Archivi categoria: Cinema

PASSEGGIATE FLEGREE 2018 e dintorni – parte 7

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PASSEGGIATE FLEGREE 2018 e dintorni – parte 7

Tutto intorno ai nostri percorsi c’è un mondo nascosto sotterraneo che sarebbe molto interessante poter visitare. Napoli ha tesori incommensurabili nel sottosuolo e soprattutto in questa parte della città. La Sanità (Sanitas, ovvero “salute”) ha avuto un ruolo storico per il “popolo”. La nobiltà partenopea risiedeva sostanzialmente all’interno delle mura contrassegnate oggi dalle “porte” di ingresso. Quella da cui eravamo partiti con la guida, dal punto in cui c’era l’appuntamento, è Porta San Gennaro, la più antica delle nove porte di Napoli, anche se purtroppo è forse tra quelle meno conosciute; di certo era molto importante ed il suo nome derivava dal fatto che da qui partiva l’unica strada che conduceva alle Catacombe di San Gennaro; era conosciuta anche come porta del tufo”, perché da lì entravano i grandi blocchi di tufo provenienti dalle cave del vallone della Sanità, delle quali parleremo dopo. Tra le altre porte la più famosa è quella “Capuana” il cui toponimo è indicativo della direzione di uscita verso la città di Capua; per noi studenti liceali ed universitari rimane impressa Port’ Alba, sede di bibliofili e librai, a pochi passi dal Convitto “Vittorio Emanuele II”, dal Conservatorio “San Pietro a Maiella” e dall’Università “Federico II” in via Mezzocannone. Altre porte sono Porta di Costantinopoli, Porta Carbonara, Porta del Carmine, Porta Medina, Porta Nolana e Porta del Santo Spirito. La guida aveva trottato lasciando indietro un po’ di persone; poi per fortuna il caldo e l’ipotesi di dover parlare ancora un po’ la sollecitarono ad un breve break per acquistare una bottiglietta d’acqua. Così il gruppo si ricompose. Proprio di fronte a quel barettino c’era l’ingresso dell’Acquedotto augusteo del Serino. Un’opera fondamentale di origini per l’appunto “augustee” datato 10 d.C. che partiva (in verità continua a farlo) dall’entroterra campano irpino per raggiungere la sede della flotta imperiale romana a Miseno. Era chiuso ma non avevamo in programma la sua visita: sarà per una delle prossime volte!

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Dopo la sosta benefica – non solo per la guida – si riprese la sgroppata fino alla Chiesa di Santa Maria della Sanità, quella che potete ammirare anche nel recente film dei Manetti Brothers, “Ammore e malavita”. La piazza è ampia, quasi ad affermare la volontà del popolo a partecipare alle grandi adunanze di festa e di dolore. Nella torre abita un nobile moderno uomo di fede, Alex Zanotelli, che lì ha deciso di risiedere, in quel territorio così denso di contraddizioni dicotomiche. La costruzione è della fine del XVI secolo ma risiede sopra le Catacombe di San Gaudioso, alle quali si accede dall’interno della Basilica attraverso una cancellata posta sotto il presbiterio della chiesa seicentesca . Il territorio è ricchissimo di ipogei cristiani, grazie anche all’abbondanza di materiale tufaceo che veniva asportato per costruzioni edilizie che mantenessero gli interni delle abitazioni fresche di estate e calde d’inverno. Molto più importanti e non poco distanti vi sono le catacombe dette di San Gennaro.
Straordinari per la loro bellezza sono il pregevole monumentale pulpito ed una rampa barocca che si innalza da due parti verso il presbiterio. Molto suggestiva è la cripta sottostante.

Joshua Madalon

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PASSEGGIATE FLEGREE 2018 e dintorni – parte 6

PASSEGGIATE FLEGREE 2018 e dintorni – parte 6

La domanda non ottenne risposta: “Dunque, a Napoli, ogni settimana ha la sua festa “patronale”?” Non insistetti, anche perché la nostra guida sembrò non accogliere il mio quesito. E si partì per via Crocelle a Porta San Gennaro in fila indiana costeggiando le file dei negozi che si affacciano direttamente con i loro prodotti sulla strada. Voci indistinte per qualità e quantità. Noi, turisti, di gran carriera a procedere dietro il piccolo gruppo che procedeva mostrando curiosità mescolata a sapienza e qualcun altro per motivi fisici o per distrazione si attardava. Noi eravamo più o meno a metà fila, facendo attenzione alla direzione del gruppo. Primo luogo da visitare, il Palazzo dello Spagnuolo. In via Vergini 19.
Tutto intorno si respira in modo ampio e diffuso la presenza di uno dei personaggi più importanti della storia napoletana ed italiana, quella del principe Antonio De Curtis, ovvero Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio Gagliardi Focas di Tertiveri, in arte Totò.

