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2 luglio – PERCHE’ LA DESTRA STA VINCENDO NEL PAESE (o perlomeno così appare) – post straordinario con un “recupero” di uno del 25.01.2021

PERCHE’ LA DESTRA VINCE NEL PAESE

Il 25 gennaio di quest’anno (2021) ho pubblicato questo post sul mio Blog.

Due giorni fa il Governo Draghi ha interrotto provvisoriamente il processo del “cashback” di Stato. Sono distratto o solo la Destra ne ha gioito?

Come si può evincere dalle mie argomentazioni non è certamente il riconoscimento di una quota a favore dei consumatori che paghino con sistema elettronico non telematico ad essere considerato “immorale”. Anzi; lo avrei mantenuto, lo avrei ampliato senza limiti temporali né di budget (una volta raggiunta la cifra di 150 euro ci si poteva anche fermare) semmai abbassando la quota (non il 10 ma il 5 ed anche meno per cento) e lo avrei protratto ancora più a lungo. Non viene a nessuno il dubbio che il “problema” reale siano i maxi premi? A gennaio esprimevo il mio profondo dissenso da “uomo di Sinistra” verso un progetto “immorale” tendente a premiare i più ricchi.

Fatte le debite distinzioni macroscopiche, in questo frangente (ma purtroppo non solo “in questo”) la Destra appare essere sempre più a difesa dei più deboli, una parte sempre più considerevole di elettorato potenziale che ha bisogno non solo di essere difeso nella condivisione dei valori ma con scelte coraggiose di cui tuttavia da Sinistra (ferma ancora a difendere “i princìpi”) non si intravede nemmeno l’ombra.

CASHBACK un’opportunità perduta perchè in gran parte “diseducativa”

Una delle scelte dell’attuale Governo che meriterebbe una certa attenzione è quella del CASHBACK.

In linea di massima – viene detto – è un tentativo di limitare l’uso del denaro contante che molto spesso è collegato a prestazioni “a nero”. In realtà la maggior parte degli scontrini afferiscono, soprattutto in questo momento di profonde incertezze per il futuro, a spese necessarie di mero consumo o poco più (supermercati, farmacie, vestiario, elettrodomestici, generi vari): tutti collegabili ad operazioni che non avrebbero potuto essere “a nero”. Parlo del CASHBACK di Natale per il quale era molto facile raggiungere il limite di 10 transazioni (dopo tutto, come si sa, contribuivano al computo anche gli scontrini di pochi centesimi) ed ottenere il 10% di rimborso. Quello di Natale è stata una “prova” per far poi abituare un numero sempre più alto di persone all’utilizzo del Bancomat. E in un certo senso quella proposta poteva essere tollerabile.

Poi questa operazione ha avuto un prosieguo. E un regolamento diverso intorno al quale nutro delle forti perplessità.

Per il semestre gennaio – giugno di questo anno non c’è solo il reintegro del 10% fino ad un massimo di 150 euro ma un super premio (!) di 1500 euro per i primi (!) 100.000 contribuenti conteggiati sul totale delle spese delle quali saranno in grado di produrre scontrini.

La trovo una scelta profondamente sbagliata e diseducativa. Ad essere premiati alla fine dei conti sarebbero coloro che conducono un tenore di vita medio-alto, mentre tutti quegli altri dal 100001mo in poi si dovrebbero accontentare del minimo sindacale. In pratica si tratta di una gara tra “non pari”. Iniqua.

E’ stata una scelta infelice; nella prima parte di essa significativa ed equilibrata: non c’erano premi “super” e si sarebbe in ogni caso incentivato l’uso delle “carte” al posto dei contanti. Nella “seconda” invece si è tentato di stimolare ulteriormente la spesa ma si è ridotta drasticamente la possibilità di poter accedere a quel “bonus” di 1500 euro, a fronte di un ridottissimo plafond di 150 euro per sei mesi (mentre, va ricordato, i primi 150 o comunque 10% delle spese riconosciute si riferivano a tre sole settimane).

29 giugno – reloaded Era il 29 giugno di un anno fa – Facciamo finta che “tutto va ben – tutto va ben!”

Era il 29 giugno di un anno fa

Facciamo finta che “tutto va ben – tutto va ben!”

