IL MOTIVO DI MANUTENERE UN BLOG – il mio Blog Parte terza
Ho pubblicato a volte più post quotidiani; non sempre ho
programmato gli interventi, ed in alcuni momenti ho abbandonato per lunghe
giornate la pratica. Negli ultimi mesi, invece, l’emergenza pandemica ha
condizionato il ritmo della mia presenza, più sul Blog che sull’account e la
pagina Facebook che “curo” e le uscite sono state più regolari. Pochi “buchi”
nei mesi da febbraio ad oggi in quest’anno bisestile (il 23 ed il 28 febbraio,
il 4 e il 9 marzo, il 17 maggio, il 20 giugno sono state le uniche 6 giornate
in cui non è apparso un mio intervento). In generale, in questo periodo, per l’appunto,
ho progettato “recuperi” della memoria ed in questo momento ho già più di venti
post già pronti per essere pubblicati. A dilatare lo spazio contribuiscono gli
eventi “contemporanei” che non mancano mai. Inevitabilmente in un Blog come
questo c’è il rischio di ripetizioni involontarie; e qui mi ripeto: scrivere di
me non ha molto a che vedere con una sorta di egocentrismo; avessi voluto
farlo, avrei potuto allargare il mio plafond di followers (così si chiamano
coloro che – in qualche modo – seguono le peripezie di un “blogger”) acquisendo
spazi e dando il consenso ad inserzioni pubblicitarie. L’ho fatto e continuerò
a farlo fin quando mi sarà possibile, soprattutto perché – alla fin fine – ci deve
essere un ruolo nella “microstoria” per ciascuno di noi: è l’ “insieme” che fa
il “tanto”.
“DENTRO IL LOCKDOWN
I rischi per la tenuta democratica: non solo inutili allarmismi” parte 2
Mi sono fermato perchè era giusto che si comprendessero
meglio le mie preoccupazioni. In realtà non sono solo mie: occorre mantenere
alta la guardia. Non sarà tutto vero ma non bisogna mai sottovalutare qualche
dubbio; non si può far prevalere una sorta di correttezza istituzionale mentre
qualcuno sotto traccia potrebbe meditare reazioni e rivincite antidemocratiche,
liberticide. Potrebbe! E se può, utilizzando la sua “libertà” contro quella dei
tanti, fiaccando le menti, colpendole ai fianchi quotidianamente con bollettini
di guerra continuativi, bisogna attrezzarsi. Questa pandemìa furiosa sta
piegando le forze, indebolendo le energie, mortificando le forme associative,
limitando il dibattito civile se non quello che si va svolgendo sui social. Cosa
devo raccontarvi, cosa aggiungere che non sappiate già?!
Ritornando al primo gruppo dei “no vax” o assimilati ai
quali come ho scritto non credo nella maniera più assoluta sono qui anche a
spiegare il motivo per cui ne ho parlato e poi apparentemente ho svicolato sul
tema. La mia preoccupazione maggiore è sulla qualità dei vaccini e sui suoi
costi effettivi, quelli che andranno a carico delle popolazioni. Penso di
essere ancora abbastanza fortunato, insieme a tante persone che vivono in
questa parte del Mondo che si chiama Occidente, in quanto vi è la certezza
della disponibiità delle necessarie dosi di quel prodotto, che con il passare
dei giorni, delle settimane e probabilmente di qualche mese potrà far emergere
anche gli aspetti meno positivi, laddove – come ci si preoccupa – questi esistessero
davvero. Ho accostato il tema della non disponibilità per tutti – pensando ai
paesi poveri dove i dati del contagio non sono mai stati attendibili e
stimolano gli osservatori a congetturare scenari davvero cupi e pericolosi per
il resto dell’umanità (“il virus non si è modificato” è quel che si dice, ma
ciò non toglie che non possa in seguito accadere, finendo per provocare accanto
ad una devastazione di tipo ecologico ambientale un’ecatombe di tipo planetario). Questo è lo scenario apocalittico che
dobbiamo esemplarmente tenere d’occhio; se la scelta della produzione di massa
dei “vaccini” non si pone l’obiettivo della gratuità a vantaggio del fruitore
finale, soprattutto i più deboli e poveri, i diseredati della Terra, non farà
altro che destinare il Pianeta ad una autodistruzione.
