PIN RICORDO DEL “POETA” PIER PAOLO PASOLINI – parte 34 – atti di un Convegno del 2006 IN RICORDO DI PIER PAOLO PASOLINI per la parte 33 vedi 12 settembre
Poi, ancora rapidamente, cosa si diceva? Ah sì, il riferimento ai grandi romanzi della modernità novecentesca, Joyce e compagnia cantante. Certamente Pasolini fa quel tipo di operazione lì, la fa 50, 60, 40 anni dopo però anche qui non credo che Pasolini inventi nulla tant’è vero che una delle ragioni per cui Petrolio probabilmente è il suo capolavoro, ma è soprattutto un testo che ci serve anche a noi paradossalmente per indicare una (parola non comprensibile) temporale è proprio questo. Cioè con Petrolio in qualche modo Pasolini porta a compimento ulteriore o cerca di realizzare tutta una tendenza, anche romanzesca, che è tipicamente novecentesca, che era avanguardista prima, neo avanguardista poi o sperimentalizza dal versante di Pasolini in poi, Volponi ecc, ecc. Quindi Pasolini in questo ha una (parola non comprensibile) che è evidente, che è chiara, che era la guardia, che sono gli sperimentatori degli anni ’50 e ’60. Dopo di che Petrolio porta o avrebbe dovuto portare ad estremo compimento questo modo di fare arte, ma già indica che questo modo di fare arte non è più spendibile Perché Petrolio ha comunque una quota romanzesca che non c’è ad esempio nei (parola non comprensibile)…altro testo…(parola non comprensibile). Per cui, Petrolio è insieme proviamo a dirla, e chiudo, in maniera con una formula per ragioni di brevità, un romanzo con il quale idealmente è come se Pasolini dicesse la tradizione antiromanzesca, moderna e novecentesca, la tendo più che posso con una corda che tendo finché poi l’elastico salta infatti Petrolio, persino l’ultimo Calvino, d’Arrigo e Volponi in Corporale sono davvero gli autori che portano ad estremo compimento questa possibilità anche romanzesca, dopo di che il ventennio successivo nella narrativa italiana sarà quello che vedrà le sorti di autori che vanno in tutt’altra direzione: vogliono il prodotto artigianale definito e il romanzo ben fatto. Dimostrazione ulteriore che negli anni ’70 finisce almeno in Italia una possibilità anche romanzesca moderna soprattutto Perché è finito il clima culturale e politico che era insito in quella scelta. Pasolini crede all’opera aperta come dicevo prima, ma anche gli avanguardisti in modo diverso credono all’opera aperta Perché questo ha ancora una attenzione politica. Dagli anni ’80 e ’90 non sarà più vero e quindi fare opera in qualche modo spuria e non finita non avrebbe potuto più significare fare opera politicamente inammissibile nella (parola non comprensibile). >>
IN RICORDO DEL “POETA” PIER PAOLO PASOLINI – parte 33 – atti di un Convegno del 2006 IN RICORDO DI PIER PAOLO PASOLINI per la parte 32 vedi 30 AGOSTO
Parte 33 – Parla voce non identificata:
<<
Dunque, le cose sarebbero tante cerco di andare per suggestioni rapide. Allora
comincio da quella che mi pare decisiva: Gadda. Sicuramente Gadda è un modello
di scrittura per Pasolini e soprattutto per il primo Pasolini. L’espressionismo
pasoliniano, parlo proprio di livello dello stile è una sorta di commistione
tra Gadda e (parola non comprensibile) ed in particolare il gaddismo significa
come dire sta dal lato della stratificazione dello stile. Per cui Pasolini che
scrive sempre avendo l’idea che lo stile e la realtà a sua volta siano strati
di senso e di forme, questa cosa gli viene sicuramente da Gadda.
Però
segue un po’ meno il ragionamento quando si mette a confronto Petrolio o quale
altro testo di Pasolini che sia con la commissione del (parola non
comprensibile). Con la (parola non comprensibile) l’avrei capito, con il
Pasticciaccio un po’ meno Perché lì parliamo di due copioni diversi. Cioè il
Pasticciaccio è un’opera perfettamente compiuta, stilisticamente definita che
non ha nessuna, come dire, zona d’ombra formale o stilistica e in cui va beh
non è un giallo non si capisce chi è l’assassino. Ma stiamo parlando di una
cosa diversa però, anche i romanzi, i gialli di Sciascia in teoria sono senza
colpevole, ma qui parliamo di un tipo di compiutezza diversa. Poi è vero,
certo, che anche Gadda in qualche modo si riconnetta ad una tradizione che
banalmente potrei definire di ampio romanzo molto novecentesca, molto moderna e
Pasolini la stessa cosa fa, però non parlerei di una affiliazione dell’idea, di
opera aperta nel senso che dicevo prima da Pasolini a Gadda. Gadda agisce su
altri versanti.
Quindi
qui vado rapidamente provo a dire altre due cose. Carla Benedetti e Zigaina. Su
Zigaina non mi convince affatto la tesi finale della morte di Pasolini come la
spiega Zigaina e questo scritto che non mi convince rimando per forza di cose.
Su Carla Benedetti, sì è vero, è chiaro che ci sono
suggestioni da Carla Benedetti, però attenzione io cerco di fare una cosa che
lei sceglie
di
non fare. Cioè per lei gli ultimi 15 anni di Pasolini sono anni in cui l’autore
in qualche modo rinuncia completamente a quella che definivo prima una cifra
manieristica per darci solo opere più (parola non comprensibile). No, secondo
me non sta così. Pasolini fino in ultimo, anche nell’opera più recalcitrante ad
essere opera che ci sia, ha una quota fortissima di manierismo Perché in qualche
modo l’equilibrio miracoloso tra gestualità e manierismo anche nell’opera meno
formalmente risolta di Pasolini rimane. Quindi, l’idea di una forma progetto
come la chiama Carla Benedetti che sia sempre soltanto quello a me non
convince. Pasolini è tanto manierista quanto autore gestuale. Quindi per il
resto è vero che ci sono (parola non comprensibile) dai suoi libri, però con
questa…Semmai, in fondo non ho fatto altro, che mettere a frutto le cose che
da tempo Walter Sini sta dicendo.