C’erano una volta dei Sindaci che, mentre ancora la pandemia era in corso (si era a fine aprile) volevano riaprire le scuole; lo dicevano con molta energia, come per convincere coloro che li tiravano per la giacchetta: intanto facevano lunghe passeggiate in bici per lanciare occhiate severe; molte dirette per rispondere alle domande della popolazione; dichiaravano una grande disponibilità ad occuparsi delle angustie della gente. Tuttavia, “anche” grazie ad una legge che concentra nelle loro mani – e nella loro testa – molti poteri alla conta dei “fatti” hanno soltanto utilizzato gli spazi a loro disposizione per farsi propaganda: non importa se poi l’applicazione pratica di quei “poteri” non permette, per mancanza di materia grigia e di capacità organizzative “manageriali”, di affrontare i veri problemi quotidiani che come nodi irrisolti incancreniti da anni di profonda incuria e sottovalutazione (ambiente, scuola, traffico, sanità, cura del territorio a partire dalle periferie), finiscono per accumularsi e rendere peggiore il livello qualitativo della vita della gente comune.
Accade in molte parti. Quasi dappertutto. Accade anche a Prato. In una città, che ha retto nel periodo dell’emergenza grazie al senso civico di “responsabilità” della cittadinanza, ma che ai suoi vertici (non solo amministrativi ma anche imprenditoriali) non ha costruito un nuovo inizio per il “dopo” emergenza. Come e più che altrove i suoi amministratori e le sue classi dirigenti non sono in grado di rispondere ai bisogni e non può essere una giustificazione che “è così dappertutto” oppure che “il Governo non è in grado di…”.
Parlo spesso dei problemi della Scuola. Anche l’altro giorno in un post che cercava di spiegare il senso di quei “conti che non tornano” ponevo in evidenza l’incapacità dei governi di ieri e dell’altroieri – non supportati diversamente da quelli di “oggi” – nell’affrontare i problemi della Scuola, non “un” problema ma i “mille” problemi irrisolti che da diversi anni condizionano il livello di Istruzione e di Cultura “generale” (a partire da quella “civica”) nel nostro Paese.
Sin dal primo momento dell’emergenza Covid19 con la chiusura delle strutture scolastiche una classe dirigente con gli attributi avrebbe dovuto luogo per luogo, in piena ed assoluta autonomia mettere in piedi una “task force” (che bello, questo termine, di cui i governanti piccoli, medi e grandi, si sono riempiti la bocca!) per affrontare le urgenze di una emergenza che viene da lontano.
Io, da parte mia, mi riempio la bocca di un altro macrotermine, “Memoria”. E lo faccio per segnalare che ciò che oggi ha difficoltà a funzionare non è che funzionasse prima del marzo 2020: non è stato certo il Covid19 ad evidenziare le carenze strutturali degli edifici scolastici; la mancanza di aule era male cronico, così grave da condizionare gli avvii di ogni anno scolastico e costringere gruppi numerosi di studenti a frequentare le loro lezioni in spazi “inventati”, adattati all’uso didattico ma non a tale scopo vocati nella loro genesi. E neanche si può pensare che una didattica moderna, semmai digitale ma non a distanza, si possa praticare in aule costruite per una didattica ottocentesca, eminentemente umanistica; ed ancor più ciò può avvenire in strutture che non erano destinate a scopi didattici. E dunque bisognava, bisogna, bisognerà preparare una progettazione che guardi davvero verso il futuro, verso il quale naturalmente si rivolge il mondo dell’Istruzione, della ricerca, dell’apprendimento, della Cultura.
In questo stesso periodo, ma c’è chi osserva giudica ed esprime sue opinioni in merito da tempo, si mette in evidenza l’esistenza di un surplus insopportabile di strutture abitative “nuove” ma invendute (colpa ovviamente dei costi, della crisi di prima e di quella che andiamo vivendo ora, ma non solo: anche qui c’è una profonda incapacità progettuale. Che rasenta l’irresponsabilità e l’illegalità). Ci si giustifica – nei “piani alti” – che, così facendo (cioè permettendo a ditte edili di lavorare e far lavorare) – si svolga anche un ruolo ed una funzione sociale. Molto bene: allora se è così dirottiamo sull’edilizia pubblica di riconversione, ristrutturazione o anche semplice manutenzione del patrimonio esistente delle scuole e degli edfici pubblici generici.
Ne riparleremo. Non si può tacere.

Joshua Madalon

28 giugno reloaded un post di un anno fa – IL RITORNO ALLA NORMALITA’

IL RITORNO ALLA NORMALITA’

Mi ripeto: una delle peggiori “epidemie” che colpisce le nostre popolazioni si chiama “amnesia”. Ieri scrivevo che ci siamo inoltrati nel distanziamento abbandonando nel “cestino” del nostro cervello tutto quello che fino a quel momento ciascuno di noi aveva detto, scritto, fatto, pensato e praticato. Anche per questo, sento di essere un maledetto imperterrito insistente rompiscatole, continuo a praticare la memoria “critica” (quella di cui trattavo ieri che non ha soluzioni univoche). Durante questo lungo senza dubbio inedito inverno molti di noi si sono limitati negli spostamenti e lo hanno fatto quasi con piacere, costruendosi dei ritmi domestici che non consentissero di avvertire la mancanza di socialità. Molti, ma non tutti, anche perché una parte considerevole è stata posta in difficoltà sia per le risorse economiche di cui non disponevano ( ma qui il discorso diventa anche “politico” ed “antropologico” e vale la pena soffermarci su questo tema in uno dei prossimi post ) sia per gli spazi angusti in cui dovevano necessariamente muoversi.
Appartengo per fortuna al primo macro-gruppo: solo un lieve reflusso di ipocondria mi ha interessato. Ma era anche il frutto di una riflessione concreta. Da giovane sono stato ipocondriaco ma con l’età ho razionalizzato le paure e le ho superate con l’impegno costante nella Politica e nelle attività culturali. Pur tuttavia in quei giorni, nei primissimi giorni drammatici, ho avvertito qualche lieve diisturbo psicosomatico ma in defintiva ero angosciato da un problema concreto che mi tormentava: non poter essere tranquillo sul fatto che, di fronte ad un malessere reale non riferibile ai problemi pandemici (un ictus, una disfunzione cardiaca; insomma qualcosa di veramente serio), non ci potesse essere da parte del Servizio Sanitario pubblico una risposta rapida e perlomeno sufficiente.
In quel periodo non era neanche immaginabile di poter andare al Pronto Soccorso così come mi è capitato di poter fare all’inizio dell’unica patologia seria che mi è stata riconosciuta: in quell’occasione, ma sono passati quasi dieci anni, ebbi modo di apprezzare la professionalità complessiva del personale sanitario che, in un tempo ragionevolmente veloce, diagnosticò la mia ipertensione.
Ritornando al “prima”, ma rimanendo sul “tema”, vorrei ricordare che negli ultimi anni si è andato progressivamente riducendo il ruolo della Sanità pubblica a Prato ed in Toscana. Sono stati chiusi molti Distretti periferici e sono stati ridotti i posti letto nel nuovo Ospedale. Già prima che scoppiasse la pandemia c’era chi lamentava l’aumento esponenziale degli accessi al Pronto Soccorso ed in quelle occasioni si segnalava da parte delle Sinistre la sottovalutazione del ruolo della Sanità pubblica a favore di quella privata. Su questi temi occorre ritornare a denunciare e proporre.
Durante il periodo pandemico più duro per diversi motivi la Sanità pubblica è stata dominante ma l’attenzione maggiore era per i contagiati ed i malati Covid19. La Sanità privata ha provato ad inserirsi nel contesto ma lo ha fatto in modo maldestro, svelando la sopravvalutazione dei “propri” interessi: si dirà che ciò sia inevitabile in una società dove prevale la logica del “mercato”, ma bisognerebbe anche saperne limitare gli ambiti in momenti di emergenza.
Con il ritorno alla normalità risaltano nuovamente ed in modo più eclatante i difetti del tempo di “prima”. Come la questione dell’accesso al Pronto Soccorso, che in questi giorni è intasato da richieste a volte improprie e banali e mette in evidenza la “complessità” del fenomeno, dovuto essenzialmente alla mancanza ormai “cronica” di presidi di medicina territoriale e difficoltà che genera sfiducia nel rapporto con i medici di base. Questi ultimi finiscono per essere considerati come consiglieri trascrittori di ricette o poco più, anche per le restrizioni imposte dalla dirigenza regionale che li limita nel loro specifico lavoro.
Anche in Toscana, meno però che in altre Regioni più “operose” dal punto di vista manageriale (ivi compresi gli ambiti sanitari), il Covid19 ha posto in evidenza i limiti dell’azione politica, in questo caso, del Centrosinistra, che – fatte le debite distinzioni poco meno che “ideologiche” – non ha operato per valorizzare le funzioni pubbliche ma ha avvantaggiato – anche nascondendosi dietro le lungaggini delle pratiche burocratiche – di fatto il “privato”, anche se convenzionato.

