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29 settembre IN RICORDO del poeta Pier Paolo Pasolini parte 11

IN RICORDO del poeta Pier Paolo Pasolini parte 11

Lo ripeto: è la trascrizione di un Convegno del 2006 da me fortemente voluto ed organizzato presso il PIN – sede Universitaria di Firenze dislocata presso la Stazione del Serraglio di Prato – su questo Blog dal gennaio (10) di quest’anno ne vado pubblicando le risultanze

La prima delle due relazioni di questa giornata è quella del Professor Antonio Tricomi, che ha scritto due libri molto interessanti e veramente molto nuovi sull’opera di Pasolini. Quindi una serie di lavori che penso e spero continueranno e che si inseriscono nel solco dei discorsi e delle riflessioni già iniziate. Difatti, secondo Antonio Tricomi, non è tanto importante santificare, celebrare e in questo modo anche neutralizzare l’opera di Pasolini, quanto anche sconsacrarlo, discuterlo, considerarlo come uno di noi, presente e vivo e quindi anche contraddirlo quando è necessario Perché discutere con i testi, dialogare con gli autori, contraddirli e costruire in questo modo una riflessione che continua è molto più importante appunto che chiuderli nel tempio della Sofia dalla quale non escono più. Questa è la cosa più importante credo che ci sia, l’atteggiamento più vivo che si possa avere nei confronti di un autore e quindi do la parola subito ad Antonio Tricomi. >>

Parla il Professor Antonio Tricomi:

<< Grazie, buongiorno a tutti. Dunque, io non vorrei che da subito sembrasse troppo come dire inopportuno però preannunciare un intervento che vuole essere totalmente smitizzante di Pasolini e della sua opera. Mi rendo conto che ciò avviene dentro una giornata di studi dedicata a Pasolini, però, come in qualche modo accennava Sandro Bernardi, è un po’ la mia idea che se noi tutti non si lavora a smitizzare Pasolini da qui a vent’anni invece succederà che non lo si leggerà più. Perché dico questo? Perché si è detto più volte nei minuti precedenti, si è chiamato più volte in causa i giovani. Ora io credo che a scuola soprattutto parlo dei licei, parlo insomma dei ragazzi di 16-18 anni, Pasolini sia sicuramente un nome che gira, bene o male tutti sanno chi è Pasolini, però che Pasolini sia letto dai giovani ho molti dubbi e lo dice anche la piccola esperienza universitaria. Semmai a scuola l’autore letto è Calvino per stare agli autori della generazione di Pasolini, mentre Pasolini è un autore come dire orecchiato, sentito, ma non un autore letto. Così come capita spesso di parlare con persone di 20-22, 18 anni ed accorgersi che le difficoltà a leggere Pasolini sono grandi Perché in qualche modo si ha come l’impressione di accostarsi ad un autore di un altro mondo, di un’altra epoca le cui opere dicono qualcosa di un mondo sì ancora vicino al nostro, ma non identico al nostro. Questa è la prima premessa alla quale ne segue in qualche modo un’altra, appunto Perché dicevo prima ai giovani ci si è rivolti. Perché è stata ricordata una frase del Pasolini quarantenne o poco meno sui giovani, però ce n’è un’altra che è l’esatto contrario di quanto Pasolini diceva tra l’inizio degli anni ’60 e la fine degli anni ’50. Negli anni ’70 Pasolini definisce i giovani nevrotici, brutti, pallidi e insopportabili ed ha un atteggiamento come dire di strettissimo, di violentissimo antagonismo contro i giovani che lo dico Perché così posso poi aggiungere una cosa, se ci pensate, se fate i conti di anagrafe sono i giovani che oggi in qualche modo passati i trent’anni sono la classe dirigente di questo paese. Perché nel ’71-’72 i giovani con cui Pasolini se la prende sono i 40-50enni di oggi.

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25 settembre – una serie di nuovi post – ASCOLTO – Riflessioni “quasi in diretta” – Un viatico per proseguire il cammino fuori dalla pandemìa – 8 (extra parte 4)

Non si può tuttavia continuare a rimanere marginali e soli, ma ciò non può non avere un “costo”, da una parte e dall’altra.

Una volta fuori dal Partito per scelta meditata non sono stato mai del tutto fermo. Mi appartiene in modo forte l’esperienza di “Prato in Comune”, che è stato in modo particolare il tenativo più alto di riunire quella parte della Sinistra “fuori” dal Partito Democratico. Esperienza “fallita” ma non fallimentare, in quanto non si è mai avuta la sensazione di aver commesso un errore. Ancora oggi credo che la Sinistra, quella autentica, ma non dogmatica, possa avere una funzione ed un ruolo molto importante non solo in questa città: purtroppo, però, si è limitati soprattutto a causa della esigenza di non scendere in compromessi con “poteri locali” e lobby varie. C’è da chiedersi a che vale la Buona Politica fatta di molte idee buone se per poter emergere debba sporcarsi con accordi che prefigurino una “dazione” in cambio di “concessioni”  (chiamatele se volete “bustarelle”). Ecco perché l’unica via per praticare la Buona Politica è far crescere la partecipazione dal basso. 

Quella che io auspico venga messa in cantiere è un’Associazione contenitore. Una sorta di struttura di “Quartiere” per ravvivare il dibattito partecipativo.                                                                                                                                           La chiamiamo “Agorà” (di San Paolo); e deve essere un luogo dove l’individuo confluisce nella collettività. “Agorà” per me deve, anche se ci fermiamo al “può”, essere un seme; ecco perché quel “di San Paolo” va apposto dal momento in cui anche altrove altre “Agorà” nasceranno. Bisogna costruire palestre della pluralità, dove poter condividere in partenza solo “valori”. 

