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CINEMA parte 28

Un altro film importante del 1945 fu “Io ti salverò” di Alfred Hitchcock, interpretato da Ingrid Bergman, che venne scelta per il ruolo di una dottoressa che lavora in una clinica psichiatrica. I temi trattati sono stati caratteristici della filmografia del regista, che si volle avvalere anche dell’arte visionaria di uno dei più straordinari interpreti del Surrealismo, Salvador Dalì, che disegnò alcune delle sequenze oniriche che dovevano rappresentare gli incubi dell’altro protagonista, interpretato da Gregory Peck. La presenza dell’artista spagnolo, che si ispirò ad opere precedenti da lui stesso realizzate non fu ben accolta dal produttore David O. Selznick che tra l’altro riteneva di essere in possesso di ottime conoscenze nell’ambito della psicanalisi e pretese di inserire la sua personale psichiatra come consulente del film. Il film ottenne un grande successo, anche se alcune delle sequenze ideate da Dalì, una delle quali abbastanza importante e significativa, non vi entrarono a far parte.

Rimanendo negli Stati Uniti e nello stesso anno, il 1945, ma con uno sguardo tipicamente europeo troviamo il miglior film dell’ avventura americana di uno dei più grandi autori del Cinema, di cui abbiamo già trattato in altri blocchi, Jean Renoir, che, come altri registi, era espatriato alle prime avvisaglie belliche naziste. Diversamente da Renè Clair (di cui tratteremo più avanti in questo stesso blocco), forse per un carattere meno incline a soddisfare i gusti del pubblico statunitense, faticò non poco a farsi strada, anche se “L’uomo del Sud” è stato riconosciuto dalla critica come una delle più importanti sue opere. Sempre attento alle problematiche dell’esistenza umana, egli nel film riesce ad interpretare, attraverso le vicende di una famiglia tipicamente americana che per riuscire a recuperare la propria dignità, non esita a confrontarsi anche se a mani nude con gli elementi avversi della natura. Come si addice allo stile americano, anche in questo caso, l’orizzonte è promettente anche se la quotidianità è precaria.

Sempre nello stesso anno, l’altro grande cineasta francese, René Clair, realizza un film che ancora oggi è presente nei palinsesti delle televisioni nostrane. Egli aveva già ottenuto alcuni successi, inserendosi nel filone della “commedia fantastica”, e si accostò con questa sua predilezione anche al testo di Agatha Christie, “Dieci piccoli indiani”, riuscendo ad inserirvi con buon esito il suo particolare umorismo nero, anche se non riuscì completamente a convincere il pubblico francese, che lo accolse tiepidamente.

Saltando all’anno successivo, il 1946, ritorniamo a parlare della produzione del grande maestro Alfred Hitchcock, che in quest’anno realizza uno dei suoi più acclamati capolavori, “Notorious”. Il film è sia un Thriller psicologico che un classico film sentimentale. Interpretato da due ormai consacrati mostri sacri, come Cary Grant e Ingrid Bergman che contribuiscono a creare il mix giusto per la buona riuscita del prodotto. L’attrice svedese naturalizzata ormai statunitense da alcuni anni aveva già ottenuto grande successo con film come “Casablanca” e “Per chi suona la campana” ed era stata confermata, dopo il successo di “Io ti salverò” come attrice preferita da Hitch. Grant era già ai vertici della notorietà avendo partecipato come protagonista a film diretti da grandi registi come Hawks, Cukor e Frank Capra, oltre che con lo stesso Hitchcock, con cui aveva girato nel 1941 “Il sospetto”.

IN RICORDO DEL “POETA” PIER PAOLO PASOLINI – parte 23 – atti di un Convegno del 2006 IN RICORDO DI PIER PAOLO PASOLINI

PARTE 23

Prosegue (e si conclude) l’intervento del Professor Antonio Costa – Docente all’Università di Venezia in storia e critica del cinema

Quindi in questo documentario non c’è nessuna parola mia, ma tutto quello che sentirete, tutte le parole che sentirete sono parole di Pasolini e riguardano cosa? Riguardano questa passione figurativa che riguarda tutta l’opera di Pasolini, quella che Pasolini appunto chiama e lo dedica a Roberto Longhi che c’è all’inizio di “Mamma Roma”, Roberto Longhi al quale io devo la mia (parola non comprensibile) figurativa. Quindi, come dire, una passione per l’immagine è il tema che riguarda appunto questo documentario che parte da una recensione che Pasolini scrive nel 1973 all’edizione ne “I Meridiani” degli scritti di Roberto Longhi. In questa recensione ha questo volume, quindi un critico d’arte, un grande critico d’arte che entra nella collana dei classici, più classica che c’è nella nostra editoria, curata questa raccolta di scritti da Gianfranco Contini. E Pasolini, scrivendo questa recensione, rende omaggio a quelli che considera i suoi due maestri: Contini, che è stato uno dei primi critici che si è occupato delle sue poesie in friulano, e Longhi Perché in una auletta appartata di Via Zamboni, mostrando diapositive ovviamente rigorosamente in bianco e nero, della pittura di Masaccio e di Masolino, gli ha dato una prima idea, una prima come dire intuizione di cosa poteva essere il cinema, che cosa poteva essere il montaggio e dice: la mia passione figurativa, anche la mia passione cinematografica non deriva dal cinema, ma deriva da questa esperienza.

