DOPO L’8 MARZO è sempre “festa”! Alla ricerca di “Giovanna”!

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DOPO L’8 MARZO è sempre “festa”! Alla ricerca di “Giovanna”!

La memoria comincia a tradirmi, anche se…in parte! Ancora una volta – di tanto in tanto mi capita – mi chiedono di parlare del film “Giovanna” e allora ricordo quei giorni del 1991 durante i quali avevamo ricercato in modo rocambolesco la donna che aveva interpretato il personaggio principale che dà il titolo al corto di Gillo Pontecorvo. Ad un certo punto ci fermammo perché, leggendo i resoconti di un Convegno, organizzato a Firenze dall’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico (AAMOD) insieme a Laboratorio Immagine Donna nel 1985, avevamo letto che la protagonista del film era morta.
Nei mesi precedenti il nostro impegno era stato intensissimo, perché come accade nei “paesi” molti ci fornivano notizie che si rilvelavano del tutto infondate anche se un briciolo di verità emergeva.
Mi sembra di sentire le battute dei soggetti umani che Amadeus tutte le sere ci presenta su Rai 1 nella trasmissione “I soliti ignoti”: “No, non sono io….però….”. Infatti era una vera e propria “catena di S.Antonio” quella che ci ha coinvolto in quell’impresa “Alla ricerca di Giovanna”. La memoria dei nostri informatori non era più incisiva di quella mia di ora – vedi sopra – ed i punti di riferimento erano le “Feste de l’Unità” durante le quali in questa zona d’Italia con prevalenza di Sinistre – ed in particolar modo del PCI – vi era una parte dedicata alle “Miss” (sì, proprio così: io stentavo a crederci ma il femminismo non era ancora radicato tra le compagne). E le indicazioni andavano proprio in quella direzione: si sottintendeva che chi fosse stata “disponibile” per fare il Cinema dovesse essere una sorta di “starlette” come la Mangano, la Bosè, la Loren, la Lollo.
E quel “…però!” pronunciato dai “testimoni” di turno apriva altre porte, a loro volta anticipatrici di un nuovo “No, non sono io….però!”. La ricerca intanto si era bloccata alla notizia che “purtroppo non c’era più Giovanna”.
Come noi la si ritrovasse l’ho raccontato in altre occasioni, l’ho anche scritto su questo Blog negli scorsi anni.
Questa volta nel riprendere il filo dei ricordi avevo una piccola amnesia: tre anni fa andai a cercare Armida nella sua abitazione di via Fra’ Bartolomeo. Non era cambiata, eppure erano passati circa venticinque anni dall’intervista e Armida aveva già quasi ottanta anni.
Negli ultimi tempi, avevo sentito che intanto si era trasferita, era ritornata dalle sue parti, nel Mugello.
Avevo pensato però, per informare tutti dell’evento programmato per l’8 marzo, di far riferimento ad una delle sue ragazze (Armida ha avuto due figlie) che, sapevo, lavorava in Comune qui a Prato; ma…non ricordavo il cognome del marito di Giovanna (eh già sempre quel “nome” appiccicato a lei, Armida Gianassi) e non sapevo come fare. L’unico modo che avevo per risolvere questo inghippo era quello di recarmi in via Fra’ Bartolomeo. Sotto la pioggia che scioglieva il manto nevoso con un tempo da lupi ci sono andato: con un po’ di fatica ed un pizzichino di cialtroneria investigativa, sollevando un’etichetta ho riportato alla mia memoria il cognome, che “ovviamente” non posso svelarvi.

Joshua Madalon

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ricordando “Giovanna” di Gillo Pontecorvo – 8 marzo 2018 Biblioteca “Lazzerini” Prato ore 21.00

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ricordando “Giovanna” di Gillo Pontecorvo – 8 marzo 2018 Biblioteca “Lazzerini” Prato ore 21.00

Voglio oggi riproporre quel che mi disse Armida Gianassi, protagonista del film “Giovanna” di Gillo Pontecorvo, quando nel 1990 la intervistai per il documentario “Alla ricerca di Giovanna”

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inizia l’intervista ad
Armida Gianassi, interprete del personaggio di Giovanna

“Mi ricordo un pomeriggio in cui eravamo, come succedeva spesso, a ballare al circolo Rossi. Ad un tavolino c’erano dei signori nuovi. Li notammo perché siamo un po’ abituati a vedere sempre le stesse facce nei locali dove abitualmente andiamo. Quei signori guardavano, guardavano, osservando le coppie che ballavano. Dopo un po’ si alzarono e mi vennero a domandare cose un po’ strane – chi ero, cosa facevo – poi mi chiesero se mi andava di fare un provino per un film. Lì per lì mi venne da ridere – mah…, mi dissi, un film, io…- Li guardai un po’ e poi ricominciai a ballare. Loro sedettero di nuovo e continuarono a osservare, e di nuovo dopo poco si avvicinarono. Mi dissero: “guardi che noi facciamo sul serio, non è che scherziamo”. Intanto li avevo visti seduti con il sindaco Giovannini, con Bruno Fattori, con persone che conoscevo da tanto tempo e quindi cominciai a pensare che forse forse non scherzavano. E così, sia il sindaco che Fattori mi dissero: “ma guarda che fanno sul serio, vuoi fare un provino?” Io accettai. Ho fatto il provino e dopo qualche giorno mi dissero che tutto andava bene, che se volevo…e così abbiamo fatto il film.
I ricordi di allora sono tanti, vengono in mente così…un ricordo tira l’altro. Come quando si prende una pallina in mano e via via vengono in mente le filastrocche di quando eravamo bambini. Al tempo di Giovanna facevo la vita delle ragazze di allora: il lavoro, il sabato a ballare, le passeggiate a Firenze e così via; non c’era molto altro da fare a quei tempi. Alla sera andavo spesso al circolo a Grignano, mi ero iscritta alla Federazione Giovanile Comunista, ma non facevo molta attività, perché contemporaneamente avevo ricominciato ad andare a scuola, frequentavo i corsi serali alle scuole Calamai di via Pugliesi: cultura generale, storia, italiano, matematica, stenodattilografia. I corsi erano fatti abbastanza bene e molto interessanti , con vecchi professori che avevano insegnato al Cicognini, Mi ricordo del prof. Bresci, del prof.Balugani. Non era che un diploma di scuola serale, però a me serviva, perché volevo migliorare.la mia condizione. Lavoravo dalle otto del mattino fino alle cinque e mezza di pomeriggio, alle sei cominciavano i corsi, fino alle otto mezzo o anche alle nove. Insomma il tempo era quello che era e anche l’attività al circolo diminuì.
Sono nata nel Mugello. Mi ricordo quando venivo a lavorare a Prato, avevo soltanto 13 anni la prima volta. La mia mamma era terrorizzata all’idea di mandarmi in questa città di lavoro, e mi accompagnava la mattina all’autobus. L’autobus passava sulla strada provinciale tra S.Piero a Sieve e Barberino di Mugello e sul ponte a Bilancino faceva la fermata. La mamma si raccomandava all’autista e diceva “Piero – così si chiamava l’autista, era un uomo piuttosto grosso – mi raccomando questa bambina, dà un occhio!”, diceva proprio così: “dà un occhio!”. Così venivo a lavorare a Prato. Allora lavoravo alla tipografia Rindi, proprio dietro Piazza Duomo.
La mattina mi alzavo alle cinque, alle sei avevo l’autobus, dopo aver fatto un chilometro a piedi, sempre in corsa, sempre all’ultimo momento. E molte volte di lontano vedevo l’autobus fermo e sentivo che mi chiamavano (nella notte i suoni si sentono bene). Bastava che urlassi “eccomi!” e mi aspettavano. L’ho fatta per cinque anni quella vita. D’inverno non vedevo il sole durante la settimana, partivo alle sei la mattina e ritornavo a casa alle otto di sera. Solo la domenica vedevo il giorno.
Mi ricordo che quando arrivavo in piazza Duomo, la mattina, guardavo i ragazzini che andavano a scuola. Era il sogno della mia vita andare a scuola, però non potevo permettermelo: nella mia famiglia eravamo quattro sorelle e un ragazzino piccolino, c’era solo mio padre che lavorava, e non sempre. Sicché studiare era un sogno e basta. Io nella vita non ho mai invidiato null’altro, solamente i libri sotto il braccio di quei ragazzi. Era una cosa che mi faceva male dentro. Non so se era invidia… era dolore, proprio dolore. Ho sempre sognato di andare a scuola, anni dopo ho frequentato le scuole serali, ma era un’altra cosa.