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Totò era nato alla fine del XIX secolo proprio in quel quartiere, in via Santa Maria Antesaecula e, dalla sua morte nel 1967 non avendo compiuto ancora i 70 anni, gli abitanti del rione Sanità non hanno mai smesso di chiedere, ricevendo promesse mai mantenute, l’apertura di un Museo che ne ricordasse la figura così come egli meriterebbe. E proprio il Palazzo dello Spagnuolo dovrebbe essere il luogo adatto per tale compito. All’ingresso vedemmo che per ora solo una raffigurazione scultorea aveva marcato il territorio.
La struttura del palazzo costruito nella prima metà del XVIII secolo è stata resa celebre dalle location cinematografiche. Una delle ultime ne ha modificato, si spera provvisoriamente, il colore. Ci si riferisce a quella celebrazione della canzone napoletana che ha voluto fare John Turturro con il suo “Passione”. Il Palazzo viene utilizzato come luogo di ambientazione della coreografia collegata alla celebre canzone “Comme facette mammeta”, esaltazione della bellezza femminile, cantata da Pietra Montecorvino. L’atrio risuonava anche nel momento della nostra visita di quel motivo e ne rivedevamo mentalmente le forme femminili danzanti sui ballatoi. L’architettura vivace e mossa si impresse visivamente nei nostri occhi.
Scattammo come tanti altri le nostre foto. E poi di corsa verso un’altra dimora nobiliare, assai simile a quella che lasciavamo alle nostre spalle. La strada impercettibilmente si solleva (proseguendo si arriverebbe a Capodimonte); lasciammo via Vergini ed alla confluenza di Via dei Cristallini andammo, seguendo il passo della guida e del gruppetto che la interrogava, a sinistra in via Arena della Sanità e poi via Sanità. L’obiettivo era il Palazzo Sanfelice, una copia leggermente diversa da quella del precedente “Palazzo dello Spagnuolo”, utilizzato anche questo per location cinematografiche, la più celebre delle quali fu “Questi fantasmi” commedia amara di Eduardo, diretta da Renato Castellani nel 1967.

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Su Eduardo De Filippo ce ne sarebbe da raccontare, a partire dalla sua scelta di trattare un argomento come quello esposto ne “Il Sindaco del rione Sanità”, ma è tutta un’altra storia, quella di don Antonio Barracano, personaggio positivo, un mediatore di conflitti, in un ambiente che richiama alla pratica della malavita.

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Joshua Madalon

PASSEGGIATE FLEGREE 2018 – parte 4

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PASSEGGIATE FLEGREE 2018 – parte 4

Mentre si chiacchierava piacevolmente, arrivarono altre persone incuriosite dal fatto che non si poteva andare oltre, essendo zona militare limitata da un alto cancello l’accesso al “faro”. Mi tornò in mente l’opening di “Citizen Kane”, opera prima ed assoluto immenso capolavoro di Orson Welles.

NO TRESPASSING – Vietato entrare.

Indicai loro, però, una via per godere dell’immenso panorama nascosto da quella posizione angusta: da un terrapieno sul lato est ci sono delle scalette che aprono ad un sentiero agevole se percorso nella mattinata ancora fresca di notturna rugiada. Noi ne avevamo escluso di poterlo percorrere visto l’ora tarda tendente al picco di sole sulle nostre teste, ma ciononostante lo consigliavo in particolare a coloro che non sarebbero potuti tornare a piacimento essendo turisti provenienti da terre lontane. Quel sentiero conduce sul picco del capo Miseno dal quale si gode la vista dell’intera area flegrea.

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Sorvolai sul senso dell’altro cartello, che di certo sottolineava una delle abitudini purtroppo connaturate all’ignoranza ed alla maleducazione di una parte, ne basta purtroppo una “minima”, della popolazione. “DIVIETO DI DISCARICA” si legge. A tutta evidenza segnala questo comportamento abietto che porta a considerare il territorio, nella sua totalità, con uno scarso rispetto.

Siamo nel 2018, ma anche nel 1971 a mia memoria scrivevo alcune note in un libercolo del quale ho annunciato la riproposizione in un altro blocco di post.