Quindi è una pagina che è anche autobiografica degli anni appunto della formazione, della formazione universitaria di Pasolini. E partendo da lì con delle citazioni poetiche o con brani per esempio da un romanzo come “Amato mio” nel quale c’è una delle più belle descrizioni, che la letteratura ci abbia mai dato, di una sala cinematografica. Una sala cinematografica ovviamente neorealista a Caorle dove Pier Paolo facendo queste gite da Casaccia a Caorle di domenica, si fermavano poi fino a sera tarda a vedere questi film all’aperto ed uno di questi film appunto è un film con Rita Heiworth dove lei canta Amato mio. Ecco quindi c’è la descrizione di questa visione cinematografica. Oltre a questo, ad esempio, c’è un passo poetico di un film che Pasolini ha fatto insieme a Guareschi e che poi ha studiato, un film che si chiama “La rabbia” in cui c’era una descrizione della storia d’Italia, della storia d’Italia del dopoguerra fatta da un intellettuale di Destra e da un intellettuale di Sinistra. Ad esempio da questo film abbiamo preso il passo che è letto da Giorgio Bassani dedicato a Marilyn Monroe.

Quindi abbiamo, come dire, un percorso che riguarda tutti gli aspetti della passione per l’immagine di Pasolini. Una passione di natura essenzialmente manieristica che nel momento in cui Pasolini, l’essenza forse del manierismo è proprio questa di accompagnare come dire la relazione con un determinato oggetto, una possibile configurazione storica, con il suo commento cioè fare assieme un’opera che è riflessione e nello stesso tempo (parola non comprensibile). Ecco questo, appunto, si è cercato di mostrare in questo documentario. Documentario che finisce un po’ bruscamente senza trattare un ultimo capitolo, che sarebbe stato importante, sarebbe stato quello “Salò Shaad” e quello dello sfregio all’opera poetica precedente. In omaggio al principio perfettamente enunciato da Fellini: “quand’è che un film finisce?” E il grande maestro disse: “un film finisce quando sono finiti i soldi.”

E anche noi avevamo finito i soldi e quindi manca l’ultimo capitolo, però non è male Perché così il documentario finisce con questa stupenda frase che pronuncia il pittore giottesco, interpretato da Pasolini stesso, nel finale di “Decameron” dove dice: “Perché realizzare l’opera quando è così bello sognarla suonando”.

Naturalmente poi sono a disposizione di critiche, lanci di pomodori ed eventuali domande. >>

POESIA SOSTANTIVO FEMMINILE parte 6 – 2022 – un recupero dei testi di presentazione, introduzioni e Saluti (e questa è “Il saluto del curatore” della X edizione, del 2010)

POESIA SOSTANTIVO FEMMINILE parte 6 – 2022 – un recupero dei testi di presentazione, introduzioni e Saluti (e questa è “Il saluto del curatore” della X edizione, del 2010)

Il saluto del curatore

Questa è la decima Edizione di un’iniziativa nata nel 2001 in modo del tutto improvviso e casuale per motivi che io stesso ho spiegato nell’introdurre la seconda Edizione.

Quest’anno intendo ringraziare in maniera particolare la Circoscrizione Est degli anni 1999/2009 per la capacità che ebbero Presidenti (Fulvia Bendotti e Anna Maria Berti) ed Esecutivi attenti alle tematiche culturali e sensibili nei confronti di iniziative come queste che mettono insieme la Poesia e le Donne all’interno di un contenitore di qualità, ottenuto attraverso la compartecipazione di tante persone (donne ed uomini) animate da una straordinaria sensibilità creativa e da una passione forte per la parola poetica.