Non avrà alcun valore il livello di Civiltà raggiunto nè il
grado di Governo del Mondo.
Non potremo raccontarcelo.
E ritorno a trattare dei “secondi”, ovvero quegli “alcuni che hanno alzato forte il loro allarme sul rischio che corre la Democrazia”. Abbiamo subito pensato che fossero “fuori luogo”, ed in realtà lo erano, perché scendevano in piazza, negando fossero reali i numeri delle vittime, quelle scene strazianti delle “camere di terapia intensiva” dove esseri ormai irriconoscibili lottavano tra il poco di vita che rimaneva e la morte che avanzava, e quelle lunghe file di camion militari con salme che non potevano essere accompagnate dagli affetti più cari. Visionari, dunque? Forse soltanto inopportuni; anche perché con tutto quello che sta ancora oggi accadendo e tutto quello che si annuncia per le prossime settimane e forse mesi e mesi ancora una preoccupazione io la manterrei ben desta.
prosegue……..“DENTRO IL LOCKDOWN I rischi per la tenuta democratica: non solo inutili allarmismi”
DENTRO IL LOCKDOWN I
rischi per la tenuta democratica: non solo inutili allarmismi
In questi giorni ho trattato in modo quasi quotidiano i temi
del lockdown e le mie riflessioni hanno oscillato tra pessimismo ed ottimismo,
anche se i miei punti cardinali di riferimento sono stati e rimangono Gramsci e
Pasolini.
Non mi ripeto e per questo oggi il pendolo si piega verso il
negativo, il pessimismo.
A indurmi in tale impantanamento hanno contribuito un
virologo ed una “compagna” di avventure politiche.
Mi spiego meglio, superando il cripticismo.
Esistono pochi, anche se a volte ci appaiono in tanti, che
hanno veementemente professato il loro rifiuto verso l’utilizzazione di vaccini;
allo stesso tempo esistono alcuni che hanno alzato forte il loro allarme sul
rischio che corre la Democrazia. Ai primi non ho mai dato credito, perchè forte
è stato il controllo sugli esiti dalla somministrazione dei prodotti a
salvaguardia di alcune diffuse e terribili patologie e non vi è stato alcun
riscontro intorno alla loro pericolosità. Ai secondi ho riservato invece una
forma di scetticismo, motivato dalla consapevolezza dell’esigenza di interventi
pur temporanei che fossero rigorosi energici e risoluti ancor più di quanto non
sia poi stato attuato.
Questo, in sintesi, quel che ho creduto fino a pochi giorni
fa: verso i secondi sono stato molto più prudente di quanto non abbia fatto con
i primi, ai quali proseguo ad assegnare degradanti patenti.
Pur tuttavia, quando l’altro giorno un autorevole virologo ha cominciato a nutrire qualche dubbio sull’efficacia dei vaccini così rapidamente a quasi-diretta disponibilità delle masse, ho avviato una riflessione, che va oltre: mi sono chiesto e non trovo risposte adeguate se fossero state attivate da parte dei ricercatori le opportune necessarie verifiche su fasce di età diversificate scientificamente ed in particolare su possibili interazioni nocive tra vaccino antinfluenzale e quelli che dovranno contrastare il Covid19.
Collegato a quel che potrà significare, con esiti positivi,
l’inoculazione del vaccino contro il Coronavirus19, ho allargato la mia visione
“pessimistica” al fatto che, dovendosi trattare di un prodotto estremamente
necessitato per la “vita” di tutti, nessuno escluso – a partire dai più anziani e più deboli (che
notoriamente sono categorie affini), la disponibilità potrebbe variare a
seconda della qualità economica del mercato.
Apparentemente quel che ho scritto qui sopra è di una
eccezionale gravità e si potrebbe ascrivere ad uno stato di prostrazione
pessimistica eccezionale. Ma di tanto in tanto mi è capitato di sentire di
peggio e di sentirlo non in modo furtivo ma con dichiarazioni esplicite. Spero siano
solo mie “voci di dentro” malevoli. Ma quando fuori ai nosocomi nelle grandi
città ci sono file di ambulanze in attesa e nei corridoi gli ammalati attendono
di poter essere collocati a seconda della gravità delle loro condizioni
allorquando non vi sono alternative logistiche a disposizione ed è assai urgente
intervenire, si procede ad una scelta drammatica.
