Un post di richiamo su un tema molto serio, che è ritornato a bussare alle nostre porte della mente
DENTRO IL LOCKDOWN I rischi per la tenuta democratica: non solo inutili allarmismi
Lo scrivevo lo scorso 24 novembre
E riportavo questo link https://www.corriere.it/cronache/20_marzo_09/coronavirus-scegliamo-chi-curare-chi-no-come-ogni-guerra-196f7d34-617d-11ea-8f33-90c941af0f23.shtml
A dire il vero, lo facevo con molto
tatto e il riportare un riferimento giornalistico dal “Corriere della Sera” del
20 marzo non mi serviva tanto a pararmi le spalle da un attacco ma soprattutto
a lenire il disagio che provo a leggere e sentire alcuni ragionamenti, che mi
richiamano alla mente periodi torbidi e bui della nostra Storia, che non
abbiamo vissuto direttamente ma che abbiamo imparato a conoscere dai racconti
degli anziani sin da quando eravamo bambini.
La drammaticità del tempo che stiamo
vivendo non ha nulla da spartire con la “guerra”. Anche se vi ho fatto
riferimento in chiusura del post del 24 (“ Questa è una
“situazione di guerra” ) le ragioni che hanno portato ad una recrudescenza
degli eventi pandemici, sia nella prima che nella seconda ondata, sono da
assegnare esclusivamente alla inadeguatezza del sistema politico e sanitario
del nostro Paese (su cui in altrettanti post ben prima della pandemìa avevo
lanciato allarmi) inabile al dover
fronteggiare tale emergenza. Su questi
temi ho scritto molte pagine. Una “guerra” dipende dalla volontà di un nemico
straniero o interno ma ti consente (perlomeno fino a poco tempo fa era così; e
noi non abbiamo avuto esempi recenti su cui confrontarci) di allontanarti dal
teatro degli scontri o dei bombardamenti ed il nemico è abbastanza visibile e riconoscibile.
In questo caso invece il “nemico” potrebbe essere nascosto in un corpo “amico”
portatore involontario di morte per contagio.
E dunque tentiamo di evitare queste forme di irrazionalità
improprie e fuorvianti. Senza, però, tacere su quelle “miserabili” teorie
eugenetiche che vengono nasoste dietro una patina di commozione piena di falsità
e ipocrisia.
Poche ore fa il Presidente di Confindustria Macerata,
Domenico Guzzini, ha esposto il suo pensiero. Poi, a mo’ di coccodrillo, se ne
è pentito. La “sua” organizzazione lo ha redarguito, ha minacciato anche di
allontanarlo dalla carica, forse ciò accadrà davvero, ma…. A quel che sembra,
il dottor Guzzini ha semplicemente esplicitato un pensiero segreto che si
potrebbe sintetizzare con “Chi se ne……se nel mantenere aperto tutto
qualcuno sia infettato e….chi se ne….se poi qualcuno muore…..basta non
fermare le macchine della produzione….”. Ed è, anche se per i più “inconfessabile”,
un pensiero diffuso. In tanti di noi – umani –, visto che siamo in procinto
della festività natalizia c’è uno Scrooge latente, il cui pensiero spinge per
emergere.
E’ stato così sin dalle prime fasi; lo ricorderemo? Quel difetto
di amnesia che il nostro popolo sembra avere più di altri si interromperà
quando la festa comincerà? Ovvero quando – hallelujah – i vaccini avranno fatto
i loro effetti “benefici”? Ve ne ricorderete delle fabbriche bergamasche
mantenute aperte in barba a decreti ministeriali e locali? I loro manager e “padroni”
erano tutti dei “Guzzini” ante litteram. Non lo dicevano, ma pensavano
certamente la stessa cosa: “Prima il guadagno”. Su questo abbiamo disquisito proprio tenendo
ben presente i “limiti” su cui un Governo democratico si debba muovere in un
tempo di alta emergenza; e non abbiamo escluso che lo si dovrebbe fare con
maggiore energia, “temporaneamente” affinchè il principio della difesa della “Salute” über alles possa prevalere.
Timidamente e condizionati dalla presenza canina, abbiamo
suonato alla porta e Patrizia dall’alto di una scala interna ci ha detto di
salire. Ci mostra l’appartamento e ci anticipa che ad ogni modo non intende
affittarlo: ci verrà lei: anche a causa della pandemìa, quest’anno,
diversamente dal solito, a luglio non andrà all’estero. Ci mostrerà poi un
altro appartamento di un suo amico. In realtà avevamo capito che per luglio
sarebbe stato disponibile e siamo in qualche modo delusi anche se non lo
lasciamo intravedere. Dal soggiorno si gode una straordinaria vista su tutta la
pianura. Ad ogni buon conto, anche se l’appartamento è di certo collocato in un
contesto davvero affascinante, guardandoci negli occhi, io e Mary, ci
comunichiamo un certo imbarazzo ed un segreto sospiro di sollievo. In realtà,
un po’ ci aveva spaventato l’idea di dover percorrere tutti i giorni quei
tornanti con l’auto e quelle stradine scoscese a piedi, semmai con bagagli e
varie borse delle spese alimentari che di solito sono abbondanti.
Patrizia ci mostra gli altri ambienti: l’appartamento è un
insieme di camere che si innestano su un corridoio formato da una doppia scalinata
interna: si tratta di un terratetto ed in qualche modo più che le tipologie
toscane a me ricorda ambienti mediterranei, come quelli della mia isola,
Procida. Sarà perché da lì lo sguardo si spinge verso il mare, lo stesso nel
quale ho navigato per tanti anni sin dalla prima infanzia, il Tirreno.
Lo dico alla padrona di casa e i miei occhi luccicano di
malinconia.