“Poi abbiamo lasciato la campagna. Con tanto rimpianto. Per chi nasce in campagna è difficile vivere nella città. Firenze la conoscevo fin da bambina, perché mio padre qualche volta mi ci portava. Prato invece era una città anomala, si lavorava, si lavorava e basta. L’unico respiro era salire su un autobus e andare a Firenze, lì c’era un’altra atmosfera. Poi sono passati gli anni, mi sono abituata a Prato. Era la città che mi aveva accolto, che mi aveva dato da vivere, che mi aveva fatto crescere, in cui avevo mosso i primi passi nella vita, e sono sempre pieni di entusiasmo e di sogni. Quindi sono riconoscente a questa città, e qui sono ritornata a vivere dopo averla lasciata. Però è una città che mi ha fatto anche soffrire.
Io non ho vissuto l’esperienza della grande fabbrica. Quando mi proposero di fare Giovanna lavoravo alla ditta Suckert, in via S.Silvestro all’angolo di Piazza Mercatale. Ho lavorato lì perché conoscevo i proprietari, la famiglia Suckert. Li avevo conosciuti nel Mugello quando ancora stavo lassù. Era una piccola ditta che fabbricava corde per filature, con poche persone a lavorarci. In tutto, al completo, eravamo sette o otto. Era una ditta a dimensione familiare in cui si stava bene, se c’era qualche problema ci aiutavamo, se c’era qualche rivendicazione da fare al titolare parlavamo una per tutte e la cosa veniva definita.
Mi ricordo che quando ho avuto l’occasione di Giovanna non sapevo come fare, perché in ditta c’era molto lavoro. Chiesi il permesso al titolare, vennero sia Montaldo che Pontecorvo a chiedere se poteva concedermi i permessi per girare il film. Durante la lavorazione non ho mai smesso completamente di lavorare in fabbrica. C’erano giorni in cui dovevo essere tutto il giorno sul set, altri in cui ci stavo mezza giornata, e mezza giornata andavo a sbrigare il mio lavoro in fabbrica. I proprietari non mi crearono problemi, anzi furono quasi contenti di darmi i permessi.
Dopo il film Giovanna ho continuato a lavorare, ho fatto le stesse cose che facevo prima, anche se c’era qualcuno in più che mi salutava per strada o mi riconosceva. Poi mi hanno invitata a Roma, ho visto il film. Ho anche avuto qualche proposta, però l’ho rifiutata perché già a quel tempo avevo conosciuto mio marito, e quindi…. Insomma, avevo preso un’altra strada.
Ho continuato a lavorare nella stessa ditta, nell’attesa di farmi poi una famiglia. Poi mi sono sposata e ho lasciato Prato per andare a vivere a Firenze, e così ho fatto la vita di tante donne che si sposano, che lasciano la propria città, le amicizie, e ho ricominciato daccapo. Ho avuto i miei figli, la prima una bambina, e per guardare mia figlia ho rinunciato a lavorare. Così la mia vita è continuata come quella di tante e tante altre donne. Poi ho avuto un’altra figlia, ho cambiato ancora città, ho lasciato Firenze. Insomma un susseguirsi di cose, cose normali di una vita normale. Ho cercato di trasmettere alle mie figliole i sogni che io forse non avrei realizzato, ma il cammino continuava e sarebbe continuato con loro, e forse in parte i miei sogni gli avrei realizzato attraverso di loro. Ho sempre insegnato alle mie figlie che, pur essendo nate donne, non per questo non dovevano avere la loro vita. Dovevano cercare soprattutto di studiare. Io ho sempre avuto il pallino dello studio, forse perché, quando ero giovane, non ho potuto realizzare questo desiderio.
Confesso che soltanto quando vidi il film tutto montato ho capito l’importanza della cosa, più grande di quella che mi era sembrata durante la lavorazione; ho capito che valeva la pena averlo fatto, perché Giovanna rappresentava nel film il problema di tante donne, specialmente a Prato dove le fabbriche erano così tante: rappresentava la sofferenza della donna nella fabbrica, la fatica della donna che lavorava e che aveva il doppio lavoro, in fabbrica e alla sera in casa, in famiglia. Quando vidi il film mi sono detta che era proprio quello che pensavo, che intuivo ma non riuscivo ad esprimere con tanta chiarezza.”