….a questo punto interrompo il mio “scriptum” e riporto uno degli articoli dai quali si rileva che le mie parole non sono personali “ubbìe” di vecchio decrepito:
Nella prima fase della pandemìa all’inizio abbiamo faticato
a convincerci che occorreva rigore e sacrificio per riuscire a ridurre i danni “umani”
(che poi significano anche “economici”). Il mondo della Politica, quasi tutto,
si ostinava a mantenere aperte le strutture produttive e quelle commerciali,
facendo prevalere gli interessi economici su quelli della salute. E’ una prassi
molto cruda che può sorprendere gli sprovveduti, ma che in questo mondo reso
ancor più meschino dalla rincorsa all’arricchimento sta divenendo molto comune.
Lo stesso settore della Sanità pubblica nel corso dei decenni passati ha visto
ridursi in modo molto rapido e deciso i suoi spazi a vantaggio dell’intervento
privato. In modo particolare si è visto venir meno progressivamente al ruolo
della medicina di base e delle strutture intermedie, la qual cosa ha colpito
drasticamente le parti più deboli della popolazione, che a causa di redditi
bassissimi ed una scarsissima capacità di sviluppare competenze moderne, come l’uso
dei mezzi tecnologici, è stata costretta a ridurre l’accesso alle cure ed alle
terapie preventive. Uno degli aspetti su cui è più urgente avviare una seria e
profonda riflessione è su come affronteremo il problema delle disuguaglianze
che sono la conseguenza non solo di questa “crisi” ma in modo particolare degli
errori che l’hanno resa più difficile da superare.
Un Blog, come questo, serve anche a raccogliere giorno dopo
giorno la memoria anche se da un punto di vista assolutamente individuale senza
pretesa di essere nel vero ma con la cognizione di poter contribuire a
ricercare possibili necessarie vie d’uscita.
Anche per questo, devo ripetere che uno sguardo equilibrato non può volgersi solo al contingente ma deve essere in grado di procedere ad una revisione degli errori singoli e collettivi che hanno preceduto questo stato che oggi chiamiamo emergenza e, come tale, affrontiamo solo per riportare il tutto indietro nel tempo ma solo a un minuto prima che questa si svelasse. In realtà molti dei responsabili di quel che se non ha prodotto ma di certo ha favorito la crudezza della crisi, sono tra noi, senza escludere chi oggi denuncia questa stato delle cose. E questo non deve condurre ad un colpo di spugna teso a cancellare ma ad una revisione severa da parte di tutti dei modelli sui quali abbiamo formato la nostra vita.
Se ne vogliamo davvero uscire migliorati, se vogliamo
davvero riprendere in mano il destino dell’umanità intera, se davvero amiamo la
vita, dobbiamo cominciare da subito a costruire un nuovo progetto. Sarà una
vera e propria impresa, anche perchè siamo certi che in altre parti del nostro
pianeta, forse anche molto vicini a noi altri si stanno organizzando per
riconfermare il loro Potere, accrescendolo e puntando non solo a riprendere le
vecchie abitudini ma a costruire altra diversa progettualità per rendere
maggiore l’ingiustizia sociale ed accrescere le disuguaglianze.
Sarebbe quantomeno opportuno in questo tempo in cui siamo
maggiormente portati alla riflessione andare alla riscoperta di alcuni valori
che, durante il lungo periodo dell’edonismo sfrenato cui ci siamo lentamente
abituati (in realtà chi più chi meno ne ha usufruito) avevamo tralasciato di
praticare. Sarà molto difficile una veloce e rapida presa di coscienza
complessiva della nostra società, ma si rischia di dover fare i conti con le
trasformazioni in modo molto più severo e drammatico man mano che si procederà
giorno dopo giorno, settimane e mesi.
Dobbiamo renderci conto che da questo passaggio in poi nulla
potrà essere come prima. E se dobbiamo anche continuare a far nostro quell’imperativo
camuffato da “futuro” o futuro con desiderio di “imperativo” – “andrà tutto
bene!” – che nella prima fase aveva accompagnato le nostre giornate, dobbiamo
anche accogliere come prospettiva un profondo cambiamento del nostro stile di
vita.