Patrizia, però, vorrebbe non deludere quelle che giustamente
considera le nostre aspettative: ci propone di visionare un altro appartamento
poco distante. Lasciamo i due cani a far da guardia alla casa: le porte sono
aperte proprio come nelle abitazioni isolane a mia memoria – anche se forse nel
tempo questa abitudine è andata a modificarsi. Ci spostiamo di un centinaio di
metri poco più in giù in una stradina parallela. L’abitazione è molto più
angusta e poco luminosa (non c’è lo stesso affascinante affaccio della casa di
Patrizia), anche se ben arredata con il segno della Cultura: ci sono tanti
libri. Apprezziamo proprio questa caratteristica, rivelando che tuttavia non
può essere per noi: a stento ci staremmo Mary ed io.
Patrizia comprende e decide di sentire una sua amica, che
possiede altro immobile. Nel mentre cerca di contattarla, usciamo per
recuperare i due amici custodi della casa. Insieme a loro ci spostiamo verso la
piazza e ritorniamo in Piazza del Mercato, dove ci lascia con i due cani, i cui
guinzagli vengono legati ad uno di quegli anelli che verosimilmente in un borgo
agreste come Campiglia servivano a legare le cavezze degli equini, e si inoltra in un vicolo per poter contattare in modo diretto l’amica, che non
si riesce a rintracciare a telefono.
I due cani sono molto diversi tra loro e solo uno appare
innervosito dai vari passaggi di altri cani al guinzaglio dei loro padroni; l’altro
appare quasi infastidito da quell’atteggiamento.
DENTRO IL LOCKDOWN – le disuguglianze tra “pregresso” e
“futuro”
Non ci voleva la sfera di cristallo per capire che con la diffusione del contagio e le scelte sacrosante del Governo nel voler limitare al massimo la circolazione delle persone e del virus una parte della popolazione italiana avrebbe subìto gravi contraccolpi economici, per tutta una serie di motivi.
In primo luogo, come mi ostino da un po’ di tempo in qua a
evidenziare, va considerato il “pregresso”. Non possiamo dimenticare infatti
che in Italia una gran parte del “lavoro” non è svolto alla luce piena del
sole: la piaga del “lavoro nero” è
pratica diffusa, lo è stata e lo era anche quando la pandemìa ha prodotto i
suoi effetti negativi sulla “nostra” società.
Chi lavora in modo irregolare totalmente senza coperture
assicurative previdenziali è stato condizionato in modo tale da non poter
vantare le giuste coperture statali (i cosidetti ristori); laddove poi il
datore abbia eluso la dichiarazione di una parte del tempo lavoro l’operatore
dovrà contare solo su quel che è stato dichiarato che molto spesso è una parte
minima del totale ricevuto.
In una realtà come quella del nostro Paese in cui non si
sono ricercati metodi per abbattere
questa piaga il risultato della chiusura per alcuni mesi di molti esercizi commerciali
e di tante altre attività artigianali ed industriali è stato drammatico per
tante famiglie.
Si sono fermate anche tutte le attività collegate al
Turismo, al Teatro, alla Cultura in generale. Le città si sono svuotate e si è
diffuso il pessimismo, temperato solo da una forma quasi naturale di
resilienza, che in larga parte della società è riuscita a creare anche qualche
progettualità innovativa.
Senza dubbio, però, alcuni errori fondati essenzialmente su egoismo e scarso senso pratico di prospettiva hanno prodotto immensi danni aprendo le porte alla “ripresa” di una pandemìa che a questo punto ha decimato la popolazione soprattutto quella anziana. Le immagini della coda della nostra estate con le discoteche piene di giovani festanti sono state l’annuncio dei danni che sarebbero stati inferti dalla diffusione dei contagi. Può anche darsi che non siano stati “solo” quei giovani, come spesso sentiamo dire da chi non vuole gettare la croce sul desiderio di socialità che emerge da quelle immagini, ma è un dato di fatto che la stragrande maggioranza delle persone adulte o in ogni caso rispettose delle prescrizioni, e soprattutto quelle “anziane” come me, ha mantenuto una condotta di vita super prudente, tenendosi lontano da quelle tentazioni.
Ritornando al “tema” richiamato dal titolo passerei ad evidenziare l’urgenza di procedere ad una revisione dei nostri stili di vita. Se da una parte la piaga del lavoro nero ha contribuito a creare “povertà” dall’altra sono state le nostre abitudini a produrre un vero e proprio disastro “a catena”: moltissimi hanno vissuto al limite o superando il limite delle proprie possibilità, spendendo quanto guadagnavano o addirittura di più. Questo stile ha ovviamente creato una “cultura” dello sperpero cui sono state date naturalmente risposte da parte degli esercenti, per cui molte attività commerciali si sono diffuse “al di là del reale bisogno” . La pandemìa ha ovviamente creato un vuoto che ora difficilmente potrà essere colmato senza una vera e propria restyling delle nostre abitudini.
Forse lo so perché – forse lo immagino – ma non ricordo un
Natale del tutto felice. Anche per questo motivo il Natale del 2020 non farà
eccezione.
Sarà semplicemente il 360° giorno di un anno bisestile. Un anno maledetto come nella tradizione, ma che può essere peggiore degli altri (bisestili) a causa dell’insensatezza umana.
C’è una forma di autodistruzione che pervade una parte della
società, refrattaria a prendere coscienza della gravità di questi giorni che
stiamo vivendo (e, per fortuna, ma anche per una forte volontà di vivere, li
stiamo vivendo, sopravvivendo), che la conduce a non considerare l’utilità
nell’essere sobri e l’inutilità del piegarsi ad una forma esasperata di
consumismo. Ho già scritto sull’ostentato bisogno di apparire consumando più
del necessario e soprattutto più di quanto effettivamente si possa. E’ certo
che coloro che hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità oppure
utilizzando tutto quel che si guadagnava senza curarsi di un “futuro” che a
volte può riservare sorprese sgradite (e di questo tipo, purtroppo, è il tempo
che ci sta condizionando) mal sopportano tali mancanze e – non avviando un
certo tipo di riflessione critica – se ne lamentano e attendono “tempi
migliori”, illudendosi che possano essere vicini. Ma la Storia ci dice che non
c’è limite al peggio, anche se tutti ci auguriamo che il “peggio” sia passato o
che passi presto. Ma non è il caso di questo Natale del 2020. Forse,
addirittura, il peggio potrebbe ancora venire: se non regoliamo i nostri
comportamenti in modo maturo, consapevole, non infantile potrebbe accadere che
già nella prima metà del mese prossimo ci ritroveremo di fronte ad una terza
serie pandemica, ancora più dura. Non è bastato sapere che qui in Italia e non
più solo in una parte di essa ci sono stati più morti che in altre nazioni europee.