Ma intendo allo stesso tempo ringraziare l’attuale Circoscrizione (n. d. trascrittore: nel 2009 Prato vide per la prima volta nella sua storia la vittoria della coalizione di Centrodestra e tre Circoscrizioni, tra le quali quella Est, furono amministrate da quella parte politica) che, con la scelta di non mantenere più nella propria programmazione culturale questa iniziativa mi (e ci) ha concesso l’opportunità di assumerla fra gli obiettivi politici e culturali di una parte importante del governo di questo territorio e di questa città; ed allo stesso tempo involontariamente ne ha decretata la continuità e lo sviluppo verso esiti che neanche io avevo pensato di poter raggiungere.

Infatti in questa Edizione, come avete potuto direttamente già comprendere, “Poesia Sostantivo Femminile”, utilizzando strumenti telematici di nuovissima generazione – quale Facebook – e mezzi consueti – cellulari, sms e mail -, ha potuto ricevere il contributo culturale di tante poetesse e poeti di altre città ed anche da altri Stati. Questa Edizione – la decima – è caratterizzata dalla forma austera necessitata dalla nostra caparbietà nel volerla a tutti i costi realizzare nel miglior modo possibile senza fondi pubblici. E’, anche questa, la riprova che il rapporto fra costi e benefici da un punto di vista culturale è tutto a favore dei secondi rispetto ai primi.

Un ringraziamento speciale a tutte le donne ed a tutti gli uomini che, partecipando, rendono possibile questa manifestazione ed a quelle/i che – da amministratrici ed amministratori – credono ancora in essa.

Ringrazio infine l’Amministrazione Provinciale di Prato che, attraverso l’Assessore alle Pari Opportunità, Loredana Ferrara, ha voluto. dimostrando grande attenzione e altrettanta sensibilità , concedere – oltre al patrocinio – l’uso degli spazi istituzionali per la serata dell’8 marzo del 2010.

Il curatore dell’iniziativa – presidente dell’Associazione Dicearchia 2008

prof. Giuseppe Maddaluno

GLI INTELLETTUALI E SANREMO 2022(SAN REMO TUTTO ATTACCATO PER INDICARE IL FESTIVAL) dopo il recupero di due post del 2020

GLI INTELLETTUALI E SANREMO 2022(SAN REMO TUTTO ATTACCATO PER INDICARE IL FESTIVAL) dopo il recupero di due post del 2020 – parte 1

Sono sempre più convinto che trascorrere circa 5 ore per cinque giorni (farebbero 25 ore) davanti allo schermo televisivo per seguire le evoluzioni del Festival di Sanremo sia una straordinaria perdita di tempo per chiunque abbia un minimo di buon senso; ma non ho alcuna intenzione di offendere. Forse in qualche minima parte le invidio, quelle persone, in quanto a tutta evidenza non hanno altro di meglio o più utile e necessario da fare. Ho ripreso l’altro ieri un post di due anni fa, proprio per aiutare la mia memoria: nel 2020 il Festival si è svolto proprio mentre in Italia apparivano i primi casi di Covid. Il popolo italiano era ancora inconsapevole dell’immane tragedia che di lì a poco avrebbe travolto il mondo intero.

Lo scorso anno eravamo ancora in piena pandemia ed era appena stata avviata la campagna di vaccinazione. Era in vigore ancora il divieto di partecipare ad eventi culturali e il Festival si è svolto in modo spartano senza pubblico in sala ma con le stesse identiche modalità del varietà, le stesse lungaggini, la stessa vacuità, intervallata con rari interventi memorabili. Ragion per cui ho ancora una volta scelto di utilizzare la modalità Replay cui Rayplay ci consente di accedere. E anche quest’anno sto utilizzando lo stesso meccanismo. Devo tuttavia aggiungere che, quest’anno, un po’ come nel 2020,  ci sono ricascato con la stessa identica reazione comune                                                                                                                                         (riporto nel virgolettato quello che ho scritto nel primo dei due post scritti da me e riproposti insieme l’altro giorno)                                                                                                                                                                                                    “E così accade che, in un momento di sconforto dico a me stesso, l’ultima sera, ed a mia moglie: “Dai, guardiamo com’è!”. Dopo tre esibizioni le palpebre tendono a chiudersi pesantemente.”

Con grande probabilità una delle responsabilità è da addebitare ad un imperfetto funzionamento dei microfoni di sala, inadatti soprattutto per le canzoni più moderne, che rappresentano infatti la maggioranza, oppure c’è  l’età che avanza ed il malfunzionamento dell’udito di un settantenne che rifiuta di recarsi ad un controllo, pur gratuito, dell’udito; o ancora l’incapacità di comprendere le novità musicali che non tengono più conto del gradimento di una popolazione che invecchia. A tale proposito, anche se potrà apparire una digressione, mi ritornano in mente i commenti delle mie nonne e delle vecchie zie di campagna di fronte ai prmi “urlatori” e capelloni nostrani che partecipavano ai Festival tra la fine degli Anni Cinquanta ed i primi anni Sessanta. In quel periodo però eravamo tutti attratti dai nuovi mezzi di comunicazione; lo schermo televisivo era esclusiva di qualche bar e di qualche famiglia fortunata, che ospitava nugoli di giovani e meno giovani negli appuntamenti canonici come il Festival (mitici furono in modo particolare “Lascia o raddoppia” e “Il Musichiere”).