Ritornammo poi dall’altra parte del tunnel accompagnando i nostri amici occasionali e li salutammo con cordialità, augurando loro “buona fortuna”. Avevamo fretta di tornare a casa, perché nel pomeriggio inoltrato sarebbe arrivata nostra figlia Lavinia, segno del nostro affetto per i miti, da Roma.
“Venite a prendermi alla stazione di Pozzuoli! C’è stato appena adesso uno scippo sul treno: hanno portato via un cellulare ad una ragazza!”
Un ottimo sistema di salutare gli “ospiti” di questa terra e non penso proprio che sia stata felice, quella ragazza, a vivere l’esperienza dello scippo come quei turisti del film “Ammore e malavita” a Scampia.

La telefonata rivelava una preoccupazione del “benvenuta in questa terra desolata” che non ammetteva dubbi: dovevamo andare insieme, Marietta ed io, e non io da solo come pensavamo ad attenderla direttamente al binario.
Uno scippo in tutta regola: strappato dalle mani di una giovane ragazza che, a Piazza Garibaldi, era appena salita e sostava sul vano di ingresso della vettura, smanettando sul suo dispositivo. Rapido il giovane a sfilarlo di mano e saltare giù dal treno proprio nell’attimo in cui le porte si chiudevano.
Rinfrancata dalla nostra presenza e dalla confortevolezza del ritorno in famiglia nel rivedere luoghi ed oggetti della propria infanzia, Lavinia si rasserenò, aiutata anche dall’incontro con la zia Teresa, vulcanica ed esplosiva espressione umana della terra flegrea.
Il giorno dopo ci attendeva una escursione programmata al Quartiere Sanità, luogo ingiustamente famoso per scontri tra bande opposte di malviventi autoctoni in conflitto per la leadership territoriale, ma estremamente ricco di storia. Avevamo prenotato on line con un gruppo, “Insolita Guida”, già prima di partire. Io, la Sanità, l’avevo visitata in “solitaria” poco meno di un anno prima, e ne ero rimasto incantato.

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Joshua Madalon

…fine parte 4….continua….

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PASSEGGIATE FLEGREE 2018 – parte 3

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PASSEGGIATE FLEGREE 2018 – parte 3

L’auto l’avevamo lasciata all’imbocco del tunnel che porta verso la struttura militarizzata di capo Miseno. Ritornammo da quella parte e dietro suggerimento di un amico scendemmo oltre a piedi: ci aveva indicato la presenza di un Ristorante tipico di quella zona, il “Primitivo”, suggerendolo per la qualità tipica del menu proposto basato su prodotti locali, soprattutto di mare. Lo trovammo chiuso con un’indicazione scritta a mano su un cartello apposto davanti ad un cancello, dal quale si intravedeva un interno agreste: una trattoria di campagna che ci riportava al ricordo delle classiche “pagliarelle” del secolo scorso, dove fermarsi a bere del buon vino e gustare il pesce azzurro. Non avrebbe aperto se non che dopo la nostra partenza e rimandammo la visita ad un nostro ritorno più in là nel tempo.
Ritornammo verso l’alto a riprendere l’auto ed incrociammo una coppia che proveniva dall’alto, da “Cala Moresca”,
ed era interessata a fare il nostro stesso percorso. Ci chiesero un passaggio nel tunnel, preoccupati “forse” della scarsa agibilità; ma da quel che ricordavo, vagamente per i trascorsi giovanili (era un luogo dove appartarsi con sicurezza), ci si passava con difficoltà ma “ci si passava”, nel caso avessimo dovuto incrociare un’altra vettura.
Era una coppia “mista” quanto a provenienza regionale: lui, molto chiaramente “siculo” di Catania; lei, invece, autoctona ma ormai “emigrata” al Centronord per lavoro. Entrambi avevano scelto di andare a vivere lontano dalle loro terre d’origine: e tutti e due erano nel settore dell’istruzione, lei in una Scuola d’infanzia lui in una Media Superiore. Parlammo di comuni esperienze e lei (non chiedemmo i nomi visto l’occasionalità dell’incontro) ci disse che tornava volentieri a Bacoli ma, non avendo più “casa” propria, si appoggiava ad una sorella. Ci soffermammo ad argomentare sui danni della “Buona Scuola” ed in particolare sui criteri prescelti che assomigliavano a quel famoso “Facite ammuina”

« All’ordine Facite Ammuina: tutti chilli che stanno a prora vann’ a poppa
e chilli che stann’ a poppa vann’ a prora:
chilli che stann’ a dritta vann’ a sinistra
e chilli che stanno a sinistra vann’ a dritta:
tutti chilli che stanno abbascio vann’ ncoppa
e chilli che stanno ncoppa vann’ bascio
passann’ tutti p’o stesso pertuso:
chi nun tene nient’ a ffà, s’ aremeni a ‘cca e a ‘ll à”.
N.B.: da usare in occasione di visite a bordo delle Alte Autorità del Regno. »