C’è una grande voglia di socialità, ai più giovani mancano anche i confronti
gladiatorii, ai puledri ed alle cavalline il desiderio di incontrarsi
liberamente, c’è una profonda nostalgia di poter discutere “a viso aperto” e c’è
la necessità di un guadagno fosse anche sulle “ceneri” dei propri congiunti o
degli amici più cari: e ci si commuove, anche se è doveroso farlo come “omaggio”
ai bei tempi che abbiamo vissuto, di fronte alla morte di qualche “vip”.
Il mio Natale sarà ancora più triste, perchè penserò alle
persone, sia quelle che ho conosciuto e stimato, sia quelle per me anonime ma
pur sempre significative per tante altre.
E ad ogni modo starò nel mio “covo” a progettare ancora
qualche po’ di tempo per pensare e riflettere sulle disgrazie umane, sperando
però che i giovani, quelli più sensibili e preparati possano riuscire a costruire qualcosa di meglio di quel che ci
capita di vedere.
A proposito, abbiamo disquisito abbastanza sull’infimo
livello di scolarizzazione e sulla qualità media della formazione nel nostro
Paese: ecco il risultato. Ovviamente non mancano le eccellenze, anche se “scappano”
via dai loro luoghi natii, dal Sud al Nord e poi all’estero, dove trovano spazi
non occupati dai servi del Potere. E’ mai possibile che per avere un mondo
migliore si debba fare una Rivoluzione? E chi la fa?
dopo l’attacco virulento e fuori misura di Matteo Renzi al Premier Conte ripropongo tre miei post con un Preambolo
DENTRO IL LOCK DOWN riprendiamo a parlare dei rischi per la tenuta democratica
In questi ultimi giorni si è intensificato lo scontro all’interno della coalizione governativa; in realtà è stata una “parte” minima, ma essenziale dal punto di vista numerico, ad alzare la voce, il tiro contro il Presidente del Consiglio. Il suo leader, Matteo Renzi, lo ha fatto con quell’impeto e quella tracotanza che lo hanno reso odioso alla maggioranza del popolo italiano. Sembra quasi provare una certa invidia nei confronti del Premier, che mostra ampia resilienza in un tempo orrendo come quello che stiamo passando. Conte mantiene un aplomb invidiabile ma mostra di avere una profonda empatia condivisiva e non divisiva e scostante verso i problemi della gente più debole, che in questo momento è sempre più numerosa.
Il leader di “Italia Viva” non ha proprio nulla da recriminare: laddove fosse reale la preoccupazione che mostra dovrebbe ben riconoscere che in quel tentativo di sovvertimento che aveva proposto con un nuovo impianto costituzionale sonoramente bocciato nel referendum del 4 dicembre 2016 egli aveva messo in campo ben più di quanto oggi il Presidente del Consiglio Conte nel suo “Governo di emergenza nazionale” potrebbe attuare.
Non sono affatto pentito – mai come ora e davanti a questo teatrino della Politica – di aver lasciato il Partito Democratico “dell’era Renzi”; quello attuale è ancora infettato da supporter vecchi – e qualche “nuovo” – di quel personaggio, i cui consensi oscillano tra il poco meno del 3 e poco meno del 4 per cento. Tali risultati attestano con grande evidenza che una parte dei sostenitori “renziani” sono rimasti all’interno del Partito Democratico pronti a far contare posizioni “esterne”.
Non stimo Renzi e non stimo coloro che lo hanno supportato. Ciò nonostante confermo di avere espresso la stessa critica in modo accorato ma pacato e ragionevole con le mie “preoccupazioni” collegate al fatto che, finito il tempo dell’emergenza, non si riuscisse a fare a meno di scelte estreme.
Ho pubblicato nei giorni scorsi tre post collegati tra loro con un titolo chiaro: I rischi per la tenuta democratica: non solo inutili allarmismi
Parte 1
In questi giorni ho trattato in modo quasi quotidiano i temi
del lockdown e le mie riflessioni hanno oscillato tra pessimismo ed ottimismo,
anche se i miei punti cardinali di riferimento sono stati e rimangono Gramsci e
Pasolini.
Non mi ripeto e per questo oggi il pendolo si piega verso il
negativo, il pessimismo.
A indurmi in tale impantanamento hanno contribuito un
virologo ed una “compagna” di avventure politiche.
Mi spiego meglio, superando il cripticismo.
Esistono pochi, anche se a volte ci appaiono in tanti, che
hanno veementemente professato il loro rifiuto verso l’utilizzazione di
vaccini; allo stesso tempo esistono alcuni che hanno alzato forte il loro
allarme sul rischio che corre la Democrazia. Ai primi non ho mai dato credito,
perchè forte è stato il controllo sugli esiti dalla somministrazione dei
prodotti a salvaguardia di alcune diffuse e terribili patologie e non vi è
stato alcun riscontro intorno alla loro pericolosità. Ai secondi ho riservato
invece una forma di scetticismo, motivato dalla consapevolezza dell’esigenza di
interventi pur temporanei che fossero rigorosi energici e risoluti ancor più di
quanto non sia poi stato attuato.
Questo, in sintesi, quel che ho creduto fino a pochi giorni
fa: verso i secondi sono stato molto più prudente di quanto non abbia fatto con
i primi, ai quali proseguo ad assegnare degradanti patenti.
