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Tempo di coronavirus: riflettere e far riflettere

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Tempo di coronavirus: riflettere e far riflettere

Uno degli aspetti “positivi” in questo tempo sospeso è di certo collegabile al fatto che, quando ci si incrocia, pur bardati da mascherine e con capigliature leonine che ormai coprono anche le “pelate”, ci si riconosce e ci si saluta con entusiasmo: a volte capita anche che ci si ritrovi con affabilità a discutere con persone alle quali non avevamo dato confidenza e dalle quali non avevamo avuto segni simili in precedenza. La parziale solitudine è stata interrotta da saluti cordiali tra dirimpettai con i quali abbiamo anche condiviso momenti irripetibili ed inimmaginabili prima d’ora, condividendo canti e applausi. In queste giornate abbiamo imparato che non siamo proprio del tutto soli ed ognuno ha cominciato ad aprirsi agli altri nella comprensione delle diverse problematiche. esplicitate o immaginate, ma in ogni caso reali. In primo luogo la solitudine dei nuclei così come si sono caratterizzati quando il lockdown è partito ha evidenziato aspetti non prevedibili, come la necessità di avere spazi vitali quotidiani in ambienti non abbastanza ampi per poter sviluppare una pur normale attività, non solo quelle di tipo organizzativo ma soprattutto quelle che all’improvviso sono diventate urgenti come l’ homeworking (per gli adulti che hanno avuto la fortuna di poter continuare la loro attività lavorativa) e le “lezioni online” (per gli studenti di ogni età che hanno dovuto continuare il loro impegno scolastico lontano dalle aule). Nell’avviare queste nuove modalità “urgenti” si è scoperta l’inadeguatezza dei mezzi a disposizione, dalla mancanza proprio di strumenti di base, come personal computer, smartphone o tablet, ma anche di connessioni all’altezza di reggere utilizzi multipli in contemporanea. Un altro degli aspetti da mettere sotto osservazione è la capacità di ciascun nucleo di tenere sotto controllo la propria spesa alimentare, i propri consumi essenziali, in assenza di spese voluttuarie collegate ad una vita anche – ed in alcuni casi preponderante – fuori casa: sono aumentate di certo le spese per le utenze ma sono diminuite quelle per carburanti e per la vita sociale. Indubbiamente ci sono state molte categorie di lavoratori che hanno dovuto far fronte in modo duro all’assenza di un reddito. Questo aspetto deve essere elemento sul quale riflettere e far riflettere.
Una parte di questi lavoratori aveva contratti “capestro” con falsi “part-time” (ed erano forse tra quelli parzialmente “fortunatI”); un’altra parte, pur lavorando, “non” aveva contratti e forse era riuscito ad ottenere sussidi come il RdC, forse lo aveva ottenuto solo parzialmente e forse nemmeno quello; un’altra parte di lavoratori sono quelli atipici, autonomi, la cui fortuna dipende anche dalla vita sociale condotta per essere conosciuti negli ambienti (per costoro lo Stato, cioè tutti coloro che poi hanno contribuito e contribuiranno a pagare le tasse, sta provvedendo per dei “bonus” che però tardano ad arrivare a destinazione).
Riflettere e far riflettere: chi aveva contratti capestro d’ora in poi, dopo questa esperienza, denunci questa realtà piuttosto che subirla passivamente “perché altrimenti non ci danno nemmeno questa occasione”; chi lavorava senza contratto faccia lo stesso affinché non vi siano altre storture simili verso i loro figli e nipoti, oltre che verso di loro, dopo questa, che potrebbe essere un’ottima positiva esperienza; quegli altri, ma non solo quegli altri, imparino da questa situazione a gestire meglio la loro esistenza: non si può pensare che a pagare poi sia la collettività.
Se dobbiamo creare un mondo più giusto dobbiamo anche imparare a guardarci intorno e non fidarci di chi “piange miseria” per professione: ne trovereste un po’ di gente che dichiara redditi da fame e possiede seconde e terze case, a volte anche, di lusso.
Dobbiamo imparare a cooperare, perché abbiamo, in “tanti”, interessi comuni, mentre pochi ci fregano elegantemente. E allora? Se dobbiamo imparare qualcosa, non ce la facciamo sfuggire questa occasione di “giustizia sociale”: a coloro che in clima di solidarietà si dichiarano disponibili a versare una quota – pur minima – del loro reddito fisso (da lavoro o da pensione, medio-basso, non di certo minimo) suggerisco prudenza e condivisione dei problemi di “equità” per elaborare una serie di interventi utili a far emergere il “nero”, l’elusione e l’evasione, dappertutto. Altro che obolo generoso! Il motivo per cui non ho esultato davanti a quell’apparente modalità di contribuzione “sociale” ma l’ho contrastata ed il motivo era – ed è – che in questa forma nulla cambia. E, ve lo assicuro, la mia non è ipocrisia.