– a cura di Giuseppe Maddaluno (Joshua Madalon)

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RICORDANDO “GIOVANNA” di GILLO PONTECORVO

RICORDANDO “GIOVANNA” di GILLO PONTECORVO

Parlerò di “Giovanna” ancora una volta, su richiesta di Rossella Foggi leader di “FareArte” questo prossimo 8 marzo. L’ho fatto molte volte negli ultimi anni dal 1982 ad oggi. Leggendo altri post del mio Blog inserendo il titolo “Giovanna” potrete ritrovare molte delle indicazioni utili a comprendere le motivazioni che portarono prima di tutto il team del film del 1956 a realizzarlo a Prato e poi il gruppo che era stato costruito negli anni Ottanta intorno al Cinema TERMINALE a recuperarne la memoria andando a scrivere una sceneggiatura intorno a quel film. Ne fui protagonista ed è uno dei motivi fondamentali che mi legarono e mi legano a questa città.
Qui di seguito, ad utile corollario di questo breve post allego il filmato di una mia intervista nell’occasione di un’iniziativa curata da Chiara Bettazzi per Tuscan Art Industry del 2015, preceduto dalla descrizione di quella parte degli eventi che si svolsero all’interno della Fabbrica ex Lucchesi (quella antistante la Piazza dei Macelli).
Subito dopo trovate copia della locandina che pubblicizza l’evento di questo 8 marzo 2018 preceduto dal testo che ne accompagna l’evento su Facebook (sarò in ottima compagnia).

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MERCOLEDI 15 LUGLIO 2015

ORE 19.00
TAI / anteprima alla mostra

ORE 21.00
DIARI URBANI / approfondimenti

Conversazione sul Documentario realizzato intorno al ritrovamento della pellicola del film “Giovanna” di Gillo Pontecorvo e alla realizzazione del restauro del film, con Stefania Rinaldi e Giuseppe Maddaluno.

ORE 22.00
PROIEZIONE FILM “GIOVANNA” DI GILLO PONTECORVO
Sede EX Fabbrica Lucchesi Piazza dei Macelli.

“Giovanna” film degli anni 50, quasi dimenticato, fu l’esordio del regista neorealista Gillo Pontecorvo. Girato a Prato con attori non professionisti narra, gli aspri conflitti sindacali delle lavoratrici tessili.
Il film, finanziato da un’organizzazione femminile comunista della Germania est , fu presentato a Venezia nel 1956 ma non fu mai distribuito e subito dimenticato. Racconta la lotta delle operaie per difendere il loro posto di lavoro, contro i padroni e anche contro i loro stessi mariti che disapprovano l’occupazione della fabbrica e il loro protagonismo.
La protagonista (Giovanna) fu Armida Gianassi, reclutata nella sala da ballo di una Casa del Popolo.
I temi trattati sembrano molto attuali: licenziamenti e lavoro precario.
Gli anni ’50, ’60 e ’70 non furono rose e fiori. I pratesi non furono tutti imprenditori.
I diritti non vennero regalati. Il film fu girato nel Lanificio Giulio Berti. La fabbrica era detta anche “La Romita” perché formatasi intorno all’antico “Molino della Romita” sulla gora omonima che infatti si vede nel film, ancora ricolma d’acqua. Oggi abbattuta e quindi scomparsa per far posto ad anonimi palazzi.

8 marzo 2018 ore 21,15 serata-evento Biblioteca Lazzerini, sala conferenze
“DONNE E LAVORO NELLA PRATO DEL 900”
Operaie, imprenditrici e manager, storie di emancipazione femminile nella città che cambia.
Proiezione di alcuni brani del corto “Giovanna” di Gillo Pontecorvo (1955), la storia di una
ribellione al femminile per la difesa del proprio posto di lavoro.
Protagoniste le operaie del lanificio Giulio Berti che, capeggiate dall’intrepida Giovanna, occupano la fabbrica e protestano contro i padroni che le vogliono licenziare e contro gli stessi mariti che
non abbracciano la loro causa.
Testimonianze e proiezioni di immagini su alcune personalità femminili Pratesi particolarmente distintesi nel campo sociale e lavorativo.
Interventi:
Paola Giugni: Emma Luconi Caciotti, perfetta ospite dell’Hotel Stella d’Italia.
Rita Frosini Faggi: Virginia Frosini, fondatrice e anima dell’Istituto Santa Rita, che accoglie minori abbandonati o in difficoltà.
Pierfrancesco Benucci: Rosalinda Lombardi, imprenditrice dell’industria tessile pratese.
Patrizia Bogani, prima allieva donna dell’Istituto tessile “Buzzi” insegnante ed artista.
Giuseppe Maddaluno: note sul corto “Giovanna”
Modera: Rossella Foggi.
INGRESSO LIBERO.
www.farearteprato.it
Info: segreteriafarearte@gmail.com

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TAI (TUSCAN ART INDUSTRY) 13-17 LUGLIO 2015 ex Fabrica LUCCHESI programma del 14 luglio e reloaded prima parte “PERCHE’ GIRAI UN DOCUMENTARIO SU “GIOVANNA” DI GILLO PONTECORVO

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ORE 16.00
DIARI URBANI / approfondimenti

Il progetto di visite a siti archeoindustriali della provincia pratese prevede due percorsi: uno a Prato ed uno nella Val di Bisenzio. Sono entrambi strutturati in una comunicazione frontale con proiezione di slides, per un inquadramento generale, seguite poi dalla visita ai luoghi. I singoli incontri avranno la durata di circa 3 ore.

SECONDO ITINERARIO:
ITINERARI DI ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE A CURA DI GIUSEPPE GUANCI.
Partenza ore 16.30 presso la Fabbrica Ex Lucchesi – Piazza dei Macelli, Prato.
L’espansione industriale, agli inizi del ‘900, a sud del centro di Prato. Questo percorso mette a confronto lo sviluppo industriale con l’avvio dell’espansione urbanistica della città lungo in direzione sud, analizzando gli episodi produttivi dei nuovi macelli, il Lanificio Bini, il Lanificio Lucchesi (sede della mostra), il Lanificio Berretti e il Lanifici La Romita (location del film “Giovanna”)

 

PERCHE’ GIRAI UN DOCUMENTARIO SU “GIOVANNA” DI GILLO PONTECORVO di Giuseppe Maddaluno