Ribadisco che non mi interessa lavorare “per” il Partito, la cui forma considero “immodificabile” ed ormai “quasi sterile”. Ho già provocato reazioni quando più di un anno fa affermai che occorreva rifondarlo (voci in tal senso di tanto in tanto emergono dall’interno, ma sono troppo spesso una forma di riposizionamento o poco più); non mi sento di essere duro e scorretto se dico che c’è troppa muffa incrostata, che provoca “panne” nel motore. Manca in quel Partito, che ho fondato più che convintamente (pochi forse tra i “giovani” sanno che sono stato – insieme ad una compagna che è nel mio cuore, Tina Santini, coordinatore del Comitato per il Partito Democratico), manca la capacità di ascoltare al di là delle modalità ipocrite usuali, che di solito coincidono con le campagne elettorali.

In chiusura di questa mia riflessione confermo la stima verso Fulvio, e condivido quello che lui ha scritto presentando la sua idea di “AGORA’”.

18 settembre – IN RICORDO DEL “POETA” PIER PAOLO PASOLINI – parte 10 – atti di un Convegno del 2006 IN RICORDO DI PIER PAOLO PASOLINI

IN RICORDO DEL “POETA” PIER PAOLO PASOLINI – parte 10 – atti di un Convegno del 2006 IN RICORDO DI PIER PAOLO PASOLINI

  • prosegue l’intervento del prof. Maurizio Fioravanti presidente del PIN Università di Firenze sede di Prato

…C’è una analogia con quello che abbiamo fatto verso l’ambiente da questo punto di vista. In cinquant’anni abbiamo consumato quello che abbiamo pazientemente costruito direi in tre quattro secoli a partire dal cinquecento. (Parole non comprensibili – VOCE FUORI MICROFONO)…è una cosa incredibile che dà l’idea anche della potenza che può avere l’uomo nei confronti della natura e di sé medesimo. E quindi questi sono temi diciamo storici, filosofici ecc e però detti così possono sembrare astratti. Io spero che non sembrino ai giovani che sono presenti Perché riguardano la loro vita, la loro cultura, che avranno in mano domani che hanno oggi per parlare, per comunicare fra di loro. Questo era un problema grande che Pasolini poneva. Io quindi con questa piccola e modesta riflessione di un lettore di Pasolini vi ringrazio di nuovo, ringrazio chi ha operato per costruire questa iniziativa, dico che noi abbiamo aderito, come vedete oggi ospitiamo molto, molto volentieri questa iniziativa così come è stata preparata a lungo speriamo che come tutte le cose preparate a lungo poi continuino a dare frutti anche dopo, che il metodo seguito riguardi anche le conseguenze di quello che stiamo facendo. Grazie. >>

Parla il Professor Maddaluno – Presidente della Commissione Cultura della Circoscrizione Est:

<< Ringraziamo il Professor Fioravanti per il taglio anche molto personale che ha voluto fornire contribuendo in maniera non banale al dibattito. Quello che mi consta appunto sottolineare anche, precisare è che questa giornata di studi è stata organizzata insieme a tutti quelli che vedete nel diciamo cappello dell’iniziativa anche dal Professor Sandro Bernardi, che è nel corso di laurea Progeas, Direttore di Prosmart. Non è presente ma lo dirà anche il Professor Bernardi, a cui adesso passo la parola, il Professor Siro Perrone Perché impegnato in tesi di laurea, in discussione di tesi di laurea, quindi si scusa di non poter essere presente. Sandro a te. >>

Parla il Professor Maurizio Fioravanti – Presidente del P.I.M:

<< Stavo dicendo che avevo dimenticato di scusare il Professor Perrone che aveva chiamato me per dirmi che si scusava. >>

Parla il Professor Sandro Bernardi:

<< I ringraziamenti sono veramente sentiti Perché la Provincia, il Comune e il P.I.M di Prato ci hanno aiutato ad organizzare questa giornata che penso e spero sarà meravigliosa. Ringrazio anche tutti quelli che sono venuti, a questo punto il numero è veramente notevole e questo sta a dimostrare che Pasolini interessa tutte le età e tutte le generazioni e senza intervenire io non ho niente da dire su Pasolini ho lavorato su di lui dal 1994 e credo che adesso sia il momento di tacere anche Perché l’ospita non deve invitare i colleghi per farsi ascoltare e inviterei subito al tavolo i due Professori della giornata. Sono due studiosi di due diverse generazioni: il Professor Antonio Costa un illustre studioso di Pasolini. Il Professor Antonio Tricomi un giovane ma molto ferrato e molto chiaro e lucido studioso dell’opera di Pasolini.

L’inviterei fin d’ora a venire a sedere al tavolo.