Verifichiamo quotidianamente (anche stamattina leggo un post
tristanzuolo pessimistico di una nostra
amica) che non si accettano queste trasformazioni e si paventano in modo
inappellabile privazioni accessorie del tutto superflue quasi inconsapevoli dei
rischi profondi che si stanno correndo, quasi come si dovesse assistere ad una
forma occidentale di Harakiri, un autolesionismo alla maniera dei lemming.
Troviamo davvero disdicevole che, soprattutto persone che
posseggono doti intellettuali non comuni, non abbiano acquisito la
consapevolezza dei propri limiti umani; lo trovo ancor più inaccettabile se si
tratta poi anche di persone che posseggono una fede religiosa chiaramente
espressa in tempi “normali”. Ecco! Certamente questi non sono tempi normali: ma
nel “mondo” non ci sono stati dappertutto tempi “normali” come qui da noi. In altri
luoghi hanno sofferto privazioni estreme: guerra, distruzioni, morti, carestie,
epidemie. E’ come se i quattro cavalieri dell’Apocalisse abbiano voluto
risparmiarci la loro visita “fino ad ora”.
Forse potrebbe anche bastare questa capacità di volgere lo sguardo
sul resto del mondo, hic et nunc, oltre che heri nudius tertius, a renderci
conto che siamo ancora tra i più fortunati. Dopo di che occorrerà affrontare
tutto il prossimo futuro, facendo tesoro di una parte delle idee espresse da un
nostro grande intellettuale, forse il più grande al quale alcuni di noi – a volte
immeritatamente (a partire da me) – fanno riferimento: Antonio Gramsci. Forse sarà
improprio ma applicare il motto, che Gramsci ricava da Romain Rolland, “Pessimismo
dell’intelligenza, ottimismo della volontà”, può oggi essere utile, soprattutto
se si condivida l’idea che i tempi che stiamo vivendo sono destinati a segnare
un profondo mutamento nei costumi nello stile di vita nei modelli di sviluppo.
Scrive Antonio Gramsci in
una nota del primo dei “Quaderni del carcere”:
“Ogni collasso porta con sé disordine intellettuale e morale. Bisogna creare gente sobria, paziente, che non disperi dinanzi ai peggiori orrori e non si esalti a ogni sciocchezza. Pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà” ed a noi sembra straordinariamente utile ad accompagnarci in questi giorni in cui possiamo impegnarci anche ad aiutare gli altri a sopportare le privazioni e ad attivare una ripresa consapevole per quello che troppo spesso solo in modo pedissequo chiamiamo “sviluppo sostenibile”. Quest’ultimo contiene invece proprio quegli esiti, diversi e lontani dagli stili di vita che abbiamo mantenuto in questi ultimi anni.
Stiamo avvicinandoci alla data del 30 novembre. Il 30 novembre del 1786 fu promulgato e pubblicato il “Codice Penale Leopoldino” voluto dal granduca di Toscana Pietro Leopoldo d’Asburgo. Il 30 novembre del 2000 per la prima volta la Regione Toscana indisse la Festa della Toscana, collegandola a quello straordinario evento: per la prima volta nella storia del mondo moderno venivano abolite la tortura e la pena di morte . Questi post riportano la trascrizione degli Atti di un Convegno molto importante che si svolse in quella occasione presso il Centro per l’Arte Contemporanea “Luigi Pecci” di Prato
Riprende la parola il professor Giuseppe Maddaluno:
Bene, grazie Attilio. In ogni caso, come si è compreso e
visto i tempi, abbiamo finito gli interventi programmati, ma li abbiamo finiti
cominciando; praticamente, come ha fatto, e ha fatto molto bene, Attilio
Maltinti che ci ha posto delle domande. Sarà, dunque, compito vostro degli
allievi come voi più sensibili e dei vostri docenti riportare in piena
autonomia la discussione nelle classi, nelle Assemblee scolastiche.