Se considero una perdita di tempo seguire le 25 ore del Festival, non per questo – come ho in qualche modo accennato prima – non sono attratto dalle performance di comici intellettuali e artisti che vi approdano. Negli intervalli di alcuni momenti impegnativi e seri della mia giornata smanetto su Raiplay e vado a cogliere gli estratti. Recupero anche qualche performance canora…..

I REGALI DI NATALE – p.4

I REGALI DI NATALE – p.4

Nella capitale dell’area flegrea ci sono vari altri luoghi dove si svolgono le attività mercantili. Pozzuoli deve essere stata sin dall’antichità un luogo in cui si svolgevano scambi di merci. Lo testimoniano i resti archeologici del “Macellum”, una sorta di ipermercato ante litteram, che si trova proprio davanti alla linea destra del porto e che ha subìto l’affronto antistorico di essere confuso con un “Tempio” solo per il fatto che negli scavi era stata ritrovata una statuina del dio greco egiziano Serapis. Da parte loro i geologi hanno utilizzato le residue colonne che caratterizzano l’ampiezza e l’altezza di questo sito per misurare i livelli del fenomeno bradisismico, cui è sottoposta la terra flegrea. Tra il Serapeo e il mare al di là di una strada sempre molto trafficata c’è uno spazio sul quale si svolge il mercato dell’usato e delle mercerie varie. Oggi ci sono pochi banchi; quasi certamente la crisi pandemica ha ridotto il livello di scambio e in un giorno prefestivo come questo, unico nel corso dell’anno, c’è più attenzione verso i prodotti tipici alimentari. Dopo un rapido sguardo decidiamo di andare verso quello che ricordiamo essere il mercato ittico – sia quello all’ingrosso che si svolge di prima mattina prima dell’alba che a dettaglio – e quello poi della frutta e verdura al dettaglio (gestito da commercianti) e ci sorprendiamo nel notare uno scarso afflusso. Ci accorgiamo che non c’è più alcun banco e alcuni addetti ai parcheggi, che per sostenere il commercio sono stati resi liberi dall’Amministrazione comunale nel limite di due ore, ci avvertono che i banchi si sono spostati tutti poco più sopra, dove c’è il mercato coperto. In realtà qualche anno prima si erano insediati lì ma poi, se ben ricordo, erano ritornati verso la linea del mare. Ci avvertono però che il mercato è chiuso; c’è stato per tutto ieri fino a notte fonda. Ora tutti stanno nelle loro case a preparare il cenone. Ecco perché – ci diciamo Mary ed io – non c’era tanto movimento.

E così superata la villa Comunale, che è da sempre molto ridotta e non ha molto a che vedere con quelle che si chiamano allo stesso modo ma hanno la fortuna di esistere in altri luoghi, ci inoltriamo attraverso le stradine che portano verso la piazza della Repubblica. Attraversiamo quello che i puteolani hanno chiamato con una certa esagerazione – alla pari con il concetto di “Villa” – “Canal Grande”, ‘o Cannalone” memori del fatto che a causa dei fenomeni bradisismici il mare fino ai primi anni del secolo scorso lo percorreva, costringendo gli abitanti ad utilizzare passerelle simili a quelle che a Venezia adoperano quando c’è l’acqua alta. Ve ne è una testimonianza nel film “Assunta Spina” (tratto dal dramma scritto da Salvatore Di Giacono) di Gustavo Serena e di Francesca Bertini, che ricopre anche il ruolo della protagonista (la potete vedere dal minuto 6 e 40″ del film che vi inserisco in coda a questo blocco).