Parte 32 prosegue e si conclude l’intervento del prof. Giuseppe Panella
Tutte le sue sceneggiature sono state pubblicate e molte, quasi tutte in vita a dimostrare l’importanza che per lui aveva la sceneggiatura come testo letterario. Se non l’avesse avuto e l’avesse pubblicate solo per motivi venali e può essere anche un motivo quello di pubblicare un libro che poi magari veniva venduto sull’onda della emozionalità e dell’interesse pubblico del momento, questi testi non sarebbero stati arricchiti da così tanto materiale aggiuntivo. E’ come se Pasolini avesse previsto la tecnica con la quale vengono costruiti oggi i DVD dei film tutti i materiali con i backstage, un le interviste. Se voi vedete la sceneggiatura di “Accattone”, ma anche di altri film, vedete che ci sono pagine di diario, riflessioni, viene ricostruito il film il modo in cui è stato fatto, quali sono le prospettive, voglio dire fa proprio un lavoro di spiegazione, di arricchimento e di integrazione della sceneggiatura per cui in effetti verrebbe fatto di pensare che queste sceneggiature per lui hanno un valore letterario forte. D’altronde, la stessa pubblicazione intorno al romanzo con Teorema, che è film e romanzo nello stesso tempo e sceneggiatura del romanzo nello stesso tempo, sembrerebbe far pensare ad un ritorno, ad una dimensione narrativa che però nello stesso tempo si integra con il linguaggio cinematografico e contemporaneamente con il linguaggio della poesia. Teorema, dico per chi non l’avesse letto, è composto da pezzi in prosa, da testi che diciamo ricordano le sceneggiature come scriveva Pasolini, ma anche con larghi squarci di poesia. Allora, per ritornare e fare appunto delle domande, per iniziare un percorso di discussione, io credo appunto che in Pasolini ci sia sicuramente questa idea del non finito o comunque di qualcosa che va integrato, di un confronto-scontro con il lettore al quale viene richiesto di partecipare. Però è anche vero che questo non è forse l’unica dimensione, l’unica cifra significativa di Pasolini, ma è qualcosa che Pasolini scopre nell’ultimo periodo cioè dopo l’abbandono della letteratura come strumento di lotta legata alle esigenze della dimensione politica, della grande discussione. Insomma non si capisce, a mio avviso, “Una vita violenta” se non si tiene presente la discussione sul contemporaneo e sul Metello di Pratolini, insomma il dibattito sulla letteratura neorealistica. Quindi da un lato c’è una modalità di operazione narrativa da parte di Pasolini che trova un muro, cioè si scontra contro la difficoltà di una totalizzazione dell’opera letteraria; dall’altro c’è la scoperta, non tanto la scoperta quanto
l’utilizzazione del cinema come continuazione della dimensione narrativa, lo
scrivere appunto con un’altra lingua, ma continuare lo stesso progetto, lo
stesso processo.
E’
inevitabile poi che utilizzando gli strumenti, l’arma propria del cinema,
Pasolini integri questa sua scoperta anche dal versante narrativo e dal
versante poetico. Per cui il cinema va a costituire un linguaggio, una sorta di
lingua speciale che si fa però progetto globale all’interno dell’opera di
Pasolini. Cioè il cinema serve per compensare, per superare l’impasse del
romanzo visto l’insuccesso diciamo così da un punto di vista letterario di
“Una vita violenta”; dall’altro è il cinema che poi viene utilizzato,
viene riverberato sulle altre forme espressive e quindi diventa uno strumento,
una sorta di strumento principe per scrivere ancora poesia, per scrivere ancora
narrativa, per arrivare ad un livello di determinazione della scrittura stessa
che vada oltre il grado zero della scrittura, per citare il Barth a cui si
alludeva, che sicuramente è uno dei punti di riferimento forti di Pasolini, ma
come sempre in Pasolini anche come punto di riferimento critico, cioè c’è una
adesione, ma anche una critica. Lo stesso direi insieme a Bazen un altro grande
punto di riferimento dal punto di vista cinematografico di analisi della lingua
del cinema è Godard, che Pasolini pubblica in quella stessa collana insieme a
Bazen. Grazie. >>
IN RICORDO DEL “POETA” PIER PAOLO PASOLINI – parte 31 – atti di un Convegno del 2006 IN RICORDO DI PIER PAOLO PASOLINI per la parte 30 vedi 22 luglio
Nota: si tratta di una trascrizione della sbobinatura redatta da tecnici non sempre funzionali ai lavori del Convegno
Parte 31 prosegue l’intervento del prof. Giuseppe Panella
Non
vorrei appunto, un sospetto, che anche in Pasolini giocasse questa suggestione
che d’altronde viene rievocato proprio nell’introduzione, se non erro, cito
così sulla base dei ricordi, proprio Gadh viene considerato uno dei grandi
maestri di Pasolini insieme a (parola non comprensibile), c’è addirittura una
fotografia. Quindi c’è da un lato appunto il problema del gaddismo di Pasolini
che poi è il problema del gaddismo di Arbassino, di Testori ecc, ecc, coloro i
quali sono gli scrittori che non a caso si sono formati in quella palestra
straordinaria che è Paragone, una rivista di Longhi, cioè della moglie di
Longhi cioè di Anna (parola non comprensibile) che aveva della scrittura una
concezione radicalmente opposta rispetto a quella di Pasolini, ma che comunque
considera Pasolini uno suo discepolo, un suo allievo.
Quindi
da un lato c’è questa domanda appunto sulla possibile volontà di Pasolini di
fare un’opera come quella di Gadh che ha ad esempio nel Pasticciaccio anch’essa
volontà, velleità e propensione verso una scrittura di denuncia civile, nel
senso appunto il Pasticciaccio come poi Eros e Priapo, come altre opere di Gadh
avranno come bersaglio un bersaglio ben individuato nel Fascismo. Dall’altro in
questa idea dell’opera, che si autocontraddice, cioè che appunto pone in sé
stesso gli elementi del dubbio, del far deflagrare le contraddizioni
dall’interno, credo però tipica di tutta la grande scrittura del Novecento.
Cioè nel senso di un’opera che dovrebbe essere l’opera definitiva, finale, il
grande romanzo finale, il grande testo definitivo della letteratura che però in
realtà all’interno contiene i germi del suo superamento e della sua non essere
tappa finale. Se qualcuno ha presente (parola non comprensibile) di Jois o
“L’uomo senza qualità” di Musit sono grandi opere narrative, che
vorrebbero essere il romanzo finale, per Musit era esplicito questo, ma proprio
Perché è il romanzo finale questo romanzo non finisce, lascia aperta la
possibilità ad una conclusione.
Io credo sicuramente Pasolini aveva per Petrolio, ma anche per altre opere, in testa una idea del genere di romanzo, anche se io diciamo meditando sul Pasolini che ancora crede nelle possibilità del romanzo come strumento di lotta ed anche di analisi delle contraddizioni politico-sociali, cioè in senso quasi lucaksiano , Pasolini ci aveva provato a scrivere il romanzo compiuto, il manufatto esteticamente realizzato, il romanzo che doveva essere contemporaneamente la prova di stile di scrittura, ma anche di impegno sociale. Se si pensa ad “Una vita violenta”, che è probabilmente un fallimento anche per Pasolini, però Pasolini ci prova e quindi è probabile questa volontà di scrittura non finita degli abbozzi di “(parola non comprensibile) gli occhi azzurri” che però contiene anche le sceneggiature, la sceneggiatura di “Una giornata balorda” quindi da un lato ha questo carattere di materiale abbozzato che non finisce; dall’altro però propone dei testi compiuti e qui apro brevemente una parentesi prima di concludere: Pasolini ha pubblicato praticamente tutte le proprie sceneggiature tranne quella di Salò.