Purtroppo credo che abbiamo dei grossi problemi stasera con i
“tempi”, è interessante però quello che tu, Attilio, dicevi, ben collegato con
tutto il resto che è stato qui proposto da parte di tutti gli intervenuti. Però,
rispetto a quello che dicevo in apertura, questo per noi è un inizio di un
cammino, di un percorso: chiudiamo con delle domande, apriremo on queste
domande i prossimi incontri. I tempi tecnici, a causa del ritardo che si è
accumulato, sono piuttosto pressanti, perché dovrebbe partire il film e non
appena finisce il film dopo almeno 15 minuti nella stessa sala comincerà il
concerto, perché sono già le 17.30 e prima delle 18.30 il film non finisce, con
15 minuti di ritardo, speriamo di riuscire tecnicamente anche a fare questo,
comincerà il concerto, che è altrettanto interessante e ci saranno tanti di voi
che lo vorranno seguire, non dico che qualcuno sia venuto appositamente per
loro, ma può essere anche così.
Io ringrazio tutti, speriamo di avere inserito degli stimoli,
vi saluto per adesso, spero intanto che voi rimaniate ancora con noi a vedere
il film e poi a seguire il concerto, e che siate nel pubblico presente ai
prossimi incontri. Grazie. Buona sera.
Così termina la giornata dedicata alla Festa della Toscana
del 30 novembre 2000.
Lo scorso 3 giugno del 2019 cominciai a pubblicare il testo dell’intervento che il prof. Giuseppe Panella svolse nell’occasione della celebrazione della Festa della Toscana, indetta per la prima volta proprio nell’anno 2000, il 30 novembre. In quel post iniziale elenco molti degli aspetti che quella occasione significò. L’input a pubblicare sul mio Blog quegli interventi mi venne spontaneo dalla prematura morte dell’amico Panella: anche per questo, desiderando solo riportare il “suo” corposo intenso intervento, avevo all’inizio escluso di inserire quello di altri, a cominciare dal mio che volli “omettere”. Strada facendo, però, ho pensato di aggiungere gli interventi successivi, oltre a quelli miei di coordinatore, sia quelli istituzionali sia quelli culturali. Anche per questo motivo ed al di là di una mia personale “vanità” aggiungo nei prossimi blocchi la mia introduzione, quella che avevo omesso.
Chi lo desidera può intanto consultare il post di cui riporto lo shortlink
Nel 1936, continuando a trattare il Cinema degli anni Trenta in questa “Storia minima” per immagini, negli Stati Uniti escono tre film del filone “horror”, che proseguono con una certa ironia, pur celata, nella tradizione del cinema espressionista tedesco. Sono “La bambola del diavolo” penultimo film di Tod Browning, “La figlia di Dracula” di Lambet Hillyer e “L’ombra che cammina” di Michael Curtiz con Boris Karloff.
Sempre in quell’anno dobbiamo segnalare un film tratto da un dramma teatrale, interpretato da grandi stelle del Cinema, come Humphrey Bogart, Leslie Howard e Bette Davis, gli ultimi due ancora una volta insieme dopo il successo di “Schiavo d’amore”Si tratta de “La foresta pietrificata” di Archie Mayo.
Inglese è invece un bellissimo esempio di cinema “distopico”, ispirato al romanzo di H.G.Wells The Shape of Things to Come del 1933, “La vita futura” diretto sempre nell’anno 1936 da William Cameron Menzies. Drammaticamente veniva anticipata la realtà con la quale di lì a poco l’Europa avrebbe dovuto confrontarsi realmente: lo scoppio di una seconda guerra mondiale.
Ripercorrendo la carriera di uno dei più grandi autori del cinema mondiale, troviamo “Verso la vita” (Les Bas-fonds) tratto dal dramma teatrale Bassifondi (o L’albergo dei poveri) di Maksim Gor’kij interpretato da Jean Gabin, che poi nell’anno successivo darà una delle sue migliori interpretazioni ne “La grande illusione” sempre direatto da Renoir.
Concludendo la breve “minima” trattazione dei film del 1936 e ritornando nel nostro Paese ci sentiamo di segnalare una messa in scena tratta dall’omonimo testo teatrale di Luigi Pirandello, “Pensaci, Giacomino!” diretto da Gennaro Righelli ed interpretato dal grandissimo Angelo Musco, in una delle sue ultime apparizioni, e da Dria Paola, già diretta dallo stesso regista nel primo film sonoro italiano, “La canzone dell’amore”.