Joshua Madalon

24 giugno – LE STORIE 2008/2009 e 2013/2014 – 2 (per la parte 1 vedi 5 giugno)

26 maggio 2008

IL   PARTITO   DEMOCRATICO   PROPRIO   COME   PARTITO   NUOVO   DEVE   SAPER ATTINGERE  LE SUE PRINCIPALI  RISORSE UMANE DIRETTAMENTE  DALLA GENTE COMUNE CHE SIA POSTA NELLE MIGLIORI CONDIZIONI POSSIBILI PER SCOPRIRE O RISCOPRIRE   LA   PASSIONE   CIVILE   DELL’IMPEGNO   DIRETTO   NELLA   POLITICA  A PARTIRE DALLE QUESTIONI MAGGIORMENTE COLLEGATE AL PROPRIO TERRITORIO

E’ in quest’ottica che da cittadino comune che ha aderito al PD mi autocandido a ricoprire la funzione di Coordinatore Circoscrizionale del PD qui all’Est del Comune di Prato. Ho diverse motivazioni che mi inducono a farlo: 1) da   circa   dieci   anni   sono   impegnato   come   membro   dell’Esecutivo   del   Consiglio Circoscrizionale e, pur abitando in un’altra parte di questa città, ho partecipato direttamente, da iscritto ad uno dei due Partiti fondatori del PD nella Sezione de La Pietà, alla vita politica:   vorrei   poter   mettere   a   disposizione   la   competenza   e   l’esperienza   acquisita, sottolineando inoltre la mia totale indisponibilità a continuare il mio impegno all’interno delle Istituzioni amministrative nella prossima legislatura;

2) sono stato dapprima, insieme alla Tina Santini, coordinatore del Comitato di Prato per il PD (Prato Democratica – CpU) e poi il Coordinatore della lista Bindi alle Primarie del 14 ottobre: sento di poter evidenziare la mia caratteristica di proto-fondatore del PD per il quale, tra innumerevoli incertezze e difficoltà, abbiamo lavorato finora;

3) l’esperienza culturale e formativa, quella personale accumulata in tanti settori della Cultura con compiti politici ed organizzativi, si è sempre orientata alla valorizzazione dei giovani, ai quali si deve soprattutto richiedere passione, entusiasmo e grande volontà di partecipazione:

il PD è l’occasione giusta per costruire un Partito nel quale gli ideali espressi in modo schietto ed aperto, ancorché critico e propositivo, non vengano soffocati da un pragmatismo razionale, sterile,  asfissiante e mortificante verso le migliori energie;

4) la certezza che questo impegno che chiedo mi venga affidato sarà estremamente duro e difficile   mi   spinge   a   considerarlo   una   vera   e   propria   sfida   da   vincere:   mi   riferisco particolarmente alla prossima tornata elettorale amministrativa locale che si svolgerà nella prossima primavera e che ci vede all’Est – per ora – in difficoltà;

5) ritengo   di   poter   aggiungere   alle   motivazioni   già   espresse   anche   la   forte   e   costante consapevolezza da me espressa che, senza un Decentramento concreto e reale nei settori più sensibili da parte dei cittadini (penso in particolare ai lavori pubblici), questa città (e questa parte ancor di più) non riuscirà a crescere: continuerò a battermi ed a chiedere a tutti voi di farlo insieme a me perché si dia maggior peso e forza al Decentramento – in controtendenza rispetto al trend negativo espresso in quest’ultima legislatura.

Aggiungo una serie di note da sviluppare

valorizzare la Cultura partendo dal contributo che possono offrire le risorse umane a costo zero

· costituire   un   gruppo   di   “saggi”   raschiando   il   territorio   (molto   utile   sarà   la collaborazione delle due ex Presidenti di Circoscrizione, di chi è stato impegnato nelle passate legislature nella Circoscrizione

· costituire una serie di Forum tematici (Scuola, Cultura, Lavoro, Sanità, Ambiente, Lavori Pubblici, Sicurezza) su quest’ultimo tema avrei da dire molto!