UN
POST LUNGO PER RECUPERARE UNA DOCUMENTAZIONE SU UN PROGETTO COMPLESSO DI
EDUCAZIONE DEGLI ADULTI REALIZZATO A PRATO NEGLI ANNI OTTANTA
UN POST
lungo per recuperare una documentazione su un Progetto complesso di Educazione
degli Adulti realizzato a Prato negli anni Ottanta
Nei
prossimi giorni proseguirò con blocchi ridotti di circa 500 lettere a
recuperare tutto il mio intervento il cui titolo era “Nuove tecnologie…verso il
2000”
Su questo Blog in un mio post del 31
ottobre u.s. http://www.maddaluno.eu/?p=10467 proseguendo a parlare di alcune
iniziative svolte a Feltre nel 1982 annunciavo come operatore del Circolo di
Cultura Cinematografica “La Grande Bouffe”
“……..nostre
iniziative future, ad esempio quella che interesserà particolarmente il mondo
della scuola e l’uso corretto didattico dei mezzi audiovisivi, che in dettaglio
presenteremo al Provveditore agli Studi di Belluno, all’ IRRSAE, al Consiglio
Scolastico Distrettuale n.4, ai Direttori Didattici ed ai Presidi. La necessità
di un approfondimento di studio su questi temi è tanta ed è comprovata da una
parte dall’importanza che hanno assunto, e vanno assumendo sempre di più, i
mezzi audiovisivi, dall’altra dall’imperizia della maggior parte degli
operatori scolastici nell’essere in grado di adoperare correttamente tutta la
più o meno complessa serie di attrezzature che, pur acquisite dai singoli
Istituti, giacciono molto spesso inutilizzate negli sgabuzzini e nei sottoscala
delle varie scuole.“
E poi con una nota a piè di pagina scrivevo
“nda: Nei mesi successivi mia moglie ebbe il trasferimento a Prato ed io la
seguii con un’assegnazione provvisoria a Empoli. E tra Prato ed Empoli
iniziarono altre storie.”
Ecco, dunque alcune delle altre storie.
A Prato nel 1988 seguendo quelli che
erano i miei specifici intreressi, all’interno dei quali sviluppavo competenze,
ho potuto portare il mio contributo ad un Seminario internazionale promosso dal
Comune di Prato, dall’Università degli Studi di Firenze, dall’Istituto di
Pedagogia con il patrocinio della Comunità Economica Europea, del Ministero
della pubblica Istruzione, dalla Direzione generale degli scambi culturali,
dall’Associazione Intercomunale Area Pratese. Il seminario si svolse dal 18 al
22 maggio.
Durante il periodo “feltrino” ero stato protagonista della “stagione” delle 150
ore e contemporaneamente avevo costruito progetti e iniziative culturali
cinematografiche sempre tenendo presente la funzione didattica dei mezzi
audiovisivi. A Prato avevo partecipato da protagonista alla fondazione del
Terminale e proseguivo la mia attività nel mondo degli audiovisivi utilizzati
come strumenti culturali. Prato, attraverso la grande attenzione civile e
sociale, tesa al recupero delle conoscenze disperse in tempi nei quali il
lavoro portava via dal mondo dell’istruzione molti giovani prima che avessero
concluso il ciclo di studi, aveva avviato, già da alcuni anni, percorsi di
rialfabetizzazione rivolti agli adulti, grazie alla sensibilità di una classe
dirigente politica ed amministrativa di altissimo livello (Liliana Rossi, Anna
Fondi, Ivana Marcocci, Eliana Monarca, Massimo Bellandi sono solo alcuni dei
nomi di amministratori, quasi tutti da me incontrati in quegli anni). La
collaborazione con l’Università, in particolar modo con Francesco Maria De
Santis, Paolo Federighi e Paolo Orefice era stata preziosissima ed aveva
prodotto grandi risultati ed aspettative.
Anche per fermare lo “stato delle cose” e stimolare il processo si svolse
dunque il Seminario “Strategie per uno sviluppo generale dell’educazione degli
adulti. Verso un 2000 educativo” al quale ebbi la fortuna e l’onore di
partecipare con un mio specifico intervento dal titolo “Nuove tecnologie…verso
il 2000” all’nterno della Sezione che si occupava di “Nuove tecnologie
audiovisive e sviluppo dell’educazione degli adulti”.
Nel prossimo post riporterò alcune parti della Presentazione curata dal prof.
Paolo Federighi e dell’Introduzione del prof. Filippo Maria De Santis.
….1……
Come
annunciavo nel post del 7 novembre nell’impostare un discorso intorno alla
necessità di strutturare un nuovo Progetto di Educazione degli Adulti farò
riferimento agli Atti del Seminario “Strategie per uno sviluppo generale
dell’educazione degli adulti. Verso un 2000 educativo” svoltosi a Prato nel
maggio del 1988. Pubblicherò poi il mio intervento e vi farò seguire un’idea
sui bisogni consapevoli e/o inconsapevoli dei cittadini, sia quelli che da
generazioni vivono questi territori sia quelli che invece vi sono da pochi
anni, sia appartenenti alla nazionalità italiana sia a quelle non italiane, ma
che comunque abbiano bisogno di approfondire la conoscenza della lingua e delle
storie, offrendo innanzitutto in cambio le loro specifiche conoscenze
mettendole insieme nello stesso comune crogiolo inter-multiculturale.
Dalla presentazione del prof. Federighi:
“…..A
partire dal 1986, a Prato si è dato vita ad un controllato processo di
costruzione di un sistema urbano di educazione degli adulti che, oggi, ha
oramai superato il primo quinquennio di attuazioni. La ricerca, impostata da De
Sanctis assieme ai suoi collaboratori ed a Massimo Bellandi e Doriano Cirri,
prospetta obiettivi e tappe di attuazione che giungono fino all’anno 2000.
Oggi, a sei anni dal suo inizio, dopo aver percorso le prime fasi del suo
processo di attuazione alcune risposte alle principali questioni fondanti la
ricerca sono state date.
Realizzando attività educative organizzate per oltre mille cittadini ogni anno
– per la maggior parte nel campo dell’educazione formale – sono state messe a
fuoco le ragioni che finora hanno impedito o non hanno lasciato emergere le
aspirazioni dei cittadini verso uno sviluppo intellettuale generale.
