mai di sorprenderci. Quest’anno rispetto a quello precedente sembrava più lento più stanco e faticoso nel procedere, fra venti di crisi e sconforto generale, per mettere insieme le parole e coinvolgere le persone su temi ideali. Invece quel che sembrava un miraggio si è poi man mano concretizzato ed abbiamo un nutrito gruppo di partecipanti che non hanno voluto mancare anche questa occasione per confrontarsi nella loro individualità su argomenti diversi dall’amicizia all’amore, dalla solitudine al dolore, dalla gioia alla riflessione sociale, dai temi civili e politici a quelli spirituali ed etici. Rimane, tranne qualche raro caso, fondamentale la figura femminile cui è dedicata prioritariamente l’iniziativa. Abbiamo dato spazio ad un gruppo di giovanissimi – poetesse e poeti – della Scuola Primaria Santa Gonda che hanno dibattuto in versi sul tema dell’amicizia (“L’amico è”) sollecitati da alcune maestre fra le quali Giuseppina Guarducci da sempre attenta verso la parola poetica e verso la nostra iniziativa.
Quest’anno “Poesia Sostantivo Femminile” si svolgerà al Circolo ARCI San Paolo di via Cilea 3 la sera di venerdì 11 maggio. Ringraziamo Massimiliano Biagini presidente del Circolo per avere accolto la proposta con entusiasmo e sin d’ora gli chiediamo in modo così chiaro ed ufficiale di poter realizzare in questo stesso luogo la prossima Edizione (la 13^) venerdì 8 marzo 2013.
Ringraziamo i gruppi di maggioranza della Circoscrizione Est per il sostegno che continuano a dimostrare verso questo appuntamento. In particolar modo ringraziamo Roberta Lombardi per l’impegno che mostra che ci è di stimolo ed incoraggiamento a continuare. Ovviamente ringraziamo le autrici e gli autori che ci onorano della loro presenza e ci fanno sentire meno soli; anche perché mentre preparavamo questa Edizione ci ha raggiunto, inattesa perché distratti dalla “lontananza”, la notizia della morte di una cara amica lontana: non sappiamo se ha mai scritto versi poetici; sappiamo solo che alla fine degli anni Settanta era con noi a progettare la “vita” come tanti ventenni ed ora, tranne che nel ricordo struggente, non ci sorriderà più.
Libera
ogni tua
energia
anima
bella
solcando
i cieli
del cosmo
senza
frontiere
Sciogli
le gomene
e vai
oltre i
confini
del
cielo
nello
spazio infinito
dei tuoi
sogni
di
perenne fanciulla
Così
ti
ricordo
Come si può leggere, si chiudeva con la speranza di continuare già nel 2013. Sono trascorsi quasi dieci anni e vogliamo riprovarci.
Manca poco alla fine dell’anno; si chiude con chiari e scuri. Per alcuni i “chiari” prevalgono; per altri non è così. La riflessione su quest’anno la farò, a tempo debito. Per ora pubblico questi miei interventi scritti alla fine degli anni passati.
Manca davvero poco alla fine del 2017 ed
avverto l’esigenza personale di fare chiarezza rispetto a ciò che abbiamo ed a
ciò che ci manca, che per me consistono in un medesimo obiettivo: attuare una
Politica di Sinistra di Governo del nostro Paese.
Infatti abbiamo l’esigenza di costruire un soggetto forte che sia in grado di
dare le giuste risposte al bisogno di giustizia sociale senza intaccare i
diritti ma garantendo questi ultimi nel pieno rispetto dei doveri, delle regole
e della legalità.
Negli ultimi tempi, dopo un periodo di conquiste sociali, le abbiamo
progressivamente perdute mettendo seriamente a rischio la convivenza civile.
Per Sinistra di Governo intendo parlare di un tentativo di costruire un
equilibrio tra chi ha fino ad ora partecipato (o assistito, appoggiandola,
senza parteciparvi) alla costruzione di una forza politica moderata
progressista e democratica e chi ha privilegiato una forma di testimonianza
nuda e cruda, pura, dei fondamentali valori della Sinistra radicale, dogmatica,
intransigente. La perpetuazione della separatezza tra chi ha uno sguardo
critico ma moderato nelle forme e chi invece ha privilegiato una forma di
perenne protesta e contestazione spesso sterile e tendente a forme improduttive
dal punto di vista pragmatico non può che condurre ad una vittoria delle Destre
e di quella pseudo-Sinistra che si è catalizzata intorno al Partito Democratico
e ad una nuova sconfitta della Sinistra.
Le ultime vicende relative alla costituzione da una parte della lista “Liberi e
Uguali” e dall’altra della formazione di un’altra variegata e multiforme
struttura che prende il nome di “Potere al popolo” confermano i miei timori
rispetto al prossimo futuro.