· Valorizzare   il   dialogo   ed   il   confronto   con   chi   esprime   idee   propositive   anche partendo da una forma critica

· Seguire con la massima attenzione quel che accade (aggiungerei quel che sta per accadere) sul territorio (prevenire se possibile i problemi)

· Creare un organismo dirigente composto dai coordinatori responsabili territoriali dei quattro Circoli PD e dai responsabili coordinatori dei vari Forum

· Sul Decentramento  vi sarà la vera “partita”  che potrà condurre al successo (se davvero potremo dimostrare che da parte del Comune verrà valorizzato il ruolo e la funzione delle Circoscrizioni avremo la carta vincente per presentarci in modo nuovo all’elettorato)

· Punto primo la Cultura, la Conoscenza ed il Sapere (negli ultimi anni ci siamo fatti irretire da mass media e forze di Centro Destra sulle questioni della “sicurezza” che nei   fatti   –   dati   alla   mano   di   Questura   e   Prefettura   –   sono   a   Prato   a   livelli estremamente bassi; non si deve per questo abbassare la guardia ma occorre anche agire   con   il   necessario   buonsenso,   senza   lasciarsi   prendere   da   atteggiamenti irrazionali); la Sicurezza è all’ultimo punto: il raggiungimento di tutti i precedenti obiettivi creano un clima di tranquillità basato soprattutto sulla conoscenza e sul rispetto delle principali regole della convivenza civile

· No all’ingessatura centralistica di tutte le potenzialità esprimibili a livello territoriale, sì all’autonomia decisionale ed organizzativa all’interno di precisi obiettivi comuni e pratiche condivise

· Ai   cittadini   bisogna   dedicare   tempo   per   l’ascolto   dei   loro   problemi   che   vanno affrontati e risolti con scelte abbastanza rapide laddove siano di interesse generale

· Il rinnovamento non si improvvisa; si costruisce, non si ottiene con gli slogans ancorché siano costruiti per allettare;  il rinnovamento dunque non può essere la base di partenza ma deve essere un obiettivo molto ravvicinato al quale si deve giungere progressivamente. I giovani che devono essere parte attiva di questo rinnovamento vanno   preparati   presupponendo   che   naturalmente   arriverà   il   loro   momento   di impegnarsi in modo più diretto: essi devono mantenere inalterato il loro bagaglio di passione ed entusiasmo utile a costruire quella Buona e sana Politica che tutti noi vogliamo in questo nostro Paese.

21 giugno – PERCHE’ LA DESTRA STA VINCENDO NEL PAESE (o perlomeno così appare) – parte 4 (per la parte 3 vedi 27 maggio)

PERCHE’ LA DESTRA STA VINCENDO NEL PAESE (o perlomeno così appare) – parte 4 (per la parte 3 vedi 27 maggio)

In queste notti brevi e questi giorni lunghi ci ritroviamo, dopo un anno e mezzo di inusitate sofferenze, pur sopportate con altrettanta insospettata resilienza, ad avviare una rendicontazione (una “resa dei conti”) su tutto quanto, colpevolmente, la Sinistra (non quella vera che quando dice blu è “blu” e quando dice “giallo” è giallo, alla quale assegno altre responsabilità) non è stata in grado, sia per inettitutine sia per sospetti vari tornaconti, di rivedere, di rimettere in linea rispetto agli “errori” del passato la barra della “giustizia sociale”.

NOI da soli non lo possiamo fare, non è nelle nostre “possibilità”; possiamo tuttavia denunciare ancora una volta una sequenza di sottovalutazioni e di errori che hanno condotto ad una situazione di degrado morale insoffribile, lasciando che la “speranza” per un futuro migliore divenga sempre più patrimonio assoluto della Destra, sia quella liberale che quella reazionaria antidemocratica e retriva. Si può aggiungere che ciò sia solo “apparente” ma ancor più non si intaccherebbe – a tal punto – la percezione che la difesa degli interessi dei più deboli sia stata ceduta dalla Sinistra – quella sedicente tale – svenduta in modo indegno sull’altare della difesa dei “diritti” di tutti, compreso coloro che posseggono di più ed ambiscono di veder crescere sempre di più la loro ricchezza. Si fa un bel dire che il “diritto” di uno si ferma di fronte al “diritto” dell’altro, senza tener conto della differenza del “punto di partenza”. E non si tratterebbe di un punto di partenza qualsiasi ma quello sancito dall’Articolo 4 della Costituzione

“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.

Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.”

rafforzato dall’Articolo 36 della stessa Carta costituzionale

“Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.

Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.”

In questi giorni ci è toccato ancora una volta assistere “inermi” ad una serie di eventi che hanno mortificato la nostra intelligenza e vanificato tutti i nostri impegni. Lo avevamo denunciato in più occasioni ma venivamo derisi e sbeffeggiati; in modo particolare questo è accaduto quando abbiamo richiamato l’importanza della memoria (se ne fa un gran bel parlare quando si tratta di eventi lontani, che vengono riportati a galla per una sana e robusta contrapposizione ideologica) e l’utile lezione della Storia.

Abbiamo bisogno di riprenderci la guida della nostra esistenza “contro” tutte le ingiustizie, sia quelle di “una” parte che quelle di un’altra “parte” e, per quel che ci riguarda, continueremo ad occuparcene.

…4…..