Joshua Madalon

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UN MIO AMPIO INTERVENTO ALLA COMMISSIONE CULTURA DEL PDS DI PRATO 20 OTTOBRE 1995 – seconda parte (vedi 21 aprile)

UN MIO AMPIO INTERVENTO ALLA COMMISSIONE CULTURA DEL PDS DI PRATO 20 OTTOBRE 1995 – seconda parte (vedi 21 aprile)

20 OTTOBRE 1995 (nell’aprile del 1995 ero entrato a far parte del Consiglio Comunale di Prato ed ero membro della Commissione Cultura e coordinatore della Commissione Scuola e Cultura del PDS provinciale; la legislatura in corso era la prima con la quale applicavamo la legge 142. 8 giugno 1990, quella intitolata Ordinamento delle autonomie locali che rivedeva nel profondo le prerogative del Consiglio e del Sindaco).

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Bisogna che io faccia delle precisazioni “a monte” per poter meglio comprendere il senso di quel che poi dirò. C’è la sensazione che questa legislatura sia partita con una forte sottovalutazione delle problematiche culturali e con una sottovalutazione altrettanto seria delle idee che venivano esprimendo donne ed uomini che si occupano da anni di problematiche culturali in questo Partito: questo è apparso e appare frutto di presunzione che non ha ragion d’essere; o se ne ha, allora occorre capirne le motivazioni. Intanto, l’evento straordinario in questi primi di governo nel campo culturale in questa città è stato il riconoscimento e la valorizzazione istituzionale dell’opposizione: una cosa assurda, inutile e profondamente dannosa; che non porterà vantaggi né politici né istituzionali a nessuno né al nostro Partito né alla coalizione della quale facciamo parte: un dono “istituzionale” incomprensibile e scellerato che, se fosse il risultato di un accordo, sarebbe un vero e proprio scandalo, una vera e propria offesa al ruolo della cultura in questa città ed ai suoi cittadini che hanno scelto chi doveva governare e chi stare all’opposizione.
Appare allo stesso modo incomprensibile, almeno a prima vista, il motivo che ha spinto una parte del nostro Gruppo a scegliere questo percorso della quale cosa io spero ci si penta al più presto.
L’altra questione che occorre precisare è legata al taglio complessivo dell’intervento: non mi interessa in alcun modo costruire un progetto culturale che abbia come punti di riferimento soltanto le due megastrutture e poco altro.
Queste devono essere, come tante altre, gli strumenti, i mezzi attraverso i quali mettere in pratica un progetto complessivo di politica culturale, esse devono porsi quale obiettivo l’assunzione di un preciso ruolo di guida culturale in questa città.
Allo stesso tempo non mi galvanizza affatto l’uso di un metodo che molto spesso è stato adottato nel procedere alle nomine nel settore culturale e non solo, che è consistito nello scegliere prima i menbri nominati e poi gli orientamenti di fondo.
Mi sembra opportuno e corretto procedere all’inverso: prima si discute ampiamente sulle prioritarie scelte di politica culturale e poi si reperiscono le figure giuste da collocare all’interno delle diverse strutture perché possano adeguatamente funzionare.
Proprio per questo è necessario guardare la nostra città con occhi impietosi ed obiettivi.

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Un mio intervento sui temi della scuola 1994 (ero responsabile della Commissione Scuola e Cultura del PDS a Prato) – prima parte

Un mio intervento sui temi della scuola 1994 (ero responsabile della Commissione Scuola e Cultura del PDS a Prato) – prima parte

E’ un tempo questo, di cui tratto nell’intervento, in cui è in atto una vera e propria trasformazione del quadro politico nazionale –abbiamo governi “quadripartiti” (Giuliano Amato dal 28 giugno 92 al 29 aprile 93) e di unità nazionale (Carlo Azeglio Ciampi 29 aprile 93 – 11 maggio 1994) seguito dal primo Governo Berlusconi che durerà 9 mesi fino al 17 gennaio 1995

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Nell’ultimo anno abbiamo dedicato alla scuola un’attenzione particolare attivando anche alcuni momenti specifici come la costituzione di un Forum sui problemi scolastici ed alcuni incontri con parlamentari, come la senatrice Alberici, ai quali hanno partecipato esponenti di forze sociali ed operatori del settore, protando il loro contributo.
Va ricordato che nell’a.s. 1993/1994 fu realizzato nella scuola un intervento parecchio contestato come il decreto IERVOLINO che portò all’aumento del numero di allievi per classe; nello stesso anno si andava profilando la positiva soluzione di tantissimi problemi della scuola con l’approvazione, in uno dei rami del Parlamento, della Riforma della scuola media superiore” con tutto quello che ciò significava.
Ricordiamo anche come in preparazione della campagna elettorale delle “Politiche” il gruppo Progressista ha stilato un documento sulla scuola che conteneva per intero il “progetto scuola” del nostro Polo. Purtroppo sappiamo tutti come è andata! (il riferimento è alla vittoria inattesa delle Destre con Berlusconi).
La proposta del Polo che, in maniera disorganica ma in defintiva pur sempre del tutto funzionale alla creazione di un primo blocco di destra, veniva fatta nella campagna elettorale in particolare proprio da Berlusconi si caratterizzava per il “leit-motiv” del “buono scuola” e della “parità fra scuola pubblica e privata”.
La vittoria di Berlusconi e compagnia “bella” ha fatto sì che si profilasse la realizzazionendi questa ipotesi, di volta in volta accantonata (solo) per ragioni finanziarie.
Nel giugno ’94 il nuovo Ministro Pubblica Istruzione Francesco D’Onofrio ha dato il via ad una serie di proclami disarticolati che si riferivano ad alcune parti della “Riforma”:
a) Abolizione esami di riparazione;
b) Esami di maturità;
c) Autonomia degli Istituti;
d) Riforma vera e propria.