14 settembre – CINEMA Storia minima 1943 – 44 – parte 24

CINEMA Storia minima 1943 – 44 – parte 24

Il 1943, oltre che donare allo spettatore mondiale tutte queste belle opere, di cui abbiamo trattato nella parte precedente, e segnare una svolta decisiva nelle vicende della Seconda Guerra Mondiale per la vittoria delle democrazie contro la barbarie nazifascista, confermò il valore del grande Alfred Hitchcock con “L’ombra del dubbio”. Il film si avvalse del lavoro di sceneggiatura di un grande autore statunitense, quale fu Thornton Wilder. E di certo la coppia Hitchcock-Wilder portò ad una commistione di tematiche e generi letterari, collegati alla materia del “doppio” con riferimenti ad opere classiche quali “Il dottor Jekyll e mister Hyde” e “Il ritratto di Dorian Gray”. Temi, questi, che saranno particolarmente cari al regista in altre straordinarie opere cinematografiche successive, come “Delitto per delitto” e i grandi capolavori quali “La donna che visse due volte” e “Psyco” .

L’anno successivo Hitchcock gira “Prigionieri dell’oceano”, un film realizzato tutto all’interno degli Studi della 20th Century Fox sopra con gli attori costretti a navigare alla deriva sopra un canotto sballottato dalle onde ricreate in maniera mirabilmente artistica da esperti effettisti, quali il statunitense di origine ceca, Fred Sersen e gli scenografi, il britannico James Basevi e lo statunitense Maurice Ransford. La vicenda narrata si inserisce nel filone antinazista che aveva già praticato con “Il prigioniero di Amsterdam” del 1940 e “Sabotatori” del 1942. Il racconto prende il via dopo che un transatlantico americano colpito da un U-Boot tedesco sta colando a picco e sul mare galleggia insieme a tanti altri oggetti e corpi umani una zattera di salvataggio. Man mano si compone il curioso “set” e si dipanano i caratteri dei diversi personaggi per circa un’ora e mezza fino alla conclusione positiva. Molto curiosa è la soluzione con cui Hitchcock assolve alla abitudine di essere “presente” anche se per poco più di un frame nel film: non potendo passare di là (sull’Oceano!) per caso, decide di farsi raffigurare su una rivista che uno dei naufraghi sta sfogliando: trattandosi di una inserzione pubblicitaria per un prodotto dimagrante, egli mostra il suo particolare e fine “humour” che possiamo ben definire “British” vedi foto in alto e, qui, di seguito in un dettaglio).

Sempre per il 1944, bisogna segnalare uno dei film del genere “noir” più rappresentativi della Storia del Cinema. Si tratta de “La fiamma del peccato” di Billy Wilder. La sceneggiatura è scritta dall’autore insieme ad uno dei più grandi autori letterari di quel genere, Raymond Chandler, autore raffinato de “Il grande sonno” dal quale sono stati poi tratti successivamente due film di notevole rilevanza artistica. La narrazione presenta il classico rapporto di soggiacenza tra un protagonista maschio (in questo caso un agente assicurativo) ed una dark lady magistralmente interpretata da Barbara Stanwick. Il ruolo dell’agente fu ricoperto da Fred MacMurray. Il film ebbe un grandissimo successo di pubblico; quello della critica tardò (il film pur essendo candidato a ben sette statuette non ottenne alcun Premio Oscar) ma poi ricompensò il film riconoscendone l’altissima qualità ( nel 2007 è stato inserito al 29° posto su 100 dei migliori film statunitensi di sempre).

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10 Settembre – INFER(N)I – non solo Dante – un salto nella contemporaneità – Pavese e Orfeo con escursioni su Gluck e Vecchioni

Il sesso, l’ebbrezza e il sangue richiamarono sempre il mondo sotterraneo e promisero a piú d’uno beatitudini ctonie. Ma il tracio Orfeo, cantore, viandante nell’Ade e vittima lacerata come lo stesso Dioniso, valse di piú. (parlano Orfeo e Bacca)

ORFEO. – È andata cosí. Salivamo il sentiero tra il bosco delle ombre. Erano già lontani Cocito, lo Stige, la barca, i lamenti. S’intravvedeva sulle foglie il barlume del cielo. Mi sentivo alle spalle il fruscío del suo passo. Ma io ero ancora laggiú e avevo addosso quel freddo. Pensavo che un giorno avrei dovuto tornarci, che ciò ch’è stato sarà ancora. Pensavo alla vita con lei, com’era prima; che un’altra volta sarebbe finita. Ciò ch’è stato sarà. Pensavo a quel gelo, a quel vuoto che avevo traversato e che lei si portava nelle ossa, nel midollo, nel sangue. Valeva la pena di rivivere ancora? Ci pensai, e intravvidi il barlume del giorno. Allora dissi «Sia finita» e mi voltai. Euridice scomparve come si spegne una candela. Sentii soltanto un cigolío, come d’un topo che si salva.

BACCA. – Strane parole, Orfeo. Quasi non posso crederci. Qui si diceva ch’eri caro agli dèi e alle muse. Molte di noi ti seguono perché ti sanno innamorato e infelice. Eri tanto innamorato che – solo tra gli uomini – hai varcato le porte del nulla. No, non ci credo, Orfeo. Non è stata tua colpa se il destino ti ha tradito.

ORFEO. – Che c’entra il destino. Il mio destino non tradisce. Ridicolo che dopo quel viaggio, dopo aver visto in faccia il nulla, io mi voltassi per errore o per capriccio.

BACCA. – Qui si dice che fu per amore.

ORFEO. – Non si ama chi è morto.

BACCA. – Eppure hai pianto per monti e colline – l’hai cercata e chiamata – sei disceso nell’Ade. Questo cos’era?