Pur tuttavia, quando l’altro giorno un autorevole virologo
ha cominciato a nutrire qualche dubbio sull’efficacia dei vaccini così
rapidamente a quasi-diretta disponibilità delle masse, ho avviato una
riflessione, che va oltre: mi sono chiesto e non trovo risposte adeguate se
fossero state svolte le opportune necessarie verifiche su fasce di età
diversificate scientificamente ed in particolare su possibili interazioni
nocive tra vaccino antinfluenzale e quelli che dovranno contrastare il Covid19.
Collegato a quel che potrà significare, con esiti positivi,
l’inoculazione del vaccino contro il Coronavirus19, ho allargato la mia visione
“pessimistica” al fatto che, dovendosi trattare di un prodotto estremamente
necessitato per la “vita” di tutti, nessuno escluso – a partire dai più anziani e più deboli (che
notoriamente sono categorie affini), la disponibilità potrebbe variare a
seconda della qualità economica del mercato.
Apparentemente quel che ho scritto qui sopra è di una
eccezionale gravità e si potrebbe ascrivere ad uno stato di prostrazione
pessimistica eccezionale. Ma di tanto in tanto mi è capitato di sentire di
peggio e di sentirlo non in modo furtivo ma con dichiarazioni esplicite. Spero
siano solo mie “voci di dentro” malevoli. Ma quando fuori ai nosocomi nelle
grandi città ci sono file di ambulanze in attesa e nei corridoi gli ammalati
attendono di poter essere collocati a seconda della gravità delle loro
condizioni allorquando non vi sono alternative logistiche a disposizione ed è
assai urgente intervenire, si procede ad una scelta drammatica.
….a questo punto
interrompo il mio “scriptum” e riporto uno degli articoli dai quali si
rileva che le mie parole non sono personali “ubbìe” di vecchio decrepito:
Mi sono fermato perchè era giusto che si comprendessero
meglio le mie preoccupazioni. In realtà non sono solo mie: occorre mantenere
alta la guardia. Non sarà tutto vero ma non bisogna mai sottovalutare qualche
dubbio; non si può far prevalere una sorta di correttezza istituzionale mentre
qualcuno sotto traccia potrebbe meditare reazioni e rivincite antidemocratiche,
liberticide. Potrebbe! E se può, utilizzando la sua “libertà” contro quella dei
tanti, fiaccando le menti, colpendole ai fianchi quotidianamente con bollettini
di guerra continuativi, bisogna attrezzarsi. Questa pandemìa furiosa sta
piegando le forze, indebolendo le energie, mortificando le forme associative,
limitando il dibattito civile se non quello che si va svolgendo sui social.
Cosa devo raccontarvi, cosa aggiungere che non sappiate già?!
Ritornando al primo gruppo dei “no vax” o assimilati ai quali
come ho scritto non credo nella maniera più assoluta sono qui anche a spiegare
il motivo per cui ne ho parlato e poi apparentemente ho svicolato sul tema. La
mia preoccupazione maggiore è sulla qualità dei vaccini e sui suoi costi
effettivi, quelli che andranno a carico delle popolazioni. Penso di essere
ancora abbastanza fortunato, insieme a tante persone che vivono in questa parte
del Mondo che si chiama Occidente, in quanto vi è la certezza della
disponibiità delle necessarie dosi di quel prodotto, che con il passare dei
giorni, delle settimane e probabilmente di qualche mese potrà far emergere
anche gli aspetti meno positivi, laddove – come ci si preoccupa – questi
esistessero davvero. Ho accostato il tema della non disponibilità per tutti –
pensando ai paesi poveri dove i dati del contagio non sono mai stati
attendibili e stimolano gli osservatori a congetturare scenari davvero cupi e
pericolosi per il resto dell’umanità (“il virus non si è modificato” è quel che
si dice, ma ciò non toglie che non possa in seguito accadere, finendo per
provocare accanto ad una devastazione di tipo ecologico ambientale un’ecatombe
di tipo planetario). Questo è lo scenario apocalittico che dobbiamo
esemplarmente tenere d’occhio; se la scelta della produzione di massa dei
“vaccini” non si pone l’obiettivo della gratuità a vantaggio del fruitore
finale, soprattutto i più deboli e poveri, i diseredati della Terra, non farà
altro che destinare il Pianeta ad una autodistruzione.
Non avrà alcun valore il livello di Civiltà raggiunto nè il
grado di Governo del Mondo.
Non potremo raccontarcelo.
E ritorno a trattare dei “secondi”, ovvero quegli “alcuni che
hanno alzato forte il loro allarme sul rischio che corre la Democrazia”.
Abbiamo subito pensato che fossero “fuori luogo”, ed in realtà lo erano, perché
scendevano in piazza, negando fossero reali i numeri delle vittime, quelle
scene strazianti delle “camere di terapia intensiva” dove esseri ormai
irriconoscibili lottavano tra il poco di vita che rimaneva e la morte che
avanzava, e quelle lunghe file di camion militari con salme che non potevano
essere accompagnate dagli affetti più cari. Visionari, dunque? Forse soltanto
inopportuni; anche perché con tutto quello che sta ancora oggi accadendo e
tutto quello che si annuncia per le prossime settimane e forse mesi e mesi
ancora una preoccupazione io la manterrei ben desta.
3.
Quel che pavento in questi “post” deve essere utile a
scongiurare simili scenari apocalittici.