19 giugno – PICCERE’ – un recupero con revisione – 3 (per la parte 2 vedi 2 giugno)

3
Il viaggio fu lungo; i bambini erano davvero monelli e Adelaide dovette rimproverarli più e più volte. Era la prima volta ed erano tante le prime volte una dietro l’ altre per Picceré, che non solo non aveva mai visto il mare ma dovette anche imbarcarsi entrando nella pancia di un palazzo enorme tutto fatto di ferro che portava tante automobili dall’altra parte del mare verso quello che chiamavano “il continente” e poi una volta usciti fuori da quel buco l’auto continuò a percorrere strade piccole e grandi e lei guardava dal finestrino, e gli occhi saettavano su tutto e bevevano le novità che le andavano incontro. Si fermarono in un posto con aiuole verdi e fiorite verso il primo pomeriggio e Adelaide da un cesto che aveva nel portabagagli aveva tirato fuori una mezza forma di caciocavallo ed un mezzo prosciutto e con due pagnotte aveva cominciato, seduta in un angolo ed appoggiato il tutto su una ampia tovaglia, ad affettare formaggio, prosciutto e pane ed aveva distribuito la merenda al marito, alle “pesti” ed a Piccerè, che andava trasformando l’entusiasmo in tristezza. Poi ai ragazzi ed alla giovane aveva dato una bottiglia di acqua perché la bevessero a canna ed a Stefano – ed un po’ anche per sé – una fiaschetta di vino rubizzo delle loro fertili campagne siciliane. Arrivarono a Prato che era buio; i ragazzi si erano stancati di saltellare e provocarsi a vicenda e si erano addormentati. Piccerè saettava con gli occhi da ogni parte anche se non capiva quasi niente, tanti erano i paesaggi che scorrevano; e sul far della sera poi tutto era indistinto difficile e la ragazza era davvero confusa, ancora più triste: forse era il buio della notte che incombeva. Adelaide lo capì e quando si fermarono che erano sotto casa chiese al marito di provvedere lui ai ragazzi e a scaricare la macchina e presa sottobraccio la giovane la volle accompagnare amorevolmente in casa mostrandole la sua cameretta. Era troppo stanca e lasciatala lì a mettere a posto le sue poche cose ché dopo qualche minuto sarebbe poi salita a prenderla per una cena frettolosa giusto per non andare a dormire digiuni, Adelaide la ritrovò che già dormiva alla grande, le spense la luce, le rimboccò le lenzuola e le diede un bacio sulla fronte.

La città, quella mattina, si era risvegliata con i soliti rumori, soliti per chi la vive e vi si è abituato. Sotto la casa di Adelaide e ……. dove la sera prima era arrivata, Piccerè cominciò a sentire strani e prolungati progressivamente prolungati rumori che venivano da lontano, si avvicinavano si allontanavano ma poi riprendevano e poi si mescolavano ad altri che provenivano da altre direzioni; così almeno pareva a Piccerè, che non ne aveva mai sentiti di così fastidiosi fino a quel mattino. A casa sua era la natura a tenerle compagnia nei giorni di vento che scendeva forte dalle alture o proveniva dal mare lontano e squassava il fogliame degli alberi di gelso o le querce che circondavano il fosso che separava la proprietà della sua famiglia da quella di compare Sauro; erano i galli che già alle prime luci intonavano il loro rituale risveglio o le mucche che attendevano le cure giornaliere; erano le voci degli “uomini” che si occupavano di preparare le prime attività sorseggiando tazzoni di caffelatte mentre finivano di vestirsi; le donne, le sorelle più grandi, avevano il compito di preparare in silenzio una prima colazione veloce. A Piccerè non toccavano questi lavori mattutini ed ascoltava in silenzio poltrendo ancora una buona mezzora nelle lenzuola ruvide di tela grezza. A casa sua…fino alla mattina prima.

15 giugno – I CONTI NON TORNA(VA)NO parte 24 (per la 23 vedi 23 maggio)

I CONTI NON TORNA(VA)NO parte 24

     Proseguo con la pubblicazione di alcuni documenti relativi ai temi del “dimensionamento” degli Istituti scolastici superiori della città di Prato – in questo post c’è un Documento accluso ad un “Comunicato Stampa” inviato il 17 dicembre del 1998 quattro giorni prima della prevista seduta del Consiglio nella quale si sarebbe dovuto discutere su questo argomento              

Nell’andare ad un dimensionamento ottimale degli istituti scolastici della Provincia di Prato, per quel che riguarda le scuole medie superiori, occorreva risolvere prioritariamente il problema del Liceo “Copernico”, la cui attuale sede di Via Costantini costa alla Provincia per il suo canone di affitto un miliardo e duecento milioni l’anno.

E quel problema rimane comunque politicamente, finanziariamente ed umanamente al primo punto nell’ agenda di noi tutti.

Al Liceo “Copernico” è stata offerta la possibilità di trasferirsi in quel di Via Reggiana, occupando l’attuale sede dell’ITG “Gramsci” e la nuova struttura del Terzo Lotto.-

Il rifiuto da parte del “Copernico” di attuare tale ipotesi si basa su un duplice aspetto: innanzitutto si esprime un concetto aristocratico dell’istruzione secondo il quale i Licei dovrebbero essere nel Centro Storico e gli Istituti Tecnici in periferia, a costituire il cosiddetto “Polo Tecnico”; in secondo luogo la impossibilità di accettare la divisione in due sedi che distano meno di 300 metri l’una dall’altra.

A questo punto, si badi bene, e solo a questo punto, viene approntata una soluzione alternativa, che è poi più o meno l’attuale, che prevede lo spostamento dell’ITG “Gramsci” nel Terzo Lotto, dove a fronte di una necessità di 18 aule normali (per classi) e 15 speciali,  troverà 26 aule normali, 4 leggermente più piccole e 8 grandissimi spazi per Laboratori.       L’ITC “Dagomari” dovrebbe spostarsi da Viale Borgovalsugana 63 per collocarsi nei locali dell’ITG “Gramsci”, dove, a fronte di un bisogno di 35 aule normali (per classi) e di 25 aule Speciali (per Laboratori di vario tipo) si avrebbero a disposizione soltanto 31 aule normali e 15 aule speciali, ivi compresa la ristrutturazione delle attuali 4 aule disegno. Mancherebbero in ogni caso all’appello un’Aula Magna e lo spazio per la Biblioteca.  Si fa presente che, mentre il “Gramsci” ha avuto nell’ultimo anno 452 iscritti, il “Dagomari” ne ha avuti 887 (quasi il doppio): gli spazi vitali (uffici, aule docenti, magazzini) , devono essere pensati anche in quest’ottica.