Andiamo punto per punto:
a) In modo demagogico, al di là della giustezza dell’intervento, il Ministro D’Onofrio ha annunciato l’abolizione degli esami di riparazione: ha quindi presentato prima un disegno di legge ed avviato poi la discussione su questo in Commissione alla Camera. Poi, all’improvviso, in un raptus di decisionismo, ha presentato un Decreto Legge che gli consentisse di apparire davanti all’opinione pubblica come l’unico vero salvatore delle famiglie italiane, sapendo bene che le critiche, anche dell’opposizione, non sarebbero state avanzate nei confronti dell’abolizione ma certamente sulla sua realizzazione pratica e sullo sganciamento da una riforma complessiva vera e propria.
Spinto dalle richieste che provenivano dal mondo degli operatori scolastici, il Ministro senza troppa fretta ha inviato delle generiche e vagle disposizioni, una circolare applicativa che finiva per confondere le idee sotto una parvenza di grande autonomia didattica degli istituti.

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I CONTI NON TORNANO – un racconto morale – parte quinta (vedi 16 aprile per parte quarta)

I CONTI NON TORNANO – un racconto morale – parte quinta (vedi 16 aprile per parte quarta)
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Si tratta di un meta-racconto che mette in evidenza come la Politica di quella parte che raccontava al mondo di essere Sinistra rincorreva già più di venti anni fa interessi particolari che poco coincidevano con quelli della “gente comune”.

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“Ma gli spazi di quella casa” con saggezza la nonna di un allievo, che era stata preside, si inserì “sono pieni della storia culturale ed umana di quella famiglia ; vi sono suppellettili importanti accumulate nel tempo. A me sembra fondamentalmente egoistica questa proposta!”
E un docente di materie giuridiche, facendo leva sulle sue conoscenze: “Dobbiamo ragionare. Consultiamo qualche esperto; nello studio del prof. Vincenzi ci potranno aiutare. Verifichiamo gli aspetti normativi ed analizziamo le pieghe dei dispositivi legislativi e normativi!”.
Una delle docenti che aveva partecipato anche ad alcune riunioni di Partito soggiunse: “Trovo stalinista e paternalistico l’atteggiamento dell’Assessore. Mi ha profondamente delusa. Dimostra di essere stupida, soprattutto se crede che noi si sia così imbecilli da calare la testa, così, per “disciplina di Partito””!
E qualcuno di rimando alzò il tiro: “..E anche il Provveditore non è da meno….”.
Queste furono solo alcune delle riflessioni fatte a voce alta dai presenti a quell’incontro.
E Giorgio, che aveva annotato il tutto: “Sì, certo” concluse, salutando “la proposta dell’Amministrazione è razionalmente incomprensibile” ed il prof. Vincenzi, esperto di legislazione pubblica e civile, e che per tale motivo era stato chiamato in causa, aggiunse: “Mi attivo, fatemi avere al più presto tutta la documentazione possibile, mentre intanto voi proseguite con le relazioni di carattere politico istituzionale per capire meglio il da farsi”.
I giornalisti che erano stati avvertiti della questione e che non erano intervenuti, vista l’urgenza e l’ora tarda nella quale l’Assemblea si era tenuta, essendo stati informati in modo non ufficiale ma riconoscendo l’appetibilità del dissidio, tempestarono di telefonate Giorgio e gli altri colleghi anche durante il periodo di vacanze natalizie che, lo speravano innanzitutto i tre compagni colleghi ed amici, avrebbe potuto indurre l’Amministrazione provinciale a ritornare sui suoi passi.
L’ipotesi di applicare le regole del dimensionamento, così come erano stabilite, sarebbe stata la più semplice, la più realistica, la più rispettosa, la più legale soluzione.
I documenti che gli esperti chiedevano di avere a disposizione, per dimostrare che quelle scelte avrebbero comportato maggiori danni, anche economici, laddove non si fosse preso in considerazione il numero massimo di 900 allievi per ciascun Istituto, furono tantissimi.
…continua….
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Nota:
Il “racconto morale” per essere compreso ha bisogno di avere anche una documentazione. La fornirò “cum grano salis” attingendo a documenti reali riportati non in linea cronologica, ma tenendo conto degli elementi affrontati nella metanarrazione.
Il primo dei documenti è un “Rapporto circostanziato sulla ottimizzazione della rete scolastica Scuole superiori di Prato” redatto dall’allora (1998/99) Dirigente del Liceo “Copernico”. E’ una relazione di parte, inevitabilmente a difesa delle “legittime” richieste delle diverse componenti del suo Istituto.
Nel prossimo blocco lo riporterò non in testo integrale, che è tuttavia in mio possesso ed è a disposizione di chi lo voglia consultare.

