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LE STORIE altre (il Circolo San Paolo di via Cilea) 2009 seguenti – dopo una breve introduzione parte 6 (per la parte 5 vedi 26 agosto)

Riprendo a trattare temi di memoria storica locale. Con documenti “originali” dai quali questa volta non espungo alcun nome (fanno parte della Storia) proprio perché si spesero per costruire punti di aggregazione e di partecipazione intorno al Partito Democratico in quel di Prato San Paolo poco più di dieci anni orsono – Questa documentazione attesta la grande difficoltà con la quale si è costruito un progetto “democratico” aperto, che non poteva essere ben accolto in una forza politica ancora tributaria di vecchi ed obsoleti schematismi.

DOCUMENTO URGENTE SULLA PROPOSTA DI APERTURA DEL CIRCOLO PD A SAN PAOLO

Intendiamo fare il punto della situazione in relazione alla richiesta di riaprire nella sede del circolo Arci di San Paolo in via Cilea un Circolo del Partito Democratico nuovo, così come espresso nei precedenti documenti.

Già da circa un anno alcuni iscritti ed alcuni simpatizzanti hanno rivolto in modo corretto la richiesta al Segretario Provinciale (Bruno Ferranti) al Coordinatore del Circolo Borgonuovo-san Paolo (Fabio Razzi) ed al coordinatore Circ.le Ovest del PD (Fabio Colzi). Una discussione, presenti i suddetti al Comitato Direttivo di Borgonuovo-San Paolo appositamente convocato, è avvenuta prima delle Primarie per le Elezioni Regionali dello scorso anno.

Gentilissima Coordinatrice, tu conosci le nostre intenzioni e conosci anche le motivazioni che ci spingono. Fra i molti simpatizzanti che si sono avvicinati all’idea di aprire un Circolo nuovo sta sopravvenendo una certa disillusione.

Entriamo però nel vivo:

Mercoledì scorso vi è stato il primo incontro del Comitato Direttivo del circolo Borgonuovo-San Paolo nel quale alcuni di noi sono presenti (l’altra sera eravamo anche in maggioranza come san paolini) ed il Coordinatore Matteo Nesi ha proposto di parlare della nostra richiesta in uno dei prossimi incontri, anche perché nel Congresso avevamo presentato un documento ad hoc. Nel dibattito si sono avuti interventi tuttavia che lasciavano presupporre l’ipotesi di procrastinare alle “calende greche” questa decisione, chiedendo riflessioni, approfondimenti, condivisioni etc… Ho fatto presente che è per noi urgente a questo punto affrontare la materia e decidere.

Il giorno dopo abbiamo anche riflettuto e facciamo una proposta su cui vogliamo il tuo parere:

penseremmo di chiedere che dal 1 gennaio 2011 il Circolo San Paolo faccia il “suo” tesseramento, pur rimanendo in piedi (onde evitare difficoltà al Partito) il coordinamento unico (arricchito da qualche altro nostro rappresentante – ad esempio Marzio Gruni che è anima del progetto non è presente nel Coordinamento attuale)  e  gruppi di lavoro comuni; inoltre tutte le iniziative dovrebbero essere concordate, quanto alle date, fra i due Coordinatore di Borgonuovo e quello temporaneamente espresso di San Paolo.  Il Congresso – eventualmente davanti ad un nostro auspicabile successo di adesioni nuove in cui fortemente crediamo  – dovrebbe svolgersi a fine 2011 – inizio 2012.

Chiediamo di essere resi autonomi rapidamente, anche perché vi potrebbero essere presto delle urgenze e vorremmo evitare di incorrere in emergenze varie che procrastinino ulteriormente questa scelta.

Ti chiediamo gentilmente di convocare il Coordinatore Nesi e fare sì che si svolga al più presto prima della fine di quest’anno il Comitato direttivo che si occupi in modo specifico e definitivo di questo argomento.

Grazie.

Marzio e Giuseppe

IL CORAGGIO CHE NON C’E’ – il commento di Luigi XXXX e le mie riflessioni

Un amico commenta il mio post del 27 agosto, nel Blog dove metto a disposizione tutto me stesso per evidenziare il profondo imbarazzo che da alcuni anni mi coglie quando devo scegliere (a proposito, quello slogan “lettiano” così netto non ha in me un impatto positivo; non è un dolce invito, è quasi un’imposizione, un comando imperioso, forse “disperato”).  Ancora una volta di una cosa sono certo: “non voterò per il Partito Democratico”. Ho davvero difficoltà ad esprimermi in modo netto e non per tattica su quella che sarà il mio “voto” il 25 settembre; ad oggi potrei essere anche tentato di non partecipare o astenermi nel momento della “scelta”. Ciò a causa dell’inadeguatezza dell’offerta “politica” molto più al di sotto di quelle precedenti, che lasciavano intravedere “speranze”. E non mi fa “paura” la Destra: chi continua a sventolare quel “bau bau” offende – forse consapevolmente – l’intelligenza degli stessi “potenziali” elettori cui intende rivolgere la sua offerta. E quel Centro sinistra (C maiuscola e s minuscola a decretare le reali misure) è intriso di “ipocrisie” anche quando finge di essere contrario al “presidenzialismo” ma inneggia al “metodo Draghi” che rappresenta un anticipo di “presidenzialismo” finanziario e non solo, di cui non abbiamo bisogno. Per quanto riguarda la Destra o il CentroDestra, cui afferisce anche parte del Centro indistinto, per capirci la Ditta Calenda & Renzi, propone soluzioni demagogiche per noi inapplicabili, a meno che non si voglia preparare una vera e propria catastrofe sociale, umana. Sono degli “irresponsabili”.

Riporto il commento con un preambolo breve: Caro Luigi, concordo anche io su quel che scrivi e proseguirò a riflettere su quel che è accaduto e ciò che accade. E mi batterò per riunire le parti Sinistre che siano disponibili al dialogo. Non c’è altra strada!

Sei stato chiarissimo e condivido tutto, ma non è solo questione di coraggio e di senso di responsabilità, ma anche e soprattutto di mancanza di un’identità. Un partito in cui le varie correnti pensano solo al loro orticello non la si può ricostruire. Si dovrebbe ripartire dal recupero della natura popolare del PCI e DC, per amalgamarla con lo spirito che animò per qualche tempo l’Ulivo e proiettare il tutto nella realtà di oggi. La vedo difficile, quasi impossibile, a maggior ragione quando sento evocare i fantasmi del fascismo e la battaglia contro le destre. Se il programma è questo, hanno poco da sperare quanti non potranno pagare le bollette del gas e dell’energia elettrica, quanti troveranno le fabbriche chiuse perché non possono affrontare i costi, quanti non potranno curarsi perché la scelta è tra il pasto o il farmaco, quanti investimenti verranno a mancare in l’Italia se invece di far calare il peso fiscale, si parla di patrimoniale e di tasse sulle successioni. L’Italia è ormai una mucca senza latte o come si dice dalle mie parti, a cui sei sempre legato, in Italia “è morta zia pagnotta”. Ora il Re è nudo e non lo vedono nudo solo i bambini. P.S.: Un abbraccione.

IN RICORDO DEL “POETA” PIER PAOLO PASOLINI – parte 32 – atti di un Convegno del 2006 IN RICORDO DI PIER PAOLO PASOLINI per la parte 31 vedi 23 AGOSTO

Parte 32
prosegue e si conclude l’intervento del prof. Giuseppe Panella

Tutte le sue sceneggiature sono state pubblicate e molte, quasi tutte in vita a dimostrare l’importanza che per lui aveva la sceneggiatura come testo letterario. Se non l’avesse avuto e l’avesse pubblicate solo per motivi venali e può essere anche un motivo quello di pubblicare un libro che poi magari veniva venduto sull’onda della emozionalità e dell’interesse pubblico del momento, questi testi non sarebbero stati arricchiti da così tanto materiale aggiuntivo. E’ come se Pasolini avesse previsto la tecnica con la quale vengono costruiti oggi i DVD dei film tutti i materiali con i backstage, un le interviste. Se voi vedete la sceneggiatura di “Accattone”, ma anche di altri film, vedete che ci sono pagine di diario, riflessioni, viene ricostruito il film il modo in cui è stato fatto, quali sono le prospettive, voglio dire fa proprio un lavoro di spiegazione, di arricchimento e di integrazione della sceneggiatura per cui in effetti verrebbe fatto di pensare che queste sceneggiature per lui hanno un valore letterario forte. D’altronde, la stessa pubblicazione intorno al romanzo con Teorema, che è film e romanzo nello stesso tempo e sceneggiatura del romanzo nello stesso tempo, sembrerebbe far pensare ad un ritorno, ad una dimensione narrativa che però nello stesso tempo si integra con il linguaggio cinematografico e contemporaneamente con il linguaggio della poesia. Teorema, dico per chi non l’avesse letto, è composto da pezzi in prosa, da testi che diciamo ricordano le sceneggiature come scriveva Pasolini, ma anche con larghi squarci di poesia. Allora, per ritornare e fare appunto delle domande, per iniziare un percorso di discussione, io credo appunto che in Pasolini ci sia sicuramente questa idea del non finito o comunque di qualcosa che va integrato, di un confronto-scontro con il lettore al quale viene richiesto di partecipare. Però è anche vero che questo non è forse l’unica dimensione, l’unica cifra significativa di Pasolini, ma è qualcosa che Pasolini scopre nell’ultimo periodo cioè dopo l’abbandono della letteratura come strumento di lotta legata alle esigenze della dimensione politica, della grande discussione. Insomma non si capisce, a mio avviso, “Una vita violenta” se non si tiene presente la discussione sul contemporaneo e sul Metello di Pratolini, insomma il dibattito sulla letteratura neorealistica. Quindi da un lato c’è una modalità di operazione narrativa da parte di Pasolini che trova un muro, cioè si scontra contro la difficoltà di una totalizzazione dell’opera letteraria; dall’altro c’è la scoperta, non tanto la scoperta quanto l’utilizzazione del cinema come continuazione della dimensione narrativa, lo scrivere appunto con un’altra lingua, ma continuare lo stesso progetto, lo stesso processo.