Un anno dopo, e sempre in Italia, nel 1937, è importante ricordare la prima apparizione di un personaggio che accompagnerà la nostra vita per gran parte del secolo. Si tratta di Totò, pseudonimo di Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi de Curtis di BisanzioAntonio de Curtis. Il film è “Fermo con le mani”.
Negli Stati Uniti grande successo riscosse “Orizzonte perduto” diretto da Frank Capra Il film, tratto dall’omonimo romanzo di James Hilton, ottenne due Premi Oscar per la scenografia ed il montaggio. Per realizzarlo, Frank Capra non volle utilizzare i consueti – pur ampi – spazi dei teatri di posa e girò molte scene “en plein air” sulla neve viva e sotto le nevicate. La magica città eterna di Shangri-La , luogo dell’eterna giovinezza da tanti sognata, terra dell’utopìa, rimane nella nostra memoria in modo intensamente indelebile. Un recente “remake” (1973) non è riuscito pur girato con tecnologie molto più avanzate a ripetere il miracolo del prototipo.
Nei mesi scorsi ho scritto una serie di post nei quali
evidenziavo le ombre e le luci della Sanità toscana. Tra le “ombre” ponevo in primo
piano le manchevolezze della parte amministrativa gestionale troppo legata agli
apparati politici; tra le “luci” invece sottolineavo la cura, l’impegno
professionale – innanzitutto – e quello umano – non secondario – degli operatori,
tutti indistintamente. Se la Sanità funziona lo dobbiamo a loro che tra mille difficoltà
cercano di tappare le numerose falle del sistema. E’ infatti soprattutto questo
che non riesce a funzionare; questo – il sistema – e l’assenza di operatori
capaci tecnologicamente e numericamente adeguati a rinnovare i meccanismi di
elaborazione e condivisione al massimo dei dati, a far funzionare le più
avanzate e moderne tecnologie per velocizzare i processi.
Accade però che in molte occasioni, come d’altronde è
accaduto anche a me, gli utenti si adattano a vivacchiare in contesti
discutibili, che tuttavia passano in secondo piano, ed esprimono un grado di
soddisfazione fermandosi a valutare in modo esclusivo le prestazioni sanitarie
finali, quelle degli operatori con i quali si entra in diretto contatto. A volte
avviene anche il contrario, ma è fuorviante e sbagliato, allorquando per i
disservizi vengono attaccati proprio coloro che non ne possono e non ne sono
responsabili.
Trattando pur in maniera superficiale il tema delle nuove
tecnologie e la loro scarsa applicazione pratica a sostegno degli apparati “burocratici”
(il termine è quanto mai come in questo caso doverosamente portato verso la sua
accezione negativa) mi sovviene il tono di un post pubblicato sull’account di
una mia amica
FUTURO “ Non vorrei mettervi ansia ma tra dieci anni l’appendicite ve la farà un medico che oggi è alle superiori e sta facendo didattica a distanza in mutande davanti all’ Xbox mentre mangia merendine.
Abbiate cura di voi “
Molti negli ultimi tempi lamentano i danni che la DaD comporterebbe. Sono dell’opinione che questa “tragedia” farà crescere la preparazione digitale sia tra i docenti (la maggior parte dei quali sono “analfabeti” parziali o totali sotto quell’aspetto) che tra gli studenti. Condivido la preoccupazione collegata alle differenti basi economiche familiari da cui partono gli studenti ma il superamento di tali disuguaglianze deve essere compito prioritario dello Stato, doveva esserlo già da tempo, ma la tromba della Storia si è assunto il ruolo di svegliarci ed anche in questo tempo “non è mai troppo tardi!”.
Tutti siamo arrivati impreparati a questo “appuntamento”
inatteso. Sarebbe ottima cosa se la classe docente e quella politica di
riferimento settoriale si ponesse a disposizione per poter meglio cogliere gli aspetti positivi. Troppi sono
ancora abituati a interpretare l’insegnamento come un mero “travaso” di nozioni
o poco più – se va bene – e troppi ancora sono abituti ad insegnare in modo
esclusivamente frontale. Se leggiamo il giudizio di questo giovane che è
riportato in un articolo de “La Repubblica” del 2013 potremmo pensare che in
quel tempo si fosse nel lontano Medioevo: ma no! Non è cambiato davvero nulla
da allora. E’ soltanto accaduto che la pandemìa ha scoperchiato la realtà. Il rischio,
come spesso accade, è che, una volta risolto il “problema sanitario” (già si
festeggiano i vari vaccini in arrivo), finisca tutto “in cavalleria”.