Non basterà che qualcuno lo scriva, che lo dica e che uno
sparuto gruppo di supporter lo confermi; bisognerà lavorare sodo per recuperare
un “volgo disperso” sofferente al di là di quanto sia oggi possibile
immaginare, oltre le privazioni oltre i lutti ben oltre le sofferenze fisiche e
morali, psicologiche e reali. Se rimane in noi un lievito di serenità con il
quale poter riuscire a concretizzare un pensiero complesso non piegato sulle
proprie miserie, dovremo ricostruire il nostro tempo e rimettere in ordine il
tutto per il futuro, che non potrà essere del tutto uguale a quel recente
passato che in tanti sembrano voler rapidamente, il più velocemente possibile,
recuperare.
n questi giorni ferve con intensità il dibattito sulla
necessità di riaprire, in qualsiasi modo, molte tra le attività commerciali e
turistiche; si rischia di rimettere in moto la circolazione del virus con una
velocità ben superiore a quella finora espressa nelle due fasi, la seconda
ancora in corso seppur in lieve flessione. C’è in una parte degli imprenditori
– come quelli che si occupano delle località turistiche sulla neve – la
“giusta” idea che si corrano rischi di impresa cui essi tengono in modo molto
netto e specifico e temono “giustamente” per il loro futuro. Hanno tutte le
buone ragioni da portare avanti; ma non intendono, ed in realtà non possono
nemmeno del tutto, assumersi la responsabilità, considerarsi colpevoli, dei
danni altrettanto gravi e oggettivamente incommensurabili che potrebbero provocare,
ridando forza alla diffusione della pandemìa. In linea di massima si sarebbe
anche potuto mantenere aperte tante altre realtà operative (ristoranti,
alberghi, musei, teatri, cinema, centri commerciali, impianti sportivi, ecc…)
già nella prima fase; ma sarebbero occorsi alcuni elementi che oggettivamente
sono mancati: a questo punto sarebbe stato stato utile una sollecitazione
“virtuosa” da parte delle Opposizioni (che in questa fase qui nel nostro Paese
afferiscono in modo esclusivo alle Destre) ad utilizzare metodi severi ed
energici per tutti con la scelta di regole prescrittive rigorose sia nella fase
teorica propositiva sia in quella immediatamente successiva attuativa ed
applicativa. Le Destre dovrebbero possedere dentro il loro DNA questa potenzialità;
ma in questo Paese purtroppo (! – lo dico a forte ragion veduta) la Destra è
semplicemente caratterizzata da una parte dalla voglia di essere “contrari” a
prescindere con lo scopo di rosicchiare un po’ alla volta consensi alle forze
di Governo, dall’altra parte sostengono posizioni negazioniste oscurantiste,
dall’altra ancora si ergono a paladini esclusivi delle parti produttive che, in
gran numero, hanno usufruito di vantaggi di carattere economico. E questo modo
di essere delle Destre in definitiva “non collaborativo”, in un momento in cui
è opportuno e – forse anche “vincente”, finisce per
ingenerare un “corto circuito” che sospinge, in un drammatico gioco delle
parti, il Governo a produrre scelte ambigue non così forti da poter rapidamente,
dopo un periodo di difficoltà, consentire una ripresa dignitosa per l’intero
Paese.
DENTRO IL LOCKDOWN – le disuguglianze tra “pregresso” e
“futuro” e la “giustizia” degli interventi statali
Sempre con lo sguardo rivolto al passato, da quello più
prossimo a quello più remoto, prendendo in considerazione ciò che vediamo (o
che dovremmo vedere) e potremmo conoscere meglio e cioè la realtà a noi più
vicina, quella pratese (che non è poi meno significativa di tante altre
disseminate sul territorio nazionale), non possiamo non renderci conto delle
ragioni per cui una larghissima parte della popolazione non va sopportando
facilmente le restrizioni obbligate a causa della pandemìa.
Ripetendo che non ci vuole un grado superiore di scientificità e di saggezza a sottolineare che chi ha lavorato “totalmente a nero” non ha potuto usufruire di alcuna copertura e chi ha invece solo parzialmente lavorato con quella modalità ha potuto ricevere solo una minima parte di sostegno, commisurata al compenso regolare percepito. La stessa cosa vale per quegli esercenti ed imprenditori che hanno dichiarato al fisco cifre bassissime, eludendo gran parte dei loro ricavi: il contributo del Governo è stato per equità commisurato a quanto precedentemente fatturato. La realtà pratese è stata analizzata in tantissime ricerche e qualche giono fa, spulciando nei miei contenitori telematici mi è capitato di imbattermi in una riflessione “non firmata” ma che potrebbe essere stata prodotta dal sociologo Fabio Bracci oppure da Miche Del Campo, che ha mostrato grande attenzione a queste tematiche facendo tesoro sulla sua esperienza come Direttore della FIL e coordinatore della Pastorale del Lavoro in Curia Diocesana. Penso che sia uno di loro, anche perché è in una cartella nella quale si trovano altri documenti concernenti uno dei tanti tentativi di ricostruire un soggetto della Sinistra alternativa e democratica qui a Prato. In essa vi sono molti elementi che aiutano a meglio comprendere le difficoltà di oggi e la necessità di procedere verso il domani, riconoscendo gli errori “pregressi” e facendo tesoro degli aspetti positivi che non sono mancati. Far finta di nulla e proseguire così come si è vissuto – nel disprezzare le regole e le leggi e nel vivere al di sopra delle proprie possibilità – sarebbe una vera e propria offesa all’intelligenza umana. E’ un testo “datato” tra il 2016 e il 2017 che vale la pena rileggere nella sua integrità. Sia Fabio che Michele hanno trattato questi temi, come è ovvio, da punti di vista diversi. Il titolo del testo è:
Il reddito e
la sua distribuzione a Prato