E’ inevitabile poi che utilizzando gli strumenti, l’arma propria del cinema, Pasolini integri questa sua scoperta anche dal versante narrativo e dal versante poetico. Per cui il cinema va a costituire un linguaggio, una sorta di lingua speciale che si fa però progetto globale all’interno dell’opera di Pasolini. Cioè il cinema serve per compensare, per superare l’impasse del romanzo visto l’insuccesso diciamo così da un punto di vista letterario di “Una vita violenta”; dall’altro è il cinema che poi viene utilizzato, viene riverberato sulle altre forme espressive e quindi diventa uno strumento, una sorta di strumento principe per scrivere ancora poesia, per scrivere ancora narrativa, per arrivare ad un livello di determinazione della scrittura stessa che vada oltre il grado zero della scrittura, per citare il Barth a cui si alludeva, che sicuramente è uno dei punti di riferimento forti di Pasolini, ma come sempre in Pasolini anche come punto di riferimento critico, cioè c’è una adesione, ma anche una critica. Lo stesso direi insieme a Bazen un altro grande punto di riferimento dal punto di vista cinematografico di analisi della lingua del cinema è Godard, che Pasolini pubblica in quella stessa collana insieme a Bazen. Grazie. >>

IL CORAGGIO CHE NON C’E’ – made in Prato (e…non solo)

IL CORAGGIO CHE NON C’E’ – made in Prato (e…non solo)

Dal 1982 abito e risiedo a Prato. E sono testimone di una parte della “storia” di questa città, avendo agito nel sociale, nel culturale, nel politico ed essendo stato, per ragioni professionali, impegnato nell’insegnamento come docente, la qual cosa mi ha consentito di conoscere migliaia di persone – e di essere da loro conosciuto. Ho attraversato le vicende che hanno coinvolto molte generazioni. Ho condiviso passioni giovanili, quasi sempre suddivise tra empiti utopici e cocenti disillusioni. Negli ultimi anni ho privilegiato percorsi pragmatici alla ricerca di una unità della Sinistra oltre il Partito Democratico. Operazione difficile ma affascinante e piena stracolma di significati; abbiamo in pochi cercato di dare un senso al nostro impegno. Forse non è stata resa esplicita nel modo necessario; di certo non è stata compresa a pieno. Esistono documenti da consultare, revisionare se si ritiene opportuno, rilanciare. Nel frattempo, “made in Prato”, la deriva di quella parte della società che fa riferimento in modo diretto al Partito Democratico ha proseguito nel suo corso, rivelando le immense ambiguità con le quali deve fare i conti, incapace di scrollarsele e definire in modo diverso il suo percorso. In soldoni, non si può pensare di governare una forza politica appesantendola con una serie di patteggiamenti e compromessi, collegati al desiderio prioritario di mantenere le leve del Potere locale, come se i tempi non avessero fornito indicazioni diverse. Lo si è continuato a fare nel corso delle alterne scelte congressuali come se niente fosse accaduto. Ovviamente solo chi è all’interno del recinto stretto del Partito, un numero ridotto, sempre più, di attivisti, può – anche se in parte – comprendere (senza necessariamente condividerle) queste riflessioni. Tutto il resto della società – in una città non piccola del Centro Italia – è stata esclusa, anno dopo anno – giorno dopo giorno – dalla “partecipazione”: chiuse le sedi e le strutture democratiche circoscrizionali, si è proceduto anche a ridurre i luoghi della discussione, come i Circoli. Questo aspetto ha lasciato dei vuoti sui territori, riducendo in modo netto il numero delle persone, che a questo punto sono dei veri e propri “privilegiati”, che possono interloquire con il Partito e con l’Amministrazione. Ovviamente la quantità non si combina facilmente con la qualità.

E’ chiaro che alcune scelte, quelle più importanti, come le candidature per le elezioni politiche del prossimo 25 settembre, non necessitano – purtroppo – di un coinvolgimento massiccio (soprattutto in una situazione emergenziale come quella che stiamo subendo da circa due anni e mezzo) della base: la stessa scelta delle “Primarie” non poteva essere espletata, dato i tempi molto stretti e questo impasse è apparso provvidenziale per l’ “apparato”. Ciononostante, molti aspetti della vicenda connessa a quelle “non” scelte andranno sviscerati.

IL CORAGGIO CHE NON C’E’…

Il coraggio che non c’è…

Di fronte a quelli che sono ormai riconoscibili come bisogni prioritari per poter affrontare la sfida del futuro (lotta alle disuguaglianze – in senso ampio; lo sviluppo delle energie alternative) occorre che la Sinistra abbia un comune programma politico. Invece ci si ferma alle affermazioni generiche e di principio e non si procede oltre. Non si producono elaborazioni se non quelle prevalentemente teoriche per le quali non è previsto alcuno sbocco pratico. Ovviamente quando dico “Sinistra” ci metto dentro sia quelli che si avvalgono di questa etichetta basandosi su una “storia” ormai lontana (il PCI), dalle cui fondamenta si sono progressivamente allontanati (questo è il caso del PD); sia tutti quelli che a quella “storia” in diverso modo continuano a riferirsi, distinguendosi in mille rivoli dogmatici. Accanto ai “primi” ci sono una serie di “cespugli” poco più che autoreferenziali, che si pongono quali interpreti degli interessi di parti relativamente forti, che davvero ben poco hanno a che vedere con quelli che dovrebbero essere posti a difesa delle parti, peraltro maggioritarie, prevalentemente bisognose di attenzioni concrete non provvisorie e caritatevoli. I “secondi” (la Sinistra nuda e pura) riescono ad andare poco oltre le affermazioni di principio, forse allo scopo di non perdere le loro connotazioni, ma facendo così in modo da non essere (non solo “apparire”) concreti.

Di fronte a queste “diversificazioni” si crea confusione e una parte dell’elettorato potenzialmente collegabile specificatamente a quegli ambiti finisce per essere attratto dalle Destre o si rifugia nella disperazione dell’astensionismo.

UN POST LUNGO PER RECUPERARE UNA DOCUMENTAZIONE SU UN PROGETTO COMPLESSO DI EDUCAZIONE DEGLI ADULTI REALIZZATO A PRATO NEGLI ANNI OTTANTA

UN POST LUNGO PER RECUPERARE UNA DOCUMENTAZIONE SU UN PROGETTO COMPLESSO DI EDUCAZIONE DEGLI ADULTI REALIZZATO A PRATO NEGLI ANNI OTTANTA

UN POST lungo per recuperare una documentazione su un Progetto complesso di Educazione degli Adulti realizzato a Prato negli anni Ottanta

Nei prossimi giorni proseguirò con blocchi ridotti di circa 500 lettere a recuperare tutto il mio intervento il cui titolo era “Nuove tecnologie…verso il 2000”

Su questo Blog in un mio post del 31 ottobre u.s. http://www.maddaluno.eu/?p=10467 proseguendo a parlare di alcune iniziative svolte a Feltre nel 1982 annunciavo come operatore del Circolo di Cultura Cinematografica “La Grande Bouffe”

“……..nostre iniziative future, ad esempio quella che interesserà particolarmente il mondo della scuola e l’uso corretto didattico dei mezzi audiovisivi, che in dettaglio presenteremo al Provveditore agli Studi di Belluno, all’ IRRSAE, al Consiglio Scolastico Distrettuale n.4, ai Direttori Didattici ed ai Presidi. La necessità di un approfondimento di studio su questi temi è tanta ed è comprovata da una parte dall’importanza che hanno assunto, e vanno assumendo sempre di più, i mezzi audiovisivi, dall’altra dall’imperizia della maggior parte degli operatori scolastici nell’essere in grado di adoperare correttamente tutta la più o meno complessa serie di attrezzature che, pur acquisite dai singoli Istituti, giacciono molto spesso inutilizzate negli sgabuzzini e nei sottoscala delle varie scuole.“
E poi con una nota a piè di pagina scrivevo

“nda: Nei mesi successivi mia moglie ebbe il trasferimento a Prato ed io la seguii con un’assegnazione provvisoria a Empoli. E tra Prato ed Empoli iniziarono altre storie.”

Ecco, dunque alcune delle altre storie.

A Prato nel 1988 seguendo quelli che erano i miei specifici intreressi, all’interno dei quali sviluppavo competenze, ho potuto portare il mio contributo ad un Seminario internazionale promosso dal Comune di Prato, dall’Università degli Studi di Firenze, dall’Istituto di Pedagogia con il patrocinio della Comunità Economica Europea, del Ministero della pubblica Istruzione, dalla Direzione generale degli scambi culturali, dall’Associazione Intercomunale Area Pratese. Il seminario si svolse dal 18 al 22 maggio.
Durante il periodo “feltrino” ero stato protagonista della “stagione” delle 150 ore e contemporaneamente avevo costruito progetti e iniziative culturali cinematografiche sempre tenendo presente la funzione didattica dei mezzi audiovisivi. A Prato avevo partecipato da protagonista alla fondazione del Terminale e proseguivo la mia attività nel mondo degli audiovisivi utilizzati come strumenti culturali. Prato, attraverso la grande attenzione civile e sociale, tesa al recupero delle conoscenze disperse in tempi nei quali il lavoro portava via dal mondo dell’istruzione molti giovani prima che avessero concluso il ciclo di studi, aveva avviato, già da alcuni anni, percorsi di rialfabetizzazione rivolti agli adulti, grazie alla sensibilità di una classe dirigente politica ed amministrativa di altissimo livello (Liliana Rossi, Anna Fondi, Ivana Marcocci, Eliana Monarca, Massimo Bellandi sono solo alcuni dei nomi di amministratori, quasi tutti da me incontrati in quegli anni). La collaborazione con l’Università, in particolar modo con Francesco Maria De Santis, Paolo Federighi e Paolo Orefice era stata preziosissima ed aveva prodotto grandi risultati ed aspettative.
Anche per fermare lo “stato delle cose” e stimolare il processo si svolse dunque il Seminario “Strategie per uno sviluppo generale dell’educazione degli adulti. Verso un 2000 educativo” al quale ebbi la fortuna e l’onore di partecipare con un mio specifico intervento dal titolo “Nuove tecnologie…verso il 2000” all’nterno della Sezione che si occupava di “Nuove tecnologie audiovisive e sviluppo dell’educazione degli adulti”.
Nel prossimo post riporterò alcune parti della Presentazione curata dal prof. Paolo Federighi e dell’Introduzione del prof. Filippo Maria De Santis.

….1……

Come annunciavo nel post del 7 novembre nell’impostare un discorso intorno alla necessità di strutturare un nuovo Progetto di Educazione degli Adulti farò riferimento agli Atti del Seminario “Strategie per uno sviluppo generale dell’educazione degli adulti. Verso un 2000 educativo” svoltosi a Prato nel maggio del 1988. Pubblicherò poi il mio intervento e vi farò seguire un’idea sui bisogni consapevoli e/o inconsapevoli dei cittadini, sia quelli che da generazioni vivono questi territori sia quelli che invece vi sono da pochi anni, sia appartenenti alla nazionalità italiana sia a quelle non italiane, ma che comunque abbiano bisogno di approfondire la conoscenza della lingua e delle storie, offrendo innanzitutto in cambio le loro specifiche conoscenze mettendole insieme nello stesso comune crogiolo inter-multiculturale.