A partire dal ruolo di programmazione e di diretto rapporto con i problemi
della gente, di gestione di servizi comuni ai diversi agenti educativi locali,
si è definito, sia sul piano teorico che pratico, il ruolo di un Comune
rispetto alle aspirazioni educative dei propri abitanti. Si è precisato come
sia possibile dare inizio ad un processo formativo nel campo dell’educazione
degli adulti a partire dal Comune. Ciò sia nella prospettiva di una
ripartizione di competenze con le amministrazioni pubbliche sovraordinate, che
nella possibile loro latitanza. Nello stesso tempo, praticando il superamento
della contrapposizione tra accentramento e decentramento, tendendo a far
assumere a ciascuno le proprie competenze – dai consigli di circoscrizione agli
organismi nazionali ed internazionali – si è riusciti a raggiungere obiettivi
sociali più avanzati……Il seminario – progettato e organizzato con Filippo M. De
Sanctis, Doriano Cirri e Manuela Borchi – fu dedicato, come ricorda De Sanctis
nell’Introduzione qui pubblicata, a Nabila Breir, educatrice degli adulti, che
con noi aveva cooperato per la creazione dell’Associazione Mediterranea di
Educazione degli Adulti, uccisa a Beirut.”
In relazione a questa dedica riporto il
paragrafo conclusivo dell’Introduzione del prof. De Sanctis qui sopra
richiamata. Il suo titolo assume un profondo ed inequivocabile significato: non
c’è Cultura senza la Pace. E la Pace ha inizio e completamento all’interno
delle Conoscenze e delle Culture.
E’ il
paragrafo cinque, quello conclusivo dal titolo “A dedication for peace“
In the name of the Mediterranean Adult Education
Association, I wish to ask participants to dedicate this seminar to the name of
Nabila Breir. Nabila was an Arabian colleague who on the 18th of December,
1986, in Beirut, on his way to work, was barbarously assassinated. I met Nabila
in Paris during the last assembly of UNESCO. On that occasion he worked towards
establishing on behalf of the Association relations between Arabs and Israelis.
Together we thought that neither yesterday’s or today’s conflicts should
prevent us from working towards peace for tomorrow. The International Council
for Adult Education has created a prize dedicated to the memory pf Nabila
Breir. We invite you to join us in this enterprise.
una documentazione su
un Progetto complesso di Educazione degli Adulti realizzato a Prato negli anni
Ottanta -parte 3 (vedi post del 12 gennaio u.s.)
Il 3 ottobre dello scorso anno (1987), si è svolto a
Prato un Convegno sulle nuove tecnologie in rapporto ai processi
didattico-educativi, ma senza tener in alcun conto il settore dell’educazione
degli adulti. Pur tuttavia sono anch’io (organizzatore di quel Convegno)
dell’opinione che quest’ultimo settore non possa essere scisso dalla
problematica didattica complessiva e che la creazione di uno scambio permanente
delle reciproche esperienze possa servire anche ai settori primari e secondari
dell’istruzione, addirittura in misura maggiore che allo stesso ristretto
settore dell’educazione degli adulti; per questo ritengo che i presupposti e
gli esiti di quel Convegno possano essere utilissimi per una riflessione che
riguardi l’educazione nel suo complesso, anche per quel concerne più da vicino
le problematiche educative connesse alle arti e allo spettacolo.
L’apprendimento e l’uso delle nuove tecnologie avviene ancora oggi all’interno
di due canali che in nessun modo però dovrebbero essere separati: la fruizione
“attiva” e la produzione diretta. Il primo è rivolto a tutte le sfere ed i
settori educativi e riguarda la visione di materiali già prodotti: questo non
può essere considerato, come ancora troppo spesso accade, un facile e comodo
dolce diversivo rispetto alla lezione orale e, se non vuole proprio essere
un’integrazione ad essa, deve essere sempre sostenuta (la fruizione attiva) da
una scheda programmatica non solo contenutistica ma anche tecnica. E’ a questo
tipo di lavoro cui mi riferisco quando parlo di una nuova professionalità
dell’insegnante (vedi introduzione nel post del 12 gennaio 2020). In questo
primo canale possono essere utilmente comprese anche la registrazione in video
delle lezioni cattedratiche o meno che i docenti di norma debbono svolgere;
questo aspetto prelude al secondo canale, che va riferito alla possibilità di
utilizzare praticamente le conoscenze tecniche e teoriche sulla realizzazione
di prodotti audiovisivi: se l’intervento primario sarà svolto in modo
coinvolgente e seguito con attenzione gli allievi potranno cimentarsi nella
scrittura e nella messa in opera di uno o più audiovisivi, la cui valenza sarà
chiaramente di tipo educativo. Non si pensa affatto di far diventare gli
studenti tutti operatori e tecnici cinetelevisivi, ma l’obiettivo rimane quello
educativo riferito alla conoscenza approfondita delle nuove tecnologie e del
loro uso più appropriato per narrare in modo diverso i propri mondi. E’
evidente che un progetto “particolare” riservato all’apprendimento delle nuove
tecnologie trova qualche difficoltà e resistenza ad essere inserito nella
scuola, dove esistono programmi, in qualche caso “ferrei” a favore dei quali
soprattutto le vecchie guardie tra i docenti oppongono nella loro difesa
strenua resistenza; ma parlando di “educazione degli adulti” mi torna facile
prospettare per questo settore la realizzazione di un Laboratorio
dell’Immagine, costruito tenendo conto del palinsesto di quello creato per gli
allievi della scuola media superiore ed orientato, come quello, a misura dei
fruitori “adulti”. L’esperienza di cui parlo è ancora in corso e risente delle
problematiche di cui sopra, anche se la risposta a tale proposta è stata, e
continua ad essere, molto elevata sia da parte dei docenti che degli studenti
che vi hanno aderito. Questo va detto allo scopo di evitare sia i facili
ottimismi sia l’altrettanto generico pessimismo: proprio in qualità di
coordinatore di quel laboratorio l’idea di un suo sviluppo rivolto agli adulti
mi stimola molto, mi interessa.
….3…..
una documentazione su
un Progetto complesso di Educazione degli Adulti realizzato a Prato negli anni
Ottanta -parte 4 (vedi post del 12 e 15 gennaio u.s)
Sono a ricordarvi che
il documento, contenuto nel volume “Strategie per uno sviluppo generale
dell’educazione degli adulti – Verso un 2000 educativo” è stato pubblicato nel
1990 per conto del Comune di Prato ed è riferito ad un seminario che si svolse
in quella città dal 18 al 22 maggio 1988. E’ molto importante rammentarlo
perché si comprendono alcuni tratti del mio intervento: siamo in un periodo nel
quale utilizzavamo cineproiettori con pellicole 16mm e videocassette VHS. Per
produrre si utilizzavano le U-matic e Betamax. Il computer aveva un uso
pressochè esclusivamente amministrativo: serviva ai docenti per sostituire la
macchina da scrivere.
4.