Gli insegnamenti si sprecano, non essendo in grado di cogliere gli aspetti
positivi ed accantonare quelli che appaiono da una parte e dall’altra negativi.
Non si perdonano ad esponenti di “Liberi e Uguali” l’aver fatto parte di un
progetto fallimentari, manco fossero stati dei “neofascisti”, e l’aver
sostenuto leggi contestate come Job’s Act, la Buona scuola e l’abolizione
dell’art.18; non si perdona alla parte radicale l’intransigenza: nessuno dei
due però fa un passo avanti e questo è deplorevole politicamente e civilmente.
Fra poche ore entreremo nel 2018. A inizio marzo avremo le elezioni politiche,
che probabilmente ci forniranno utili indicazioni per il futuro. Nel 2019
voteremo a Prato. Mi permetto di sollecitare una riflessione che parta in
anticipo su quello che sarebbe utile fare. Il mio impegno già dichiarato è a
favore di un contenitore unico della Sinistra, che riesca ad aggregare le forze
democratiche, progressiste ed innovatrici del territorio per costruire un
Programma ampio di Governo della città dopo dieci anni di malgoverno prima del
Centrodestra e poi del Centrosinistra.
Un sostegno nelle stesse ore di quel gennaio 2009 – la data della mail è il 29 – venne da una cittadina molto impegnata in Politica e nel Sociale
Sono naturalmente d’accordo con Francesco e con Giuseppe; voglio aggiungere che il sano volontariato non è mai messo in mostra come a richiedere un plauso che non può esserci perchè se così non fosse sarebbe non più volontariato ma ricerca esibita del consenso. non voglio aggiungere altro a questa vicenda a questo intervento di plauso ad uno dei candidati messo in contrapposizione all’altro in modo veramente banale. registro invece un atteggiamento scorretto e non banale da parte della segretaria del “nostro” partito il partito di tutti noi quando si siede in prima fila a sostenere uno dei candidati alle primarie; mi era sembrato chiaro all’ultima assemblea che si chiedeva alla segretaria ed alla segreteria tutta di tenere un doveroso atteggiamento super partes, anche se sapevamo tutti che se anche si fosse rispettato tale atteggiamento, esso sarebbe stato puramente formale; invece si è preferito non adottarlo neppure in modo formale …. e la commissione di garanzia di 35 membri che fine ha fatto? che regole di garanzia si sono dati? io propongo di inoltrare reclamo formale a questa commissione ed eventualmente discutere se sia il caso di dare alcune riflessioni alla stampa proprio su questo palese atto di partigianeria della segretaria verso un candidato. Ciao a tutti, T.
In quello stesso giorno feci circolare una mia riflessione:
Scrivo a proposito degli anonimi che ieri sono intervenuti sul blog di Pratonord a difesa (sembra così) di uno dei candidati PD alle Primarie del 15 febbraio p.v.. Intanto non trovo offensivo il commento di F. B. il quale ha soltanto rilevata la grande capacità del suddetto candidato nel ricoprire da anni ormai incarichi politici ed amministrativi (quale sia la sua attività prevalente, quella che consentirebbe a ciascuno di noi di essere autonomi ed indipendenti una volta finito il percorso politico-amministrativo, non è dato di saperlo) in modo ininterrotto (F.B. lo ha detto forse con un po’ di ironia, ma non è offensivo collegare la capacità di “fare le pizze” con le “mani in pasta”): ci si innervosisce troppo facilmente tirando con troppa superficialità fuori anche l’unità del Partito, come se la responsabilità del momento critico fosse sul groppone di coloro che non hanno avuto in questi ultimi anni alcun incarico di Partito tanto rilevante da poter essere riconosciuti come Dirigenti. Tuttavia rilevo due elementi che invece giudico molto gravi: il primo è che non si deve trascendere in modo offensivo e certi epiteti utilizzati non sono assolutamente accettabili; il secondo è che a riflessione (sulla quale si può legittimamente non concordare) firmata non si può contrapporre l’anonimato. Quest’ultimo elemento – che caratterizza tutti gli interventi “contro” – è molto più pericoloso per l’unità e l’integrità del Partito rispetto a quanto esposto – lo ripeto – da F. B..
Preambolo – Mentre mi accingevo a scrivere queste riflessioni un noto rappresentante della categoria No Vax locale, ritenendomi forse responsabile di un suo temporaneo allontanamento dalla platea social Facebook, ha utilizzato toni offensivi e virulenti nei miei confronti, mettendo in evidenza la sua limitatezza. Pur essendo io convinto che non sia possibile dialogare in modo civile con chi ritiene di essere in possesso della Verità (senza avere peraltro cognizioni di tipo scientifico né professionali né empiriche) non ho mai messo da parte il dubbio (anche in queste umili chiacchiere lo evidenzio) e non mi sogno affatto di ergermi a esperto della materia. Rimango dell’idea che il vaccinarsi sia un atto di civiltà altruistica e quindi giudico “ASOCIALE” chi . non essendo limitato da problemi sanitari, rifiuta pervicacemente di vaccinarsi.