In definitiva, e per ora, a quel post intitolato FUTURO
risponderei con le immagini dei tre “DIRIGENTI” della Regione Calabria (ALTI
Dirigenti!); sono il “MEGLIO” di quanto noi disponiamo. Potete pensare che
abbia fatto bene loro la Didattica in presenza?
Durante la prima fase della pandemìa ci ha sorpreso la capacità di resilienza del popolo italiano, quasi entusiasta di poter essere alla ribalta con delle sortite “magiche”. Abbiamo potuto vedere immagini di compostezza: una delle prime apparse e diffuse in tutto il mondo è stata quella della lunga fila di persone nel piazzale antistante all’Esselunga di Prato in via Fiorentina in attesa dell’apertura del supermercato il primo giorno di lockdown. Poi c’è stata una lunga sequenza di interventi, alcuni dei quali “geniali”, innovativi, con il “privato” che diventava “pubblico” sui diversi “social”. Abbiamo riscoperto il fascino delle “case di ringhiera”, quelle dove a Milano i condòmini, in particolare quelli di origine forestiera – immigrati interni provenienti nella maggior parte dal Sud – condividendo i ballatoi comunicavano in modo dilatato, dialogando con le persone degli altri condomìni. Abbiamo urlato e cantato l’inno italiano e qualche altra canzone, diffondendo il tam tam sulle piattaforme sociali. Un po’ alla volta abbiamo avuto modo anche di apprezzare l’impegno di quella parte di artisti resilienti che mettendosi insieme in un loro progetto “a distanza” hanno composto concerti e performance di altissimo livello qualitativo.
Di fronte a tutto questo, che è solo una minima parte delle
cose buone (quelle “cattive” sono state soprattutto i lutti che hanno colpito
tante persone, tante famiglie, tanti affetti), non abbiamo esitato a
diffondere, credendoci davvero, che sarebbe andato “tutto bene”!
Il livello di guardia in maniera generica per tutti noi
(tantissimi di noi) non è venuto meno con la riapertura delle attività
lavorative, ma alcune scelte e soprattutto la scarsità ( diremmo meglio “assenza
totale”) dei controlli dall’inizio dell’estate fino ad oggi (“fino ad oggi” va
sottolineato) hanno condotto al disastro attuale.
Di recente, vi è stata un’inchiesta intorno al tema della “riapertura delle discoteche”. A leggere l’articolo che allego (da “Money.it” del 31 luglio 2020) non vi è stata esplicita autorizzazione alla riapertura, ma un’affermazione pilatesca da parte del Ministro Speranza riportata tra virgolette “Se le Regioni decideranno di farlo autonomamente, possono eliminare le restrizioni ma dovranno assumersene le responsabilità”.
In realtà si è continuato a non intervenire solo quando sono
scoppiati i contagi. A luglio, per nostra esperienza diretta, girando per le
strade nei luoghi della nostra vacanza spesso si incrociavano gruppi resistenti
agli obblighi di prevenzione e nel chiuso boschivo retrodunale in alcuni spazi
si organizzavano festini “alternativi” alle regole. Andavano sanzionati; invece
hanno contribuito a far dilagare il virus non appena il caldo si è attenuato. In
alcuni luoghi non ci si è nemmeno nascosti e si è derogato ampiamente: il tutto
in nome della libertà di impresa ed a scapito della salute pubblica.
Altro grave errore, collegato essenzialmente alla prevalenza di una gestione del Potere da parte delle forze politiche, tutte in modo indistinto (non c’è Sinistra o Destra che si distingua), è stata la volontà di far partire la campagna elettorale per il rinnovo degli organismi amministrativi regionali e comunali in piena Estate ed in piena crisi pandemìca.