Oggi (1988), fra le altre opportunità, abbiamo anche
un nuovo organismo che raccoglie operatori ed esperti del settore
videocinematografico indipendente: si tratta dell’Associazione Film Video
Makers, la cui presenza a Prato potrebbe essere importante all’interno della
costruzione e realizzazione di un progetto di attività didattico-educativa che
possa coinvolgere la più ampia gamma di presenze sociali: infatti ritengo che
il ruolo delle Associazioni nell’ambito ricreativo culturale sia determinante
se è qualificato il loro intervento, se esso è pienamente rispondente da una
parte di una competenza accertata di settore, dall’altra a una effettiva – non
importa se minima – richiesta di base. Troppo spesso si è verificato
diversamente che interventi, anche dispendiosi, non fossero tutelati da questa
doppia garanzia: e questo non dovrebbe assolutamente accadere! Altrettanto
frequentemente non ci si è preoccupati di costruire interventi che andassero al
di là della mera sussistenza provvisoria, allestiti più per ottenere contributi
che per vero e proprio interesse con il risultato che, prima di nascere, erano
già morti. Sono queste le linee d’intervento culturale che dovrebbero divenire
fondamentali per tutti gli Enti pubblici. Il Comune di Prato, così come tanti
altri Comuni, appare come uno dei sostenitori di questa linea di intervento
culturale, anche se obiettivamente non è sempre facile tenervi fede, con una
serie di iniziative che cercano di lasciare il segno e che, anche se non
producono ricchezza economica, producono un arricchimento culturale. Fra queste
vanno incluse quelle relative all’educazione degli adulti, il cui meccanismo
assicura la piena rispondenza fra progetto e realizzazione pratica di esso.
Ritornando alle nuove tecnologie, relativamente alla loro introduzione ed uso
all’interno dell’ordinamento scolastico, si deve affermare che siamo ancora
all’anno “zero”. Intorno a noi si parla di telematica, di trasmissioni
televisive senza frontiere, di strumentazioni e progetti sofisticatissimi, ma
la cultura su cui si formano i nostri allievi, giovani o adulti, è ancora
fortemente collegata al “libro di testo”: c’è dunque una “forbice” sempre più
divaricata fra la società reale ed il sistema educativo ufficiale. Si aggiunga
che nella scuola vige una situazione di forte incertezza, di elevata ambiguità
e che le resistenze al “nuovo” sono molto spesso ammantate con alibi
rivoluzionari “anti-istituzionali” chiaramente mistificatori. Mi spiego meglio:
nella scuola è sempre più frequente l’uso “ludico” degli audiovisivi, pur
essendo esso inserito all’interno di una programmazione didattica dei docenti;
gli allievi vengono lasciati alla mercé del mezzo, oserei dire “parcheggiati”
di fronte al monitor o al telone senza alcuna preparazione né a monte né a
valle e solo in alcuni casi la “propedeucità” si basa su forme esclusivamente
contenutistiche, anche perché – vale la pena sottolinearlo – i docenti sono
complessivamente impreparati a percorrere strade di lettura più appropriata ed
approfondita sul piano tecnico-formale. Non è che i docenti siano convinti che
quel tipo di approccio vada bene, è semplicemente che si adagiano, scaricando
poi la loro inevitabile frustrazione sull’istituzione, sulle problematiche
dell’aggiornamento, sui regolamenti interni degli istituti, su tutto quello che
giuridicamente sovrintende al funzionamento della scuola.
….4…..
una
documentazione su un Progetto complesso di Educazione degli Adulti realizzato a
Prato negli anni Ottanta -parte 5 (vedi post del 12, 15 e 17 gennaio u.s)
5.
Detto ciò, sembra quasi che io voglia far cambiare il titolo di questo
Seminario, trasformandolo in “Verso un 2000…diseducativo”: credo invece che é
proprio il rischio di avviarsi seriamente, almeno per quel che concerne il
nostro Paese, verso una situazione sempre più difficile, verso un mondo di
analfabeti di ritorno, verso una realtà scolastica sempre più lontana da quella
tecnologica, ancora troppo elitaria, a sollecitare nel Comune di Prato, nella
CEE e nell’Università degli Studi di Firenze, la necessità di una verifica con
questo dibattito, con questo Seminario.
Il tema principale su cui si discute è l’educazione degli adulti, ma mi sia
permessa una riflessione che non deve essere considerata una digressione: la
mia esperienza di educatore dei giovani nella scuola media superiore mi fa
consapevole delle forti carenze esistenti nell’ordinamento scolastico –
soprattutto nei “curricola” e nei “programmi” – che definirò “normale”; questa
consapevolezza deve essere utilizzata per evitare nel limite delle umane
possibilità gli stessi errori nell’elaborazione di progetti che riguardano
l’educazione degli adulti, far riflettere ancora una volta di più sulla
situazione generale della cultura e dell’apprendimento, porre a fuoco proprio
le ambiguità, le contraddizioni, l’arretratezza del sistema educativo e far
diventare quindi l’educazione degli adulti la palestra per il rinnovamento
generale dello stesso (il sistema educativo).
In effetti oggi nella scuola “normale” avvertiamo sempre maggiore la difficoltà
di costruire un mondo a misura dei nostri giovani; questi sono destinati
inevitabilmente – in questo tipo di ordinamento – a confrontarsi con la realtà
concreta soltanto quando sono fuori dalla scuola e spesso ne sono estromessi
drammaticamente o vi si immettono con difficoltà enormi, superando gli ostacoli
a proprie spese, materiali e morali.
Rinnovare la scuola risulta essere un paradosso politico irrisolto oramai da
alcuni decenni: i ragazzi studiano su programmi suggeriti in epoche lontane che
si spera superate e dimenticate. Rinnovare la scuola in generale, adeguarla
alle nuove tecnologie, formare il personale significa dare il via ad
investimenti che solo apparentemente sono improduttivi: il guaio è che in
Italia non esiste una seria programmazione che leghi il settore dell’istruzione
a tutti gli altri e che, ad un settore pubblico sempre più in disfacimento,
dilaniato da questioni sociali ed economiche, si contrappone un settore privato
che da solo, in autonomia, costruisce i propri quadri, li prepara, li stimola,
li incentiva.
In questa realtà così deprimente l’educazione riservata agli adulti organizzata
dagli Enti Locali, pur non essendo la panacea di tutti i mali sopra descritti,
risulta essere una sana boccata d’ossigeno, anche se investe (andando molto al
di là di esse) solo alcune discipline scolastiche curricolari, anche se è
orientata ad una preparazione con obiettivi ridotti ma non per questo meno
importanti ed interessanti.
….5…
Il Seminario si svolse dal 18 al 22 maggio 1988 nei locali della
Biblioteca Roncioniana di Prato
una documentazione su un
Progetto complesso di Educazione degli Adulti realizzato a Prato negli anni
Ottanta -parte 6 ed ultima (vedi post del 12, 15, 17 e 19 gennaio u.s)
L’
uso delle nuove tecnologie deve penetrare, a mio parere, integralmente dentro i
progetti di “educazione degli adulti”: il largo uso che nella società si va
facendo (a proposito ed a sproposito, in positivo e in negativo) della cultura
dei mezzi di comunicazione di massa deve essere correttamente riportato all’
interno della programmazione educativa riservata agli adulti. Questo
soprattutto allo scopo di rendere più agile ed usufruibile l’ apprendimento: ad
esempio vanno considerati i turni di lavoro ed i ritmi della vita moderna che
non sempre permettono di seguire i corsi con assiduità e che risultano sovente
essere il motivo predominante di rinuncia da parte degli adulti occupati.