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da giovane: la sensibilità ambientalista, storica e culturale….quella politica e cinematografica – ottava parte – 12 (vedi post 17 aprile 2020)

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da giovane: la sensibilità ambientalista, storica e culturale….quella politica e cinematografica – ottava parte – 12 (vedi post 17 aprile 2020)

un mio intervento sulla rivista “SegnoCinema” riservato al Cineclub Spazio Uno di Firenze
Sul numero 17 del marzo 1985 di “SegnoCinema” fu inserita una Sezione Speciale dedicata ai Cineclub.

Segnospeciale/Cineclub Addio a cura di Gianni Canova comprendeva una introduzione generale da parte del curatore con un occhiello “Fenomenologia di una crisi evidente”, con un Titolo “Le cineclub à mort” ed un sommario “Macerati dai tempi, dalle nuove tecnologie e dalle mutate abitudini di consumo, sono avviati a scomparire o a trasformarsi”.

Ovviamente si trattava di un “De profundis” relativo alla crisi dei Cineclub. Seguiva a pag. 19 e pag. 20 un ampio articolo di fondo che vantava le lodi del Cineclub, a cura di Alberto Farassino con un Titolo “Quindici anni di rivoluzione” un occhiello “E’ finita l’epoca della separatezza: conclusa un’esperienza storica” ed un sommario” “In una futura storia mediologica d’Italia il ruolo degli originari club-cinema merita attenzione e riconoscenza per alcune intuizioni fondamentali”.
Seguivano poi dei reportage sul Cineclub Lumière di Genova, sul Movie Club di Torino, sulla “Cappella Underground di Trieste, sull’ Obraz di Milano, su Cinema Altro di Napoli, su Circuito Cinema di Venezia, sulla rete di Cineclub in Emilia, su Filmstudio e su Officina filmclub di Roma, su Grauco-Cineclub e Novocine sempre di Roma. A me, che in Toscana mi occupavo proprio della rete dei Circoli Cinematografici dell’ARCI (UCCA) chiesero di scrivere un pezzo sul Cineclub Spaziouno di Firenze, che stava vivendo un momento di profonda crisi. Il Titolo prescelto fu “Il risultato di un lungo litigio” ed il sommario “Un’astiosa polemica condotta nei confronti di Andrea Vannini, direttore del Cineclub, da parte del gruppo dirigente del Circolo Enel ha prodotto come logica conseguenza la precarietà della programmazione e un clima di accesi contrasti”.
In un riquadro dell’articolo in alto a sinistra a pagina 26 la sintesi della diatriba. La vicenda polemica che ha condotto ad un serrato contenzioso tra Andrea Vannini, direttore della programmazione di “Spaziouno” e i dirigenti del circolo Enel affonda le sue radici ancora nel 1984, quando in aprile tutti i membri del comitato direttivo sonol stati avvicendati, ad eccezione del presidente ed è prevalsa una forma di orientamento gestionale del circolo che ha successivamente provocato, in settembre, l’inizio di una stagione di proiezioni priva della consueta programmazione, il licenziamento, in ottobre, di Andrea Vannini e la conseguente sospensione delle pubblicazioni della storica rivista “Cult Movie”.

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L’articolo vero e proprio

Di cineclub in Toscana ve ne è più di uno, ma a Firenze, quando si parla di cineclub, si dice (o, forse, si diceva?) soprattutto Spaziouno, anche se Firenze ne ha avuti e ne ha tuttor altri, qualcuno già chiuso, qualche altro legato ad Enti pubblici e culturali, come Le Cineclub e Le Cinematographe. Ma, nel qudro generale dei problemi legati alla vita dei cineclub, è estremamente importante conoscere la storia e gli esiti di Spaziouno, o meglio, come ci dice Andrea Vannini, che per 10 anni ne ha curato la gestione culturale, di Kinospazio (così si chiamava il cineclub di via del Sole dal 1974 al 1979).
Incontriamo Vannini, un po’ stanco, amareggiato ma per niente sfiduciato, all’interno del Nazionale, un vecchio teatro del ‘700 adattato a cinema, sul quale egli ed altri operatori hanno di recente puntata l’attenzione per continuare, con la professionalità consueta, quel discorso che il nuovo consiglio direttivo del Circolo Enel, dove ha sede Spaziouno, ha voluto drasticamente ed inopinatamente interrompere. In verità, la programmazione del cineclub continua anche senza di lui, ma obiettivamente oggi le manca quella garanzia di studio professionale e critico che la rendeva, pur nell’anomalia del tipo di gestione poltica, un modello da imitare.

