Attenti alla guerra – arma di distrazione di massa – il prosieguo di una introduzione ai temi attuali

Concludevo il post del 4 marzo ponendo una domanda scomoda:
può, e aggiungo oggi, un (“vero”) pacifista accettare che sia una soluzione l’eliminazione fisica violenta del “despota”?

La scesa in campo così numerosa di “pacifisti” nelle manifestazioni di questi giorni è solo la cartina di tornasole del senso di colpa profondo che tanti di costoro, forse inconsapevolmente, avvertono nell’aver sottovalutato la pericolosità della presenza antidemocratica di alcuni personaggi sulla scena contemporanea, a partire ma purtroppo non solo da quella di Putin. Sulla sua figura da molto tempo vi erano delle forti perplessità relative al comportamento dispotico che aveva evidenziato soprattutto contro i suoi oppositori, non solo quelli che avrebbero potuto avere un ruolo di concorrenza politica, ma anche tutti coloro che, senza distinzione di classe sociale e di età, avevano provato a dissentire su piccole o grandi scelte. E’ – ed era – a tutti ben nota l’idiosincrasia verso i dissenzienti, che avevano anche portato ad eliminazioni fisiche, come è accaduto alla giornalista Anna Politkovskaja uccisa con un colpo di pistola il 7 ottobre 2006 nell’ascensore del suo palazzo a Mosca; e a tentativi più o meno falliti di eliminazione come nel caso di Alexei Navalny, attualmente in carcere. 

Non si può pensare di alzare barricate di bandiere con proclami semplicistici come il “Fermiamo la guerra, no all’invio di armi”; non si può pensare di avviare una trattativa, allorquando il fragore delle armi è priva di una forma razionale minima di disponibilità da una delle parti, mentre le altre, forse troppe e probabilmente non così unite come vorrebbero sembrare, cincischiano, pensando ad ottenere qualche piccolo vantaggio per sé nell’immediato futuro.

Anche se è vero, profondamente, che non ci si possa oggi fermare a tracciare le linee di demarcazione delle responsabilità della situazione, non di meno bisogna che ciascuno di noi comprenda che da quella consapevolezza occorre ripartire. La qual cosa significa anche che l’alternativa alla guerra potrebbe essere una trattativa nella quale dover riconoscere le ragioni della Russia, ma promuovere allo stesso tempo l’elaborazione di una strategia democratica di collaborazione tra popoli. Detta così è una grande formulazione utopica, a dimostrazione anche che tutte le buone volontà, di pace disarmo fratellanza, finiscono per naufragare di fronte alle velleità di quei pochi che spingono per far prevalere i loro specifici personali interessi.

E ce ne sono tanti, troppi ancora anche tra di noi; oltre ai tanti che fingono ora di essere contrari a Putin e che invece ne hanno esaltato lo stile fino all’altro giorno. E non mi riferisco solo ai nazionalisti nostrani, ma ai tanti che ancora si ostinano ad esaltare l’ex Unione Sovietica e i suoi successori, dimenticando che in quelle realtà “prima durante e dopo” non c’era libertà di pensiero e soprattutto di parole. In soldoni, non c’era la Democrazia. E vale a poco sussurrare che anche nella nostra realtà spesso i livelli democratici vacillano.

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