La via Carlo Marx fino a qualche anno fa era chiamata Via della Romita, e in quel luogo c’era una fabbrica. I proprietari della “Romita” erano i Vannini, una famiglia nota anche per i suoi ideali democratici. La fabbrica era molto grande e vi si svolgeva una lavorazione a ciclo completo: nel 1955 vi fu girato il film “Giovanna”. Esso fu il primo mediometraggio (circa cinquanta minuti) a soggetto di Gillo Pontecorvo, un episodio del lungometraggio La rosa dei venti prodotto da un’associazione della Rdt, la Defa (Federazione internazionale democratica delle donne), che aveva commissionato al grande documentarista Joris Ivens la realizzazione di un film sui problemi delle donne. Ivens mise insieme, per dirigere i diversi episodi, un gruppo di registi internazionali: Cavalcanti, Viany, Gerasimov, Bellon, Vuo Kuo Yn.
Per l’episodio italiano, attraverso il produttore Gaetano Giuliano De Negri, venne scelto Pontecorvo; e quest’ultimo chiese la collaborazione dell’amico Franco Solinas, poi partì per Prato, dove riteneva esistessero obiettivamente le condizioni ambientali ottimali per la realizzazione del suo progetto. La Camera del Lavoro fu uno dei punti di riferimento fissi per Pontecorvo e con lui collaborarono fra gli altri Anna Fondi, Pietro Vannucci, e l’allora sindaco della città Roberto Giovannini. La troupe che operò era di altissimo livello ed anche se composta da pochi elementi, erano tutti molto affiatati fra loro; accanto al regista, oltre ai personaggi già menzionati, si trovarono Franco Giraldi, Giuliano Montaldo, Mario Caiano, Enzo Alfonsi, Erico Menczer, Elena Mannini, Enzo Ciruzzi. Tutti si adoperarono per cercare fra la gente comune le protagoniste e Giovanna sarà una vera giovane operaia, scoperta per caso, in puro stile neorealistico, in un pomeriggio danzante al Circolo Rossi, dal regista e dal produttore, ai quali la presentò Roberto Giovannini.
Il film Giovanna è la storia di una giovane operaia tessile e della sua maturazione, della sua presa di coscienza totale al contatto con le prime esperienze di lotta e di emancipazione; si tratta di un film ingiustamente dimenticato ed escluso immediatamente dalla normale circolazione, per motivi politici ed ideologici legati anche al periodo storico: sono, quelli, anni duri di ‘guerra fredda’, gli anni di Scelba, del centrismo e della ‘legge-truffa’. Ma la storia di Giovanna è stata stranamente dimenticata anche da gran parte della sinistra democratica, dai giovani movimenti delle donne: quella figura di donna ‘integrale’ ancora oggi può essere un punto di riferimento importante per le attuali e future generazioni e può fornire storicamente un interessante momento di partenza ed una chiave di lettura per ricostruire la storia delle donne dagli anni cinquanta ai giorni nostri.

Quando, nel 1982, partendo da Pozzuoli e passando per Feltre, arrivai a Prato, mi portavo dietro il retaggio di un’esperienza decennale fra teatro e cinema sia dal punto di vista ideativo che organizzativo; avevo contribuito a realizzare alcune importanti iniziative ed avevo messo in piedi un ‘collettivo teatrale’ a Pozzuoli ed un’associazione di cultura cinematografica a Feltre, ‘La Grande Bouffe’; ero entrato in modo quasi travolgente nel direttivo nazionale dell’UCCA, l’ Unione dei Circoli Cinematografici dell’ARCI. La prima tappa, messo piede a Prato, fu la Federazione del PCI in via Frascati; subito dopo passai all’ARCI in via Pomeria ed al Sindacato Scuola di Piazza Mercatale: ricordo anche che mi incontrai con Andrea Coveri che già si occupava, era il luglio del 1982, della programmazione cinematografica al Castello dell’Imperatore. Prato aveva da poco festeggiato il suo campione mondiale ‘Pablito’ Paolo Rossi. Quella sera, un 14 luglio, era in programmazione La donna del tenente francese ed un acquazzone concluse la proiezione con un fuggi fuggi generale.

fine 1a parte

 

 

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TAI Tuscan Art Industry 13-17 luglio 2015 e “GIOVANNA” di Gillo Pontecorvo

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DAL 13 AL 17 LUGLIO A PRATO presso ex Fabbrica Lucchesi di via Carradori a Prato si svolgeranno molteplici iniziative.
Queste sono quelle di oggi

13 luglio

Ore: 16.00
DIARI URBANI / approfondimenti

Il progetto di visite a siti archeoindustriali della provincia pratese prevede due percorsi: uno a Prato ed uno nella Val di Bisenzio. Sono entrambi strutturati in una comunicazione frontale con proiezione di slides, per un inquadramento generale, seguite poi dalla visita ai luoghi. I singoli incontri avranno la durata di circa 3 ore.

PRIMO ITINERARIO:
ITINERARI DI ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE A CURA DI GIUSEPPE GUANCI.
In collaborazione con L’Ordine degli Architetti di Prato e di Firenze e Associaz ASVAIP.

Partenza ore 16.00 presso circolo la Spola D’oro alla Briglia – Località La Briglia, villaggio industriale, Val di Bisenzio, Prato.
Il sito della Briglia in Val di Bisenzio, come unico episodio di villaggio industriale della provincia, strutturatosi attraverso la stratificazione, a partire dal Settecento, nell’arco di tre secoli, di altrettanti importanti episodi produttivi. Anche qui si assiste allo sviluppo del tessuto urbanistico determinato da un episodio produttivo, in questo caso esteso all’intero paese.
Conferenza dalle ore 16.00 alle ore 17.00 presso il Circolo la Briglia, Val di Bisenzio. Itinerario all’interno del villaggio industriale la Briglia dalle ore 17:00 alle ore 19:00 circa. Il luogo è raggiungibile con mezzo proprio.

Aperto a tutti i cittadini e accreditamento per gli Architetti
Costo per conferenza con itinerario di archeologia industriale guidato – durata tre ore circa – 10 euro a persona
Costo per itinerario artistico – durata un’ora circa – 5 euro a persona
Prenotazione Obbligatoria – Stefania – Tel: 3293233936 – mail: stefania_rinaldi@yahoo.it
Conferenza e itinerario di archeologia industriale soggetti ad ACCREDITAMENTO per Architetti prenotando presso la piattaforma dedicata im@teria. In corso di accreditamento. Informazioni architetti: Segreteria dell’Ordine degli Architetti di Prato – Tel: 0574 597450

ORE 19.00
TAI / work in progress
LABORATORIO CONTEMPORANEO DI CREAZIONE DI UNA MOSTRA, PRESSO LA FABBRICA EX LUCCHESI.
aperta al pubblico

Dall’8 febbraio al 18 marzo di quest’anno ho pubblicato su questo Blog almeno una ventina di post dedicati al film “Giovanna” di Gillo Pontecorvo.