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Joshua Madalon

TEMPO DI CORONAVIRUS – INSOLENTI FALSIFICATORI o comunque adattatori di notizie a sostegno delle debolezze umane

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TEMPO DI CORONAVIRUS – INSOLENTI FALSIFICATORI o comunque adattatori di notizie a sostegno delle debolezze umane

In questo tempo di Coronavirus non mancano le notizie false o modificate ad arte per indurre una parte della popolazione ad avversare le scelte del Governo. Molti di noi si sono detti che da questa disastrosa situazione c’era la possibilità di uscirne migliorati. Ecco! Questi insolenti falsificatori stanno lavorando proprio per evitare che sia possibile un esito positivo da qui ai prossimi mesi; anzi, sono impegnatissimi nel gettare discredito su ogni scelta del Governo e dei suoi sostenitori. Indubbiamente, la realtà non è facile da governare ed anche all’interno dell’Esecutivo vi sono pareri discordanti che generano imbarazzo e provocano la sensazione che sia tutto più difficile da affrontare.
In questo periodo tra l’altro è molto semplice giocare con la sensibilità della gente. Il distanziamento imposto dalla diffusione del contagio ha prodotto in una parte di noi una forte sensazione di essere più soli; in realtà lo siamo, perchè ci mancano i contatti diretti ed il futuro soprattutto quello collegato allo “status” che siamo riusciti ad ottenere appare molto incerto. Per comprendere pienamente quello che ora siamo e ciò che proviamo non dobbiamo nella maniera più assoluta dimenticare quel che eravamo, quel che dicevamo “prima”. Il rischio della dimenticanza è molto forte ed è stato più volte denunciato. Molti rimpiangono il lavoro che avevano e che si è interrotto bruscamente. Non devono tuttavia dimenticare che a fronte di tanto lavoro svolto nel pieno rispetto delle regole ve ne era ad iosa fuori dalle regole o anche entro limiti di regole che venivano interpretate “solo” a vantaggio dei datori (ad esempio, quei contratti ad un numero di ore molto inferiori rispetto a quelle realmente prodotte). Anche quegli stessi operatori autonomi con Partita Iva che pure hanno trovato spazio nelle organizzazioni sindacali dovrebbero produrre proposte complessive non solo legate in modo esclusivo alle loro categorie. Verrebbe da esclamare in modo ormai demodè “Lavoratori unitevi!” ma non voglio nemmano lontanamente lasciare l’impressione di essere un vetero comunista.
Ovviamente non è solo il “proprio” lavoro a preoccupare, ma sono soprattutto le incognite relative alla riorganizzazione dei servizi (che sono parte importante del mondo stesso del lavoro) a misura di prevenzione che bisognerà mettere in atto. Come funzioneranno le scuole, come i trasporti, come i settori dello spettacolo e del turismo? Molto sarà da riorganizzare, ma tutto questo richiede partecipazione, condivisione, fiducia nel poter anche essere protagonisti attivi non solo in vista della ripresa ma in particolare in quella del rinnovamento e del cambiamento, al servizio dei beni comuni.
Coloro che invece “temono” tutto questo, che vorrebbero sì cambiare ma riportando indietro le lancette della storia in un tempo buio che potrebbe segnare la fine delle libertà, fanno di tutto per diffondere menzogne o ritoccare le notizie a proprio vantaggio operando in modo ossessivo sulle angosce, sulle paure dell’immediato futuro. Accade anche che per screditare chi governa si utilizzino fonti scarsamente scientifiche, poco più che illazioni provenienti da ambienti non abilitati ad esprimersi, già abbondantemente riconosciuti come inaffidabili. E si dà però il caso che alcune testate giornalistiche si diano da fare per diffonderle tra i loro lettori, che hanno nel corso degli anni avuto fiducia nei loro comitati redazionali. E questo genera un disorientamento complessivo che nuoce allo stesso concetto di “democrazia” riducendone la forza.
Il ruolo di chi difende la forza della Democrazia, della Ragione, del confronto dialettico ma ricco di contenuti, di chi non vuole soluzioni facili e a buon mercato, di chi vuole cambiare deve essere quello di rinnovare per migliorare le condizioni dei più deboli, operando anche da posizioni comode di guida. Ovviamente non si può costruire nulla di nuovo sulle macerie; bisogna partire da quello che siamo, da come eravamo, avviare una critica severa e profonda e procedere in avanti.

TEMPO DI CORONAVIRUS – domani

TEMPO DI CORONAVIRUS – domani

Ve le ricordate le file di persone, centinaia, che – all’annuncio della decisione governativa di indire la “zona rossa” in tutta la Lombardia – tra il 7 e l’8 marzo hanno scelto di ritornare verso il Sud?