ORFEO. – Tu dici che sei come un uomo. Sappi dunque che un uomo non sa che farsi della morte. L’Euridice che ho pianto era una stagione della vita. Io cercavo ben altro laggiú che il suo amore. Cercavo un passato che Euridice non sa. L’ho capito tra i morti mentre cantavo il mio canto. Ho visto le ombre irrigidirsi e guardar vuoto, i lamenti cessare, Persefòne nascondersi il volto, lo stesso tenebroso-impassibile, Ade, protendersi come un mortale e ascoltare. Ho capito che i morti non sono piú nulla.

BACCA. – Il dolore ti ha stravolto, Orfeo. Chi non rivorrebbe il passato? Euridice era quasi rinata.

ORFEO. – Per poi morire un’altra volta, Bacca. Per portarsi nel sangue l’orrore dell’Ade e tremare con me giorno e notte. Tu non sai cos’è il nulla.

BACCA. – E cosí tu che cantando avevi riavuto il passato, l’hai respinto e distrutto. No, non ci posso credere.

ORFEO. – Capiscimi, Bacca. Fu un vero passato soltanto nel canto. L’Ade vide se stesso soltanto ascoltandomi. Già salendo il sentiero quel passato svaniva, si faceva ricordo, sapeva di morte. Quando mi giunse il primo barlume di cielo, trasalii come un ragazzo, felice e incredulo, trasalii per me solo, per il mondo dei vivi. La stagione che avevo cercato era là in quel barlume. Non m’importò nulla di lei che mi seguiva. Il mio passato fu il chiarore, fu il canto e il mattino. E mi voltai.  

BACCA. – Come hai potuto rassegnarti, Orfeo? Chi ti ha visto al ritorno facevi paura. Euridice era stata per te un’esistenza.

ORFEO. – Sciocchezze. Euridice morendo divenne altra cosa. Quell’Orfeo che discese nell’Ade, non era piú sposo né vedovo. Il mio pianto d’allora fu come i pianti che si fanno da ragazzo e si sorride a ricordarli. La stagione è passata. Io cercavo, piangendo, non piú lei ma me stesso. Un destino, se vuoi. Mi ascoltavo.

BACCA. – Molte di noi ti vengon dietro perché credevano a questo tuo pianto. Tu ci hai dunque ingannate?

ORFEO. – O Bacca, Bacca, non vuoi proprio capire? Il mio destino non tradisce. Ho cercato me stesso. Non si cerca che questo.

BACCA. – Qui noi siamo piú semplici, Orfeo. Qui crediamo all’amore e alla morte, e piangiamo e ridiamo con tutti. Le nostre feste piú gioiose sono quelle dove scorre del sangue. Noi, le donne di Tracia, non le temiamo queste cose.

ORFEO. – Visto dal lato della vita tutto è bello. Ma credi a chi è stato tra i morti… Non vale la pena.

BACCA. – Un tempo non eri cosí. Non parlavi del nulla. Accostare la morte ci fa simili agli dèi. Tu stesso insegnavi che un’ebbrezza travolge la vita e la morte e ci fa piú che umani… Tu hai veduto la festa.

ORFEO. – Non è il sangue ciò che conta, ragazza. Né l’ebbrezza né il sangue mi fanno impressione. Ma che cosa sia un uomo è ben difficile dirlo. Neanche tu, Bacca, lo sai.

BACCA. – Senza di noi saresti nulla, Orfeo.

ORFEO. – Lo dicevo e lo so. Ma poi che importa? Senza di voi sono disceso all’Ade…

BACCA. – Sei disceso a cercarci.

ORFEO. – Ma non vi ho trovate. Volevo tutt’altro. Che tornando alla luce ho trovato.

BACCA. – Un tempo cantavi Euridice sui monti…

ORFEO. – Il tempo passa, Bacca. Ci sono i monti, non c’è piú Euridice. Queste cose hanno un nome, e si chiamano uomo. Invocare gli dèi della festa qui non serve.

BACCA. – Anche tu li invocavi.

ORFEO. – Tutto fa un uomo, nella vita. Tutto crede, nei giorni. Crede perfino che il suo sangue scorra alle volte in vene altrui. O che quello che è stato si possa disfare. Crede di rompere il destino con l’ebbrezza. Tutto questo lo so, e non è nulla.

BACCA. – Non sai che farti della morte, Orfeo, e il tuo pensiero è solo morte. Ci fu un tempo che la festa ci rendeva immortali.

ORFEO. – E voi godetela la festa. Tutto è lecito a chi non sa ancora. È necessario che ciascuno scenda una volta nel suo inferno. L’orgia del mio destino è finita nell’Ade, finita cantando secondo i miei modi la vita e la morte.

BACCA. – E che vuol dire che un destino non tradisce?

ORFEO. – Vuol dire che è dentro di te, cosa tua; piú profondo del sangue, di là da ogni ebbrezza. Nessun dio può toccarlo.

BACCA. – Può darsi, Orfeo. Ma noi non cerchiamo nessuna Euridice. Com’è dunque che scendiamo all’inferno anche noi?

ORFEO. – Tutte le volte che s’invoca un dio si conosce la morte. E si scende nell’Ade a strappare qualcosa, a violare un destino. Non si vince la notte, e si perde la luce. Ci si dibatte come ossessi.

BACCA. – Dici cose cattive… Dunque hai perso la luce anche tu?

ORFEO. – Ero quasi perduto, e cantavo. Comprendendo ho trovato me stesso.

BACCA. – Vale la pena di trovarsi in questo modo? C’è una strada piú semplice d’ignoranza e di gioia. Il dio è come un signore tra la vita e la morte. Ci si abbandona alla sua ebbrezza, si dilania o si vien dilaniate. Si rinasce ogni volta, e ci si sveglia come te nel giorno.