L’ho fatto in quanto alcune amiche ed alcuni amici – in modo preciso le Donne Comuniste – mi chiedevano di parlarne ed avevano organizzato un incontro a Figline di Prato – al Circolo 29 martiri – ed a Napoli dove di lì a poco si sarebbe svolta un’Assemblea Nazionale delle Donne comuniste. Parlare del film “Giovanna” e del suo recupero da me idealmente ispirato tra la fine degli anni Ottanta ed i primi anni Novanta significa per me ricordare uno dei momenti più fertili della mia presenza a Prato ed è dunque per me impossibile sottrarmi a questa gioia. Poi è accaduto che di “Giovanna” abbiano voluto parlare anche a Pozzuoli ed allora ho fatto coincidere le date partenopee e puteolane per ottimizzare i miei viaggi.
Non avrei mai pensato, però, che – nello stesso anno (questo 2015) – altri a me vicini dal punto di vista logistico – oltre che culturale – avrebbero stimolato una mia ulteriore riflessione su quel film e sugli ambienti – quelli più ampi come la città di Prato quelli più ristretti come la Fabbrica “La Romita” – che accolsero i giovani cineasti e le maestranze che si apprestavano a girare questo splendido film, poco noto alle giovani generazioni sia quelle di ora che quelle degli anni in cui me ne occupai in modo diretto. Allora 1989-91 anche io non conoscevo il film nè tantomeno la sua storia. Ma la mia indole era identica a quella di ora: la mia “ignoranza” mi permetteva di sapere, di conoscere, di approfondire, di ampliare le mie sfere di interesse e le amicizie all’interno di un desiderio bulimico intenso che non mi ha mai lasciato solo. Ed infatti mi tuffai nell’impresa di ricercare e ritrovare la pellicola (alcuni compagni che avevano vissuto quell’esperienza a metà anni Cinquanta: Pietrino Vannucci, Anna Fondi, Gracco Giustini, Roberto Giovannini mi chiedevano di poterlo rivedere, loro ricordavano di una proiezione al Cinema “Controluce” presso la Chiesa S.Maria del Soccorso alla quale insieme a Pontecorvo aveva partecipato il giovane ed impertinente non ancora molto noto Roberto Benigni, mettendo in mostra le sue doti di “critico cinematografico”) ed io che avevo in quegli ultimi anni conosciuto alcuni punti di riferimento “romani” seppi orientarmi e senza però promettere nulla mi lanciai alla ricerca del film. La pellicola (si trattava de “La rose dei venti” coordinata da Joris Ivens) era custodita da Gastone Predieri nella Cineteca Italia-URSS collegata al Partito Comunista. La richiesi come “curatore” della programmazione del Cinema “Terminale” che dal 1984 era operativo a Prato e ce la spedirono abbastanza velocemente. Quando la montammo ci accorgemmo che non era in buone condizioni e la preoccupazione era molto forte perché qualche pezzetto si sbriciolava; infatti portammo al termine la proiezione non senza ansia e la rispedimmo alla Cineteca con una lettera di accompagnamento nella quale esprimevamo il desiderio che si procedesse ad un restauro della preziosa reliquia.
Da quel momento pensammo di andare comunque oltre; tra gli spettatori di quell’evento al “Terminale” forte fu la curiosità di sapere dove fosse andata “Giovanna”: in fondo si andavano chiedendo quali percorsi avesse fatto. Di certo, non aveva proseguito la “strada del Cinema” e qualcuno ventilava ipotesi nefaste, a qualche altro sembrava di conoscere la protagonista e ci indicava come contattarla. A me è sempre piaciuta l’analisi storica attraverso quella sociologica ed antropologica e quindi tutta quella “loro” curiosità mi stimolava non poco. Cominciai a scrivere (lettera 22 – non esistevano i computer che facilitano i contatti) a contattare telefonicamente e direttamente organizzazioni come la CGIL, cooperative femminili come “La Melagrana”, molte compagne e compagni dell’ARCI e del PCI. Attraverso i canali dell’UCCA (Unione Circoli Cinematografici dell’ARCI) contattai i grandi protagonisti di quel film (Pontecorvo, Montaldo, Giraldi, De Negri, Menczer). Intanto ci muovevamo “alla ricerca di “Giovanna”” cioè della protagonista che aveva un volto ed un nome ma nessuno più la conosceva. Tutta questa attività consentì ad alcuni di noi di conoscere meglio il luogo dove vivevamo e la sua storia, in modo particolare quella degli anni Cinquanta.

MEDIATECA DELLA MEMORIA – PERCHE’ GIRAI UN DOCUMENTARIO SUL FILM “GIOVANNA” DI GILLO PONTECORVO – extra – INCONTRO CON LEDA ANTONINI parte 2

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MEDIATECA DELLA MEMORIA – PERCHE’ GIRAI UN DOCUMENTARIO SUL FILM “GIOVANNA” DI GILLO PONTECORVO – extra –
INCONTRO CON LEDA ANTONINI parte 2