La stragrande maggioranza del Paese contribuisce in quota parte alle funzioni vitali dello Stato, soprattutto in quei settori sociali, come la Sanità e l’Istruzione. Ciascuno contribuisce volentieri, riconoscendo che lo Stato adopererà quei contributi in modo saggio ed equo. Nella Sanità, ad esempio, vengono ad essere riconosciute le necessarie cure, sostenendo le spese non solo in parte ma molto spesso “in toto”, soprattutto per chi ha più bisogno. La Sanità italiana è da sempre un modello democratico riconosciuto per il suo valore a livello internazionale.
Negli
ultimi anni – come è peraltro accaduto in altre parti del mondo – il settore
sociosanitario ha dovuto subire forti contraccolpi, non riuscendo in molte
occasioni e per lunghi periodi a corrispondere alle necessità di una
popolazione sempre più anziana e dunque bisognevole naturalmente di cure. A
soffrirne sono stati tutti coloro che avrebbero dovuto avere cure mediche,
anche e soprattutto di degenza ospedaliera o di interventi diagnostici e curativi,
che nel corso degli eventi, ed in particolare quelli collegati alla pandemia,
sono stati costretti a farne a meno, proprio allo scopo di far fronte ai più
urgenti bisogni collegati al dilagare del virus Covid19.
Nella
prima fase di essa, quella per intenderci del 2020, febbraio/marzo fino a tutto
maggio, quella fase del “lockdown” più duro, quando tutto il mondo produttivo
non di prima necessità era ingessato, la comunità ha mantenuto un contegno
pregevole, largamente apprezzato ed osannato forse oltre misura, con una
retorica quasi nazionalistica. Nondimeno vi è stato chi non ha mancato di
avanzare distinguo, troppe volte pericolosamente improponibili, ma che si
alzavano a difesa di interessi assai parziali, anche se – all’interno di quella
parzialità – certamente importanti. Mi riferisco – solo per fare uno dei tanti
possibili esempi – alla pretesa di “riaprire tutto” spesso ventilata e
minacciata a dispetto dei dati reali, che rappresentavano un vero e proprio
rischio per la Salute pubblica. Il nostro popolo, così eroico, ha tuttavia un
brutto difetto: dimentica! Altrimenti ricorderebbe come quella Destra, che pur
avanzava nel Paese, proponeva soluzioni perniciose, semplicemente per
raccattare consensi da quella parte di società che si sentiva meno protetta.
Poi
gli scienziati, che pur avevano avuto un ruolo di sostegno nel fornire
soluzioni di tipo sociale, sono riusciti a produrre una serie di vaccini e li
hanno rapidamente testati, vista l’emergenza. Dal marzo di quest’anno è stata
avviata la campagna di vaccinazione. A questo punto sono sorti nuovi problemi,
ben diversi da quelli sinteticamente trattati prima. Si è diffusa, accanto ad
una, purtroppo molto timida, campagna di sostegno, una dura e aggressiva
controcampagna di discredito della validità dei vaccini, della loro
pericolosità, arrivando perfino alla negazione della stessa esistenza del
Covid. Allo stesso tempo, coloro che non intendevano accedere alla campagna di
vaccinazione, si rifiutavano surrettiziamente di considerare la possibilità di
poter accedere a varie forme di socialità, ivi compreso il luogo di lavoro,
attraverso lo strumento del Green Pass, necessaria attestazione della
vaccinazione, o di una
Mi
sono ritrovato in varie occasioni a dibattere sui social con qualcuno tra
quegli irriducibili, soprattutto quelli che in passato, anche non molto
lontano, erano stati compagni di percorsi culturali e politici comuni. Non è
mai stato semplice, soprattutto perché l’irriducibile non comprende altra
ragione se non la propria e di frequente, non solo ritiene, sanziona come
insulsa e non degna di essere presa in considerazione quella degli altri,
diversa. Ho avanzato critiche composte ma severe verso coloro i quali
concionavano sui social e sui media intorno alle modalità di “ascolto” da
riservare a chi si contrappone ai metodi scientifici.
Considero un “parlar tra sordi” quello che dovrebbe avvenire tra chi ha
fiducia nella “scienza” e chi per ragioni che travalicano qualsiasi parvenza di
ragionevolezza contrappone un rifiuto irrazionale alle proposte scientifiche.