ORFEO. – Non parlare di giorno, di risveglio. Pochi uomini sanno. Nessuna donna come te, sa cosa sia.

BACCA. – Forse è per questo che ti seguono, le donne della Tracia. Tu sei per loro come il dio. Sei disceso dai monti. Canti versi di amore e di morte.

ORFEO. – Sciocca. Con te si può parlare almeno. Forse un giorno sarai come un uomo. BACCA. – Purché prima le donne di Tracia…

ORFEO. – Di’.

BACCA. – Purché non sbranino il dio.

4 settembre – IN RICORDO DI PIER PAOLO PASOLINI – Atti di un Convegno del 2006 parte 9

IN RICORDO DI PIER PAOLO PASOLINI – Atti di un Convegno del 2006 parte9.

Breve preambolo: quel che viene qui presentato (siamo alla parte 9) è la trascrizione di una registrazione – vi possono essere errori ed in ogni modo la punteggiatura è manchevole

Prosegue l’intervento del Professor Maurizio Fioravanti – Presidente del P.I.N.

Detto questo io vorrei sottolineare un solo aspetto che è quello che è un po’ più connesso anche con il mio modo di pensare, no? Io sono un giurista. Non sono un avvocato, ma sono un giurista. E noi giuristi lavoriamo molto con i concetti. Voi dite che cosa ha a che fare Pasolini con questo? Ora ve lo spiego. Questo è il mio percorso che serve a rendere non formale. C’è un aspetto di Pasolini che è il più noto ed è stato riferito più volte: è la critica al cosiddetto consumismo. Allora, nel mentre nasce la società dei consumi, nasce anche la sua critica. Questo è nella storia della cultura occidentale: nasce lo Stato moderno e nasce la critica (parola non comprensibile – VOCE FUORI MICROFONO). Nasce la società del consumo e nasce la critica alla società del consumo.

E’ l’aspetto più noto. Quello pure noto, ma meno sottolineato che io mi ricordo un po’ di più Perché poi nel frattempo ho fatto le mie scelte e sono entrato nel mio mondo professionale, è il suo orrore, adopererei questo termine, per la banalizzazione del linguaggio. Secondo me Pasolini era un cultore della precisione del linguaggio. E questo, badate, che oggi è un danno altrettanto grave che è ad esso omologo. Il consumismo vuol dire, lo dico volgarmente, io compro un po’ di tutto non avendo chiari i miei bisogni veri. Ora è una definizione molto sommaria. Non è solo il bisogno indotto il consumismo, è la genericità del comprare in funzione di bisogni non precisi.

E in che cosa è omologo quest’altro aspetto o affine? Usare le parole come se non significassero (parole non comprensibili – VOCE FUORI MICROFONO)…io nel mio lavoro, che è quello del costituzionalista, la svalutazione ormai totale della parola democrazia è un problema davvero grave Perché alla fine di questo ciclo che ha consumato non solo le merci, ma anche le parole, chiunque può proclamarsi democratico, ha ottimi motivi per esserlo e nessuno alla fine lo è davvero, solo in pochi lo sono Perché la parola non ha più segnali, non ha più significato. E questa credo sia la cosiddetta banalizzazione. La banalizzazione prima di tutto dei concetti, strumenti linguistici con i quali noi comunichiamo. Che il popolo debba essere sovrano lo possono dire in molti da molti punti di vista ed alcuni di questi oggi sono addirittura molto pericolosi Perché quel concetto della sovranità del popolo ha perso il significato pregnante si è dilatato e si è completamente banalizzato.

Il consumismo vuol dire io uso le cose che compro in modo rapido e le getto via e così abbiamo fatto anche con le parole, con i concetti: li uso in modo rapido e li getto via. E la difficoltà di comunicare oggi sta nel fatto che il nostro bagaglio storico, queste parole pesanti sono (parole non comprensibili – VOCE FUORI MICROFONO)…gli uomini in Occidente hanno messo qualche secolo a costruire e noi ne abbiamo consumate…(parola non comprensibile – VOCE FUORI MICROFONO).

28 Agosto – INFER(N)I – altri Inferni – non solo Dante – “Metamorfosi” di Ovidio Libro X – Orfeo ed Euridice – 4

Proseguendo in una ricognizione di alcuni “viaggi” immaginati dai nostri predecessori non dovrebbe mancare il riferimento ad uno dei “miti” narrati in diverse stagioni – qui sotto ritroviamo uno dei più celebri, quello che Publio Ovidio Nasone inserisce nel Libro X delle “Metamorfosi” – Ne riporto una parte (vv. 1-77): ignoro chi sia l’autore della traduzione https://www.miti3000.it/mito/biblio/ovidio/metamorfosi/decimo.htm . Orfeo, mitico leggendario cantore, decide di andare negli Inferi a richiedere di poter riportare in vita la sua amata Euridice, ancora nel fiore della giovinezza, uccisa dal veleno di un serpente. Davanti a Persefone e Plutone egli racconta gli eventi e, commuovendo tutti i presenti, riesce ad ottenere di poter riportare con sé Euridice, a patto che egli non le volga lo sguardo prima di essere ritornato fuori dalle tenebre. Per il grande amore che porta alla donna, mentre la tiene con mano nel risalire i sentieri che li riportano fuori dagli Inferi cede alla passione ed al grande desiderio e gira verso di lei lo sguardo, segnando definitivamente il triste destino della donna e della loro vita in comune.