La lotta alla povertà e all’impoverimento non può essere delegata alle imprese e al mercato. La linea governativa di sostegno incondizionato alle imprese non permetterà di risolvere le diseguaglianze e di uscire dalla trappola della povertà. Questa trappola si risolve solo con le politiche di inclusione che hanno i loro cardini nell’accesso al lavoro, sicuro e economicamente dignitoso, di una sempre più alta numerosità di cittadini. A Prato 19.608 euro è il reddito medio annuale per il 2014. Ma il dato medio, in sé, non dà la fotografia della complessa realtà reddituale cittadina. Lo scostamento tra chi è particolarmente benestante e chi ha grosse difficoltà economiche si è acuito nel breve arco di tempo 2012 – 2014. In tre anni sono cresciuti i redditi dei più ricchi a discapito di quelli dei più poveri. Soltanto il 22% della popolazione contribuente pratese detiene il 51% della ricchezza complessiva. I 143.178 contribuenti pratesi hanno un reddito aggregato, nell’anno 2014, pari a oltre 2,8 miliardi di euro. Il reddito aggregato, la ricchezza, cresce complessivamente dell’1,6% rispetto l’anno 2013 che a sua volta è cresciuto del 3% rispetto l’anno 2012. Nell’arco di tre anni la ricchezza pratese, in valore assoluto, aumenta di oltre 127 milioni di euro. A beneficiare dell’aumento di ricchezza sono soprattutto le classi alte, quelle con reddito complessivo superiore ai 120.000 euro. Questi crescono del 15% per un valore assoluto di oltre 29 milioni. Anche la classe di reddito compresa tra i 55.000 e i 75.000 euro cresce del 10%. I percettori di reddito compresi tra 26.000 e 55.000 euro crescono del 9% con un valore assoluto pari a oltre 82 milioni di euro. Si impoveriscono, invece, le classi di reddito più basse. Quella tra i 10.000 e i 15.000 euro perde € 14 milioni di Euro pari ad un significativo -6% e quella con redditi tra gli 0 e i 10.000 euro si attesta ad un -1%. Si registrano 1442 persone con reddito pari a zero e, all’estremo opposto, 958 persone con reddito medio di 205.000 euro. Queste ultime rappresentano lo 0,7% della popolazione e detengono il 7% della ricchezza. Da ciò deriva che il 4% della popolazione pratese, 5600 persone con redditi superiori ai 55.000 euro lordi annui, detiene il 20% della ricchezza totale. Il 4% della popolazione pratese detiene un quinto della ricchezza. Tutto ciò non può rassicurare rispetto la tenuta del patto sociale tra cittadini e nuovi cittadini, tra lavoratori e imprese, tra giovani e anziani. Ogni cittadino e ogni lavoratore rischia di non vedersi come pari all’interno di un sistema solidaristico ma, piuttosto, come competitore in una gara che potrebbe non produrre coesione e cooperazione ma egoismo e individualismo. L’impressione è che, anche a Prato, “l’ordine dell’egoismo” abbia preso il sopravvento su quell'”ordine della solidarietà” che un tempo aveva il suo vivaio più fertile nella protratta condivisione di valori e di ricchezza. È stata la crisi del sistema produttivo, giunta a Prato prima di quella epocale del 2008, a occuparsi di smantellare le fondamenta della solidarietà.
Per le persone semplici ed in buona fede l’utilizzo di un sistema di recupero immediato come la “patrimoniale” è la soluzione al problema. Viene contrabbandato come un atto di generosità da parte di chi più ha verso chi ha meno. Appare come una forma di giustizia sociale indiscutibile sotto l’aspetto etico; verrebbe incontro a placare quel senso di colpa tipicamente “cristiano” (lo dico perché stimo il “cristiano” ma non posso esimermi dal sottolineare che troppe volte la “carità” ha oscurato la “legalità”), che considera l’arricchimento come un elemento per il quale provare imbarazzo e del quale “solo in parte” sbarazzarsi (non giudico la provenienza di tali ricchezze ma se si prova disagio possedendole qualche sospetto naturalmente emerge). Ma questo riferimento è un inciso dal quale staccarsi; dal mio punto di vista laico ed essendo scevro da questi problemi, non possedendo patrimoni per cui provare imbarazzo, posso esporre senza tema il mio pensiero, così come si è andato svolgendo in questi ultimi tempi, ma anche prima. Quando sottolineavo come lo scoppio e la diffusione negli spazi e nel tempo degli eventi pandemici avrebbe potuto (e dovuto) creare le condizioni migliori per un livellamento tendenziale delle posizioni economiche delle classi sociali (non una rivoluzione come la abbiamo immaginata da una parte o dall’altra delle barricate ideologiche) osservavo la realtà con uno sguardo di media portata ma non lunga né immediata. Le ingiustizie sociali dovevano essere sanate senza la necessità di un rovesciamento ma con la strutturazione di leggi – anche se si vuole, “speciali”, e chiamarle così non per avviare una fase di riduzione delle libertà, che non possono essere considerate “tali” se producono ingiustizia – che proteggano i più deboli e spingano i più forti a redistribuire i propri ricavi in modo soprattutto “legale”.
La scelta probabile di una “nuova patrimoniale” è
profondamente iniqua. Essa continua a proteggere i disonesti, quelli che
nascondono i propri guadagni, molto spesso frutto di illeciti, che la faranno
franca “anche” in questo caso, mentre gli onesti verrebbero costretti da una
scelta legislativa poco coraggiosa ed incapace di produrre effetti positivi di
larghe ed ampie vedute. Con tale scelta sarebbe inevitabile protrarre
ulteriormente il disequilibrio tra chi più possiede e chi meno ha, creando
addirittura i presupposti per ribellarsi palesamente ed in modo occulto a tali
soluzioni che apparirebbero non come atti di giustizia ma vere e proprie
angherie.
Alla Sinistra che “sembra” approvare queste scelte rivolgo l’appello
più accorato. Bisogna andare oltre lo stretto “contingente”: dopo la “patrimoniale”
continueranno ad esistere il lavoro “nero”, lo sfruttamento dei lavoratori e l’arricchimento
illegale. Il che produrrà altra ingiustizia e il convincimento da parte dei
disonesti di essere invincibili. Alla Sinistra credo debba stare a cuore l’abbattimento
delle “piaghe” connesse al trattamento lavorativo, la sconfitta della povertà incentivando
il rispetto delle competenze e delle professionalità, valorizzando il merito,
diffondendo soprattutto nei giovani una cultura della legalità che non sia solo
un mero sbandieramento di slogan sulle piazze e nei consessi politici. Per fare
questo bisogna avere più coraggio ed andare oltre le enunciazioni ideologiche;
e per far questo, visto che la proposta pedagogica educativa è quasi fallito
(anzi “é fallita”!), non bisogna temere di inimicarsi la parte peggiore della
società.