 Risulta evidente che quella sede è inadeguata per ospitare l’ITC “Dagomari”.

Al posto dell’ITC “Dagomari” dovrebbe essere collocato il “Copernico”.

L’altra questione che si va evidenziando è l’accorpamento “Classico Cicognini – Magistrale Rodari”. La polemica garbata ma decisa del Preside Nannicini avrebbe bisogno di maggiore solidarietà: il rischio di perdere i suoi prestigiosi connotati sono molto forti per il Classico di Via Baldanzi.  Forse anche in quella direzione occorrerebbe maggiore coraggio e più forza nei confronti di chi attualmente dirige la sede di Piazza del Collegio, che si va caratterizzando per una certa insensibilità verso i problemi della città.

Comunicato stampa

Nella partita del dimensionamento, resa complessa da tutta una serie di problematiche chiare ed altre poco chiare assume grande rilevanza la struttura del Convitto “Cicognini” di Piazza del Collegio.  Alcuni problemi infatti potrebbero essere risolti se il Liceo Classico di Via Baldanzi fosse ospitato nella sede storicamente prestigiosa dalla quale peraltro proviene.

A parer mio questo dovrebbe risolvere la questione, più volte richiamata all’attenzione della città in questi ultimi giorni, del mantenimento dell’identità da parte del Liceo Classico, anche se avvenisse l’accorpamento amministrativo con il futuro Liceo Pedagogico (l’attuale “Rodari”).

Faccio un appello alla città, ai massimi dirigenti scolastici, alle forze politiche, ai parlamentari, ed in particolare a chi attualmente dirige il Convitto Nazionale “Cicognini” perché ascolti con attenzione i bisogni di questa città, chiamata a risolvere in pochi giorni, in pochi mesi, problemi che da anni erano urgenti e che ora sono divenuti urgentissimi.

E’  vero,  gli attuali amministratori e dirigenti non ne hanno colpa.

Grande tuttavia potrebbe essere la loro responsabilità, andando ad operare delle scelte che in questa situazione comporterebbero comunque da qui a qualche anno (già nella prossima legislatura) una nuova serie di problemi; problemi non tanto diversi da quelli che oggi rendono difficoltoso il cammino agli attuali amministratori e dirigenti, e danno alla città angustie e preoccupazioni.

Prato, 17\12\1998                                   Giuseppe Maddaluno

                                                        Consigliere Comunale Gruppo Dem. Sin.

3 giugno – un post di un anno fa STATE BUONI SE POTETE, PER PIACERE – TUTTO TORNERA’ COME PRIMA PEGGIO DI PRIMA – “SE TI VA BENE A QUESTE CONDIZIONI…

STATE BUONI SE POTETE, PER PIACERE – TUTTO TORNERA’ COME PRIMA PEGGIO DI PRIMA – “SE TI VA BENE A QUESTE CONDIZIONI…DIVERSAMENTE LA FILA È LUNGA!”

con un’aggiunta al 3 giugno 2021 – Pil, finalmente la luce: Italia verso +4,2% nel 2021 – titolo da Qui Finanzafate voi i conti – è molto incoraggiante che si riprenda a produrre, ma questo rischia nell’entusiasmo generalizzato di creare nuove ingiustizie e di produrre altri danni ai lavoratori

STATE BUONI SE POTETE, PER PIACERE

TUTTO TORNERA’ COME PRIMA PEGGIO DI PRIMA

“Se ti va bene a queste condizioni…diversamente la fila è lunga!”

Non dirò nulla che non si sappia già.
Le condizioni erano che il lavoratore veniva assunto a part-time ma poi le ore di lavoro effettive diventano molte di più. Molte volte c’è un rapporto di subordinazione servile che induce lo stesso lavoratore a non denunciare questi abusi. In qualche caso, durante un controllo, addestrati a mentire resi consapevoli e preoccupati dalla carenza di posti di lavoro “normali” (legali), dichiarano semmai di essere appena arrivati. Fondamentalmente il ricatto è legato a questa cronica carenza di “lavoro” e quindi ad un diffuso bisogno di trovarne uno, anche se in parte o in tutto illegale. Questo è solo un esempio minimo; a volte l’operaio, nel controllo, dichiara di essere appena arrivato e di essersi disposto a “provare”; oppure in altri casi i datori di lavoro, durante le ore notturne, quando il timore di un controllo è ridotto, accelerano i ritmi delle operazioni. Indubbiamente la condizione del lavoro è a rischio di un ritorno al passato, a forme di schiavitù che avremmo voluto ormai tramontate. In alcuni settori, come quelli della ristorazione ed in particolare nei pub o comunque in localini dislocati nel centro delle città, dove si svolge la “movida”, non è raro imbattersi in rapporti di lavoro siffatti più o meno legali, a seconda del grado di onestà dei datori.
Chi dovrebbe controllare perchè a ciò preposto e delegato si dice molto spesso che non abbia strumenti e mezzi per poterlo fare in modo diffuso e questo, forse, è in gran parte vero. In qualche occasione, poi, sorge il dubbio che alcuni strumenti ed alcuni mezzi non vengano utilizzati di proposito; ed in questo caso ovviamente si può parlare di complicità. Ovviamente dovrebbe essere lo Stato a pretendere che le leggi vengano rispettate anche nella loro applicazione concreta: un maggiore e rigoroso controllo potrebbe comportare una migliore condizione sociale diffusa. Un “controllo” sociale potrebbe essere una delle soluzioni: chi svolge la sua attività onestamente dovrebbe essere il principale controllore. Chi rispetta le regole ne paga gli effetti mentre coloro che non le rispettano finiscono per nuocere principalmente ai primi ed intossicano il mercato. Per non parlare di quel che significa questa elusione (in qualche caso anche “evasione”) per le casse dello Stato nel suo complesso: ci si lamenta dell’esosità dello Stato, e a volte lo si fa per giustificare – a se stessi ma non solo – l’illegalità; tuttavia quello che accade è un generale abbassamento del tenore di vita generale ed impoverimento sociale.
Ho portato pochi esempi, ma voglio qui ricordare quel che scriveva l’altro giorno un mio amico di Facebook riportando un dialogo “illuminante” ascoltato in uno dei tanti bar eleganti della città
“… E allora gli ho spiegato a quei tre: prendete la cassa integrazione ma venite a lavorare e io vi pago a nero. Alla fine costate meno ma guadagnate di più”.
Forse era un artigiano, un industriale, non so, l’amico non lo specifica. Ma è indubbio che con questa gente, dopo l’emergenza, le cose andranno peggio, altro che “meglio”, altro che “andrà tutto bene!”. Non so se tra i commenti ci sia stato qualcuno che, illuminato, abbia segnalato che in questa particolare situazione, laddove ci fosse un controllo fatto bene, a venirne sanzionato – penalmente, fiscalmente e moralmente – non sarebbe soltanto il datore di lavoro ma anche l’operaio che avrebbe frodato lo Stato e nociuto gravemente anche ad altri più onesti e corretti di lui.