Di lì, avvolto nel suo mantello dorato, se ne andò Imeneo
per l’etere infinito, dirigendosi verso la terra
dei Cìconi, dove la voce di Orfeo lo invocava invano.
Invano, sì, perché il dio venne, ma senza le parole di rito,
senza letizia in volto, senza presagi propizi.
Persino la fiaccola che impugnava sprigionò soltanto fumo,
provocando lacrime, e, per quanto agitata, non levò mai fiamme.
Presagio infausto di peggiore evento: la giovane sposa,
mentre tra i prati vagava in compagnia d’uno stuolo
di Naiadi, morì, morsa al tallone da un serpente.
A lungo sotto la volta del cielo la pianse il poeta
del Ròdope, ma per saggiare anche il mondo dei morti,
non esitò a scendere sino allo Stige per la porta del Tènaro:
tra folle irreali, tra fantasmi di defunti onorati, giunse
alla presenza di Persefone e del signore che regge
lo squallido regno dei morti. Intonando al canto le corde
della lira, così disse: «O dei, che vivete nel mondo degl’Inferi,
dove noi tutti, esseri mortali, dobbiamo finire,
se è lecito e consentite che dica il vero, senza i sotterfugi
di un parlare ambiguo, io qui non sono sceso per visitare
le tenebre del Tartaro o per stringere in catene le tre gole,
irte di serpenti, del mostro che discende da Medusa.
Causa del viaggio è mia moglie: una vipera, che aveva calpestato,
in corpo le iniettò un veleno, che la vita in fiore le ha reciso.
Avrei voluto poter sopportare, e non nego di aver tentato:
ha vinto Amore! Lassù, sulla terra, è un dio ben noto questo;
se lo sia anche qui, non so, ma almeno io lo spero:
se non è inventata la novella di quell’antico rapimento,
anche voi foste uniti da Amore. Per questi luoghi paurosi,
per questo immane abisso, per i silenzi di questo immenso regno,
vi prego, ritessete il destino anzitempo infranto di Euridice!
Tutto vi dobbiamo, e dopo un breve soggiorno in terra,
presto o tardi tutti precipitiamo in quest’unico luogo.
Qui tutti noi siamo diretti; questa è l’ultima dimora, e qui
sugli esseri umani il vostro dominio non avrà mai fine.
Anche Euridice sarà vostra, quando sino in fondo avrà compiuto
il tempo che gli spetta: in pegno ve la chiedo, non in dono.
Se poi per lei tale grazia mi nega il fato, questo è certo:
io non me ne andrò: della morte d’entrambi godrete!».
Mentre così si esprimeva, accompagnato dal suono della lira,
le anime esangui piangevano; Tantalo tralasciò d’afferrare
l’acqua che gli sfuggiva, la ruota d’Issìone s’arrestò stupita,
gli avvoltoi più non rosero il fegato a Tizio, deposero l’urna
le nipoti di Belo e tu, Sisifo, sedesti sul tuo macigno.
Si dice che alle Furie, commosse dal canto, per la prima volta
si bagnassero allora di lacrime le guance. Né ebbero cuore,
regina e re degli abissi, di opporre un rifiuto alla sua preghiera,
e chiamarono Euridice. Tra le ombre appena giunte si trovava,
e venne avanti con passo reso lento dalla ferita.
Orfeo del Ròdope, prendendola per mano, ricevette l’ordine
di non volgere indietro lo sguardo, finché non fosse uscito
dalle valli dell’Averno; vano, se no, sarebbe stato il dono.
In un silenzio di tomba s’inerpicano su per un sentiero
scosceso, buio, immerso in una nebbia impenetrabile.
E ormai non erano lontani dalla superficie della terra,
quando, nel timore che lei non lo seguisse, ansioso di guardarla,
l’innamorato Orfeo si volse: sùbito lei svanì nell’Averno;
cercò, sì, tendendo le braccia, d’afferrarlo ed essere afferrata,
ma null’altro strinse, ahimè, che l’aria sfuggente.
Morendo di nuovo non ebbe per Orfeo parole di rimprovero
(di cosa avrebbe dovuto lamentarsi, se non d’essere amata?);
per l’ultima volta gli disse ‘addio’, un addio che alle sue orecchie
giunse appena, e ripiombò nell’abisso dal quale saliva.
Rimase impietrito Orfeo per la doppia morte della moglie,
così come colui che fu terrorizzato nel vedere Cerbero
con la testa di mezzo incatenata, e il cui terrore non cessò
finché dall’avita natura il suo corpo non fu mutato in pietra;
o come Oleno che si addossò la colpa e volle
passare per reo; o te, sventurata Letea, troppo innamorata
della tua bellezza: cuori indivisi un tempo nell’amore,
ora soltanto rocce che si ergono tra i ruscelli dell’Ida.
Invano Orfeo scongiurò Caronte di traghettarlo un’altra volta:
il nocchiero lo scacciò. Per sette giorni rimase lì
accasciato sulla riva, senza toccare alcun dono di Cerere:
dolore, angoscia e lacrime furono il suo unico cibo.
Poi, dopo aver maledetto la crudeltà dei numi dell’Averno,
si ritirò sull’alto Ròdope e sull’Emo battuto dai venti.