Dalla presentazione del prof. Federighi:

“…..A partire dal 1986, a Prato si è dato vita ad un controllato processo di costruzione di un sistema urbano di educazione degli adulti che, oggi, ha oramai superato il primo quinquennio di attuazioni. La ricerca, impostata da De Sanctis assieme ai suoi collaboratori ed a Massimo Bellandi e Doriano Cirri, prospetta obiettivi e tappe di attuazione che giungono fino all’anno 2000. Oggi, a sei anni dal suo inizio, dopo aver percorso le prime fasi del suo processo di attuazione alcune risposte alle principali questioni fondanti la ricerca sono state date.
Realizzando attività educative organizzate per oltre mille cittadini ogni anno – per la maggior parte nel campo dell’educazione formale – sono state messe a fuoco le ragioni che finora hanno impedito o non hanno lasciato emergere le aspirazioni dei cittadini verso uno sviluppo intellettuale generale.
A partire dal ruolo di programmazione e di diretto rapporto con i problemi della gente, di gestione di servizi comuni ai diversi agenti educativi locali, si è definito, sia sul piano teorico che pratico, il ruolo di un Comune rispetto alle aspirazioni educative dei propri abitanti. Si è precisato come sia possibile dare inizio ad un processo formativo nel campo dell’educazione degli adulti a partire dal Comune. Ciò sia nella prospettiva di una ripartizione di competenze con le amministrazioni pubbliche sovraordinate, che nella possibile loro latitanza. Nello stesso tempo, praticando il superamento della contrapposizione tra accentramento e decentramento, tendendo a far assumere a ciascuno le proprie competenze – dai consigli di circoscrizione agli organismi nazionali ed internazionali – si è riusciti a raggiungere obiettivi sociali più avanzati……Il seminario – progettato e organizzato con Filippo M. De Sanctis, Doriano Cirri e Manuela Borchi – fu dedicato, come ricorda De Sanctis nell’Introduzione qui pubblicata, a Nabila Breir, educatrice degli adulti, che con noi aveva cooperato per la creazione dell’Associazione Mediterranea di Educazione degli Adulti, uccisa a Beirut.”

In relazione a questa dedica riporto il paragrafo conclusivo dell’Introduzione del prof. De Sanctis qui sopra richiamata. Il suo titolo assume un profondo ed inequivocabile significato: non c’è Cultura senza la Pace. E la Pace ha inizio e completamento all’interno delle Conoscenze e delle Culture.

E’ il paragrafo cinque, quello conclusivo dal titolo “A dedication for peace“

In the name of the Mediterranean Adult Education Association, I wish to ask participants to dedicate this seminar to the name of Nabila Breir. Nabila was an Arabian colleague who on the 18th of December, 1986, in Beirut, on his way to work, was barbarously assassinated. I met Nabila in Paris during the last assembly of UNESCO. On that occasion he worked towards establishing on behalf of the Association relations between Arabs and Israelis. Together we thought that neither yesterday’s or today’s conflicts should prevent us from working towards peace for tomorrow. The International Council for Adult Education has created a prize dedicated to the memory pf Nabila Breir. We invite you to join us in this enterprise.

una documentazione su un Progetto complesso di Educazione degli Adulti realizzato a Prato negli anni Ottanta -parte 3 (vedi post del 12 gennaio u.s.)

Il 3 ottobre dello scorso anno (1987), si è svolto a Prato un Convegno sulle nuove tecnologie in rapporto ai processi didattico-educativi, ma senza tener in alcun conto il settore dell’educazione degli adulti. Pur tuttavia sono anch’io (organizzatore di quel Convegno) dell’opinione che quest’ultimo settore non possa essere scisso dalla problematica didattica complessiva e che la creazione di uno scambio permanente delle reciproche esperienze possa servire anche ai settori primari e secondari dell’istruzione, addirittura in misura maggiore che allo stesso ristretto settore dell’educazione degli adulti; per questo ritengo che i presupposti e gli esiti di quel Convegno possano essere utilissimi per una riflessione che riguardi l’educazione nel suo complesso, anche per quel concerne più da vicino le problematiche educative connesse alle arti e allo spettacolo.
L’apprendimento e l’uso delle nuove tecnologie avviene ancora oggi all’interno di due canali che in nessun modo però dovrebbero essere separati: la fruizione “attiva” e la produzione diretta. Il primo è rivolto a tutte le sfere ed i settori educativi e riguarda la visione di materiali già prodotti: questo non può essere considerato, come ancora troppo spesso accade, un facile e comodo dolce diversivo rispetto alla lezione orale e, se non vuole proprio essere un’integrazione ad essa, deve essere sempre sostenuta (la fruizione attiva) da una scheda programmatica non solo contenutistica ma anche tecnica. E’ a questo tipo di lavoro cui mi riferisco quando parlo di una nuova professionalità dell’insegnante (vedi introduzione nel post del 12 gennaio 2020). In questo primo canale possono essere utilmente comprese anche la registrazione in video delle lezioni cattedratiche o meno che i docenti di norma debbono svolgere; questo aspetto prelude al secondo canale, che va riferito alla possibilità di utilizzare praticamente le conoscenze tecniche e teoriche sulla realizzazione di prodotti audiovisivi: se l’intervento primario sarà svolto in modo coinvolgente e seguito con attenzione gli allievi potranno cimentarsi nella scrittura e nella messa in opera di uno o più audiovisivi, la cui valenza sarà chiaramente di tipo educativo. Non si pensa affatto di far diventare gli studenti tutti operatori e tecnici cinetelevisivi, ma l’obiettivo rimane quello educativo riferito alla conoscenza approfondita delle nuove tecnologie e del loro uso più appropriato per narrare in modo diverso i propri mondi. E’ evidente che un progetto “particolare” riservato all’apprendimento delle nuove tecnologie trova qualche difficoltà e resistenza ad essere inserito nella scuola, dove esistono programmi, in qualche caso “ferrei” a favore dei quali soprattutto le vecchie guardie tra i docenti oppongono nella loro difesa strenua resistenza; ma parlando di “educazione degli adulti” mi torna facile prospettare per questo settore la realizzazione di un Laboratorio dell’Immagine, costruito tenendo conto del palinsesto di quello creato per gli allievi della scuola media superiore ed orientato, come quello, a misura dei fruitori “adulti”. L’esperienza di cui parlo è ancora in corso e risente delle problematiche di cui sopra, anche se la risposta a tale proposta è stata, e continua ad essere, molto elevata sia da parte dei docenti che degli studenti che vi hanno aderito. Questo va detto allo scopo di evitare sia i facili ottimismi sia l’altrettanto generico pessimismo: proprio in qualità di coordinatore di quel laboratorio l’idea di un suo sviluppo rivolto agli adulti mi stimola molto, mi interessa.

….3…..

una documentazione su un Progetto complesso di Educazione degli Adulti realizzato a Prato negli anni Ottanta -parte 4 (vedi post del 12 e 15 gennaio u.s)

Sono a ricordarvi che il documento, contenuto nel volume “Strategie per uno sviluppo generale dell’educazione degli adulti – Verso un 2000 educativo” è stato pubblicato nel 1990 per conto del Comune di Prato ed è riferito ad un seminario che si svolse in quella città dal 18 al 22 maggio 1988. E’ molto importante rammentarlo perché si comprendono alcuni tratti del mio intervento: siamo in un periodo nel quale utilizzavamo cineproiettori con pellicole 16mm e videocassette VHS. Per produrre si utilizzavano le U-matic e Betamax. Il computer aveva un uso pressochè esclusivamente amministrativo: serviva ai docenti per sostituire la macchina da scrivere.

4.

Oggi (1988), fra le altre opportunità, abbiamo anche un nuovo organismo che raccoglie operatori ed esperti del settore videocinematografico indipendente: si tratta dell’Associazione Film Video Makers, la cui presenza a Prato potrebbe essere importante all’interno della costruzione e realizzazione di un progetto di attività didattico-educativa che possa coinvolgere la più ampia gamma di presenze sociali: infatti ritengo che il ruolo delle Associazioni nell’ambito ricreativo culturale sia determinante se è qualificato il loro intervento, se esso è pienamente rispondente da una parte di una competenza accertata di settore, dall’altra a una effettiva – non importa se minima – richiesta di base. Troppo spesso si è verificato diversamente che interventi, anche dispendiosi, non fossero tutelati da questa doppia garanzia: e questo non dovrebbe assolutamente accadere! Altrettanto frequentemente non ci si è preoccupati di costruire interventi che andassero al di là della mera sussistenza provvisoria, allestiti più per ottenere contributi che per vero e proprio interesse con il risultato che, prima di nascere, erano già morti. Sono queste le linee d’intervento culturale che dovrebbero divenire fondamentali per tutti gli Enti pubblici. Il Comune di Prato, così come tanti altri Comuni, appare come uno dei sostenitori di questa linea di intervento culturale, anche se obiettivamente non è sempre facile tenervi fede, con una serie di iniziative che cercano di lasciare il segno e che, anche se non producono ricchezza economica, producono un arricchimento culturale. Fra queste vanno incluse quelle relative all’educazione degli adulti, il cui meccanismo assicura la piena rispondenza fra progetto e realizzazione pratica di esso.
Ritornando alle nuove tecnologie, relativamente alla loro introduzione ed uso all’interno dell’ordinamento scolastico, si deve affermare che siamo ancora all’anno “zero”. Intorno a noi si parla di telematica, di trasmissioni televisive senza frontiere, di strumentazioni e progetti sofisticatissimi, ma la cultura su cui si formano i nostri allievi, giovani o adulti, è ancora fortemente collegata al “libro di testo”: c’è dunque una “forbice” sempre più divaricata fra la società reale ed il sistema educativo ufficiale. Si aggiunga che nella scuola vige una situazione di forte incertezza, di elevata ambiguità e che le resistenze al “nuovo” sono molto spesso ammantate con alibi rivoluzionari “anti-istituzionali” chiaramente mistificatori. Mi spiego meglio: nella scuola è sempre più frequente l’uso “ludico” degli audiovisivi, pur essendo esso inserito all’interno di una programmazione didattica dei docenti; gli allievi vengono lasciati alla mercé del mezzo, oserei dire “parcheggiati” di fronte al monitor o al telone senza alcuna preparazione né a monte né a valle e solo in alcuni casi la “propedeucità” si basa su forme esclusivamente contenutistiche, anche perché – vale la pena sottolinearlo – i docenti sono complessivamente impreparati a percorrere strade di lettura più appropriata ed approfondita sul piano tecnico-formale. Non è che i docenti siano convinti che quel tipo di approccio vada bene, è semplicemente che si adagiano, scaricando poi la loro inevitabile frustrazione sull’istituzione, sulle problematiche dell’aggiornamento, sui regolamenti interni degli istituti, su tutto quello che giuridicamente sovrintende al funzionamento della scuola.