E’ passata da poco la data del 30 novembre nella quale si svolgono le iniziative collegate alla FESTA della TOSCANA. Il 30 novembre del 1786 fu promulgato e pubblicato il “Codice Penale Leopoldino” voluto dal granduca di Toscana Pietro Leopoldo d’Asburgo. Il 30 novembre del 2000 per la prima volta la Regione Toscana indisse la Festa della Toscana, collegandola a quello straordinario evento: per la prima volta nella storia del mondo moderno venivano abolite la tortura e la pena di morte . Questi post riportano la trascrizione degli Atti di un Convegno molto importante che si svolse in quella occasione presso il Centro per l’Arte Contemporanea “Luigi Pecci” di Prato
PACE E DIRITTI UMANI Atti del CONVEGNO del 30 novembre 2000 CENTRO PER L’ARTE CONTEMPORANEA “LUIGI PECCI”
Introduce il Prof. Giuseppe Maddaluno, Coordinatore delle Commissioni Cultura delle cinque Circoscrizioni del Comune di Prato:
Buonasera. Grazie per essere intervenuti così numerosi, un grazie particolare agli studenti e ai docenti presenti. La giornata che oggi celebriamo è dedicata alla Prima Festa della Toscana; noi rappresentanti delle Circoscrizioni abbiamo previsto di svolgere questa iniziativa, a metà tra lo studio consapevole ed il divertimento colto. Infatti dopo di me interverranno rappresentanti istituzionali come la Vicepresidente della Provincia di Prato, Gerardina Cardillo, come la rappresentante di Amnesty International, Liviana Livi ed il Vicepresidente del Centro per l’Arte Contemporanea “Luigi Pecci” (che così gentilmente ha accolto la nostra richiesta di ospitalità), prof. Attilio Maltinti. L’intervento colto, la prolusione accademica sarà svolta dal prof. Giuseppe Panella, docente di Filosofia Estetica all’Università di Pisa.
La signora Cardillo, che non è ancora qui con noi, ci ha fatto sapere che interverrà brevemente per ritornare poi in Consiglio Provinciale per poter partecipare alla celebrazione prevista in quella sede; per ora non è ancora arrivata, aveva un altro incontro alle 14,30 (è una giornata, come potete immaginare, molto intensa) e sarà qui tra breve. Io penserei laddove fosse qui mentre introduco di passarle la parola prima della prolusione del prof. Panella. io comunque faccio soltanto una breve introduzione sullo svolgimento dei lavori della giornata, così come l’abbiamo noi prevista.
Normalmente i grandi uomini e i grandi eventi si festeggiano a decennali, ventennali, ecc…. e poi con i centenari e i bicentenari, ecc…; quello che oggi sta accadendo davanti a tutti noi è chiaramente da questo punto di vista del tutto anomalo. Si festeggiano con questa Festa della Toscana o, come abbiamo voluto sottolineare nel nostro titolo, “della civile Toscana” , i 214 anni dalla promulgazione e pubblicazione a Firenze della Riforma della legislazione criminale toscana, nota anche come “Codice Penale Leopoldino”, o “Riforma Leopoldina”, nella quale per la prima volta nella storia del mondo moderno venivano abolite la tortura e la pena di morte.
Per creare questa occasione ha indubbiamente influito la drammatica vicenda di Derek Rocco Barnabei, che ha visto la Toscana tutta battersi in prima fila nella battaglia contro la pena di morte. Di certo proprio quella serie di eventi è stato l’inequivocabile segnale di quanto la nostra Regione possedesse nel suo peculiare DNA, un DNA che a tutta evidenza viene da lontano, con il rifiuto di scelte che appaiono sempre più lesive dei più elementari diritti umani, di uno soprattutto di essi, consacrato anche dalla nostra fede religiosa, quella principale “di Stato”, la “cattolica”, che considera inalienabile e assoluto il diritto alla vita.
DENTRO IL LOCKDOWN – la “rivoluzione mancata” – una passerella di inutili insignificanti personaggi ed il lavoro delle api
Nel corso degli ultimi anni abbiamo troppo spesso “parlato”
delle “magnifiche sorti e progressive” del nostro mondo ma poco o nulla è stato
fatto per realizzarle. Esistono funzioni diversificate che devono pensare ad
essere complementari per mirare all’ottenimento degli obiettivi sognati
annunciati e mai attivati. Questi eventi drammatici dovrebbero aver prodotto
accanto alla necessaria resilienza una progettualità a medio e lungo termine,
partendo dall’utilizzazione delle immense risorse umane disperse (non solo
quelle che hanno trovato spazio all’estero; anzi, quelle sono utilissime dove
sono per recuperare il nuovo know how
accumulato: qui, nelle condizioni attuali si disperderebbero
inutilmente) in mille rivoli nell’accettazione di lavori umilianti sotto pagati
malpagati pagati a nero. C’è da far partire per davvero (non attraverso lo
strumento della bocca) una rivoluzione tecnologica che non sia esclusivamente
impiegata per l’ottenimento di risultati utili a questa o quell’azienda.
La realtà che sta emergendo è deludente: quando ci si è resi
conto che per fronteggiare la pandemia avremmo dovuto “fermarci” in tanti, un
po’ per consolazione un po’ per dabbenaggine un po’ perchè ci si credeva
davvero, abbiamo annunciato che non tutti i mali vengono per nuocere e che ne
saremmo venuti fuori “migliori”.