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CINEMA – storia minima – parte 27

CINEMA – storia minima – parte 27

Avevo annunciato nel precedente blocco che, seguendo in modo cronologico la Storia dell’arte cinematografica, ci saremmo spostati con il nostro sguardo in Italia, dove la grande stagione del Neorealismo tocca nuovi vertici con un film che consentirà al mondo intero di prendere consapevolezza del livello cui la cinematografia italiana era pervenuta, “Roma città aperta” di Roberto Rossellini. Il film si snoda tra una sorta di documentazione di fatti realmente accaduti pochi mesi prima che venissero girate alcune scene (gli abitanti della Capitale d’Italia assistettero sgomenti a quelle riprese, in quanto non pochi di loro credettero che fossero ritornati gli scenari di guerra che avevano vissuto) e le storie umane di una parte dei borgatari, alcuni dei quali impegnati nelle file della Resistenza al Nazifascismo. Il film ottenne vari e alti riconoscimenti a partire dal Gran Prix al Festival di Cannes del 1946 e pose in evidenza l’interpretazione di Anna Magnani e di Aldo Fabrizi. La narrazione degli eventi è in grado di coinvolgere ancor oggi spettatori di tutte le età. Qui di seguito una delle dichiarazioni di Roberto Rossellini sul film.



Insieme a “Roma città aperta” – presentato nel 1945 – nello stesso anno, il 1946, ad ottenere uno dei premi più prestigiosi al Festival di Cannes furono, tra altre nove opere, “Breve incontro” del britannico David Lean e “Giorni perduti” dello statunitense Billy Wilder. Il primo è una storia intima nella quale si racconta di un tradimento non finalizzato tra due che occasionalmente si incontrano ma, pur scoprendo di essere innamorati, rinunciano a portare avanti la relazione per evitare di veder naufragare le loro legittime relazioni familiari. Il titolo si riferisce alla parte finale quando i due decidono di troncare quella esperienza, incontrandosi brevemente nello stesso bar della stazione dove per la prima volta si erano conosciuti.

L’altro film, “Giorni perduti”, approfondisce un tema sociale molto rilevante, riscontrabile soprattutto negli ambienti artistici, spesso soggetti a profonde e cocenti delusioni rispetto alle aspettative: la dipendenza dall’alcool e dalla droga. Un tema questo molto complicato anche perché si rischiava di toccare corde molto sensibili in tal senso proprio negli ambienti letterari e cinematografici. Non fu facile trovare un sostegno all’idea che Billy Wilder aveva tratto dalla lettura di un romanzo di Charles R. Jackson e dopo essere riuscito ad ottenere i diritti per trasformarlo in una sceneggiatura cinematografica ebbe molte difficoltà con il produttore della Paramount Pictures, Young Frank Freeman, che si convinse soltanto dopo aver capito che il film dello stesso Wilder, “La fiamma del peccato” di cui abbiamo accennato nel blocco 24 e che usciva in quel periodo si annunciava come un grandissimo successo. La decisione non fu certamente improduttiva, in quanto il film dopo aver ottenuto il riconoscimento di ben quattro Golden Globe (Miglior film drammatico, Miglior regista, Miglior attore protagonista e Migliore sceneggiatura non originale) riuscì ad accaparrarsi altrettanti Premi Oscar (Miglior film – produttore a Charles Brackett; Miglior regista a Billy Wilder; Miglior attore a Ray Milland; Migliore sceneggiatura non originale a Charles Brackett e Billy Wilder). Tra le altre note va ricordato il contributo per la colonna sonora di Miklo Rosza.

28 gennaio – LE STORIE 2008-2009 – 17 (per la parte 16 vedi 14 gennaio)

Ad esso risponde un altro protagonista della storia politica e sociale del Decentramento pratese, G.Z..

Molto chiaro il documento: In particolare apprezzo il punto 5 sulle circoscrizioni leggere ma con più deleghe, al quale manca un passaggio dove ci sia più trasparenza (suggerisco un protocollo procedurale) tra l’amministrazione comunale e circoscrizionale: molto stride su questo rapporto non sempre chiaro.

Pochissime linee sul Decentramento

1. Importanza politica e democratica del Decentramento;

2. Il Decentramento così come è non va bene.

3. In tempi di crisi di solito si cercano e si trovano le migliori soluzioni (importante che non si faccia nulla per emergenza: quindi anticipiamo le scelte)

4. In ogni caso, Massimo darà delle linee generali su cui poi la futura Amministrazione lavorerà

5. Una Circoscrizione più forte ma più leggera; facendosi forti della Legge sulla partecipazione ci potrebbe essere una Circoscrizione in cui ogni eletto della maggioranza (un Consiglio di 11 membri con maggioranze 6\5, 7\4) potrebbe assumere degli incarichi ottenendo allo stesso tempo un riconoscimento formale forfettario (escluso il Presidente che avrebbe quel che ora gli viene riconosciuto); in ogni frazione del territorio verrebbe organizzato un Comitato rappresentativo da consultare obbligatoriamente ogni qualvolta dovessero essere discussi argomenti che riguardano quel territorio o più territori della città. Le Commissioni saranno formate da membri eletti e non eletti ma non potranno superare il numero massimo del totale dei consiglieri (max 11) ed in esse verranno rappresentate non le forze politiche ma le realtà territoriali di cui si diceva prima. I membri di maggioranza non percepiscono alcun gettone (ma verranno retribuiti – vedi sopra -).