Questa flessibilità può essere ottenuta con le nuove tecnologie, sia attraverso
l’ uso di materiale già preparato ed usufruibile direttamente, sia attraverso
le riprese in video delle lezioni così dette cattedratiche, ma anche con la
costruzione di lezioni preregistrate o la progettazione di interventi specifici
sull’immagine che preveda di passare attraverso tutte le fasi per la
realizzazione di filmati di vario genere. Tutto questo permetterebbe
agevolmente ai frequentatori dei corsi di poter usufruire degli interventi
culturali nel settore da loro scelto anche ventiquattro ore su ventiquattro: è
chiaro che occorre strutturare diversamente tutti i corsi e che si rende
necessario un periodo di sperimentazione che preluda alla costruzione anche di
una Banca Comunale (o Intercomunale) degli audiovisivi culturali, didattici e
di servizio, la quale deve essere a disposizione degli utenti, la
caratteristica dei quali dovrà essere meglio delineata, per il prestito o l’
utilizzazione in loco del materiale audiovisivo. Risulta altresì importante,
soprattutto per gli adulti, il poter disporre di tecnologie avanzate e di
materiale meno dispersivo possibile, come spesso accade con i libri di testo,
il poter scegliere sempre e comunque su ampi, molteplici e diversi percorsi per
l’ ampliamento e l’affinamento della propria cultura.
Per un intervento di tale portata sono disponibile sia personalmente sia a nome
dell’Associazione che rappresento a rimboccarmi le maniche, ad operare
praticamente. Alcuni sono abili teorizzatori ma preferiscono non cimentarsi,
attendendo gli errori dei più coraggiosi molto spesso per denigrarli, per
mortificarli: scusate se considero me stesso ed i miei amici dei coraggiosi ma
di certo ci vogliono caparbietà ed ostinazione per ottenere gli obiettivi che ci
si prefigge.
Oggi occorre anche che chi possiede i mezzi economici, chi controlla i processi
produttivi a tutti i livelli, chi detiene e gestisce il potere politico, chi
istituzionalmente possiede le tecnologie vecchie e nuove e si va ponendo quale
interlocutore privilegiato per le nuovissime, a partire da chi ha organizzato
questo Seminario, chi vi partecipa non negando di certo belle frasi di
apprezzamento, asserzioni convinte e pareri positivamente concordi con
l’ampliamento di questo settore dell’ educazione, siano tutti poi coerentemente
disposti a mettere in pratica tutto quel che di positivo sarà qui emerso.
Diversamente queste giornate, questi incontri, questi discorsi rimarrebbero un
vuoto esercizio retorico, così come ce ne sono stati tanti altri, si
aggiungerebbero, questi, agli altri dispendi inutili di risorse pubbliche: ed
anche questo nostro sincero desiderio di impegno sarebbe reso vano ed in ultima
analisi risulterebbe fortemente frustrante, con il risultato che un progetto
che tende al futuro finirebbe con il provocare un forte arretramento o un
blocco dei processi tecnologici applicati al settore educativo e didattico, ed
in particolare a quello degli adulti.
Quindi,
diciamo, è proprio mettendoci in una condizione di accettazione-rifiuto al
tempo stesso che noi possiamo venire a capo del problema Pasolini non
prendendolo come un classico o peggio ancora come un santino. Questo diciamo è
quello che volevo dire per così dire in appoggio alle tesi di Tricomi.
E
poi volevo fare una domanda a Costa, di cui ho apprezzato il documentario, tra
l’altro la citazione finale su cui si interrompe non è per esempio di Pasolini,
ma è una cosa che lui ha preso da Bashlah, esattamente così nella Poetique
della Reverì e lo dico semplicemente per fare vedere come Pasolini era uno che
si muoveva tra varie cose e le utilizzava. Ma la domanda che io volevo fargli è
questa: lui ad un certo punto ha parlato e sicuramente c’è questa dimensione
diciamo di centralità della questione del montaggio su cui ha detto delle cose
assolutamente (parola non comprensibile), una sintesi della posizione di
Pasolini sul montaggio assolutamente condivisibile. Una domanda che vorrei
fargli invece sul piano sequenza: cioè lui ha parlato, Costa ha parlato di un
piano sequenza ininterrotto il che potrebbe diciamo essere messo in relazione
con l’idea di un’opera aperta che non si conclude mai, che è sempre un’opera
mancata Perché programmaticamente mancata. Quindi una sorta di piano sequenza
ininterrotto. Però poi io ricordo che Pasolini, proprio a proposito mi pare de
“Il Fiore delle mille e una notte” intervenendo così in risposta alle
critiche che gli erano piovute addosso aveva detto: ma vi rendete conto che
questo film è girato con un rifiuto continuo del piano sequenza? E’ girato
invece appunto con tutte inquadrature fisse che dovrebbero dare una dimensione
di estraneamento che non è assolutamente tipica del piano sequenza? Beh, allora
una osservazione come questa di Pasolini su sé stesso, quindi come di uno che
faceva film anche attraverso il rifiuto proprio del piano sequenza, come si
concilia appunto con l’idea di una centralità del piano sequenza nell’opera finita
generale. Grazie. >>
Parla il Professor Sandro Bernardi:
<<
Forse si può rispondere volta per volta in modo che sia più diretta la cosa,
altrimenti poi il discorso si finisce per generalizzare. >>
Parla voce non identificata:
<< Direi che questa figura dell’ossimoro che è stata rievocata riguarda un po’ anche questa sezione in Pasolini che, a proposito di queste due cose, prende delle posizioni che possono sembrare contraddittorie una rispetto all’altra. Io ho evocato quella che mi ha colpito di più, questa idea che la morte realizza un improvviso montaggio rispetto a quel piano della sequenza che è (parola non comprensibile), ed allora questa idea quella chiusura del senso che Pasolini non avrebbe mai voluto chiusa. Questa è una posizione generale in cui il montaggio, il piano sequenza sono da prendere in termini metaforici.
Poi invece per quello che riguarda la tecnica di realizzazione di Pasolini, Pasolini forse è il registra cinematografico che più integralmente ha applicato il principio del montaggio verticale, ed il montaggio non è solo il collegamento tra….>>
* L’INTERVENTO SI INTERROMPE IMPROVVISAMENTE. DALLA REGISTRAZIONE RISULTA LA PROIEZIONE DI UN FILMATO.
Non li toccate quei diciotto sassi che fanno aiuola con a capo issata la “spalliera” di Cristo. I fiori, sì, quando saranno secchi, quelli toglieteli, ma la “spalliera”, povera e sovrana, e quei diciotto irregolari sassi, messi a difesa di una voce altissima, non li togliete più! Penserà il vento a levigarli, per addolcirne gli angoli pungenti; penserà il sole a renderli cocenti, arroventati come il suo pensiero; cadrà la pioggia e li farà lucenti, come la luce delle sue parole; penserà la “spalliera” a darci ancora la fede e la speranza in Cristo povero.