14 agosto IN RICORDO DEL POETA PIER PAOLO PASOLINI – Atti di un Convegno del 2006 parte 7

IN RICORDO DEL POETA PIER PAOLO PASOLINI – parte 7

prosegue l’intervento dell’Assessore alla Cultura prof. Andrea Mazzoni

….Noi credo che dobbiamo continuare a lavorare su questo; lo dico a questo punto non più da Assessore alla Cultura, ma da Assessore alle Politiche Giovanili, perché noi sui giovani abbiamo un patrimonio enorme a disposizione, da valorizzare, dobbiamo saperci parlare, dobbiamo sapere incontrare i loro bisogni, ma anche i loro entusiasmi, le loro esigenze, il loro sapersi mettere più di quanto non si creda a disposizione degli altri: anche questo è sicuramente un tema pasoliniano “mettersi a disposizione degli altri”. Un tema di grande radicalità, di rovesciamento radicale. Maddaluno ad un certo punto del suo intervento faceva un parallelo in qualche modo, che il martirio in qualche misura di Pasolini è una visione cristologica, che poi fra l’altro si fa molto presente in tutta l’opera di Pasolini.

Ecco, io credo che ci fosse sicuramente molto Marx, ma anche molto Cristo quando Pasolini scriveva l’intervento che non ha mai potuto fare al Congresso del Partito Radicale a Firenze il 4 novembre del 1975, non l’ha mai potuto fare perché due giorni prima è stato ucciso. Ma quell’intervento, come sapete, fu pubblicato: era un intervento in cui lui continuava a dichiararsi elettore del PCI, a pochi mesi diciamo di distanza dalle elezioni del 15 giugno, che segnarono sicuramente un punto di svolta importante nel paese di quegli anni. E Pasolini in quello scritto diceva “che ci sono nella nostra società degli sfruttati e degli sfruttatori. Ebbene, tanto peggio per gli sfruttatori”. In quell’intervento credo che ci fosse un rovesciamento straordinario del quale noi dobbiamo continuare ad avere presente, come insegnamento, ed assumere come linea di indirizzo per le nostre azioni quotidiane, quelle piccole e quelle grandi, e penso che potremo presentarlo ai giovani come un elemento di riflessione costante, perché per l’appunto costante è l’insegnamento di Pasolini. C’è una attualità persistente nella sua lezione, nel suo messaggio e credo, per finire, che il titolo che si è voluto dare a questo appuntamento “Universalità dell’opera di Pier Paolo Pasolini” sia per l’appunto a significare non soltanto la complessità, l’articolazione della produzione pasoliniana, la poesia, il teatro, il cinema e tante altre cose, ma stia a significarci un intellettuale a tutto tondo, ed una persistente attualità di questo suo insegnamento.

Io vi ringrazio tutti di nuovo e credo che dovremo continuare a ragionare su questa universalità di Pier Paolo Pasolini non so in quale altro appuntamento, ma sicuramente troveremo modo di continuare in questa serie di iniziative. E grazie di nuovo a tutti quelli che hanno lavorato per questo convegno in particolare e per queste iniziative nel loro complesso. Grazie.

Parla il Professor Maddaluno – Presidente della Commissione Cultura della Circoscrizione Est:

Grazie all’Assessore Andrea Mazzoni, al collega. (il professor Mazzoni chiede di aggiungere un’ulteriore riflessione)

Parla il Professor Andrea Mazzoni – Assessore alla Cultura del Comune di Prato: Aggiungo soltanto una cosa: purtroppo è sempre sgradevole, ma fra pochi minuti bisognerà che vi lasci perché in contemporanea in Consiglio Comunale c’è il dibattito sul Bilancio e non vi devo dire quanto siano importanti in questi periodi le discussioni sul Bilancio in Consiglio.

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23 luglio – CINEMA – Storia minima parte 21 – anni ’40 (1941-1942)

CINEMA – Storia minima parte 21 – anni ’40 (1941-1942)

Non possiamo lasciare il 1941 senza accennare all’esordio di uno dei più grandi autori registi ed interpreti della Storia del Cinema. Mi riferisco a Orson Welles. La sua vita è contrassegnata da una poliedricità artistica che lo spinse ad intraprendere varie esperienze, dalla pittura al teatro, alla radio (celebre è stata la trasmissione nella quale il 30 ottobre del 1938 portò milioni di radioascoltatori a credere che si stesse verificando un’invasione da parte di alieni: era solo una messa in scena radiofonica de “La guerra dei mondi”). Orson Welles nel 1941 esordì nel Cinema con uno dei più grandi capolavori della Settima Arte: “Quarto potere” (Citizen Kane”), un film in parte autobiografico (molti sono gli elementi che portano a ritenere che nelle vicende narrate su Charles Forster Kane si celassero parti della “sua” storia personale, a partire da quelle relative all’infanzia). Ad ogni buon conto “Quarto potere” è un film che utilizza moltissime scelte innovative rivoluzionarie sia nella narrazione che nelle tecniche.

Per il 1942 molti sono i film importanti di cui fare cenno ma in primo luogo non si può fare a meno di menzionare uno dei film cult della cinefilia universale. Un film apparentemente lieve, normale, nel quale si intrecciano storie d’amore e torbidi traffici, dentro vicende storiche ambientate in Marocco nella parte culminante e più cruda della seconda guerra mondiale, ma che pian piano si complica con meccanismi talmente coinvolgenti da farlo divenire una delle pietre miliari della cinematografia di tutti i tempi. Si tratta di “Casablanca” di Michael Curtiz, autore già trattato nel blocco 14, come autore de “La leggenda di Robin Hood” e de “Gli angeli dalla faccia sporca”.