Non ci furono solo i “benpensanti” del Nord (in tanti) e del Centro (ne conosco qualcuno) a stigmatizzare quella scelta; anche alcuni tra i governatori del Sud si scagliarono contro quella scelta preoccupati dalla possibilità concreta di una diffusione massiccia della pandemia nel Meridione. I secondi, non lo scrivo per scelta sciovinistica, avevano di certo molte buone ragioni. I primi, soprattutto quelli del Nord, avanzarono una riflessione ipocrita; quelli del Centro non erano in grado di comprendere le motivazioni di quella fuga.
Ad ogni modo, però, quella scelta certamente irrazionale, dettata dalla sensazione di dover sopportare un lungo periodo di difficoltà senza il conforto di una famiglia, senza il sostegno di un lavoro sicuro e dignitoso, senza la certezza di essere curato in un quadro di pandemia acuta, con il sentore di non essere in grado di poter fronteggiare l’emergenza, aveva una sua logica che forse poteva sfuggire a chi non è mai stato costretto ad emigrare in luoghi non sempre “ospitali”, freddi glaciali nei rapporti umani a volte posti in disparte di fronte a scelte di natura economica finanziaria. Fate pure ironia, Feltri e compagnia bella, sulla creatività umanistica dei meridionali, e tenetevi l’arido rincorrere il lavoro soprattutto per il guadagno e non per la valorizzazione della dignità umana (anche il “parcheggiatore abusivo” ha una sua dignità; avrei qualche dubbio su quella degli algidi compassati “businessman”).

Forse quelli del Nord dovrebbero anche ringraziare coloro che sono andati via di fretta e furia in quei primi giorni di marzo. Hanno evitato che nella pandemia vi fossero altre migliaia di morti; e tutto sommato non hanno prodotto grossi sconquassi nel Mezzogiorno. Forse, ad insegnamento futuro, qualche evento di questi mesi dovrebbe essere posto ad esempio. Non c’è alcun dubbio 1) che il contagio in Italia non sia venuto dai “cinesi”; 2) che in molte parti d’Italia il contagio sia partito dalla Lombardia (qui a Prato, da dove scrivo, è arrivato con un messaggero operatore sanitario che aveva frequentato l’hinterland milanese e sulla costa livornese è sopraggiunto sulle ali di alcuni lombardi proprietari di seconde case); 3) che l’aver trascurato la cura dell’Ambiente in quelle aree così operose ha prodotto condizioni favorevoli alla diffusione del virus; 4) che la capronite acuta che hanno mostrato alcune parti politiche che da un lato chiedevano maggiori controlli sui cinesi (che, per dirla tutta, non appena hanno avvertito il rischio del contagio si sono autoisolati in quarantena volontaria e permanente) e dall’altro minimizzavano e chiedevano di non chiudere i luoghi di lavoro.
Una cosa è certa: solo se su tutto questo riusciremo a svolgere una autocritica severa, analizzando tutti gli aspetti, anche quelli negativi che appartengono a nostri punti di riferimento politici, riusciremo a realizzare un mondo diverso, forse riusciremo a modificare in meglio i modelli di sviluppo sociali ed economici che ci hanno caratterizzato fino ad oggi.

TEMPO DI CORONAVIRUS – ancora sulla “Scuola”

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TEMPO DI CORONAVIRUS – ancora sulla “Scuola”

Terminavo il post di ieri, scrivendo

“Alle famiglie con figli minori bisognerà garantire che in questa fase (soprattutto in questa fase), la cui durata è ancora molto incerta, uno dei due genitori possa utilizzare lo smart working, anche in part time ed eventualmente all’interno di una linea lavorativa riconosciuta come LSU.”