Il prossimo 5 marzo sarà il centenario dalla nascita del grande intellettuale italiano. Qui continua la trascrizione “difficoltosa” (lo sbobinamento non è mai stato verificato) del Convegno del 2006 Questa è la PARTE 25
PARTE 25
Ma
nello stesso tempo però c’era anche qualche cosa che coinvolgeva molto
fortemente. Con il tempo e soprattutto quando è uscito “Petrolio, che io
considero un romanzo molto importante, anche se come sapete è nient’altro che
un progetto di romanzo, beh lì allora lo spostamento di me come lettore, come
fruitore è stato piuttosto dall’altro lato della contraddizione, cioè dal lato
della accettazione. Ora con il tempo io credo che bisogna tenere presente
ambedue questi poli accettazione e rifiuto. Questo significa non consegnare Pasolini
ad una classicità alquanto, come dire, sciocca, alquanto conciliatoria in senso
troppo placido, proprio mantenendo questa dimensione che è di distacco e di
avvicinamento.
Noi
non possiamo accettare alcune delle tesi di Pasolini e lo dico francamente. Non
sono accettabili Perché non è immaginabile la difesa ad esempio della famiglia
tradizionale, della maternità di tipo tradizionale nei confronti della
questione dell’aborto. Voi sapete che aveva preso una posizione così
chiaramente contro l’aborto che è qualcosa di non accettabile. Era sicuramente
anche una provocazione che lui faceva, però questo non vuol dire che una tesi
come quella si accettabile. L’idea di una omosessualità che è tutta all’interno
di una dimensione maschile, diciamo un recupero ma attraverso alcune mediazioni
della dimensione di una omosessualità greca in cui c’è un rapporto come dire da
discepolo, da docente a discepolo nei confronti dell’amasio o appunto del
giovane. Una diciamo lettura dell’omosessualità estremamente riduttiva e poi a
lui veniva anche diciamo da una tradizione letteraria. Anche qui c’è una
tradizione letteraria pensiamo a Jeed che ha una posizione sull’omosessualità
molto simile. Beh, anche questo non è accettabile, soprattutto oggi noi vediamo
che è una visione estremamente estetizzante della omosessualità, tra l’altro
anche con una dimensione sadomasochistica esplicita. Quindi ci sono delle cose
che non sono accettabili e che ci devono mettere in una situazione di rifiuto.
Al tempo stesso però poi, proprio elementi di questo tipo,
condotti così o ricondotti con forza all’interno di un’opera aperta nel senso
in cui Tricomi ha parlato di opera aperta, cioè non nel senso della neo
avanguardia, ma nel senso di una letteratura che cerca una sua strada quale che
sia la verità. Beh, allora questo diventa un elemento di contraddizione che può
essere produttivo di qualche cosa proprio Perché ci mette in uno stato di
contraddizione. Quindi, ad esempio, le tesi sul consumismo che vengono ormai
citate in maniera diciamo quasi quotidiana come qualche cosa che Pasolini aveva
già visto e che ci ha come dire consegnato con una profezia che si è
realizzata, anche lì una tesi
come
quella estremamente interessante nel momento in cui veniva svolta, veniva
tirata fuori, cioè negli anni settanta in Italia soprattutto, anche quella va
presa con un atteggiamento che è io direi di un sì e anche di un mah Perché non
si è verificata nel mondo una omologazione generale delle culture, quelle
culture che Pasolini andava riscoprendo e che cercava come qualche cosa che
ancora manifestavano una resistenza alla omologazione delle culture, ma che in
breve sarebbero sparite proprio quelle culture, quelle culture del terzo mondo
ecc, hanno manifestato poi come abbiamo visto un qualcosa di più di una capacità
di resistenza. Si sono reinventati una tradizione al punto che oggi noi non
possiamo parlare di una omologazione delle culture sul pianeta, un discorso
diverso andrebbe fatto per l’Italia, però anche lì ci sarebbe da diversificare
l’analisi che faceva.
IN RICORDO DEL “POETA” PIER PAOLO PASOLINI – parte 24 – atti di un Convegno del 2006 IN RICORDO DI PIER PAOLO PASOLINI
continua la trascrizione “difficoltosa” (lo si comprende dal testo riportato proprio in questo blocco) del Convegno del 2006 Questa è la PARTE 24
* PROIEZIONE DI UN DOCUMENTARIO
FINE
LATO B PRIMA CASSETTA
SECONDA
CASSETTA INIZIO LATO A
Parla voce non identificata:
<< Io vorrei, in questo intervento molto breve, dire
qualcosa sul discorso che ha fatto Tricomi e poi rivolgere una domanda, una
semplice domanda a Costa che non nasconde inibizione, ma è proprio una domanda.
Per quanto riguarda la relazione di Tricomi che si rifà a due libri che ha
pubblicato in questi ultimi tempi su Pasolini, io devo dirvi innanzitutto che
trovo la tesi, che lui ha presentato qui, che appunto ha discusso ancor meglio
in questi volumi, assolutamente convincente. A me sembra che si possa dire che
tutto quello che Tricomi fa, ma lo fa con una grande dovizia di documentazione
sia in sostanza svolgere dispiegare quello che era un giudizio critico di
Franco Cortini su Pasolini, che Pasolini accettava peraltro, e cioè la
possibilità di leggere Pasolini, l’opera di Pasolini secondo la figura retorica
della sineciosi o dell’ossimoro. L’ossimoro sapete è una figura retorica in cui
due contrari sono unificati all’interno di una stessa formula, come per esempio
quando si dice un morto vivente. Questo è un ossimoro e un po’ tutto Pasolini è
un ossimoro. Io credo che questo lo si veda bene proprio attraverso la tesi di
Tricomi del sadomasochismo, no? Questo rapporto che Pasolini ha con la
tradizione letteraria, con il potere, con la sessualità anche che è un rapporto
di contraddizione perenne in cui non si arriva mai ad una sintesi, quindi ad
una conciliazione degli opposti, ma al contrario si ha una configurazione in
cui gli opposti sono presenti e si scontrano continuamente. Quindi non una
soluzione del conflitto, ma un conflitto esibito in maniera costante. Allora
questa cosa, questa dimensione per esempio della accettazione rifiuto di una
tradizione letteraria, questo è secondo me visibilissimo se vediamo ad esempio
la svolta che appunto conduce Pasolini dalle prime prove che si possono in
qualche modo, sia pure con una certa approssimazione, considerare
neorealistiche o almeno realistiche fino poi alla diciamo sperimentazione
piuttosto forsennata degli anni ’70, questo si vede per esempio in un libro
come “Petrolio”, beh questa dimensione di accettazione e rifiuto di
una tradizione letterariami sembra una cosa che viene esibita continuamente.