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una documentazione su un Progetto complesso di Educazione degli Adulti realizzato a Prato negli anni Ottanta -parte 5 (vedi post del 12, 15 e 17 gennaio u.s)

5.
Detto ciò, sembra quasi che io voglia far cambiare il titolo di questo Seminario, trasformandolo in “Verso un 2000…diseducativo”: credo invece che é proprio il rischio di avviarsi seriamente, almeno per quel che concerne il nostro Paese, verso una situazione sempre più difficile, verso un mondo di analfabeti di ritorno, verso una realtà scolastica sempre più lontana da quella tecnologica, ancora troppo elitaria, a sollecitare nel Comune di Prato, nella CEE e nell’Università degli Studi di Firenze, la necessità di una verifica con questo dibattito, con questo Seminario.
Il tema principale su cui si discute è l’educazione degli adulti, ma mi sia permessa una riflessione che non deve essere considerata una digressione: la mia esperienza di educatore dei giovani nella scuola media superiore mi fa consapevole delle forti carenze esistenti nell’ordinamento scolastico – soprattutto nei “curricola” e nei “programmi” – che definirò “normale”; questa consapevolezza deve essere utilizzata per evitare nel limite delle umane possibilità gli stessi errori nell’elaborazione di progetti che riguardano l’educazione degli adulti, far riflettere ancora una volta di più sulla situazione generale della cultura e dell’apprendimento, porre a fuoco proprio le ambiguità, le contraddizioni, l’arretratezza del sistema educativo e far diventare quindi l’educazione degli adulti la palestra per il rinnovamento generale dello stesso (il sistema educativo).
In effetti oggi nella scuola “normale” avvertiamo sempre maggiore la difficoltà di costruire un mondo a misura dei nostri giovani; questi sono destinati inevitabilmente – in questo tipo di ordinamento – a confrontarsi con la realtà concreta soltanto quando sono fuori dalla scuola e spesso ne sono estromessi drammaticamente o vi si immettono con difficoltà enormi, superando gli ostacoli a proprie spese, materiali e morali.
Rinnovare la scuola risulta essere un paradosso politico irrisolto oramai da alcuni decenni: i ragazzi studiano su programmi suggeriti in epoche lontane che si spera superate e dimenticate. Rinnovare la scuola in generale, adeguarla alle nuove tecnologie, formare il personale significa dare il via ad investimenti che solo apparentemente sono improduttivi: il guaio è che in Italia non esiste una seria programmazione che leghi il settore dell’istruzione a tutti gli altri e che, ad un settore pubblico sempre più in disfacimento, dilaniato da questioni sociali ed economiche, si contrappone un settore privato che da solo, in autonomia, costruisce i propri quadri, li prepara, li stimola, li incentiva.
In questa realtà così deprimente l’educazione riservata agli adulti organizzata dagli Enti Locali, pur non essendo la panacea di tutti i mali sopra descritti, risulta essere una sana boccata d’ossigeno, anche se investe (andando molto al di là di esse) solo alcune discipline scolastiche curricolari, anche se è orientata ad una preparazione con obiettivi ridotti ma non per questo meno importanti ed interessanti.

….5…

Il Seminario si svolse dal 18 al 22 maggio 1988 nei locali della Biblioteca Roncioniana di Prato

una documentazione su un Progetto complesso di Educazione degli Adulti realizzato a Prato negli anni Ottanta -parte 6 ed ultima (vedi post del 12, 15, 17 e 19 gennaio u.s)

L’ uso delle nuove tecnologie deve penetrare, a mio parere, integralmente dentro i progetti di “educazione degli adulti”: il largo uso che nella società si va facendo (a proposito ed a sproposito, in positivo e in negativo) della cultura dei mezzi di comunicazione di massa deve essere correttamente riportato all’ interno della programmazione educativa riservata agli adulti. Questo soprattutto allo scopo di rendere più agile ed usufruibile l’ apprendimento: ad esempio vanno considerati i turni di lavoro ed i ritmi della vita moderna che non sempre permettono di seguire i corsi con assiduità e che risultano sovente essere il motivo predominante di rinuncia da parte degli adulti occupati. Questa flessibilità può essere ottenuta con le nuove tecnologie, sia attraverso l’ uso di materiale già preparato ed usufruibile direttamente, sia attraverso le riprese in video delle lezioni così dette cattedratiche, ma anche con la costruzione di lezioni preregistrate o la progettazione di interventi specifici sull’immagine che preveda di passare attraverso tutte le fasi per la realizzazione di filmati di vario genere. Tutto questo permetterebbe agevolmente ai frequentatori dei corsi di poter usufruire degli interventi culturali nel settore da loro scelto anche ventiquattro ore su ventiquattro: è chiaro che occorre strutturare diversamente tutti i corsi e che si rende necessario un periodo di sperimentazione che preluda alla costruzione anche di una Banca Comunale (o Intercomunale) degli audiovisivi culturali, didattici e di servizio, la quale deve essere a disposizione degli utenti, la caratteristica dei quali dovrà essere meglio delineata, per il prestito o l’ utilizzazione in loco del materiale audiovisivo. Risulta altresì importante, soprattutto per gli adulti, il poter disporre di tecnologie avanzate e di materiale meno dispersivo possibile, come spesso accade con i libri di testo, il poter scegliere sempre e comunque su ampi, molteplici e diversi percorsi per l’ ampliamento e l’affinamento della propria cultura.
Per un intervento di tale portata sono disponibile sia personalmente sia a nome dell’Associazione che rappresento a rimboccarmi le maniche, ad operare praticamente. Alcuni sono abili teorizzatori ma preferiscono non cimentarsi, attendendo gli errori dei più coraggiosi molto spesso per denigrarli, per mortificarli: scusate se considero me stesso ed i miei amici dei coraggiosi ma di certo ci vogliono caparbietà ed ostinazione per ottenere gli obiettivi che ci si prefigge.
Oggi occorre anche che chi possiede i mezzi economici, chi controlla i processi produttivi a tutti i livelli, chi detiene e gestisce il potere politico, chi istituzionalmente possiede le tecnologie vecchie e nuove e si va ponendo quale interlocutore privilegiato per le nuovissime, a partire da chi ha organizzato questo Seminario, chi vi partecipa non negando di certo belle frasi di apprezzamento, asserzioni convinte e pareri positivamente concordi con l’ampliamento di questo settore dell’ educazione, siano tutti poi coerentemente disposti a mettere in pratica tutto quel che di positivo sarà qui emerso. Diversamente queste giornate, questi incontri, questi discorsi rimarrebbero un vuoto esercizio retorico, così come ce ne sono stati tanti altri, si aggiungerebbero, questi, agli altri dispendi inutili di risorse pubbliche: ed anche questo nostro sincero desiderio di impegno sarebbe reso vano ed in ultima analisi risulterebbe fortemente frustrante, con il risultato che un progetto che tende al futuro finirebbe con il provocare un forte arretramento o un blocco dei processi tecnologici applicati al settore educativo e didattico, ed in particolare a quello degli adulti.

Joshua Madalon

Un’involuzione involuta a forma di spirale (per capirci un po’) solo un’introduzione

Un’involuzione involuta a forma di spirale (per capirci un po’)

Era attesa. La linea di deriva autolesiva ha preso decisamente forma davanti agli occhi della società. L’errore fondamentale era insito nel suo stesso DNA, anche se probabilmente era costitutivo ma non è stato in grado di corrispondere coerentemente poi alle modifiche delle condizioni politiche e sociali in cui il Movimento 5 Stelle si è imbattuto per propria scelta nel corso di questo quinquennio. Era del tutto inevitabile: se “partecipare” ad una contesa elettorale ha naturalmente come obiettivo l’ottenimento di consensi ciò produce – tra le variabili – anche la possibilità di vittoria, pur se si trattasse di maggioranze relative oltremodo significative, come quella del 2018 (32,68%).

Il M5S era del tutto impreparato a sostenere il nuovo ruolo, così rapidamente conquistato; solo i suoi sostenitori esultarono, in modo particolare tutta la parte della società che sognava rivincite contro le ingiustizie sempre più diffuse, sempre più nel corso degli anni trascurate dalla Politica delle forze governative (in modo particolare quelle della Sinistra, cui tradizionalmente si guarda, come difenditrice degli interessi dei più deboli).    Non era facile (non lo sarebbe stato per chicchessia) cambiare immediatamente strategia; nè tanto meno “tattica”, anche se non essendo possibile governare un Paese con una minoranza pur se considerevole, era proprio necessario attivare un processo di trasformazione repentina. La fretta non può essere buona consigliera, a meno che non ci si infili in una spirale tirannica, per attivare la quale, però, non si può parimenti agire all’impronta: occorre una preparazione accuratamente disposta in anticipo.

Per governare dunque c’era bisogno di accordi e questo contraddiceva nel profondo l’essenza del Movimento.

FUOCHI – UN PERCORSO NELLA MEMORIA 

FUOCHI – UN PERCORSO NELLA MEMORIA

Prima di arrivare al sentiero che conduce verso Punta Serra c’è una strada sterrata abbastanza larga per consentire il passaggio di piccoli veicoli agricoli ad uso dei parulani della zona; è una strada solitamente molto polverosa d’estate che sbuca su un costone roccioso tufaceo dal quale vi è una delle più belle vedute dell’isola d’Ischia. E’ alto un settanta metri sulla spiaggia di Ciraccio che poi continua, interrotta parzialmente da una propaggine prospiciente, che quando ero ragazzo ricordo che si attraversava da un’ampia cavità interna (oggi credo sia parzialmente crollata e che abbia lasciato una sorta di faraglione), verso la spiaggia della Chiaiolella. Sullo sfondo poi l’Isola di Vivara collegata da un ponte in ferro e muratura. Da ragazzo a volte anche insieme ai cugini, in un primo tempo accompagnati dai nostri genitori e successivamente da soli ed in buona compagnia, scendevamo dalla costa attraverso sentieri comodi prodotti dai pescatori del luogo che da lì raggiungevano la spiaggia per salpare con le loro imbarcazioni, custodite in rimessaggi scavati nel tufo. Alcuni di questi ricoveri oggi sono stati bloccati da crolli delle pareti rocciose, così come i sentieri non sono più agili e percorribili senza rischiare di caracollare e sfracellarsi.
Ma il luogo è sede di ricordi indelebili di grandi amicizie: arrivati sul bordo del costone c’è un sentiero aperto prima di girare a destra per inoltrarsi verso Punta Serra e c’è una sorta di palcoscenico naturale che consente a chi si siede di avere anche le spalle coperte da un blocco per cui ci si sta davvero comodi ad apprezzare il panorama del mare di giorno e di notte. E noi andavamo spesso là, così come credo abbiano fatto i nostri parenti più anziani quando erano giovani e quando non erano condizionati da eventi drammatici come quello delle guerre. Era un luogo classico per gli innamorati: si poteva stare da soli come coppie ma anche in compagnia e potevano nascere storie come quelle di grandi amici miei. Ho sempre immaginato che anche mia madre e mio padre ci fossero stati! D’estate era d’obbligo in alcune serate andarci: il 10 agosto soprattutto in un cielo limpido e senza luna ci si stendeva e si attendevano gli scrosci di stelle cadenti per formulare i nostri desideri, mentre le luci dell’isola di Ischia, Ischia Porto e Casamicciola, si riflettevano sul mare ad un tiro di schioppo a poche miglia di distanza. Quella notte c’era tanta gente, era una tradizione andare da quella parte, anche perché già negli anni Sessanta del XX secolo, era meno presente quello che abbiamo poi imparato a conoscere come “inquinamento luminoso”. Di là c’erano le città, di qua il mare e l’Isola d’ Ischia che, pur essendo già un luogo molto frequentato dal turismo di qualità, era pur sempre un’isola. Procida era poi la più piccola, la più umile e modesta, anche se la più popolosa per densità; ma ancora agli inizi degli anni Sessanta alcune frazioni non erano state raggiunte dall’elettricità.