In una delle “cronache locali” che tuttavia sta ottenendo un’eco “nazionale” si va chiedendo la “riapertura delle scuole” (non solo quelle superiori perlomeno da settembre, anche prima per i più piccoli).
A coloro che chiedono in queste ultime ore a gran voce che si riaprano le scuole, adducendo giustificazioni, che in periodi di normalità potrebbero anche essere condivisibili, chiedo che si fermino a riflettere prima di far partire la loro parte di natura irrazionale. Non abbiamo un nemico visibile contro cui indirizzare le tipologie di scelta. Non è un terremoto, nè un’alluvione il rischio che dobbiamo fronteggiare. Le scuole, così come le conoscevamo “prima” (e già non erano del tutto a norma: molte di esse non lo erano –non ce lo dimentichiamo!), non potrebbero garantire la “sicurezza” – a questo punto – sanitaria. E si rischierebbe di far ripartire i contagi: le scuole, oltre agli allievi – di tutte le età dai 3 ai 19 anni – sono necessariamente frequentate dal personale scolastico e dai genitori o congiunti autorizzati. Gli allievi, entrando in contatto con tutta questa “umanità” potrebbero diventare se non altro portatori sani con tutte le possibili conseguenze che ciascuno può immaginare. Il rischio d’altra parte è maggiore proprio nelle scuole dell’infanzia e del primo ciclo, dove il distanziamento ottimale non sarebbe garantito, proprio in virtù di quanto alcuni genitori, non so se “surrettiziamente”, porterebbero a ragione giustificativa per le loro richieste di apertura anticipata rispetto a quanto ventilato finora dal Ministero: la mancanza, in questo periodo, di socializzazione. Tra l’altro nel seguire alcuni servizi ho potuto notare che tra i richiedenti non apparivano persone modeste ma (ovviamente “in apparenza” – lo ripeto) tutt’altro. Ora, è possibile che vi sia una forma che non corrisponda alla “sostanza” e che dietro quell’aspetto di benessere si celino drammi di carattere economico (in questo periodo è del tutto credibile); ma, ad un primo giudizio (che può essere fallace) mi verrebbe da dire che, laddove abbiano la possibilità in questa fase, anche per preservare se stessi e le loro famiglie dal contagio, sarebbe molto utile assumere una “tata” o un “tato” per seguire i loro rampolli (una o uno sarebbero una sicurezza in questa fase di rischio sanitario diffuso). Avendo uno spazio condominiale (o di rìvicinato) attrezzabile o attrezzato potrebbero supplire con ambienti molto limitati e spostamenti annullati al bisogno di socialità.
D’altra parte c’è anche l’intervento dello Stato ad hoc: il bonus baby sitter previsto per i minori di 14 anni. Vorrei capire chi ne ha ususfruito, anche confrontando i dati con quanti oggi chiedono a gran voce la riapertura delle scuole.
Trovo davvero molto ma molto curioso il richiamo “indiretto” a Don Milani con l’intestazione apposta alla petizione che recita: “Ministra, questa è una lettera a una Professoressa”.
Bisognerebbe che chi utilizza quel richiamo si ricordi perfettamente come era la “Scuola di Barbiana”. Forse qualcuno dei proponenti lo sa bene. Ma il tempo porta con sè i suoi “segni”: quella “scuola” era un esperimento “naturale”, vivo, diretto, non recuperabile all’interno delle “mura” di una struttura scolastica come quelle dei nostri tempi. Era “innovativo”, assolutamente fuori dagli schemi, un po’ come oggi è “la scuola al tempo del Coronavirus”. I nostri ragazzi ricorderanno questo periodo nella loro lunga vita come uno dei più belli ed innovativi: questa voglia di rinchiuderli in quelle scatolette striminzite che sono le strutture scolastiche, a fronte del “mondo” che si è spalancato davanti a loro 24 ore su 24, è una delle tante forme di sadismo che gli adulti vogliono infliggere ai giovani. Non dico che sia l’ “optimum” continuare in questa direzione, ma proviamo a trovare qualcosa di buono in questa esperienza, come ad esempio la “scoperta” della “famiglia” che non era proprio garantita a tutti, prima di questi eventi.
Poi, avremo tempo per rivedere ogni aspetto della nostra vita futura. Non abbiate fretta!

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TEMPO DI CORONAVIRUS

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TEMPO DI CORONAVIRUS

Oggi è il 18 aprile; da qualche giorno dal mio “buen retiro” osservando l’orizzonte, ampio, da uno dei miei balconi, noto che c’è un gran fervore nel traffico di mezzi ed uomini. Indubbiamente ci saranno motivazioni valide perché ciò si verifichi. Ma è probabile invece che vi sia una certa frenesia in atto che spinge a recuperare spazi di libertà dopo un mese o poco più di reclusione forzata. Che poi diciamocelo non è per tanti di noi stata così male. Anzi ci ha aiutato, in condizioni non così drammatiche, a comprendere meglio quale sia la qualità ottimale della nostra vita. Fondamentalmente alla fine di questo percorso se non avremo subìto conseguenze letali nè sul nostro né sul corpo di altri nostri congiunti potremo addirittura ringraziare di avere vissuto questo tempo. La mia è una forma di ottimismo e potrebbe anche apparire cinismo molto soggettivo o se non altro poco più che soggettivo. Me ne rendo conto, anche perché so perfettamente che non per tutti questi eventi porteranno, soprattutto nell’immediato, effetti positivi. Chi ha perso il lavoro, chi non possiede risparmi, chi vive in piccoli appartamenti con una famiglia nella norma, non necessariamente, ma anche, numerosa, non sta passando un buon momento. Penso ad esempio anche a famiglie che, di punto in bianco, si sono ritrovate a dover gestire difficili condizioni, come un handicap o in ogni caso una malattia cronica invalidante ma curabile, come potrebbe essere una “positività” da Coronavirus, anche domiciliarmente. Queste difficoltà possono essere sopportabili di fronte ad una riduzione del benessere ma non davanti all’azzeramento di questo, anche se solo prevedibile ed incombente ma dunque giustamente temuto.