…Quando dicevano “passa il tale, bisogna andare a battere le mani” io gli dicevo ad Ottorino, a Pietro, a Mario, a tutti “io non ci vo, perché sono uguale al mi’ babbo” gli dicevo, e un giorno volevano che si andasse sulla strada a Via Roma, dove passava un pezzo grosso; io, allora, scappai, buttandomi giù dal cancello; mi cercarono in fabbrica (“o dov’è la socera?” mi chiamavano così proprio per il carattere) e poi quando mi trovarono mi chiesero “perché non vieni?” ed io risposi “O Ottorino, Mario, Diego ricordatevi chi sono io, uguale a mi’ babbo, io non cambio giubba, se voi volete andare, mandate chi vi pare, me no.” E tornavo a casa: questo è l’insegnamento che il mi’ babbo ha dato a cinque figlioli; non ha avuto bisogno d’andare a chiedere mille lire a nessuno, ci ha insegnato l’educazione, benché l’era analfabeta; però lui non voleva sapere del “nero”, però gli hanno voluto sempre bene e un giorno, non mi ricordo bene, ma il mi’ babbo si lamentò con Ottorino “dove l’ho messa la mi’ figliola, a lavorare col Fascio o con Luconi Gino?” sempre però io non volevo andare alle solite manifestazioni anche con i vestiti da “piccole italiane”. Mi’ babbo diceva “Le bambine le vesto da me, riportatevi il vestito indietro” E a noi quelli del Fascio chiedevano “Perché vu siete tornate indietro?” “Perché mi’ babbo ci veste da sé, non ha bisogno”. Sapeste quanto ho sofferto in quegli anni. Io troppe cose mi ricordo di quel tempo del Fascio. Ho avuto la mi’ mamma quasi in fin di vita. La mi’ mamma la fu aggredita da una donna che si chiamava Liberata. La mi’ mamma la gli disse “Guarda, devo fare un bambino (mio fratello che è del ’30, mia mamma aveva 38 anni) rendimi i soldi che t’ho prestato” Io quella scena me la ricordo sempre: vedere la mi’ mamma presa per i capelli e picchiata; la portarono all’ospedale, così fu operata e il dottore disse “io la ricucio per dovere” e la ricucì e dopo le riavviò a battere il polso (era bell’e morta!). Questa qui (la Liberata) la fecero andare via per due anni che, se il mi’ babbo la pigliava, e se moriva la mi’ mamma, l’avrebbe ammazzata. Io ho sempre ricordato questa Liberata ed ogni volta che la incontravo “Liberata, gobbaccia, la mi’ mamma la moriva per colpa tua, la mi’ mamma la moriva per colpa tua!”.
Sichhè noi si è sempre sofferto, e in fabbrica io mi sono sempre fatta intendere, poi una volta mi sono licenziata per le angherie di altre persone che lavoravano con me; poi Ottorino venne a casa “Rimanda la tua figliola, Callisto, la ripiglio, ho mandato via quelli lì”. Mi voleva riprendere in fabbrica. Io invece andai dal Dini Donatello a lavorare.
Fine intervista a Leda Antonini –

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MEDIATECA DELLA MEMORIA – PERCHE’ GIRAI UN DOCUMENTARIO SUL FILM “GIOVANNA” DI GILLO PONTECORVO – extra – INCONTRO CON LEDA ANTONINI

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MEDIATECA DELLA MEMORIA – PERCHE’ GIRAI UN DOCUMENTARIO SUL FILM “GIOVANNA” DI GILLO PONTECORVO – extra –
INCONTRO CON LEDA ANTONINI

Incontro Leda Antonini, come d’accordo, in Camera del Lavoro; è il gennaio 1992. Leda è una piccola signora di circa settanta anni dai capelli naturalmente bianchi e dagli occhi corvini molto attenti e vivaci. Nel 1955 anche lei fece parte del cast del film “Giovanna”; anche lei aveva, a quel tempo già vissuto tutta un’esperienza di operaia tessile ed aveva avuto nel periodo fascista innumerevoli difficoltà. Ho riportato le parole della signora Antonini, così come ella le ha espresse in Camera del Lavoro nel corso dell’intervista. Il tono è dunque colloquiale e la forma risente inevitabilmente del “parlato” con l’uso costante della sintassi dialettale toscana (quella pratese, si intende). Sul film “Giovanna” Leda Antonini, pur avendo parlato a lungo, non ha aggiunto particolari, diverse e personali indicazioni: il suo ruolo fu quello di una “comparsa” nelle scene collettive esterne alla fabbrica. Importante è invece la sua storia personale che si inserisce all’interno di quel “recupero della memoria” che è uno dei nostri obiettivi principali nel lavoro che svolgiamo dal punto di vista storico e culturale (sociologico, antropologico).
Maddaluno (di poi M.)
Siamo con Leda Antonini, classe 1922, una delle testimoni degli anni in cui fu girato il film “Giovanna”. Cominciamo, anche per questo, a ricordare gli anni in cui ella si avviò a lavorare in fabbrica.
Leda (di poi L.)
Sì, sono entrata come operaia nel 1935 da Luconi. Ero ancora una bambina; sono sviluppata in fabbrica, sicché avevo le codine ed avevo bisogno di lavorare; il babbo ci portava a casa il pezzetto del fuso con il quale egli lavorava e, quasi in un gioco, ci insegnava a fare il nodo. Quando io sono entrata in fabbrica sapevo di già fare il nodo, e allora entrai dietro l’orditoio: da dopo dietro l’orditoio passai all’orditoio; poi, quando c’era bisogno, per non perder giornat, ala macchinetta, alla rifinizione, persino alla lupa, ad allargare la lana sul piazzale, pur di non perdere giornate; io sapevo fare proprio tutto ed ero benvoluta soprattutto dal vecchio Luconi, da Gino, che voleva esser chiamato signor Gino e lui mi chiamava “socera” perché diceva “i figli dei gatti pigliano i topi”, perché il mi’ babbo che aveva lavorato il telaio a mano, allora al Fascio non mi volevano prendere, volevano prendere un’altra e metterla al mio posto; allora il mi’ babbo gli disse…
M.
Perché dici “il Fascio”?
L.
Al tempo del Fascio, mio padre era un perseguitato politico; vollero prendere una che era la fidanzata di questo fascista; allora il sor Gino telefonò al Fascio e gli disse: “io ho bisogno di pigliare la figliola dell’Antonini Callisto, perché lui è stato un uomo onesto: ho fatto la busta per pagare e lui l’ha ricevuta, ed eran contati doppi; siccome è un uomo onesto, mi ha riportato tutti i soldi e, gli disse persino il Gino, grazie Antonini, io di te me ne ricorderò sempre, un giorno che tu avrai bisogno di me per una figliola o un figliolo a lavorare vieni pure da me”. Allora il Fascio e al signor Gino gli toccò prendere me e la fidanzata di quel fascista; allora disse “io non voglio rinunciare alla figliola di Callisto perché” disse “sono gente che merita e a quella maniera a me mi hanno sempre voluta bene; però io mi sono sempre fatta intendere, forse il carattere forte che aveva il mi’ babbo io l’ho preso da lui; mi sono sempre fatta intendere.