2 Giugno – PICCERE’ un recupero con revisione – 2 (per la parte 1 vedi 1 maggio)

Parte 2

Il paese era piccolo e tutti conoscevano tutti; Piccerè era piccolina di statura così come il nomignolo con cui la chiamavano, anche quando aveva raggiunto l’età di 16 anni ed era ormai guardata dai giovani – quei pochi rozzi e brutti che circolavano ancora, anche perché negli anni sessanta la strada più facile per tanti era stata quella del “continente”, Torino, Milano, la Germania – non era interessata a loro. Anche se come tutti gli altri della famiglia non aveva frequentato nemmeno un giorno di scuola Picceré era vivacissima per la furbizia e non si lasciava lusingare dalle sollecitazioni delle altre sorelle più grandi che, essendo già sposate, la spingevano a scegliere la sua strada presentandole di tanto in tanto qualche “rozzo” pretendente. Un’estate, era il 1963, era tornata per un grave lutto nella famiglia del marito una sua cugina, Adelaide, che viveva a Prato. Adelaide era una bella giovane donna, più elegante che bella ma davvero faceva la sua figura in mezzo a quelle contadine ed a quei buzzurri. Vennero con una bella auto portando con loro i due figli che non avevano nemmeno conosciuto il nonno, che era morto in quei giorni. Adelaide parlava di quella città, Prato, decantandone l’operosità ed anche la facilità di trovare lavoro, diceva “meglio che a Torino o a Milano o in Francia, in Belgio e Germania”. “Certo, la “ggente ce chiamme marrocchine ma se lavori t’apprezza anche perché so’ ggeluse del modo con cui stammo assieme ridendo e facendo un po’ casino; lloro so’ fridde, ma a nnuje che ce n’ mporta”. Piccerè beveva a gorgoglioni tutto quello che la cugina raccontava e già sognava la sua libertà.
Ce ne volle d’impegno da parte di Adelaide e Stefano, suo marito, per convincere Gesualdo a farla partire per Prato a fine agosto. Ma il padre stimava moltissimo quel suo nipote acquisito e conosceva sin dalla nascita anche Adelaide, donna pia e coraggiosa; e poi a Prato aveva anche un altro fratello più grande di lui che aveva fatto il meccanico e quindi per Picceré ci sarebbe stata possibilità di controllo da parte della famiglia e se voleva lui stesso poteva salire a riprendersela, anche se si stava facendo vecchio e gli acciacchi lo bloccavano nelle ossa. Le sorelle erano gelose di questa avventura; sotto sotto appunto la invidiavano ma la loro vita era stata segnata; la prima, Filomena, aveva già una bambina di cinque mesi, la seconda. Concetta, era in attesa da sette mesi ed ogni tanto minacciava di sgravare anzitempo, non avendo mai smesso di lavorare nei campi.
Con la valigia di cartone chiusa tutta intorno con lo spago sistemata sul portapacchi Piccerè salì sulla Fiat 1500 celeste sedendosi come una signora dietro con i due diavoletti; e qualche lacrimuccia la versò dopo aver abbracciato la mamma e il padre e salutato sorelle e fratelli.
A Prato, lo aveva promesso, avrebbe fatto la brava e si sarebbe subito cercato un lavoro; Adelaide aveva detto a tutti che sarebbe stata ospite da loro fin quanto avesse voluto e semmai – nel pensiero di Adelaide questa idea le balenava – avrebbe potuto accudire alle due “pesti” di casa. In più le aveva anche fatto capire che a due passi da casa loro, una delle sue cugine aveva da poco aperto un bar e forse avrebbe già lì trovato lavoro.

1 Giugno – Può darsi, ma…. – 5 (la seconda parte dell’intervento della Senatrice Cattaneo)

avendo pubblicato la prima parte dell’intervento in questa serie di “PUO’ DARSI, MA….“, ve ne ripropongo la seconda – se recuperate il post precedente (4) del 29 maggio ci troverete anche un richiamo ad un link, dove troverete il resoconto stenografico del dibattito avvenuto al Senato – ci troverete anche la commemorazione di Franco Battiato: tipica passerella dell’Ipocrisia (sapete quanta stima aveva il grande autore per la classe politica!).