Con la riduzione del numero – accanto alla valorizzazione delle competenze assolutamente necessarie – il lavoro nelle Circoscrizioni dovrebbe essere più fruttuoso e meno costoso per la collettività.

G. Z.

Di seguito su questi stessi temi, e altro, ci sarà un’elaborazione più approfondita.

Contributo su “Cultura e Decentramento”

In tempo di crisi, più che mai in tempi di crisi, occorre interrogarsi sul valore (sui valori) della Cultura; occorre comprendere, ad esempio, quali (e quanti) danni abbia comportato l’avvento della televisione commerciale.

Fra gli interventi da realizzare sarebbe opportuno istituire una rete televisiva civica che senza steccati dia spazio alle diverse (sono tantissime) voci della città, una piazza non virtuale da cui trasmettere programmazione ed iniziative dell’Ente Locale e non solo.

L’idea può apparire vecchia (se ne era parlato qualche legislatura fa) ma sarebbe molto efficace per informare e progettare ed anche per intrattenere a vari livelli i cittadini senza cadere nel provincialismo.

La Cultura va rielaborata a Prato con il coinvolgimento “pieno e totale” delle Circoscrizioni che in questi quindici anni hanno accumulato una immensa esperienza anche “autonoma”.

Va mantenuto e corroborato il rapporto fra i territori e i grandi contenitori; va rafforzato il contatto con i gruppi che si occupano di Cultura e vanno supportate ancora di più alcune esperienze “forti” come ad esempio “Officina Giovani”.

Va affrontato e risolto con scelte “comunque” coraggiose il nodo Interporto\Etruschi.

Devono trovare valorizzazione piena le esperienze del “Magnolfi”, dei Cineclub attivi in Prato e del Teatro Ragazzi.

Nelle realtà molto “decentrate” grande attenzione deve essere data verso i gruppi giovanili di aggregazione artistici, culturali o semplicemente ricreativi.

Molto di questo è stato realizzato ma sempre più in modo centralistico: diciamo che questo è l’elemento che deve davvero caratterizzare un cambiamento di mentalità nell’Amministrazione della nostra città.

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IN RICORDO DEL POETA PIER PAOLO PASOLINI – parte 22

PARTE 22

Una mia nota: Voglio ancora una volta ricordare che vado riportando il dibattito che si svolse il 27 aprile del 2006 così come riportato dai trascrittori che sbobinarono le registrazioni. Ecco quindi perché a volte ci sono degli errori o comunque delle incertezze.

E qui, riprendendo questa suggestione dell’opera mancata, una cosa alla quale pensavo sentendo i vari interventi è anche questi pesantissimi dieci tomi che ci sono stati consegnati dell’opera (parola non comprensibile), di cui ben tre riguardano l’opera cinematografica cosa che credo farebbe orrore a Pasolini, lui che aveva scritto la sceneggiatura come struttura che vuole essere una anti-struttura, che venga dato il nome di opera cinematografica a quelli che quotidianamente sono degli scatafasci, cioè che sono appunto delle strutture che vogliono bilanciare un’altra società.

E questo quindi mi sembra che l’invito sia venuto appunto da un giovane per favore non facciamo di Pasolini un classico, mi sembra che sia una cosa da prendere estremamente alla lettera.

Anche Perché, avvicinandomi un po’ a quella che è la mia specializzazione, una delle contraddizioni di Pasolini è che lui ha detto tutto e il contrario di tutto a proposito di due configurazioni del linguaggio cinematografico e anche gli studenti del primo anno conoscono: cioè il piano sequenza e il montaggio. Cioè lui da una parte pensava che l’opera dovesse somigliare il più possibile ad un infinito piano sequenza, Perché finché siamo dentro il flusso della vita non siamo definiti, non siamo fluidi. D’altra parte sapeva benissimo, e la sua morte lo dimostra, che la morte compie improvvisamente una operazione di montaggio rispetto a questa apertura che è data dalla concezione della vita, dell’esistenza, del gesto e dell’opera stessa. E quindi irrimediabilmente la morte di Pasolini come dire compie obbligatoriamente, Perché vanno così le cose della vita, un montaggio sulla sua opera. Opera che però bisogna continuare a riaprire. Ecco io credo che il peggior servizio nei riguardi di Pasolini lo abbia cominciato Nanni Moretti con un film, che per altri versi mi è piaciuto, che si conclude con una visita, una sorta come dire di omaggio a quella che però dentro l’opera di Moretti è proprio una icona, un santino Perché provo a figurarmelo il Moretti che non dico leggere l’opera omnia di Pasolini, ma entra dentro alcune delle comparizioni che ci sono dentro.