Da una parte oggi avvertiamo la delusione ma non ci sentiamo
ancora perdenti in quella direzione. Si può ancora sperare anche se molti sono
i segnali che ci condizionano verso un pensiero negativo. E non ci aiuta quella
congerie di inutili personaggi che a pagamento ogni giorno e più volte al
giorno appaiono sugli schermi televisivi a raccontarci il tutto ed il suo
contrario spargendo saggezze banali come se dovessero essere verità assolute. Tra
l’altro non riescono neanche a condizionare in modo efficace gli imbecilli che
se ne strafregano delle regole e le piegano ai loro esclusivi vantaggi. Questi ultimi
sono intercambiabili; si riproducono progressivamente: non può essere che così,
non è pensabile che nessuno di loro in questi mesi non sia stato colpito in
modo diretto o indiretto dalla pandemìa e non abbia dunque avuto alcun pur
minimo segno di resipiscenza.
Un altro elemento di delusione sempre riferito a quei
sentimenti collettivi di positività che durante il primo lockdown venivano
trasmessi dai balconi è emerso pian piano: corruzione e malaffare hanno
proseguito ad allignare sotto traccia e varie indagini ancora in corso ne
approfondiranno la gravità.
In realtà bisogna anche render conto di tutta una serie di aspetti positivi che sono emersi e che – lo si spera – possano sospingere a scelte migliorative: uno di questi aspetti riguarda il nostro ambiente. Poco prima che l’epidemia scoppiasse e divenisse pandemia avevamo assistito a raduni oceanici a favore di uno sviluppo sostenibile e contro il cambiamento climatico progressivo portato avanti dalla giovanissima attivista svedese Greta Thunberg. Il processo negativo non si è arrestato a livello globale ma nelle nostre campagne, nei parchi, nei giardini anche quelli piccoli e privati c’è stata una straordinaria fioritura e anche i successivi raccolti sono stati abbondanti. “Le api hanno svolto con tranquillità il loro lavoro!”
IN RICORDO DEL “POETA” PIER PAOLO PASOLINI – atti di un Convegno del 2006 – PREMESSA sulle iniziative del novembre-dicembre 2005 – parte seconda
Nell’occasione
avemmo anche la collaborazione dell’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio
e Democratico, con il quale avevo avviato un intenso rapporto di cooperazione
sin dalla mia esperienza con il Cinema di Gillo Pontecorvo (vedasi tutta la
serie di miei post dedicati a “Giovanna”, figura inventata ma realistica di
operaia tessile in lotta per la conquista dei diritti – particolarmente quelli
delle donne – negli anni Cinquanta qui a Prato).
Altra
collaborazione preziosa fu quella del Dopolavoro Ferroviario di Prato in Piazza
della Stazione che in quel periodo era condotto dal punto di vista gestionale
ma con una propensione particolare allo Sport ed alla Cultura da Lucio La Manna
e Nicola Verde.
Ad ogni modo
ora scenderemo nel dettaglio, in questa Premessa agli Atti del Convegno del 27
aprile del 2006, relativamente alle iniziative che si svolsero nell’intera
città di Prato tra il novembre ed il dicembre del 2005 a trenta anni dalla
morte di Pier Paolo Pasolini.
Il 4 novembre del 2005 alle ore 12.00 presentammo alla Stampa e
ad un pubblico scelto rappresentativo del mondo scolastico cittadino il
Programma delle inziative. Il luogo scelto fu l’Istituto “Tullio Buzzi” in
Viale della Repubblica 9 non molto distante dalla sede della Circoscrizione Est
di Viale De Gasperi 67, luogo operativo principale (vedasi foto di uno degli
incontri svolti nella Sala “don Lorenzo Milani”).
La prima iniziativa era prevista lunedì 7 novembre e già dava il
segno della rilevanza del complesso di proposte che travalicavano i confini
provinciali e accoglievano gruppi nazionali. L’avevamo concordata con la
Circoscrizione Sud ed il coinvolgimento operativo della Circoscrizione Centro
(anche perchè dovendo coinvolgere gli Istituti di Scuola Media Superiore questi
ultimi non erano presenti sul territorio Sud ma quasi tutti afferivano al
Centro). Infatti l’evento del 7 novembre fu organizzato nell’Auditorium dell’Istituto
“Gramsci-Keynes” nel Polo Scolastico di via Reggiana, dove confluiscono altri
Istituti come il “Dagomari” ed il “Datini”. L’importanza dell’iniziativa non
era solo la presenza di più Enti amministrativi ma in modo particolare la cooperazione
tra il Teatro Stabile della Toscana “Metastasio” di Prato e la Compagnia
Teatrale Mercadante Teatro Stabile di Napoli. Non solo questo, però! Lo
spettacolo, perché di questo si trattava, era coprodotto dal Teatro “La Baracca”
di Maila Ermini. “Idroscalo 93” (il riferimento del titolo è al luogo preciso
di Ostia dove fu trovato il corpo senza vita di Pasolini) portava la firma di
Mario Gelardi con la consulenza di Carla Benedetti ed era interpretato da Ivan
Castiglione e Daniele Russo.
La seconda iniziativa era per venerdì 11 novembre ore 21.00
presso gli spazi naturalmente scenografici del Dopolavoro Ferroviario in Piazza
della Srazione 22. In quella occasione fu la Compagnia teatrale “Per l’acquisto
dell’Ottone” diretta da Viviano Vannucci e Andrea Bianconi a presentare la
messa in scena di “Che cosa sono le nuvole: Pasolini riscrittore”, chiaro
riferimento all’episodio cinematografico del film “Capriccio all’italiana”.
Con la terza iniziativa avviavamo una serie di incontri di
approfondimento su alcuni aspetti della vita e delle opere letterarie di Pasolini.
Il mercoledì 16 novembre alle ore 14.30 eravamo nell’Aula della Bibilioteca del
Liceo Scientifico “Copernico” in viale Borgovalsugana 63. A relazionare sul
tema “Pasolini viaggiatore e reporter” fu la dottoressa Stefania Cappellini,
ricercatrice dell’Università di Pisa.
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