In realtà, basta poco dal punto di vista di risorse. In questo periodo molte spese non sono necessarie e sono rese tali anche dalla difficoltà contingente della chiusura di tante attività. Ma c’è chi non ha nemmeno quel poco, per tantissimi motivi e non per colpa diretta: c’è chi non aveva un lavoro e già arrancava; c’è chi un lavoro lo aveva ma era precario e semmai al nero e non ha diritto ad usufruire degli ammortizzatori sociali.
Ad ogni modo, sarà compito di coloro i quali avranno avuto la fortuna di superare questo periodo senza grandi contraccolpi né fisici né economici mettersi a disposizione per far emergere quelle che possono essere le linee di comportamento successive alla crisi pandemica, e non solo dopo la sua definitiva conclusione, che potrebbe essere anche molto lontana.
Ritornando alla fretta con la quale si vuole “uscire”, non solo quella dei mezzi e degli uomini di cui dicevo all’inizio, uscire da questa costrizione necessitata, ritengo che sia un errore sia per il rischio che si corre da un punto di vista sanitario (che potrebbe portare ad una ricaduta perniciosissima) sia per la sensazione che si diffonde che alla fin fine tutto si possa concludere positivamente e, come si canta a Napoli, “chi ha avuto ha avuto ha avuto chi ha dato ha dato ha dato scurdammoce ‘o passato…” e semmai facciamo una bella festa con tanti di baci ed abbracci fisici.

E no, qui non si scherza e probabilmente bisognerà fare più controlli ed essere più severi. Passi la passeggiatina sotto casa, evitiamo di esagerare con le misure dei metri entro cui si possa girare. Questa è una esagerazione inutile, dovuta probabilmente alla necessità, in avvio dell’emanazione delle regole, di imporre comportamenti virtuosi, ad una parte della popolazione tradizionalmente incline al ribellismo, e non si parli solo di giovani.

Joshua Madalon

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I CONTI NON TORNANO – un racconto morale – quarta parte

13 APRILE I CONTI NON TORNANO
Si tratta di un meta-racconto che mette in evidenza come la Politica di quella parte che raccontava al mondo di essere Sinistra rincorreva già più di venti anni fa interessi particolari che poco coincidevano con quelli della “gente comune”.

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I CONTI NON TORNANO – un racconto morale – quarta parte

Sarebbe stato d’altronde anche più normale e semplice intervenire nell’applicazione rigorosa della legge sul dimensionamento in relazione al minimo o massimo numero di allievi (>550 <900). Si potevano utilizzare gli spazi resi liberi dal “Gramsci” spostandolo soltanto di un centinaio di metri e dislocare il “Copernico” correttamente “dimensionato” in quella sede. “Cosa facciamo? Fermiamoci a riflettere” dissero i tre amici quasi all’unisono. Decisero di tornare a scuola. Su quell’argomento a scuola avevano già discusso in modo infromale, sereno e pacato, anche perché la prospettiva avanzata di uno spostamento non aveva trovato grandi adesioni in città se non nel “Copernico” che a tutta evidenza riconosceva nell’immobile di viale Borgovalsugana 63 la migliore soluzione ai suoi annosi problemi, che – a tutti d’altra parte – erano ben noti e – da tutti – condivisi come seri. Una delle riflessioni che venivano avanzate dal “Dagomari” era che non si potesse, però, risolvere i veri e seri problemi di un Istituto creandone altrettanto ad un altro. Si trattava – riflettevano i componenti del “Dagomari” - evidentemente di un “conflitto” indotto in modo inspiegabile i cui possibili esiti andavano o accolti o contrastati. Il Collegio dei docenti fu convocato e Giorgio fu chiamato a relazionare sullo stato delle cose. Si decise di indire un incontro serale chiamando a partecipare le varie componenti alla presenza di Istituzioni e Sindacati. Che qualcuno avesse già deciso “extra moenia” lo si comprese anche attraverso l’intervento dell’Assessore che in puro stile politichese pilatesco prometteva particolare attenzione verso i destini del “Dagomari” senza che fosse fatto il minimo accenno all’eventuale spostamento. Giorgio non accettò l’ipocrisia ed attaccò in modo deciso ed insolitamente violento il tergiversare dell’Amministratrice, che a tutta evidenza non era mai stata chiara con loro neppure nelle sedi politiche “comuni” e continuava a non esserla. Durante il dibattito nell’Aula Magna dell’Istituto si confrontarono molte posizioni, tutte ovviamente a difesa del mantenimento della sede in viale Borgovalsugana. La presunzione di superiorità del “Copernico” risvegliava la quasi sopita storica dialettica tra i presuntuosi ed altezzosi padroni e gli umili dinamici operai. Rispetto a quest’ultima affermazione disse uno dei presenti, applaudendo: “Non è un’esagerazione pensarci.” Ed un altro soggiunse: “Condivido. D’altra parte, è come se venisse qualcuno a casa tua , cercando di proporti un affare vantaggioso che poi tanto vantaggioso non si rivela!”. “E’ certo” fu un genitore a dirlo “è come dire ad una famiglia che.per motivi naturali (matrimoni dei figli, morte di un congiunto), continuando a vivere in un appartamento di 100 m.q., si senta imporre di cederlo in cambio di un altro anche nuovo ma di 50 mq. ad un’altra famiglia.” “Questo accadeva e forse ancora oggi accade nei regimi comunisti, ma qui...?” aggiunse una signora. ....4....