Sistemavamo i plaids sull’erba e sulla non troppo alta dorsale di terriccio e ci si appoggiava a mo’ di poltrona che “allora” con i nostri venti anni non ci sarebbe mai potuto apparire scomoda. Laddove la compagnia era dolce ci si accostava delicatamente e ci si teneva per mano, fingendo di non trovare motivo alcuno di attrazione con gli occhi rivolti al di là del mare ed il cuore e la mente che correvano l’uno incontro all’altra. Su quel costone ci si andava di notte, durante la settimana quando gli impegni mondani nei locali dove ci si scatenava ballando ci permettevano di organizzarci più liberamente ed in modo più o meno segreto ed appartato. Più o meno perché eravamo un gruppo ridotto e non praticavamo grandi compagnie: i locali dove si ballava erano quasi sempre aperti a tutti, avevi solo l’obbligo della consumazione e quello di essere cortese e generoso con le ragazze; non somigliavano affatto ai night degli anni successivi, quasi sempre si affacciavano su panoramiche terrazze, come l’”Eldorado” e lì poi ci suonava un gruppo di amici, i “Sailors”, con i quali mi incontravo quando preparavano i loro pezzi e ricordo che provai anche con scarso successo ad inserirmi come “vocalist”.
In quel periodo le vacanze duravano molto più a lungo; si ritornava a scuola ai primi di ottobre e settembre era un mese ottimo per prolungare le nostre storie, anche se alcune continuavano, altre si interrompevano; c’erano i forestieri che avendo affittato appartamenti per il mese di agosto lasciavano l’isola ai primi giorni di settembre e, di norma, anche le relazioni costruite in quei contesti finivano con la promessa di rivedersi al più tardi l’anno successivo. Erano gli amori “estivi”; poi si ritornava alla vita normale e si riallacciavano eventualmente le relazioni locali, laddove non fossero state interrotte in modo tempestoso.
Ai primi di settembre poi a Ischia ponte, che è quella parte dell’Isola che sta tra il porto ed il castello Aragonese, si ricorda il santo patrono, San Giovan Giuseppe della Croce e da bambino in qualche occasione ho partecipato direttamente a quei festeggiamenti andandoci con delle barche a motore dei cugini di mia madre; c’è sempre stato un buon rapporto di vicinato con la sorella maggiore tra Procida la più piccola ed Ischia la più grande delle isole campane. E così nell’andare avanti con gli anni e con gli interessi diversi si privilegiava l’aspetto profano rispetto a quello religioso; non è certamente solo quest’ultimo a spingere i fedeli, in quanto si approfittava dell’aria di “festa” anche per la parte ludica e quella eno-gastronomica con prevalenza della prima sulla seconda.
Il clou dei festeggiamenti è lo spettacolo pirotecnico che si è sempre caratterizzato per la sua straordinaria ricchezza di colori e per la partecipazione di grandi maestri di quell’arte.
Dal costone quei fuochi erano un degno finale di stagione per tutti noi.

Sull’isola, la più minuta ed umile delle Campane, molti sono i luoghi di culto, a partire da quella dedicata a San Michele Arcangelo. A me cara fu quella della Ss. Annunziata- Madonna della Libera vicina all’abitazione di una delle mie zie dove negli anni Sessanta arrivò uno di quei preti giovanili che utilizzavano l’oratorio sullo stile di Giovanni Bosco ed apparivano trasgressivi agli occhi dei bigotti ortodossi. La sua era una modalità coinvolgente ed aveva costruito un gruppo di giovani che preparava eventi amatoriali che riuscivano ad intrattenere i parrocchiani nei pomeriggi del fine settimana, quando anche io li trascorrevo in quei luoghi. Tra i tanti luoghi di culto ricordo la Chiesa di S.Antonio Abate (“Sant’Antuono” per distinguerlo da quella di S.Antonio da Padova non molto distante) dove le mie zie signorine già attempate mi portavano in alcune sere a seguire le loro giaculatorie nel periodo delle Quarantore o in particolari periodi per la recita del Rosario. Non erano frequenti e la mia attenzione era già allora di tipo antroposociologico ed osservavo con una certa attenzione la prossemica teatrale delle fedeli. Sin da bambino seguivo con grande partecipazione alcuni dei momenti parareligiosi, potrei dire popolari, che contornavano le ricorrenze: uno di questi era “’o fucarazzo”, cioè i fuochi di Sant’Antonio che non hanno nulla da spartire con la patologia dolorosa omonima.

Era (e dico “era” perchè non so se ancora oggi viene praticata questa usanza) un grande falò che veniva approntato nei giorni precedenti al 17 gennaio, giorno dedicato alla figura di Sant’Antonio Abate protettore degli animali (nella funzione religiosa del 17 gennaio i fedeli portano con sè i loro piccoli, medi ed a volte anche grandi, come cavalli e muli, animali per farli benedire). La tradizione del falò sembra collegarsi al ruolo che quel Santo avrebbe nel salvare gli uomini dalle fiamme dell’Inferno. Eppure dal punto di vista climatico quel giorno in ogni caso segna un punto centrale nel passaggio tra la parte più fredda dell’anno a quella più mite (siamo a metà inverno) e ci si prepara alle varie fasi dell’agricoltura dopo il riposo postautunnale. Davanti al fuoco c’è festa, allegria soprattutto per i giovani è un momento magico di ritrovo e di complicità; anche per me lo è stato come lo fu per le popolazioni primitive, i nostri antichissimi progenitori che con il fuoco impararono a costruire il loro futuro, allontanando i pericoli, rielaborando i cibi in modo più adatto alle loro esigenze e creando la comunità. Intorno al fuoco ci si riuniva anche nella intimità delle case non ancora dotate di forma alcuna di riscaldamento che non fosse fornito dai bracieri e la sera si narravano le storie, quelle personali fatte di ricordi elaborati e quelle tradizionali, sotto forma di favole che venivano tramandate da madre a madre. Intorno al fuoco.

Erano quasi le venti ed avevamo appena finito di cenare, Mary ed io con I bambini. Quella stessa sera eravamo tornati da Napoli dove avevamo avuto impegni di lavoro e di famiglia. I bambini erano rimasti con i nonni al mare e noi a scuola per gli Esami di Stato. Finiti quelli, avevamo programmato di tornare a casa, a Prato per una settimana e saremmo andati poi in vacanza per un altro paio di settimane sulla riviera romagnola.
Il viaggio di ritorno era stato come sempre snervante. I nonni facevano a gara per colmarci di cibarie tradizionali – il pane, la mozzarella, i pomodori buoni, il vino, l’olio – questi due ultimi dopo la nascita del secondo bimbo avevamo evitato per mancanza di spazio di portarli. I primi no, perché a Lavinia il “pane di Pozzuoli” piaceva da matti e per noi la “mozzarella di bufala campana” è ancora oggi il non plus ultra dei prodotti tipici. I pomodori, poi….erano quelli grandi e senza molti semi. Caricare la macchina era uno stress e lo è ancora oggi. E poi dover percorrere 500 chilometri non era poco, se per farne solo dieci ci si impiegava un’ora nel traffico intenso sulla Tangenziale, irta di pericoli che non ti aspettavi con autisti di Formula 1 su Alfette e 500 che zigzagavano a tutto gas, senza controlli e senza alcuna segnalazione. Mary era stanca e si insediò nello studio, lasciando tutte le finestre e le porte-finestre aperte e spalancate perchè passasse un po’ di aria fresca.
Avevo promesso ai bambini di portarli fuori: loro non erano stanchi, si erano svegliati tardi quella mattina e poi avevano dormicchiato per alcune ore durante il viaggio.
Lavinia si preparò più velocemente del solito, mentre per Daniele fu necessario il mio aiuto. Era già buio quando uscimmmo di casa. Io ero già cotto abbastanza ed avrei volentieri fatto a meno, ma ogni promessa, come si dice, è un debito. E così uscimmo. Malvolentieri allo stesso modo risalii in macchina, ne avrei fatto a meno ma non potevamo andare a piedi. Il luogo era un parco di medie dimensioni che durante l’estate veniva utilizzato per feste e fiere varie e quella era l’ultima sera della Festa de l’Unità. Parcheggiammo in uno spiazzo sterrato abbastanza sconnesso e polveroso; ci aiutò a cercare un posto in una marea di auto un ragazzo di colore che mi chiese un contributo. Poi come sempre accadeva c’era la forca dell’ingresso con la distribuzione delle coccarde a quel tempo ancora rosso fuoco, in cambio di un contributo a piacere, minimo 1000 lire però! L’ingresso era comunque quello secondario che portava ad un viale appartato dal resto della Festa, ma fummo tutti sorpresi dalle voci che sentivamo provenire dal pratone al di là delle alte siepi. Lavinia e Daniele saltellavano mentre ancora li tenevo per mano, timorosi di potersi smarrire tra la folla. Le voci indistinte e confuse ci arrivavano mentre i venditori degli stand che erano sistemati lungo il vialone principale invitavano gli astanti e i passanti ad assaggiare i loro prodotti o ad acquistare l’ultimo dei biglietti disponibili per il sorteggio che di lì a poco – dicevano – sarebbe avvenuto con l’utilizzo della ruota. Daniele era attratto dallo zucchero filato mentre Lavinia gradiva le schifezzuole gommose davvero disgustose.