PERCHE’ GIRAI UN DOCUMENTARIO SUL FILM “GIOVANNA” DI GILLO PONTECORVO parla Franco Giraldi – penultima parte

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PERCHE’ GIRAI UN DOCUMENTARIO SUL FILM “GIOVANNA” DI GILLO PONTECORVO
parla Franco Giraldi

Franco Giraldi, regista

Sono stato aiuto regista di Gillo Pontecorvo quando nel 1955 venne realizzato a Prato il film Giovanna. Di quell’esperienza pratese mi è rimasta l’immagine, prima di tutto, di una cittadina molto diversa dalla città che è oggi, una cittadina più raccolta in cui erano presenti molti elementi architettonici ottocenteschi. Parlo soprattutto dell’ambiente in cui lavoravamo, che era la fabbrica di una famiglia che si chiamava Vannini, i cui membri erano gentilissimi con noi e ci favorirono in ogni modo. Era una vecchia fabbrica di quelle ‘mitiche’, che si vedono in certe illustrazioni del mondo del lavoro dell’800, con le finestre un po’ carcerarie, i muri grigi, cupi, il cortile che ricordo così desolato, le macchine da tessitura che facevano un frastuono terribile. La fabbrica era circondata da una roggia , da cui si entrava sotto una specie di portico dove c’era l’abitazione dei proprietari. Anche l’albergo Stella d’Italia, in cui io soggiornavo, in una stanzetta, mi ricordo che aveva un sapore ancora antico, molto diverso da oggi.
Pensando a Giovanna mi viene naturale pensare all’epoca in cui fu girato: eravamo nell’ottobre del 1955, non c’era stato ancora a Mosca il ventesimo congresso, Stalin era morto da meno di due anni, eravamo in un clima abbastanza chiuso, c’era la guerra fredda, questo film era fuori dei processi commerciali, in quanto era realizzato per l’organizzazione internazionale della donna. C’era insomma qualcosa di allegramente clandestino in quello che facevamo. Per quanto mi riguarda, avevo fatto il critico cinematografico, ero allora il vice di Tommaso Chiaretti all’Unità di Roma, e collaboravo assieme ad altri con l’intento di organizzare un’associazione di amici del cinema, un associazione di appassionati di cinema, che nei nostri intenti doveva creare il presupposto per avvicinare il pubblico al cinema migliore. Io vivevo in quegli anni a casa di Gillo Pontecorvo e c’era già in me l’idea di fare il cinema. Ma quasi me la nascondevo, per pudore, per modestia un po’ autoimposta.
Quando Gillo ha cominciato a preparare il film io ho assistito alla preparazione e gli ho dato una mano. Mi ricordo che andavamo in giro per le borgate a Roma a cercare le donne con le facce giuste per interpretare il film. Devo dire che già allora Gillo aveva una specie di culto dell’autenticità del volto umano. A lui più che un attore interessava una faccia che esprimesse una luce, un segreto. Questa è una cosa che ho subito imparato da lui nelle ricerche nei mercatini rionali e per strada. Il culto della magia che c’è nel volto umano, una magia che consiste nell’autenticità.
Quindi dopo una lunghissima preparazione, che è stata anche per me una grande scuola, siamo venuti a Prato. Io ero emozionatissimo perché era la prima volta che prendevo parte alla lavorazione di un film; avevo le titubanze di uno che comincia. Eravamo quasi tutti giovani. Pontecorvo era alla prima esperienza come regista, ed anche l’operatore Erico Menczer. Giuliano Montaldo faceva l’organizzatore, forse era il più pratico di noi, perché aveva fatto l’attore in Achtung banditi e Cronache di poveri amanti. Ricordo Mario Caiano ed Elena Mannini, giovanissima, alla sua prima esperienza come costumista. Vi era un grande calore ed entusiasmo e i miei ricordi sono vivissimi, anche se sono passati tanti anni. Ricordo il clima molto simpatico che si stabilì tra le donne che partecipavano al lavoro. Era la storia della fabbrica occupata, che coinvolgeva pertanto la loro esperienza personale. Ricordo la meticolosità con cui si giravano i primi piani delle donne, e l’attenzione di Pontecorvo nel rapire una sorpresa, un lampo in quei volti. E’ per me un ricordo straordinario, perché è stata l’esperienza forse più vicina ad un certo tipo di cinema che allora come oggi sogno di fare, cioè un cinema assolutamente autentico, senza compromessi, senza diaframmi.

“GIOVANNA” DI GILLO PONTECORVO extra – un tentativo di metanarrazione ad uso personale etc. quarta parte

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“GIOVANNA” DI GILLO PONTECORVO extra – un tentativo di metanarrazione ad uso personale etc. quarta parte

Perla sottolinea gli aspetti organizzativi e detta l’agenda dei prossimi appuntamenti, ma non dimentica le riflessioni politiche sulla condizione della donna che, dopo un periodo di avanzamento, sta vivendo un poderoso regresso riportando le lancette della storia indietro di parecchi anni: i dati della crisi occupazionale mettono in rilievo l’aumento vertiginoso della disoccupazione femminile: la “donna” ritorna ad essere considerata da una società maschilista, che a livello politico si nasconde dietro i parametri delle “quote”, quella che era ritenuta “sposa e madre esemplare o angelo del focolare” dalla retorica del Ventennio famigerato della prima parte del secolo scorso. Dopo la Perla interviene la Rosanna che accentra la sua attenzione sulle conseguenze del cosiddetto “jobs act” (n.d.a. perché utilizzare la lingua inglese per contrassegnare una “riforma del lavoro”? forse vi è la necessità di ammorbidire l’impatto con una società ancora arretrata come la nostra e lanciare messaggi “positivi” di soggezione ai diktat europei) che sferra un attacco poderoso ai temi di equità e legalità che vengono messi in discussione all’interno di un apparato legislativo bizantino che finisce per annullare decenni di battaglie politiche nonché sindacali ricreando un rapporto ottocentesco tra padrone e lavoratore. E la Rosanna rifacendosi al film “Giovanna” rileva appunto come esso sia significativo ancor più oggi rispetto a venti anni prima per comprendere il nostro tempo e per capire cosa si stia correndo il rischio di perdere. Intervengono poi due compagne del Sindacato, Manuela Marigolli e Manuela Parigi soffermando la loro analisi sulla destrutturazione del welfare e sui tagli alla Sanità ed in genere a tutto il comparto sociale. Anche per loro il film “Giovanna” risulta essere elemento di riflessione sulla realtà attuale. Esso rappresenta uno “sguardo all’indietro” e serve per poter meglio capire dove e come abbiamo vissuto, dove e come stiamo vivendo e dove e come vogliamo che vivano i nostri figli ed i nostri nipoti. Prima di concludere parla Paola Baglini, Assessora di Cascina ricostruendo, attraverso la sua storia di donna che dalla società civile, associativa, è stata poi chiamata ad assolvere un ruolo istituzionale, un possibile percorso dell’emancipazione femminile nella nostra società, rilevando tuttavia come, dopo un ventennio berlusconiano nel quale la società italiana è stata in grado di fronteggiare – non senza difficoltà – gli attacchi della Destra, si stia andando verso una deriva di tipo plebiscitario pericolosissima senza riuscire a frapporre una visione alternativa capace di bloccarla.
Si va alle conclusioni della giornata: la Perla rivolge ringraziamenti e ricorda la figura di Anna Fondi con una frase che ella pronunciò poco tempo prima di lasciarci: “Dal lavoro si va in pensione, dalla lotta mai!”
Torniamo a casa; la giornata è stata caratterizzata da un clima positivo: non c’è rabbia, ma è forte la consapevolezza che occorra tenere alto il livello di attenzione nei confronti di un Governo che, al di là dell’aspetto bonario di alcuni suoi esponenti – in primis Renzi – va realizzando un modello di società non molto dissimile da quello progettato dalla Destra berlusconiana, che si ispirava chiaramente a parti considerevoli del Programma della P2 di Licio Gelli. I TEMPI CAMBIANO! Non c’è dubbio: ma lo fanno in peggio!
Ci diamo appuntamento a Napoli, il 14 marzo. Credo di poterci essere.