Su questo tema abbiamo più volte espresso il nostro
dissenso, motivato dal fatto che in piena post-pandemìa (quella che credevamo “post”
ma che era solo una timida sosta) mettere in moto meccanismi che – per essere “democratici”
– devono essere in grado di coinvolgere il massimo dei cittadini, è da
irresponsabili. Ne parleremo, così come parleremo anche della Sanità in
Campania (quella della Toscana l’abbiamo già trattata in alcuni post).
DENTRO IL LOCK DOWN – rassegnazione e assenza di speranza
Non ho mai avuto desiderio di polemica in questi ultimi mesi;
piuttosto c’è stata una sorta di rassegnazione che si è accompagnata però in
modo contrastante ad una serie di proposte alternative molto legate ad un
realismo concreto, formulato soprattutto in base a verifiche non connotate da
forme ideologiche.
Ribadisco che la parola “rassegnazione” ha un sostrato per me insopportabile; non fa parte del mio carattere, del mio DNA. Pur tuttavia è collegata alla impossibilità di avere, in questo momento, ma – purtroppo – non solo in questo, delle speranze verso il futuro . Mi ritrovo a condividere molto tardivamente quel che diceva Pasolini in questa intervista ad Enzo Biagi del 1971.
L’ho scritto, l’ho detto, lo confermo: a questo Governo non c’è
alternativa possibile; anche se questo Governo squinternato nella sua palese
diversità interna non appare in grado di poter affrontare pienamente la crisi
sanitaria e quella economica.
Allo stesso tempo, tuttavia, ho avanzato critiche e rimproveri,
assolvendo al compito civile che anche il più piccolo uomo di questo Paese ha
il dovere ed il diritto di svolgere. Utilizzo questo Blog a tale scopo.
Ho parlato della Scuola. Ci ho vissuto una vita ed ho conosciuto
come è fatta la maggior parte degli edifici; ho anche verso la fine dello
scorso millennio ingaggiato battaglie, contenziosi che sto documentando un po’
alla volta, proprio sugli spazi scolastici, sui criteri di sicurezza di questi
(in un post scrivevo che in qualche caso venivano “stiracchiati” e adattati “alla
bisogna”) e sulla protervia di alcuni amministratori, che seguono criteri
incompatibili con la comune ragione. E sulla Scuola ho rilevato molte
approssimazioni in questi mesi, molte più di quanto sarebbe stato logico
attendersi da un Governo all’interno del quale vi erano “contestatori
integralisti” verso il Potere (“Apriremo
il Parlamento come una scatoletta di tonno” aveva detto il loro Leader
tempo addietro) che lasciavano ipotizzare grandi cambiamenti. In realtà quella
forma movimentista ha perso nel corso di questi anni, insieme alla forza
propulsiva e innovativa, anche la metà dei suoi voti: e quest’ultimo aspetto
non è affatto irrilevante; questo Governo è inevitabilmente non più
rappresentativo. A poco serve consolarsi con il fatto che l’attuale Presidente
del Consiglio abbia ancora un discreto sostegno popolare; quasi certamente fa
parte di quella “rassegnazione”, quell’assenza di speranze alternative che
caratterizza anche me.
Uno degli atteggiamenti che non mi è piaciuto sin dal primo momento dell’avvento in questo Esecutivo governativo della Ministra Azzolina è quello che emerge dai video qui sotto riprodotti. Non credo di essere colpevole di sessismo, e non voglio esserne sospettato minimamente ma non si può tollerare che un Ministro in carica attacchi in modo così virulente un Ministro che ha appartenuto allo stesso identico Esecutivo.
Mi sono sorpreso di questo
atteggiamento e l’ho voluto giustificare per l’inesperienza della Ministra. Ma poi
ho capito, abbiamo capito.
Quanto all’insistenza con cui ha chiesto di mantenere aperte le scuole ne parleremo ancora: ma – a chiusura di questo post – voglio dire che non c’era bisogno che lo confermasse il virologo Crisanti: è lapalissiano rendersi conto del grande pericolo di contagio prodotto dalla presenza degli studenti a scuola. Il virus è “invisibile” e contagia in modo anche (direi “soprattutto”) asintomatico. Chi lo accoglie lo veicola già in presenza, quando vi sono comunque masse di individui, e le mascherine diventano un inutile palliativo; poi lo trasporta con sé in giro. D’altronde, il tracciamento è “fallito” ed il virus ha dilagato in lungo e in largo per il Paese.
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