Riprendo un racconto che avevo interrotto lo scorso 9 dicembre (parte 4) che era stato preceduto il 22 novembre dalla parte 3, l’ 8 di quello stesso mese per la parte 2 e per la prima parte il 5 novembre.
Il racconto partendo da eventi occasionali – esposti tuttavia in una parte introduttiva relativa ad una recensione datata 13 settembre 2014 che qui sotto riporto – si spinge poi nelle due parti conclusive (la quinta, questa!) e la sesta, che pubblicherò nei prossimi giorni, a rievocare una Festa de “l’Unità”, una delle tante, ora che sono diventate solo un ricordo!


FUOCHI di Joshua Madalon – Un preambolo (13 SETTEMBRE 2014)

I fuochi d’artificio non si guardano mai da soli; sin da bambini ci hanno abituati a goderli “insieme” agli altri. E ancora adesso che ho figli adulti quando mi capita di sentire scoppiettii mentre lavoro in casa nelle notti sempre più insonni li chiamo a raccolta per goderne gli effetti variopinti e fantasmagorici. Se devo andare con la memoria a dei “fuochi” particolari nella mia mente ce ne è uno che ha rappresentato l’arrivederci per un gruppo di amici che, dopo poco, si è distribuito su territori diversi per lavoro. Di qualcuno di questi ho il profondo rimpianto di non poterlo rivedere. Eravamo ventenni ed a fine Agosto a Procida sul costone del sentiero che porta a “Fore Serra” e che guarda dall’alto Ciraccio, Chiaiolella, Vivara e Ischia attendevamo intorno alla mezzanotte i tradizionali “fuochi” della festa dedicata a San Giovan Giuseppe della Croce. E’ un ricordo per diversi motivi malinconico ma straordinariamente fissato nella mia memoria che ritorna ogni volta che assisto ai “fuochi” anche qui, dove vivo da alcuni anni, a Prato.
Ed è stato così giocoforza riandarci con la mente, avviando la lettura di “Vinicio Sparafuoco detto Toccacielo” scritto da Vincenzo Gambardella. L’autore sarà presente a “Libri di mare libri di terra” Festival della Letteratura nei Campi Flegrei che si svolgerà a Pozzuoli, Bacoli e Monte di Procida dal 26 al 28 settembre. Ho già scritto nell’anticipazione che si trattava di un libro complesso e difficile, e mi riferivo in particolare alla qualità della scrittura che si basa su una prosa tecnica elaborata con un gergo popolare che, sin dall’inizio, impone al lettore una revisione profonda nell’approccio consuetudinario ai testi che circolano correntemente. Ma, attenzione, il mio è un giudizio condizionato dall’impressione che ho avuto dopo letture di ottimo livello ma caratterizzate da lessici a me familiari. Niente di tutto questo troverete in “Vinicio Sparafuoco…”! Ma dopo la prima fatica vi assicuro, e lo sottolineo senza ambiguità e condiscendenza supina o piaggeria che dir si voglia, che ci si trova davanti ad un autentico capolavoro letterario.

La storia narrata è quella di un gruppo di amici che si formano intorno al protagonista Vinicio Pierro come fuochisti. Nel libro il gergo particolare di questa professione è spesso utilizzato in modo scientificamente appropriato e potrebbe servire come “manuale per i principianti” (io stesso sono andato a ricercare sul web alcuni termini come “calcasse”). Insieme questa allegra brigata (ma vi saranno momenti tristi e drammatici anche se raccontati con estrema semplicità) partirà dal golfo di Pozzuoli per andare verso il Nord fino all’algida Germania per poi dopo vicende cui non accenno far ritorno in Costiera amalfitana (Minori) dove alcuni sogni trovano il loro positivo approdo. Se ho dato questo giudizio entusiastico lo si deve al lessico ed alla sintassi frizzante, scoppiettante e variopinta come i fuochi d’artificio. La descrizione dei personaggi è precisa e dettagliata a partire da Vinicio, cuore semplice, generoso ed umile all’inverosimile in una realtà come quella con cui siamo abituati a lottare quotidianamente, un “cuore gioioso” come lui stesso dice di sé con toni ingenui, primitivi e colti allo stesso tempo ma di una cultura popolare che è sempre più martoriata e trascurata (leggansi le “lettere” che Vinicio – in più occasioni – e Costanzo Ceravolo detto Magnesio scrivono anche a personaggi importantissimi come il Negus, la Regina d’Inghilterra e papa Wojtyla). Insieme a queste sono pagine di grande letteratura quelle dedicate alla storia di San Gioacchino e Sant’Anna, il cui culto è praticato a Bacoli, la terra flegrea da cui partono i nostri personaggi ed altre che non mancheranno di coinvolgervi e di trasmettervi piacere, se coglierete il mio consiglio di leggere “Vinicio Sparafuoco detto Toccacielo” di Vincenzo Gambardella edizioni “ad est dell’equatore” collana liquid.

FUOCHI – parte 5

Salutai rapidamente alcune compagne che erano sedute davanti alla tenda della Direzione, e che mi avevano invitato a stare con loro per discutere delle questioni politiche di inizio estate, che erano quasi sempre legate ad aspetti marginali, e anche per questo motivo feci segno che ci saremmo visti dopo, un dopo generico, e che ero impegnato con i pargoli, che non avrebbero troppo a lungo tollerato le mie distrazioni. Infatti già prima del mio fugace saluto non degnarono di alcuna attenzione le signore e proseguirono il loro cammino verso uno spiazzo dal quale provenivano musiche e voci, entrambi incomprensibili.
All’improvviso si aprì un varco nella vegetazione e le musiche e le voci divennero ben più vicine ma ugualmente poco chiare, indistinte. Ed insieme a queste in un grande prato illuminato a giorno apparvero centinaia di ragazze e ragazzi dagli occhi a mandorla che si agitavano urlanti verso un palco sul quale si esibiva un complesso formato da giovani ugualmente cinesi ed una ragazza pronunciava parole che il pubblico mostrava di comprendere e di poter condividere cantandole. A conti fatti, dopo la prima sorpresa la melodia era gradevole anche se non ci capivo niente. Lavinia e Daniele, miracoli della giovinezza, non mostrarono alcun disappunto sin dall’ingresso sul prato. Dove si sedettero continuando ad operare sul residuo di zucchero filato e schifezzuole gommose. Feci buon viso a cattivo gioco, ma ho un ottimo spirito di adattamento e mi impegnai, tranquillo per i figlioli che erano ormai bloccati da altre torme assise ed agitate in uno spazio ristretto, ad osservare le fisionomie, le loro smorfie, la loro prossemica del tutto simile a quella delle migliaia di giovani che a mia memoria avevano seguito concerti delle più importanti formazioni pop della mia gioventù. Erano belli di una bellezza che non riesci a cogliere in altri ambienti, quelli scolastici o di lavoro, dove molto spesso hanno un atteggiamento di straordinaria riservatezza. Lì i giovani si agitavano, urlavano, bevevano bibite tassativamente analcoliche e si abbracciavano, si baciavano in modo casto, abbandonando il classico pudore che li contraddistingueva in ambienti ugualmente pubblici ma dove non c’era la musica, che avvicina, accosta, facilita i contatti. Mi venivano in mente concerti degli anni Settanta, i figli dei fiori, la ricerca dell’assoluto, il rincorrere le utopie senza mai riconoscerle tali.
Sul palco intanto si alternavano ragazzi e ragazze gareggiando in una sorta di Karaoke cinese ed allora compresi che l’agitazione esagerata aveva un obiettivo molto pratico di sostegno ai vari concorrenti sia per la qualità sia per una conoscenza diretta da parte dei vari gruppetti di amiche ed amici.
Mi distrasse un attimo l’arrivo di un funzionario del Partito che volle salutarmi ed assicurarsi che nei giorni successivi io fossi a Prato. Volevano programmare alcune iniziative culturali per l’autunno ma pensavano di vedersi quasi a fine luglio. Dissi che non potevo ma che se fosse stato possibile avrei dato la mia collaborazione sin dai primi giorni del mese di settembre, alla ripresa del lavoro scolastico.

Ero stanco, ma allo stesso tempo attratto da quella folla straordinariamente ordinata nella sua giovanile prorompente allegria. E i due rampolli si erano sistemati e partecipavano con insolita attenzione allo spettacolo naturale che si andava svolgendo. Poi, all’improvviso tutto sembrò chetarsi. Anche io avevo trovato un lembo di prato libero e mi ero accovacciato accanto a loro. E fu solo un attimo dopo che mi ero sistemato che un “Ooooh!” collettivo accompagnò il primo fuoco che fiorì proprio davanti a noi alle spalle del palco dal quale si erano esibiti i karaokisti. Il botto che seguì di pochi millesimi di secondo non fu così intenso, nessuno se ne accorse soprattutto perché nello stesso tempo una pioggia di luci sembrò riversarsi su tutti. “Sembrò” con quell’effetto speciale stroboscopico che provoca timore negli inesperti, ma non ve ne furono tanti a rendersene conto. Gli stessi pargoli si erano distesi utilizzando come cuscini alcuni sassi ricoperti dalle morbide giacchettine leggere che Mary mi aveva dato prima di uscire, raccomandandomi di non far loro prendere freddo. Mi girai intorno e mi accorsi che ero tra i pochi ad essere rimasto in piedi e così mi feci fare un piccolo spazio, posi a terra la mia giacca e mi distesi con lo sguardo all’in su verticale ma anche obliquo verso la parte alta del palco. E non tardò dopo l’annuncio, l’apertura che dà il segnale di “attenzione”, a riprendere la “tarantella” delle stelle e delle bombe di varia forma, caratteristica e colore che illuminarono il prato dopo che per rendere migliore l’effetto erano state spente molte delle luci che avevano accompagnato le precedenti esibizioni canore.
Si susseguirono bombe a stelle e colpo scuro di colore rosso e verde a quelle “granatine” e “a raggi”, a “cannelli”, a “crociera di sfere” tutte mescolate con grande sapienza tecnica. E di poi nelle variazioni a più “spacchi” con lancio di di “stelle” a colori diversi che si dirigono in varie direzioni e sembrano quasi volerti abbracciare e colpire; ed ancora con “paracadute” ed altre forme geometriche, colorate ed eleganti come le bombe giapponesi di vario calibro. Tutto durò una buona mezzora anche se il tempo sembrò molto più breve e veloce. Il finale fu epico, tambureggiante, come ben si addice a professionisti di primo livello e con gli ultimi boati, quelli sordi, che danno il senso della compiuta operazione pirotecnica, partì un applauso sincero corrispondente alla felicità che era stata diffusa su quel prato.
Tempo dieci minuti, un deserto: o quasi. I bambini erano visibilmente stanchi, Daniele volle essere preso in braccio che non reggeva più dal sonno, forse anche Lavinia se ci fosse stato un posto libero tra le mie braccia ne avrebbe approfittato. Ma erano già occupate e da un peso non indifferente. Ma tant’è: mi avviai al parcheggio lungo il vialone che era ormai semideserto. Avevo anche il viaggio di poco più di cinquecento chilometri sul groppone. Mi fiondai a casa, stanco morto. Mary non dormiva ancora; è sempre così, non viene con noi ma è in pensiero finché non ci vede tornare. Daniele continuò a dormire forse sognando ancora quelle luci incantate, e Lavinia invece con toni bassi le andava descrivendo alla madre. Chissà per quanto tempo ancora avranno ricordato quei “fuochi”; chissà in che modo ne parleranno ai loro amici ed a quanti dopo di noi verranno; chissà se accadrà mai che condivideranno con i loro figli queste esperienze.