Anna

PERCHE’ GIRAI UN FILM SU “GIOVANNA” DI GILLO PONTECORVO – SEDICESIMA PARTE Testimonianza di Giuliano Montaldo

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PERCHE’ GIRAI UN FILM SU “GIOVANNA” DI GILLO PONTECORVO – SEDICESIMA PARTE

Testimonianza di Giuliano Montaldo

Una mattina sono tornato a vedere dov’era quella fabbrica in cui Pontecorvo, l’operatore Menczer, io e tutti gli amici di Prato che collaborarono alla realizzazione del film avevamo ambientato Giovanna. “Era” la fabbrica, appunto. E’ rimasta solo un’indicazione: c’è scritto “via della Romita”. E’ tutto lì. Adesso quella stradina che sfiorava la gora per arrivare a questa fabbrica che era un po’ isolata, quasi dentro la campagna, non c’è. Ma si può capire. Ci sono le necessità di una città che si espande, che ha bisogno di nuove strutture. E quindi la vecchia fabbrica di Giovanna è scomparsa.
Il ricordo di quel film, di quel periodo, è un ricordo molto tenero e molto forte. Eravamo tutti alle prime armi, Pontecorvo, io che facevo il suo aiuto, ed ero alle prime esperienze nel cinema, Franco Giraldi, che faceva l’aiuto dell’aiuto e quindi il mio aiuto, De Negri, poi produttore dei film dei Taviani. Dopo l’esperienza della cooperativa ‘Spettatori Produttori Cinematografici’ che aveva realizzato Achtung banditi e Cronache di poveri amanti, ci eravamo trovati a Roma ed era nata l’occasione di raccontare la storia di queste lavoratrici in lotta in una fabbrica occupata.
Erano anni di grandi tensioni sociali, di grandi scontri. Questo avvenimento peraltro era ispirato da tanti fatti di cronaca. Si leggeva di molte fabbriche costrette ad una dura e feroce resistenza, e proprio soprattutto le fabbriche dove lavoravano le donne. Occupare la fabbrica e continuare a produrre con un’autorganizzazione spontanea: questa è un fatto straordinaria che noi volevamo sottolineare proprio con Giovanna. Era un episodio tratto dalla realtà, ambientato in una fabbrica tessile (ecco Prato protagonista, la città campione sotto questo profilo). Bisognava trovare una fabbrica a ciclo parzialmente completo, e soprattutto la fabbrica giusta anche da un punto di vista scenografico, che potesse dare allo spettatore il senso del mondo del lavoro, il senso anche di un certo tipo di oppressione, perché le condizioni di lavoro di queste vecchie fabbriche non erano certamente ideali.
Quando la trovammo, la nostra preoccupazione era quella di capire se il proprietario della fabbrica potesse accettare l’idea che all’interno della sua fabbrica si svolgesse un film che tutto sommato non è che parlasse così bene del proprietario della fabbrica. Bisognava quindi cercare di convincerlo. Mi ricordo che andai con molte titubanze da questo signore, che era un ‘bel tipo’, e poi lo vidi anche al lavoro; peraltro era un grosso esperto, lo guardavo da lontano scegliere, e capire, quali erano le componenti di un pezzo di stoffa. Mi ricordo che la prendeva e diceva: “questa – guardandola anche un po’ da lontano – è un po’ di lana, ma non è al cento per cento, in quel mucchio! Quest’altra, invece, è al cinquanta per cento, in quell’altro mucchio!”. Io era sbalordito, perché non la toccava neanche, quella materia, riusciva quasi a sentirla, quasi che ne avesse l’olfatto. Era qualcosa di magico. Ebbene, raccontai il film a questo signore, c’erano anche le figlie, e lui mi disse: “ma si, sono storie vere. E’ accaduto, potrebbe accadere anche qua, girate il film”, e con molta generosità ci fece ambientare Giovanna nella sua fabbrica.
Si poteva girare il film, anche considerando che avevamo pochi soldi per realizzarlo, solo grazie alla partecipazione della gente. In tutte le scene recitavano le vere e autentiche lavoratrici, ed era straordinario come bastasse a Pontecorvo dare poche istruzioni, addirittura dire che cos’era l’idea della scena, per vedere con quanta verità, con quanta partecipazione, con quanta grinta e con quanta credibilità, queste nostre amiche (perché questo sono diventate nel corso dei giorni di lavorazione), diventavano progressivamente delle vere protagoniste.
Perché Giovanna? In quegli anni il cinema italiano, dopo il grande momento del neorealismo, era ritornato verso una strada sempre più commerciale, non dico ai telefoni bianchi, ma comunque ad un rosa pallido. E’ il momento di ‘pane, amore e fantasia’, dei ‘poveri ma belli’. Resistono alcune forze, nel cinema, che vogliono invece continuare a far sì che questo meraviglioso strumento di comunicazione, allora la televisione non imperava come oggi, continuasse a dare segnali di grande vitalità e di grande attenzione ai problemi sociali, e la donna era uno dei temi più affascinanti. Pochi anni dopo, un decennio dopo, assisteremo allo sviluppo di un movimento femminile sempre più forte, che rivendica un ruolo nuovo nel lavoro e nella società. Leggendo con attenzione il film si potrebbe dire che è un piccolo anticipo a quello che poi verrà, con grande forza, ed esploderà con vigore non solo in Italia ma in tutto il mondo.