“Casablanca” è diventato un cult soprattutto grazie alla straordinaria interpretazione di Humphrey Bogart (Rick Blaine) e di Ingrid Bergman (Ilsa Lund), entrambi all’apice delle loro carriere. Al successo contribuì non poco la colonna sonora con la bellissima struggente “As Time Goes By” che sottolinea malinconicamente l’inesorabilità dei destini umani.

In quello stesso anno Orson Welles ci riprova con “L’orgoglio degli Amberson”, un film nel quale l’autore cerca di percorrere strade diverse sia nella narrazione che nelle ambientazioni, quasi a mostrare di non aver apprezzato le sue stesse abilità espresse nel primo suo lungometraggio, anche se sottilmente egli intendeva mettere in evidenza tutte le sue capacità in tal senso. Non mancano ad ogni modo alcune innovazioni tecniche soprattutto nel “sonoro”. Molto insolita fu la scelta di leggere i titoli di coda, compito che Welles riservò a se stesso.                                                    Questo film presenta una vicenda molto più piana e lineare nella quale mette in mostra l’ascesa e caduta di una famiglia di Indianapolis ricca e benestante che nella parte finale del XIX secolo non è in grado di interpretare le evoluzioni del capitalismo alla vigilia della industrializzazione che stava aprendosi al mercato automobilistico. Diversamente dal primo dei suoi film in questo egli non appare come interprete, lasciando il posto ad uno dei suoi attori preferiti, Joseph Cotten, coprotagonista in “Quarto potere” e nel primissimo film muto di Welles, “Too Much Johnson” del 1938. 

30 giugno – DA GIOVANE: LA SENSIBILITÀ AMBIENTALISTA, STORICA E CULTURALE – decima parte – 7 e ultima (Trenta più cinquanta fa “Nouvelle Vague”) – per la parte 6 vedi 10 giugno

Certo, non si può dimenticare neanche il particolare grande impegno di Renoir (ma non fu il solo!) nella costruzione di una poetica cinematografica propria del Fronte Popolare francese (1934-1938); erano anni di grandi speranze di cambiamento, rese vane poi dalla mancata coesione nell’ambito della Sinistra ma anche dall’incalzare degli avvenimenti internazionali.

in Carnè ritroviamo alcuni elementi essenziali di questa “sconfitta storica” nel suo accentuato pessimismo, fatalismo e senso della tragedia, in cui il sogno e la fantasia finiscono con il soccombere sotto il peso della realtà. I personaggi di Carnè, infatti, vorrebbero partire ma non hanno una meta sicura, vorrebbero cambiare la realtà ma sono consapevoli che ciò risulta impossibile: questa doveva essere proprio l’aria che si respirava nel 1938-39, all’indomani della caduta del Fronte Popolare ed alla vigilia delle operazioni belliche che precederanno la seconda guerra mondiale e l’occupazione nazista.

I film di Carnè visionati sono stati purtroppo quelli meno adatti a delineare questo suo aspetto peculiare: sono mancati sia “Quai des brumes” che “Le jour se lève”, proprio a causa della loro indisponibilità. ma si può dire per consolarci con il senno del “poi” che, essendo questi tra i più diffusi prodotti della filmografia di Carnè, è stato meglio così, perché abbiamo visto film che non passano sui nostri schermi domestici, come “Jenny” ed “Hotel du Nord”.

Nell’ambito della Rassegna una giornata è stata dedicata ad esponenti meno famosi, ma altrettanto importanti e prolifici come Feyder e Duvivier. Di quest’ultimo, presentando “La belle équipe”, si è voluto rendere un ulteriore omaggio all’atmosfera euforica ed ingenua che caratterizzò il primo periodo del Fronte Popolare: nel film si narra la storia di un gruppo di amici squattrinati e disperati che ritrovano la serenità, grazie ad una sostanziosa vincita, che permette loro di aprire un’osteria sulle rive della Marna. La solidarietà, la felicità, la gioia del primo periodo viene ad offuscarsi (il film è del 1936, e forse è leggermente profetico), allorché insorgono dei contrasti tra due di loro, a causa di una donna. Il tutto finisce in tragedia. Così sarà anche per la Francia degli Anni Trenta.

Cosa accomuni gli Anni Trenta agli Anni Cinquanta ed anche agli Anni Ottanta (30 + 50 = 80) può apparire solo uno stratagemma per sviluppare una tesi quanto mai originale, se non si pensasse (ma non si offrirà, con questa nostra proposta, una risposta, per avere la quale occorrerà altra sede ed un diverso e più ampio approfondimento) alla Nouvelle Vague come ad una nuova Avanguardia (vedi Resnais, Robbe-Grillet, Godard), con uno sguardo molto attento puntato sul mondo sociale e politico, che ha poi avuto uno sviluppo notevole nell’acquisizione di tecniche e tematiche non sempre del tutto originali, perché derivate dalla letteratura e dall’arte in genere, ma sensibilmente approfondite e fatte proprie da questi nuovi “maestri” del cinema. Se si aggiunge alla Nouvelle Vague una valutazione sugli esiti che in quegli stessi Anni Cinquanta trovavano i “maestri” degli Anni Trenta su quegli esiti che hanno ottenuto, e otterranno, gli ex giovani che si impegnarono negli Anni Cinquanta, troveremo un primo filo che lega quell’apparente equazione e metteremo in evidenza uno dei quesiti cui occorre dare una risposta.

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