Questi ultimi si avvalgono di dati che non hanno alcun valore, se non quello
loro assegnato da impostori del mondo scientifico e da mestatori parapolitici
che vorrebbero approfittare di questo torbidume.
Ci sono dei “momenti” in cui occorre mettere da parte convinzioni individuali e
saper essere meno egoisti. Coloro che si oppongono alla vaccinazione rilevano a
riprova delle loro ragioni il fatto che anche chi è vaccinato può contagiarsi e
contagiare, ma non sono disponibili a riconoscere che nel primo caso sono
abbastanza protetti dalle conseguenze nefaste e che nel secondo (il contagiare
altri) diventano un vero e proprio pericolo solo ed esclusivamente per i “non vaccinati”
imprudenti. Questi ultimi finiscono quasi sempre tra le terapie intensive e
quelle intermedie, ma sempre in ospedale, dove vanno ad occupare, garantiti
dalla gratuità delle cure mediche, posti che potrebbero invece essere riservati
a tutti quelli che per i motivi più vari, diversi da quelli collegati alla
pandemia, hanno urgente bisogno di cure, e rischiano di incorrere in gravi,
gravissime e letali, conseguenze. Nel corso dei mesi in cui gli ospedali
scoppiavano per l’alto numero di degenti, costretti peraltro ad essere lontani
dai propri cari (lo ricorderete molto bene tutti; lo dovrebbero stampare in
fotocopia permanente nella mente dei NO VAX), il pensiero delle persone
assennate, anche con quel desiderio di vivere egoistico, andava proprio a quelle
evenienze (mi andavo dicendo: e se in questi mesi qualcuno di noi si sente
male: che dire? Un ictus, un infarto, un’ernia strozzata…. come la mettiamo?).
Ma i NO VAX non ci pensano, loro sono superiori a tutto, tranne che, quando
capita a loro di capire di aver contratto il Covid, ti vengono anche a dire che
“non è niente! Sono stata in ospedale per 26 giorni e ho letto molti libri”
oppure altri, come ho sentito dire da qualcuno di questi nuovi insoliti eroi
“di cartone”, si pentono e scoppiano in lacrime. Ora, diciamoci la verità,
costoro non meritano compassione; ma forse cure psichiatriche e dovrebbero
essere costretti, laddove bisognosi di cure (solo, però, quelle collegate alla
pandemìa) a pagarsi per intero i costi della degenza, che – ad occhio e croce –
assommano, nelle terapie intensive, a 1500 euro al giorno e per quella
“vacanza” di 26 giorni arriverebbero a circa 39000 euro: si potrebbe fare uno
sconto del 10% come segno di solidarietà e….compartecipazione.
L’
asocialita del no vax per scelta è un elemento oggettivo. Coloro che sono la
maggioranza della popolazione italiana che hanno deciso di aderire alla
campagna di vaccinazione anti Covid19 sono ben consapevoli dei rischi che si
corrono assumendo prodotti chimici medicali testati in modo necessariamente
affrettato sospinti dall’urgenza di dover sopperire il più rapidamente
possibile alla crisi emergenziale pandemica. Ben conoscono attraverso la
lettura dei bugiardini di qualsiasi altro farmaco quelle che sono le avvertenze
sui rischi che, assumendone anche una dose minima, si possono correre. Non aver
compreso che in questo momento occorreva uno sforzo di altruismo, pur
corroborato da motivazioni egoistiche, volte all’esigenza primaria di evitare
il più possibile il rischio più grave per le conseguenze nefaste del contagio,
è molto deplorevole. Peraltro poco alla volta il numero degli intransigenti si
riduce, non solo per gli impedimenti cui si è costretti dal super Green Pass ma
soprattutto per le serie conseguenze ospedaliere cui sempre più spesso si va
incontro. E davvero poco importa che questo possa accadere ad una quota sempre
più ridotta di vaccinati. In tutto questo tempo, da parte di alcuni No vax si
continua una campagna offensiva che sta procurando un altro più serio danno
alla società civile. Ed è un’offesa all’intelligenza umana, che ha da sempre
puntato la sua attenzione sul dubbio, attraverso l’esperienza allo scopo di
migliorare le proprie condizioni.
Checchè
ne dicano gli antieroi del nostro tempo, questi sicofanti simulatori abituati
ad invertire le responsabilità e le accuse come il lupo fa con l’agnello nelle
favole classiche, non sono molto diversi, costoro, da quelli che processarono
Galilei e portarono al rogo tanti altri, in nome di una verità assoluta
precaria e fasulla. In questo caso, l’opera dei Novax è criminale, in quanto
laddove le attuali maggioranze fossero invertite a favore de resistenti al
vaccino, ci troveremmo di fronte a problemi ben più gravi e insormontabili.
….fine….di
questo titolo (!)
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