Ma l’idea che io ho e che è in qualche modo una sorta corollario della tesi di Tricomi è che il lettore stesso debba mettersi in una condizione di ossimoro quando si avvicina ad un’opera come quella di Pasolini. Cioè la dimensione dell’accettazione e del rifiuto devono convincere, altrimenti non si coglie veramente il punto. Devo dire anche che questa cosa può procurare, come dire, degli sbalzi di umore nella lettura di Pasolini. Io li ho sentiti molto, molto fortemente anche Perché così per età anagrafica faccio parte proprio di quella generazione di giovani nevrotici, pallidi, forse anche brutti che lui aveva così fortemente criticato. Quindi la dimensione del rifiuto era sicuramente prevalente quando ero un ragazzo e anche veniva fuori in maniera molto forte quando vedevo un suo film ecc.
STORYTELLING (digital) e METANARRAZIONE – proseguendo il lavoro in TRAMEDIQUARTIERE
Scrivevamo l’altro giorno: “Stamattina piove. Le prime gocce tamburellando sulle tettoie mi hanno svegliato: che ore sono? Dieci alle sette; tra qualche minuto anche il telefono sussulterà, vibrerà e poi suonerà. Decido di staccare la “sveglia”, non ne ho più bisogno e non voglio disturbare gli altri che continuano tranquillamente a dormire; mi alzo e vado in cucina a prepararmi il solito caffè. C’è meno luce del solito. Eppure siamo già al 15 di maggio. Con la tazzina di caffè fumante vado davanti all’ampia vetrage del salone attraverso la quale osservo la vasta pianura che va verso il mare, al di là delle colline pistoiesi che nascondono la piana di Montecatini e tutto il resto verso occidente. Le nuvole sono basse e continua a piovere. Ieri mattina a quest’ora la luce era così intensa e sono riuscito a fare una serie di buone riprese ed ottime foto. Meno male, mi dico e continuo a dirlo mentre accedo al balcone esterno che guarda verso il Montalbano e si affaccia sul giardino e sulla vecchia Pieve. Sul balcone i fiori di cactus che ieri mattina erano aperti e turgidi si sono afflosciati, altri ne stanno nascendo e quando saranno pronti, come sempre faccio, li fotograferò. I colori della natura tendono in prevalenza al grigio, grigio-verdi, e la pioggia copre con il suo cadere a tratti i suoni ed i rumori della vita della gente che va a lavorare: è ancora presto per il “traffico” scolastico che tra poco si materializzerà. E continuo a pensare tra me e me: “Meno male che ieri mattina sono riuscito a fare le foto e le riprese di cui oggi avrò bisogno. Stamattina sarebbero state così cupe!”. Da martedì insieme a pochi altri seguo un corso intensivo di soli quattro giorni: lavoriamo su “temi e storia” di questo territorio. Siamo a Prato. Quartiere San Paolo, periferia Ovest della città post-industriale. E’ piacevole ed interessante, forse anche utile. Siamo soltanto in sei suddivisi equamente quanto a genere ed età anagrafica. Il primo appuntamento è in una delle scuole della città appena alla periferia del nostro territorio. Mi sono presentato come uno scolaretto per l’appello del primo giorno. Molte le facce a me già note: in definitiva ad occuparci di Cultura ci si conosce. Sento subito che ci divertiremo, insieme. Handicap assoluto è la mia profonda impreparazione linguistica con l’inglese. La docente anche se in possesso di un curriculum internazionale di primissimo livello dal suo canto non capisce un’acca della nostra lingua: e questo mi consola ma non giustifica entrambi. C’è grande attenzione in tutti ma il più indisciplinato è colui che dovrebbe , per età soprattutto e per la professione che ha svolto, essere da esempio, cioè io. Mi distraggo, chiacchiero, insomma disturbo come un giovane allievo disabituato alla disciplina. L’americana mi guarda con severità e con quel solo sguardo impone il silenzio. Ciascuno viene chiamato poi a confessare in una sorta di autoanalisi, della quale non parlerò, le origini del proprio nome e della propria storia familiare. Io scherzo sul significato del mio cognome che richiama atmosfere donchisciottesche e sulle attività “carpentieristiche e marinare” di mio nonno paterno.
L’americana detta poi compiti e tempi. A ciascuno la sua storia.
Non ne parlerò per rispettare la consegna del “silenzio” anche se qualche
indicazione emergerà dal “racconto”. Discutiamo, scambiandoci idee ed opinioni,
poi scriviamo. Amo la sintesi: lo so che voi (che leggete) non lo direste, che
non siete d’accordo. Molti dicono che sono un “grafomane”. Ma io, in effetti,
scrivo molto ma poi taglio: scorcio e taglio.
E così andiamo avanti fino ad ora di pranzo: non tutti però sono
pronti e quindi si ripartirà più tardi per il confronto finale, dopo
pranzo.
La scrittura deve essere sintetica (e dagli con questa
“sintesi”!) e sincopata per poter poi più agevolmente trasformarsi in uno story
board dove le parole e le immagini si mescolino. Mentre le parole sono lì già
pronte sul foglio di carta la docente ci invita a reperire quante più immagini
possibili da poter collegare.
Dopo il pranzo infatti ciascuno di noi lavora per costituire il
proprio esclusivo “database” da cui attingere poi foto e riprese in video da
utilizzare.
Dalla prima scrittura a questo punto si passa ad una
rielaborazione ad uso di traccia sonora parlata da ciascuno di noi. Dovremo
essere noi a leggerla domattina, mercoledì 13 maggio, registrandola su una
traccia audio che poi entrerà a far parte del nostro personale bottino.
Si ritorna a casa, però, con un compito da svolgere: cercare una
musica da utilizzare, adattandola alle immagini. E’ una delle operazioni che mi
coinvolgono a pieno; il suono musicale deve appartenere alle immagini con
il ritmo che acquistano nel mio pensiero; i movimenti delle persone e degli
oggetti devono corrispondere nel miglior modo possibile alle note all’interno
della loro composizione; devono viaggiare all’unisono come corpi in un amplesso
erotico. Ne sono stato sempre convinto: ascoltare musica genera orgasmi
mentali.
“La
bellezza espressa da un artista non può risvegliarci un’emozione cinetica o una
sensazione puramente fisica. Essa risveglia o dovrebbe risvegliare, produce o
dovrebbe produrre, una stasi estetica, una pietà o un terrore ideali, una stasi
protratta e finalmente dissolta da quello ch’io chiamo il ritmo della
bellezza…..Il ritmo….è il primo rapporto estetico formale tra le varie parti di
un tutto estetico oppure di un tutto estetico colle sue parti o con una sola
oppure di una qualunque delle parti col tutto estetico al quale questa
appartiene”
(da “Dedalus” di James Joyce trad.ne di Cesare Pavese,
Frassinelli editore pag. 251)
Questo sito utilizza i cookie per una migliore gestione del sito. Accetta