Quindi, bisogna tornare all’opera di Pasolini. E tornare all’opera di Pasolini sapendo che dove è mancata e dove non poteva più mancare quest’opera era proprio in questa sua idea di poterla mantenere perennemente. Ma c’è questo limite invalicabile per cui ad un dato momento l’opera si chiude. Allora bisogna entrare dentro quest’opera.

All’interno di questa opera la vocazione, la spinta verso la dimensione del classico, del figurativo, cioè del non verbale è qualcosa di molto forte. E’ una delle grandi spinte che c’è dentro l’opera di Pasolini attraverso la quale, forse, lui ha cercato di superare quel peso della posizione al quale faceva riferimento Tricomi all’inizio del suo intervento. Ecco cioè questa idea, questa possibilità di riuscita dalla parte della dimensione (parola non comprensibile).

E veniamo qui al documentario che io vi propongo, che è un documentario come dicevo che ho fatto una decina di anni fa in occasione di una grande mostra fotografica sulle opere di Pasolini che si è tenuta a Villa Manin in Friuli.

Questo documentario è quello che rimane di una cosa che non era né un film né un video, ma era una multivisione. Vale a dire che dentro questa mostra fotografica, all’interno di una sala completamente buia si accendevano in punti diversi

della parete delle diapositive accompagnate da testi di Pasolini stesso o letti da uno speaker, da un attore o in alcuni casi quando esistevano letti da Pasolini stesso. Con come dire un omaggio alla poesia di Pasolini che abbiamo fatto leggere ad un poeta veneto, Andrea Zanzotto, al quale abbiamo proposto di leggere un brano de “La ricchezza” un poemetto in cui Pasolini descrive un suo viaggio attraverso l’Italia da nord verso sud con una fermata ad Arezzo dove va a vedere gli affreschi di Piero della Francesca nella Chiesa di San Francesco. Poi il viaggio prosegue ed arriva a Roma dove in un cinemino dalle parti di Trastevere vede, e prova una fortissima emozione, “Roma città aperta” film di Rossellini.

I REGALI DI NATALE – p.1

Faccio un passo indietro per descrivere quel che è il pregresso: le attese, le speranze, la voglia di recuperare un rapporto con la Madre Terra, o come meglio sarebbe dire “Terra Madre”, la terra natia: è di noi due ma in modo particolare e sorprendentemente da parte di nostra figlia. Decidiamo di partire il 22 dicembre, per evitare il rientro dei vacanzieri di fine anno, quelli in particolare collegati al mondo della scuola. Quando si parte, comunque si sia in due oppure in tre o quattro come questa volta, appariamo sempre una famiglia in trasloco e ci consola solo il fatto di non essere gli unici, felicitandoci del comune destino quando si incrociano altri veicoli ricolmi come un uovo. In realtà lo spazio è ridotto e i bisogni sono raddoppiati; in aggiunta si deve dire che tutte le vettovaglie che erano state lasciate nel gennaio del 2020 erano scadute e quindi dovevamo necessariamente portare con noi perlomeno i viveri di prima necessità.

Mi sono raccomandato con mia figlia affinché non si parta troppo tardi: voglio arrivare a Pozzuoli, in questo periodo di solstizio invernale, con un po’ di luce. Il mio desiderio, visto che sono considerato ormai un impenitente maniaco della precisione, viene esaudito; ma la speranza di trovare un traffico normale, no. Assistiamo inermi a lunghe file di centinaia di Tir che lottano arrancando per procedere in mezzo a chilometri di cantieri aperti. Si viaggia dunque quasi a passo d’uomo per molti chilometri. Per fortuna non fa tanto freddo e si possono tenere aperti anche se di poco i finestrini per aerare il poco spazio rimasto: c’è il rischio che qualcuno di noi covi il contagio, senza esserne consapevoli. E, poi, ho una strana tosse che mi scuote di tanto in tanto: a me sembra psicosomatica perché mi ritorna soprattutto se ci penso; ma il mio dottore ha detto che è collegata al reflusso gastro esofageo. Sarà; ma sono più o meno gli stessi sintomi che avvertivo nel marzo 2020 all’alba del Covid19.