…ancora sulla Scuola: un doveroso recupero

Abbiamo vissuto un tempo strano, per alcune parti di esso e per alcuni di noi, un tempo “sospeso”. Si agiva perennemente sotto una cappa minacciosa di un nemico invisibile.

E’ stato anche il tempo delle “mancanze”, materiali e spirituali, quella forma di consapevolezza che “dopo questa esperienza non potevamo più essere gli stessi”, che avremmo dovuto far tesoro di tutto quello che ci stava coinvolgendo, che interrogava severamente il nostro stile di vita, che ci spingeva, attraverso le varie tipologie di solitudine ad interrogarci più a fondo. Abbiamo potuto, laddove ci era permesso da un certo livello di serenità, lavorare al recupero di una memoria che si era andata appiattendo nell’immediato facendoci rimpiangere la realtà, nel suo complesso, “precaria”, di una società sospinta verso il consumismo sfrenato, un edonismo leaderistico a tutti i livelli che aveva condizionato l’economia producendo un divario sempre più forte tra ricchi più ricchi e sempre più numericamente ridotti e poveri più poveri e sempre più in crescita numerica.

Si è finito per correre un rischio, che ancora incombe come una classica spada di Damocle sul nostro futuro, che è stato quello di credere e di far credere, complici la dabbenaggine ipocrita di una gran parte del mondo politico, che il mondo nel quale avevamo vissuto prima dello scoppio della pandemìa fosse paragonabile ad un’ età dell’oro, nella quale tutto funzionava a pennello, il lavoro era strasicuro in tutto e per tutto, le regole in generale venivano rispettate, l’ambiente era curato al fine di evitare i disastri che già si andavano annunciando, le scuole erano luoghi ameni accoglienti e sicuri, dove far crescere i nostri giovani e potersi cimentare con le nuovissime tecnologie ed aprirsi al futuro alla pari con tutti gli altri paesi avanzati.  Ovviamente, nella memoria collettiva, i treni “allora” viaggiavano in orario. Allo stesso tempo “allora” i diritti fondamentali sanciti dalla nostra Carta venivano rispettati, le leggi valevano per tutti, indistintamente. Si stava “allora” affinando tutta quella parte legislativa che avrebbe definitivamente aperto le porte al riconoscimento ed alla valorizzazione delle diversità, avrebbe consentito l’accoglienza ed assegnato la cittadinanza a chiunque si fosse sentito parte del nostro Paese.  Il Belpaese dove per l’appunto “allora” i treni arrivavano in orario. E nella Sanità pubblica i livelli assistenziali erano garantiti e diffusi al massimo su tutti i territori.  E nella Scuola i livelli di di dispersione e di abbandono erano scesi ai minimi termini, quasi azzerati; e per abbattere quei livelli si era aperta una vera e propria progettazione per il recupero dell’alfabetizzazione con corsi, diffusi su tutti i territori da Sud a Nord, di Educazione degli Adulti, soprattutto di Alfabetizzazione digitale riservata soprattutto, anche se non solo, agli anziani; e sui territori la partecipazione delle comunità in senso ampio era considerata dalle Istituzioni una ricchezza da incentivare con copiosi investimenti;  e poi “in quel tempo” veniva riconosciuto il merito, valorizzando le competenze e le peculiarità di ciascuno fino ai livelli massimi.

Ecco, con questi presupposti da “Libro dei sogni”, collegati alla drammaticità della realtà con cui si doveva fare i conti (i bollettini dei contagi dei ricoveri e dei decessi; le difficoltà economiche di una parte consistente della società; la precarietà e soprattutto l’incertezza verso il futuro) attendevamo che l’emergenza finisse anche con la collaborazione del mondo politico che incondizionatamente, come nei tempi passati, si era impegnato in una battaglia comune, senza personalismi senza distinzioni ideologiche, per garantire il superamento più rapido possibile delle difficoltà e per riprendere a vivere nella normalità quotidiana la nostra socialità, come avveniva per l’appunto “prima” che la pandemìa ci confinasse nei piccoli ristretti recinti dei trecento metri di raggio.

Era – come tutti sappiamo – un sogno dentro un incubo, un incubo dentro un “sogno”.

Quel che è accaduto davvero lo sappiamo tutti

Ovviamente, ci sono gruppi che hanno mantenuto un loro contatto anche durante la pandemia ma tanti altri si sono invece dispersi in tutto questo tempo, pur mantenendo un profilo di presenza critica individuale o poco più, riducendo drasticamente il numero delle frequentazioni. Questo è stato reso necessario soprattutto per tutti quelli che rischiavano in maniera più seria di contagiarsi e correre rischi letali.

Per altri, anche perché sospinti da necessità impellenti inderogabili come il proprio lavoro, non è stato così ridotta drasticamente la propria socialità, anche se – come ben si comprende – tutti hanno lasciato dietro di sè una scia di mancanze che, ce lo siamo detto in modo particolare riferendoci alle giovanissime e giovani generazioni, sono state insopportabili e foriere di conseguenze non solo sul piano psicologico.

Di certo è stato rallentato per un periodo anche il normale attivismo delle forze politiche, anche se in questo rallentamento – come accade negli equilibri generali della vita comune – a rimetterci maggiormente  sono state le realtà periferiche, del tutto escluse da una pur minima forma di partecipazione. Questa esclusione ha condizionato anche le strutture periferiche dei partiti più forti dal punto di vista del consenso elettorale.

A livelli più ampi tuttavia, accontentandosi della marginalità, in questa lunga attesa di poter riemergere, si è andata man mano diffondendo una mancanza di fiducia verso gli altri. E per certi versi questa permane ancora.

Noi siamo in una realtà periferica; noi apparteniamo a quella parte di società che è stata più ampiamente condizionata dalla pandemia. Quello che è accaduto con la chiusura degli spazi sociali come ad esempio un Circolo come questo ha prodotto danni enormi non solo economici ma anche culturali sociali e tout court politici. Ed è stato quasi naturale per ciascuno di noi avvertire questa sensazione di abbandono. Poi un poco alla volta si avvertono in controtendenza segnali di ripresa.

Quello di cui oggi parliamo è uno di questi.

Quando sono stato contattato, ero proprio per l’appunto già in un luogo diverso dal solito e sono stato sorpreso dalla proposta, che riapriva i miei orizzonti e mi sollecitava a occuparmi di nuovo di quel che mi appassiona. I temi della Cultura e della Scuola sono stati i compagni della mia vita e della mia esperienza assoluta. In qualche modo, non li avevo trascurati del tutto durante la clausura pandemica; avevo continuato quasi quotidianamente a trattarne sul mio Blog, recuperando quel che avevo scritto, detto e soprattutto fatto.

Non appena il documento mi è stato inviato il 30 luglio ho attivato il Circolo, pur sapendo che – per tutto agosto – non avremmo potuto organizzare nulla, per la classica diaspora vacanziera. Pur tuttavia, non avendo partecipato pienamente alla diaspora, il 17 agosto ho cominciato a contattare i punti di riferimento che mi erano stati dati. Abbiamo fatto partire il gruppo su whatsapp il 23 agosto e poi siamo andati avanti e abbiamo condiviso tutta la fase organizzativa, con le difficoltà che appartengono al periodo.

Mettere insieme un evento dopo un periodo di inattività è stato entusiasmante ma anche molto difficile.  Di tanto in tanto ci si sentiva con chi mi aveva contattato, che non ci ha fatto mai mancare il sostegno. Devo (dobbiamo) ringraziarla, così come dobbiamo ringraziare chi ha coordinato e poi realizzato il Documento.

Ho detto e scritto della sua ampiezza, profondità, compiutezza. Dovrà, esso, essere utile soprattutto a chi oggi ha venti anni, come chi con me ha cooperato a realizzare questo incontro, o poco più come qualche altro giovane qui presente. Dovrà essere un monito per tutti quelli che sono stati giovani pieni di entusiasmo e volontà di sovvertire il mondo delle inconcludenze, delle approssimazioni, delle emergenze; quelli che si sono seduti poi comodamente sugli scranni di ministeri e assessorati e stanno ancora lì a guardare quello che non va, come se non fosse anche colpa loro, come se non dipendesse anche da loro il degrado attuale del mondo della Scuola.

Non è formalismo dire che perlomeno le nuove generazioni potrebbero aiutarci ad affrontare il disastro e costruire un futuro diverso; occorre dire “basta” alle enunciazioni nude e crude che non producono effetti per timidezza o convenienza, non saprei se l’una o l’altra oppure l’una a copertura dell’altra. Di certo “da soli non si va da nessuna parte e se i pochi non diventano molti poi prevale lo scoramento l’acquiescenza.”

Ritornando al documento, scendendo sulle questioni trattate, e avviando quella che può essere un’introduzione da parte di Eulalia, bisogna dolorosamente sottolineare che la realtà pratese quanto ai numeri di dispersione ed abbandono scolastico è assai simile a quella di aree che consideriamo degradate. Non meno grave è la situazione dell’edilizia scolastica.

Sul tema dell’insufficienza della potenzialità di un’offerta culturale adeguata ai tempi a causa dell’inadeguatezza delle strutture edilizie esistenti c’è il recentissimo XIX Rapporto di Cittadinanza attiva che, pur occupandosi in particolare degli asili nido, riporta a pag.9 la denuncia relativa alla mancanza di agibilità per oltre un 50% degli edifici in tutto il Paese. Quanto ai dati sulla dispersione e abbandono per quest’area vale la pena consultare per ora il Rapporto 2018 sulla scuola pratese prodotto dalla FIL.

Ho già detto che il Documento Manifesto “La scuola salva il mondo” è un testo importante da cui partire per costruire la Scuola degli anni a venire, proprio riprendendo il cammino dalle macerie che la pandemìa ha messo in evidenza. E allora mi sono posto una domanda che è poi ben chiarita nella parte introduttiva – e cioè come è nata l’esigenza di affrontare questa ampia discussione che ha condotto alla stesura del Documento –  ma ci aggiungo quella che è per me la fase più importante, quella realizzativa. Come, con quale percorso propositivo, Possibile che rimane per ora una piccola parte della Sinistra intende affrontare il necessario confronto con il resto della Sinistra e con tutte le altre forze sociali e culturali che ne condividono i valori.

