partendo da due post del 2020 – (leggi il post successivo datato 4 febbraio 2022)

GLI INTELLETTUALI E SANREMO (SAN REMO TUTTO ATTACCATO PER INDICARE IL FESTIVAL)

Febbraio 2020 – GLI INTELLETTUALI E SANREMO (SAN REMO TUTTO ATTACCATO PER INDICARE IL FESTIVAL)

A parte gli addetti ai lavori (cantanti, aspiranti o semi o professionisti tout court; musicisti, parolieri, poeti di secondo livello, critici o aspiranti critici sia musicali che di costume) ed ai ceti popolari, che evidentemente hanno molto tempo a disposizione, il festival di Sanremo non è seguito. In modo particolare, non lo seguono gli intellettuali, quelli col pedigree e quelli aspiranti tali. Un dato però salta agli occhi: l’elevatissimo share, cioè la percentuale di telespettatori sintonizzati su un canale in una determinata fascia oraria, che in qualche modo conferma la netta distinzione tra una stragrande maggioranza di affezionati seguaci della kermesse sociocanora nazionalpopolare ed una minoranza sparuta di pervicaci astensionisti.
Anche se non mi considero un intellettuale, io non ho seguito il Festival. Troppo faticoso, troppe lentezze – motivate da una scaletta collegata ad esigenze di “sponsor”, anonimi per tutti quelli che non conoscono i meccanismi perversi dello show business, ben noti a coloro – una minoranza assoluta – che ne conoscono i funzionamenti. Personalmente conosco meglio i meccanismi sottesi all’organizzazione di un Festival cinematografico, che non è del tutto immune da quei tranelli; ricordo, quando ne organizzai tre edizioni di un format regionale qui a Prato, le pressioni per ospitare qualche autore. Ma per me è una storia lontana, Torniamo all’oggi.
Da altri che studiano o praticano da intellettuali i diversi social mi attenderei anche la capacità di essere collegati al sentire comune, o perlomeno di saper distinguere i diversi ambiti. In realtà l’intellettuale che fa l’intellettuale è semplicemente uno snob, pari a coloro che fingono di essere aristocratici e celano le loro miserie, quelle materiali e quelle morali. Una parte, forse quella preponderante, del Festival ha caratteristiche nazional popolari, legate a revival sempre più patetici, tipo Romina ed Al Bano o I Ricchi e Poveri malinconici rappresentanti di un’epoca ormai davvero lontana, e soprattutto incapaci di andarne oltre verso il nostro tempo.

Ne danno prova “Felicità” (1985) o “Sarà perchè ti amo” (1981)

riproposti dopo circa quaranta anni. E non è quindi strano che il Festival piaccia a generazioni anziane e poco o solo mediamente colte. Ovviamente c’è un po’ di tutto nel palinsesto riservato agli ospiti, ma il problema è che la scaletta è ignota e quindi non si può attendere ore (il programma delle cinque serate è stato omogeneamente diluito in circa cinque ore cadauna) per seguire il proprio beniamino. Che poteva essere Roberto Benigni, che però continua con l’esagerare con le sue solite “prediche” sull’Amore eterno e sulla metafisica dantesca; e per questi motivi ritiene di essere un intellettuale nazional popolare. Le sue biricchinate ormai sanno di stantio e le sue proposte nuove sanno invece di melanconici tramonti. Sanremo è un festival della canzone e la sua mission dovrebbe essere quella di presentare la migliore offerta possibile di inediti: anche in questo caso il mercato si inserisce prepotentemente proponendo quello che ha a disposizione senza curarsi troppo della qualità. E così accade che, in un momento di sconforto dico a me stesso, l’ultima sera, ed a mia moglie: “Dai, guardiamo com’è!”. Dopo tre esibizioni le palpebre tendono a chiudersi pesantemente. Non ricordo neanche chi fossero i “big” di cui ho ascoltato la lagna.

…1….

parte 2

E non provo neanche a ricercarli; d’altra parte dopo aver decretato che la loro esibizione era deludente trovo poco corretto affondare il coltello nella piaga e taccio sulle loro identità (d’altra parte basterebbe andare su Raiplay e rivedere l’ultima serata per capirlo). Ecco, Raiplay è il refugium peccatorum cui qualche “intellettuale” come me (di che livello sia poco importa) si rivolge per andare rapidamente a vedere cosa è accaduto nelle circa 25 ore di trasmissione. La Rai nel corso della settimana dal 5 al 9 febbraio (il Festival si è svolto dal 4 all’8) ogni mattina riproponeva le highlights e qualcuna di queste sollecitava la curiosità, anche se è forte il dubbio che molte di esse si dovessero riferire allo show business, comprese quelle che apparivano sorprendenti come la sortita di Morgan e l’abbandono di Bugo, che è da collegare invece alla volontà di dare “un senso” alla loro presenza con un brano davvero modesto. Tutta la “pantomima” successiva all’evento (conferenze stampa e “ospitate” in vari programmi) è servita a questo: l’ultima canzone in classifica tra le 24, benché ormai eliminata del tutto dall’elenco dei concorrenti, diventava una delle più presenti nei palinsesti in varie edizioni. Ora, a dire il vero, le classifiche (quella dei big e quella degli esordienti, le Nuove Proposte) sono state profondamente menzognere. In quella ricognizione “post” che ho fatto su Raiplay ho potuto apprezzare sia la canzone di Tecla, “8 marzo” che è stata sconfitta sul fotofinish da Leo Gassmann, con “Vai bene così”,

https://www.youtube.com/watch?v=AAuATGcRSEk

che ha un testo banale (si dirà “è la norma!”), sia (ho potuto apprezzare in modo positivo) la canzone di Marco Sentieri, “Billy Blu” con un testo davvero forte, che – utilizzando il “rap” – ricorda il compianto Giorgio Faletti.

Ve la ricordate “Signor Tenente” che nel Festival di Sanremo del 1994 arrivò seconda dietro “Passerà” di Aleandro Baldi, mentre al terzo posto si piazzò Laura Pausini con “Strani amori”.

https://www.youtube.com/watch?v=GDaEpKGvx5Y&t=187s

Tra le canzoni presentate dai big ho apprezzato sia quella di Tosca che è arrivata solo sesta, ma ancora di più è stata deludente la classificazione del brano presentato da Levante, straordinaria interprete funky di un testo originalissimo, “Tikibombom”, che mi ha ricordato un’altra grande interprete del panorama colto della musica italiana, Georgia. Nello stesso anno, 1994, di cui scrivevo sopra, arrivò solo settima tra le Nuove proposte con un brano che è poi diventato uno dei suoi cavalli di battaglia, “E poi”.

L’anno successivo, per fortuna, Georgia si rifece, con “Come saprei”, vincendo Sanremo 1995.

La Storia del Festival si intreccia con la Storia del nostro Paese facendone emergere virtù e difetti. Ecco, se si volesse riconoscere anche minimamente questa caratteristica, che è concreta e reale, sarebbe buona norma fare meno gli snob intellettualoidi e, pur senza perdere le venticinque ore di tempo di cui sopra, potrebbe essere ad ogni modo svolta un’analisi dei testi e delle performance, utilizzando i motori di ricerca multimediali di cui il nostro tempo dispone.

Lo ricordate il monologo di Pier Francesco Favino sui migranti («Siamo tutti, più o meno, stranieri») tratto dal suo spettacolo La notte poco prima delle foreste, adattamento del libro di Bernard-Marie Koltès.
Era il 2018 ed a presentare il Festival, insieme al grande attore ormai “internazionale”, c’erano Claudio Baglioni e Michelle Hunziker.

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