Vi ricordo che i bovini non perdono le corna come i cervi; le corna vanno segate dai crani, ma il disegno di legge n. 988 (né – mi sembra – alcun disciplinare) non ci spiega purtroppo se si deve prima macellare l’animale e tagliare le corna, oppure se queste vanno potate dall’animale ancora vivo. (Applausi). Sarebbe meglio disciplinare questa pratica per evitare abusi.
Questo che vi ho appena segnalato si chiama preparato 500 dell’agricoltura biodinamica (detto anche cornoletame). Ascoltate come funziona. Secondo il disciplinare, le corna di vacca catturano, quando la vacca è in vita, i raggi cosmici affinché, quando sarà morta o a corna espiantate, il letame in quei corni, seppelliti e diseppelliti in funzione di combinazioni astrali, riceverà le forze eteriche astrali catturate dalla punta del corno, aumentando così il potere di quel letame quando è disseminato sul campo. (Applausi).
Mi sono sempre chiesta quale sarà la dose di raggi cosmici che le corna devono catturare (le vacche devono essere primipare) affinché tutto ciò risulti efficace.
Nei preparati dell’agricoltura biodinamica c’è anche il preparato 502, ossia una vescica di cervo maschio riempita di fiori di achillea, lasciata essiccare al sole per tutta l’estate, sotterrata a 30 centimetri di profondità (non un centimetro in più) in autunno e dissotterrata sempre nel periodo di Pasqua.
Nello stesso disciplinare del marchio registrato Demeter, una multinazionale con sede all’estero alla quale si pagano royalty, si specifica che ogni preparato biodinamico sviluppa una forza potente e sottile, il cui effetto può essere comparato con quello dei rimedi omeopatici, ossia è assolutamente nullo e indimostrabile dal punto di vista scientifico. (Applausi).
Anche qui mi pongo delle domande. Delle vesciche di quanti cervi maschi ci sarà bisogno? Una vescica per ogni azienda biodinamica? Esiste una deroga alla pratica venatoria che consenta l’abbattimento di tanti splendidi animali dai nostri parchi nazionali, oppure si pensa di importare dall’estero vesciche urinarie estirpate in altre Nazioni o continenti?
Colleghi, rimuovere la parola biodinamica dal disegno di legge, come chiedono i miei emendamenti, non impedisce ai produttori di perseguire queste pratiche e ottenere la certificazione di prodotto biologico (per averla basta rispettare i protocolli), ma esplicitare il riferimento al biodinamico in questo testo di legge avrà l’effetto di dare dignità al cornoletame. Aggiungo anche che si tratta non di equiparazioni tra biologico e biodinamico solo per la parte nella quale il biodinamico mima le pratiche biologiche, ma di una totale equivalenza, al punto che il disegno di legge in discussione prevede che una quota di fondi pubblici venga dedicata specificamente alla ricerca scientifica, alla formazione nel settore biologico e, quindi, all’equiparato biodinamico.
Se quest’equiparazione restasse esplicita (non ci può essere alcun fraintendimento sul suo significato), enti e portatori di interesse potrebbero organizzare corsi e progetti incentrati sull’esoterismo biodinamico con i soldi dei cittadini italiani. Grazie ai fondi previsti dalla legge si potrebbero creare attività e istituire insegnamenti, con tanto di crediti formativi, sulla profondità migliore a cui sotterrare le vesciche di cervo, sulla direzione giusta con cui mescolare il letame o su come meglio orientare la vacca al pascolo perché catturi raggi cosmici. (Applausi).
Credo che l’errore nel sostenere tutto ciò derivi da una cattiva lettura di un regolamento UE del 2018, relativo alla produzione biologica, dove compare la parola «biodinamica», ma non per un’equiparazione. È una mera citazione. Due citazioni danno la definizione di preparati biodinamici come miscele tradizionalmente utilizzate nell’agricoltura biodinamica. La terza citazione si limita a dire che è consentito l’uso dei preparati biodinamici. Questa citazione è sufficiente a sdoganare l’esoteria biodinamica nelle leggi italiane.
Naturalmente il fine ultimo è creare mercato per prodotti che non hanno alcuna caratteristica superiore scientificamente accertata rispetto a quelli da agricoltura integrata, se non i costi. Continuerò, pertanto, a fare la mia doverosa parte per segnalare in ogni occasione che i prodotti biodinamici, come i prodotti da agricoltura biologica che si trovano nella grande distribuzione, non hanno migliori caratteristiche nutrizionale, né hanno miglior cura dell’ambiente, prevedendo entrambi i disciplinari biologico e biodinamico ampie deroghe che consente loro di utilizzare pesticidi di sintesi, che salvano le nostre colture dagli attacchi dei parassiti, consentendo a tutti di avere buoni e salutari prodotti.
Presidente, rimarco che abbiamo bisogno di prodotti sani per tutti e di fatto li abbiamo. Lo certificano la European food safety authority (ESFA). I nostri prodotti integrati bioconvenzionali sono tra i più sicuri al mondo ed è questo il messaggio di interesse nazionale che vorrei tutelato da una politica basata sulle evidenze.
Concludo senza nascondervi che da cittadina, prima ancora che da studiosa di scienze della vita, con esperienza ormai trentennale, provo sconcerto, sconforto e, quindi, dissento di fronte alla legittimazione per via parlamentare nell’ordinamento di uno dei Paesi più avanzati al mondo di pratiche antiscientifiche, esoteriche e stregonesche, specialmente se penso che, a sancire la superiorità del cornoletame sulle evidenze scientifiche, è la Camera alta del Paese che guida il G20, proprio nell’anno in cui per combattere la pandemia da Covid-19 il ruolo indispensabile della scienza è stato universalmente riconosciuto, celebrato e, anche in quest’Aula, osannato. (Applausi).