L’evento di presentazione è stato seguito e partecipato – scriverò poi quel che è accaduto prima (passato prossimo) e quel che accadrà dopo (futuro semplice)

I ringraziamenti in primo luogo a Rosalba Bonacchi responsabile di Possibile Pistoia, che mi ha chiesto, pur sapendo di essere “estraneo”  di occuparmi dell’evento a Prato. Poi a Benedetta Pazzaglia Guddemi che ha sopportato in questo mese e mezzo le mie “lezioni” politiche. Ringrazio Marzio Gruni per il sostegno costante che ha dato, pur in un momento non semplice della sua vita professionale. Ringrazio il Circolo di via Cilea, in primo luogo il Presidente “emerito” Livio Santini e poi il Presidente attuale, Massimiliano Biagini. Ringrazio tutti quelli che hanno risposto al mio invito (l’evento era targato “Possibile” ma ne ero organizzatore unico), intervenendo, a partire dalla Dirigente scolastica ex comprensivo “Mascagni” attualmente al “Dagomari”, Claudia Del Pace; il docente Emanuele Bresci dell’associazione lgbtqia+ di Prato, con cui ho interloquito in diverse occasioni per preparare questo evento; il Dirigente scolastico del professionale “Marconi”, Paolo Cipriani, con il quale mi sono intrattenuto a parlare di formazione permanente dei docenti; il Direttore della Agenzia del lavoro FIL, Michele Del Campo, da sempre mio interlocutore sulle tematiche civili ed in particolare dell’inclusione, della dispersione e dell’abbandono;  Luca Mori ex Presidente di Libertà e Giustizia da sempre attivo nelle campagne referendarie e  nel Coordinamento Difesa della Costituzione; Stefania Colzi, attuale Presidente di Libertà e Giustizia e con l’uno e con l’altra abbiamo da tempo attivato un rapporto di cooperazione per diffondere sui territori la conoscenza delle tematiche costituzionali; Giusy Modica, presidente di New Naif, cooperativa di assistenza sociale non residenziale per anziani e disabili; Mirco Rocchi, docente, artista scenografo e costumista, con cui abbiamo fondato il soggetto civico di Prato in Comune; Simona Rosati, del Programma Città amiche di Unicef.  Attraverso l’impegno di Benedetta ed insieme a lei ringraziamo anche la presenza dei Giovani Democratici Prato con Niccolò Ghelardini e della Consulta Studentesca di Prato nonché La Piazza degli studenti, con il Presidente Niccolò Sanesi.

Ringrazio per la loro presenza Lia Guardascione, Aldo Augurio; Maurizio Artusi, Nicola Verde, Fabio Falchi, Ilenia Innocenti, questi due ultimi membri della delegazione di “Possibile Prato”.

Ringrazio Eulalia Grillo, portavoce nazionale per la scuola di Possibile, che ha coordinato in modo egregio i gruppi di lavoro sulle diverse tematiche relative al mondo della Scuola, che in definitiva rappresenta l’intera società italiana e tutta la complessità di essa. Parlare della Scuola e puntare ad una vera e propria sua ristrutturazione, inserendola pienamente nella modernità, declinata in senso ambientalista e rispettosa delle diversità, accogliente e aperta ai più diversi contributi, significa impegnarsi per un profondo cambiamento di ogni aspetto della nostra vita quotidiana. Il suo intervento, breve ma significativo, ha contribuito a chiarire le ragioni di questo documento e le prospettive che “POSSIBILE” si propone di percorrere, durante e dopo questi incontri su tutti i territori della nostra penisola.

Ringrazio Benedetta Pazzaglia Guddemi portavoce del partito “POSSIBILE” qui a Prato per il suo contributo organizzativo, particolarmente indirizzato alla partecipazione giovanile, e per il suo intervento che, sulla scia di quanto esposto da Eulalia, si è soffermato sul ruolo che hanno avuto i giovani nella stesura del Documento. Ringrazio anche Claudio Vignoli co-portavoce del Partito per aver coordinato insieme a me i lavori dell’iniziativa.

Come spesso è  accaduto, l’organizzazione di un evento culturale presenta delle incertezze, soprattutto quando per necessità o per scelta molte delle incombenze fanno capo ad uno, ed uno solo. In due o tre o ancor più ci si rincuora a vicenda, ma con il più e il meno qualche passo in avanti si compie ogni giorno. C’è stata anche la pandemìa ed una certa solitudine imposta sia da essa sia dal trovarsi in una zona periferica, assolutamente dimenticata (e San Paolo non è la realtà più periferica della città di Prato: anzi! è a pochi passi dalla frontiera cittadina), trascurata se non che in quelle poche occasioni che servono da passerella per i vari politici, amministratori, assessori, portaborse di vari colori politici. Ad ogni buon conto, l’evento andava organizzato facendo ripartire i precedenti contatti (più o meno quelli che risalivano all’incirca al dicembre 2019) e ricercandone di nuovi, utilizzando i social che in questo anno e mezzo abbondante sono stata l’unica soluzione alla solitudine quasi totale (per fortuna, la famiglia e qualche amico ci hanno lenito le sofferenze che per un “homo socialis” quale io ero stato erano molto forti). Le difficoltà, dunque, non sono state poche; partire tanto prima poi ti poneva dei limiti per la presa in considerazione del tuo invito (ho avviato i motori ai primi di settembre per un evento che si sarebbe tenuto il 10 ottobre) e poi c’era una disabitudine ad avere come interlocutore uno che, a qualcuno e forse a più di uno, poteva anche essere sparito, anche per sempre, tra le vittime di questa pandemìa. Mentre scrivo mi tocco e faccio corna, da buon partenopeo.                                             

Pur tuttavia trovavo necessario anticipare il mio invito, in quanto era collegato alla presentazione di un ricchissimo stimolante documento manifesto prodotto da Possibile, quella piccola realtà politica fondata da Pippo Civati. Un documento composto da 82 pagine, pieno di sollecitazioni a riflettere e ad aggiungere le proprie esperienze. Un documento che per me rappresenta tutto un Programma politico e culturale, “La Scuola salva il Mondo” che riecheggia pagine e pagine di mia scrittura collegate alla Cultura, che non è poi così diversa dalla “Scuola”. Per non aggiungere che sul mio Blog, questo, vi sono ormai centinaia di miei contributi dedicati alla Scuola ed alla Cultura e sono molto critici sia con i Governi di Centrodestra (vedi “Gelmini”) sia con quelli di Centrosinistra (Berlinguer, Giannini, Carrozza, Fedeli, Azzolina etc) che hanno avuto verso la Scuola un atteggiamento di superiorità a volte aristocratico a volte cialtrone e quasi tutti si sono occupati solo di tamponare le emergenze senza davvero procedere ad una Riforma che comprendesse ogni aspetto degno di essere attentamente valutato. Tornando al mio “lavoro” organizzativo mi sono ritrovato davanti a tutta una serie di difficoltà con mail che sembravano essersi perse nei meandri del Palazzo comunale. E’ il segno del valore che danno a chi in modo disinteressato intende impegnarsi ancora. Ed è il segno del loro “valore”.

I CONTI NON TORNA(VA)NO – parte 35 (per la parte 34 vedi 26 gennaio)

I CONTI NON TORNA(VA)NO – parte 35 (per la parte 34 vedi 26 gennaio)

Riprendo a trattare uno dei temi a me più cari: il mondo della Scuola pubblica e la difesa dei diritti all’Istruzione, la cui piena soddisfazione è da collegare anche con gli ambienti che ne ospitano la realizzazione – Alla fine del secolo scorso qui a Prato (ma forse anche in tanti altri territori) si svolse una delle “battaglie” civili più accese intorno alla programmazione strutturale che potesse consentire lo sviluppo più adeguato possibile al mondo della Scuola e ai suoi professionisti e fruitori. Il “tutto” visto con gli occhi di chi, in quel periodo, si occupava anche politicamente e in una delle forze politiche di maggioranza proprio delle tematiche scolastiche; e si opponeva ad una visione limitata, che avrebbe creato inevitabilmente gli attuali disastri strutturali (mancanza atavica di spazi vitali).

Alla cortese attenzione del Consiglio Comunale

Prato 21/12/98

Come genitori degli alunni che frequentano il liceo Scientifico “N.Copernico” ci siamo riuniti in comitato per seguire da vicino la vicenda del trasferimento di sede di questo istituto con la speranza di poter collaborare con l’amministrazione Provinciale e Comunale a gestire questo delicato passaggio.

In proposito ci preme far presente alcune considerazioni sul significato di questa scuola nella nostra città. poiché il LICEO SCIENT. “N.COPERNICO” è una importantissima realtà pratese, è patrimonio di tutti noi e l’alto numero degli studenti che lo frequentano (ben 1200 ragazzi) dimostra quanto la nostra collettività creda in questa istituzione, una istituzione che ha saputo farsi stimare in tutti questi anni grazie all’impegno ed alla qualità del corpo insegnante ed all’intesa che si è andata creando tra le varie componenti scolastiche.

Nonostante la scuola sia sempre stata sistemata in una struttura inadeguata, ha saputo esprimere una potenzialità di offerta formativa ricca, differenziata e preziosa per le richieste della comunità per cui ogni impoverimento di questa potenzialità si tradurrebbe in un impoverimento della nostra società, ogni indebolimento di questa entità attraverso la separazione della stessa in più edifici si tradurrebbe in un indebolimento globale generale.

Da queste considerazioni deriva la nostra duplice richiesta di non smembrare l’istituto e di collocarlo in una sede adeguata, sicura e, molto importante, funzionale.

Il Comitato dei Genitori

La “miopia” generale di una parte economicamente e politicamente “egemone” a Prato non consentiva “anche” a questi genitori di comprendere che si sarebbe creato un disastro dal punto di vista strutturale: gli spazi, anche per l’atteggiamento bulimico dei Dirigenti e del “corpo insegnante” nel volersi accaparrare più iscrizioni di quanto fosse consentito, con il risultato poi di dover necessariamente selezionare in modo anche crudele e notoriamente più che rigido chi meritava di proseguire e chi no, finirono nell’arco di pochissimi anni per essere angusti ed insufficienti. Allo stesso tempo la scelta di “sfrattare” il “Dagomari” il cui “status” istituzionale non era da considerarsi molto diverso da quello vantato dai “copernicani” procurò molti altri danni alla qualità dell’istruzione in tutta la città (e Provincia). Sarebbe stato ben logico invece progettare soluzioni che non prevedessero spostamenti, costruendo un nuovo edificio e utilizzando temporaneamente nuovi spazi già a disposizione in modo provvisorio ma con una “programmazione” rigorosa.