Comunque, giusto per la cronaca, è proprio il gran traffico che mi impegna a mantenere desta l’attenzione ed anche la “tosse” non mi perseguita e di riflesso gli altri viaggiatori non hanno alcun motivo di preoccuparsi. I giovani ne approfittano per organizzare incontri e visite ad amici, luoghi da visitare e ristorantini dove rifocillarsi tutti insieme che diano garanzie di sicurezza. Mia moglie è intenta a seguire il traffico e di tanto in tanto distribuisce qualche snack. Il viaggio dopo le prime due ore e mezza da incubo procede abbastanza spedito; l’auto è revisionata ma non mi fido di lanciarmi oltre i 90 massimo 100 orari. Per fortuna non c’è più il gran traffico grazie anche alle corsie che da due sono tre, da Orte in giù. Ci siamo fermati solo per un parziale bisogno fisiologico; non mi sono mosso dall’auto. Arrivati a Santa Maria Capua Vetere, la sagoma del Vesuvio già si intravede sullo sfondo; poi sparirà e ritornerà dopo l’uscita dall’A1. Qualche altro chilometro e poi si entra nella bolgia infernale, che chi non è di queste parti non può immaginare (forse a Roma sarà la stessa cosa, ma qui a Napoli, entrare nella Tangenziale è il cordiale saluto della città e soprattutto dei suoi abitanti.

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CINEMA – storia minima – parte 26

Trasferiamoci, rimanendo nel 1944, in Unione Sovietica, dove Sergei Michajlovic Eizenstein, dopo la sua avventura americana, che aveva acuito la distanza tra il potere sovietico e l’artista, sempre più sospettato dal gruppo dirigente stalinista di “commistioni” con l’Occidente, realizza un nuovo capolavoro, Ivan il Terribile, che rappresentava l’ascesa del grande primo “zar di tutte le Russie” nella seconda parte del Cinquecento. Il film fu apprezzato per il suo valore storico e agiografico dallo stesso Stalin, che tuttavia successivamente non consentì a Eizenstein di realizzarne le due ulteriori parti progettate. Forse anche con questa profonda delusione e l’impossibilità di realizzare altri suoi progetti, il grande regista fu colpito da una crisi cardiaca e morì qualche anno dopo, l’11 febbraio del 1948.

Andando dietro allo stesso periodo storico, ritorniamo negli Stati Uniti, ma per seguire le realizzazioni di un grande autore europeo che diversamente da Eizenstein era espatriato dalla Francia filo nazista già dal 1940 e vi farà poi ritorno dopo la fine del secondo conflitto mondiale. Si tratta di Renè Clair. Nel 1944, mentre per l’appunto in Europa si svolgono le operazioni belliche più importanti che porteranno alla sconfitta del Nazismo ed alla fine del conflitto, egli gira una delle più straordinarie commedie brillanti della Storia del Cinema, quell'”Avvenne…domani” che ne decretò il definitivo successo internazionale. La vicenda narrata si basa su una storia, nello stile tipico surreale della sua cinematografia, fantastica; si immagina, infatti, di poter venire a conoscenza degli eventi del giorno dopo, per poterli modificare laddove questo sia necessario. Il film è interpretato da attori che avevano raggiunto già l’acme del successo, come Dick Powell e Linda Darnell ed ebbe uno straordinario successo negli Stati Uniti.

Rimanendo nell’ambito francese, ed andando ad un anno successivo (il 1945), è molto importante ricordare che, pur all’interno di un contesto reso difficoltoso dal disastro del dopoguerra, l’altro grande pilastro del Cinema d’Oltralpe, Marcel Carné, dirige uno dei capolavori assoluti del Cinema mondiale che è “Amanti perduti” (Les Enfants du paradis), che si avvale ancora una volta della collaborazione, nella costruzione della sceneggiatura, tra il regista e uno dei più grandi poeti, non solo francesi, che fu Jacques Prévert. Il film che è considerato dalla critica internazionale come il migliore, per quel che riguarda il panorama francese, di tutti i tempi, è un affresco della società post rivoluzionaria alla fine del Settecento. Storie d’amore che tuttavia rimangono sullo sfondo si intrecciano con le prevalenti ambientazioni di tipo prettamente teatrale (lo stesso titolo francese si riferisce agli spettatori del loggione, solitamente appartenenti a ceti popolari). Le interpretazioni sono straordinarie, a partire dalla star Arletty, che aveva già recitato in molti altri film di Carné, e da Jean-Louis Barrault, che era stato tra l’altro il vero ispiratore della trama, avendo raccontato ai due illustri sceneggiatori la vita di un famoso mimo del XIX secolo, Baptiste Debureau, personaggio principale del film. Non va dimenticata l’interpretazione di Pierre Brasseur nei panni di un altro
il celebre attore classico, Fréderic Lemaître.

Nel prossimo post parleremo di un altro grande capolavoro della cinematografia mondiale, andando in Italia.