Breviario minimo: sul RdC

Ho da sempre criticato l’empito utopico dei sostenitori del M5S, che li avrebbe sospinti a fare i conti con il pragmatismo della Politica concreta, quella basata essenzialmente sulla reale consistenza degli apparati pubblici, mal funzionanti ed incapaci di poter dare seguito a progetti basati sui “sogni” di un gruppo di volenterosi giovanotti. Non bastano le idee positive; occorrono apparati che le facciano funzionare: ed è così che il “reddito di cittadinanza”, pur essendo una proposta che avrebbe potuto essere funzionale a quell’abbattimento della povertà che i promotori sbandierarono come realizzata semplicemente perché dal punto di vista legislativo erano state approvate le linee procedurali, fu affidato a strutture che già da tempo avevano mostrato di non essere in grado di attivare i necessari percorsi creativi di opportunità lavorative.

Allo stesso tempo scarsissime erano le possibilità, anche collegate alla fretta con cui si voleva concretizzare il progetto, di attivare controlli minimamente efficaci intorno alla congruità delle richieste: anche per questo motivo molte sono state le irregolarità riscontrate nel corso dei mesi. L’apparato dello Stato ha mostrato i suoi limiti e queste vicende hanno sospinto i critici “potenti” a prendere in considerazione l’abolizione tout court del RdC. Come se, di fronte ad irregolarità nella corresponsione di pensioni di invalidità (abbiamo ben presenti falsi ciechi e invalidi in genere), si decidesse di abolirle per tutti. Ben diversa sarebbe la presa di coscienza dei limiti evidenziati e l’impegno a mettere in funzione la macchina amministrativa per agganciare domanda e offerta. Attualmente c’è un dibattito politico molto acceso, con le Destre – che peraltro ritengono erroneamente di avere la maggioranza nel Paese – che vorrebbero eliminare il RdC, mantenendo una certa attenzione per coloro che non possono lavorare e sospingendo tutti gli altri, senza un vero e proprio controllo sulla congruità con cui il Reddito è stato percepito, ad accettare la prima proposta “congrua” di lavoro, pena la perdita di quel diritto. “Congrua” è una forma ambigua generica che non esplicita in alcun modo a quale compenso quantitativo si riferisca; inoltre bisognerebbe comprendere pienamente quali siano state le ragioni di una parte di coloro che interpellati da datori di lavoro hanno rifiutato la proposta, accontentandosi di avere circa 500 euro al mese. Viene il dubbio (a me ma mi chiedo come mai questo dubbio non venga ai detrattori del RdC) che la proposta di compenso in senso quantitativo fosse (forse) di poco superiore a quella cifra e comunque collegata a turni di lavoro massacranti come quelli della ristorazione (dove peraltro ci sono contratti fasulli che, a fronte di pochissime ore dichiarate, richiedono un impegno molto più intenso). Allo stesso tempo mi sono da sempre chiesto come fanno coloro che per lavorare accettano proposte in territori molto lontani da quelli in cui vivono e percepiscono salari o stipendi incongrui per la sopravvivenza minima: e quell’ “incongrui” è riferito ad affitti onerosi e costo della vita esorbitanti difficilmente compatibili con la minima dignità.

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