Il riferimento è ovviamente alla modalità con cui docenti del Sud sono stati sballottati al Nord o, quando è andata bene, al Centro o nello stesso Sud la qual cosa, essendo quel territorio privo di infrastrutture viarie (strade e ferrovie) sufficientemente utili a rapidi spostamenti, equivaleva ad andare molto lontano dalla propria città con enormi disagi
(per capirci, ed orientativamente, basta sapere che si arriva molto più velocemente a Roma da Napoli che da Pozzuoli a Napoli); senza aggiungere che i costi della vita sono molto diversi e chi dal Sud va verso il Nord deve mettere in conto spese ben superiori rispetto a chi dal Nord venisse verso il Sud. Ciò che è ancora più assurdo è il fatto che l’algoritmo “naturalmente” non considerava il “fattore umano” e posti liberi al Sud erano stati occupati da colleghi del Nord mentre lassù accadeva l’inverso.

Joshua Madalon

…fine parte 3…. continua

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da giovane: la sensibilità ambientalista, storica e culturale….quella politica e cinematografica – ottava parte – 3

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da giovane: la sensibilità ambientalista, storica e culturale… quella politica e cinematografica – ottava parte – 3

Ci si arrampicava con una vecchia FIAT 750 donata al Partito Comunista da qualche sostenitore su per i tornanti insieme al compagno Damiano Rech; questo accadeva soprattutto quando portavamo la tessera a queste famiglie montanare, all’interno delle quali c’erano anziane ed anziani che avevano partecipato alla Resistenza e qualcuno di quelli che avevano vissuto il tempo della Prima Guerra Mondiale in quei territori a cavallo tra i confini italiani ed austro-ungarici: non era – e forse non lo è ancora oggi – insolito sentirsi rispondere: “Comandi!” al solo accenno di un quesito. Nelle campagne elettorali ritornavamo in quei luoghi a fornire le indicazioni di voto ed altre volte, ma raramente, ci capitava di passare di là per la consueta distribuzione del nostro quotidiano, “l’Unità”. Ogni domenica o festività laica, il 25 aprile o il 1° maggio, organizzavamo i gruppi, di solito formati da due compagni, per la distribuzione delle copie del giornale in città e nelle frazioni e non di rado ci si fermava a parlare, invitati a bere un bicchiere di grappa o di vino, che personalmente ho spesso rifiutato guadagnandomi inimicizie non solo formali: il diniego era considerato una vera e propria offesa. Nei primi tempi non riuscivo a districarmi da questo “impegno” e tornavo “ciùco” a casa, per fortuna accompagnato da qualche compagno gentile.
Una delle prime volte che con il Sindacato ci si era recati a Belluno fui vittima della generosità di un compagno molto robusto ed alto che, sulla via del ritorno, mi obbligò a bere del vino aspro perché fatto con uve non del tutto mature alternato a grappe. Il guaio era che l’amico occasionale si fermava a tutti i punti di ristoro che si incrociavano sulla Strada Statale 50 che da Belluno riportava a Feltre e mi costringeva a bere mostrandomi un ghigno ad ogni timido rifiuto. Ovviamente dopo quella volta non capitò più, perché stetti così male, ma così male!
Intanto in quegli anni insieme alla maturazione politica e sindacale si sviluppò anche quella cinematografica e trovai per questa “passione” la collaborazione dello IULM sede staccata di Feltre, dipendente da quella centrale di Milano. Fu molto importante allo stesso tempo l’amicizia con un giovanissimo, Francesco Padovani, che ora è il Direttore della Biblioteca di Pedavena e con alcuni docenti come Cristina Bragaglia o critici cinematografici come Leonardo Quaresima e Giovanna Grignaffini o grandi cinefili come l’architetto Carlo Montanaro. Insieme a Francesco fondammo il Circolo di Cultura Cinematografica “La Grande Bouffe” ispirato in modo indiretto al film di Marco Ferreri, ma per noi doveva significare “una grande scorpacciata” di film. E mettemmo in piedi molte rassegne, aiutati da strutture pubbliche come la Scuola Media, dove c’era un Preside molto disponibile con noi giovani, Gianni Campolo; oppure il Cinema della Curia, che ospitò alcune Rassegne, una delle quali indirizzata espressamente ai giovani con pellicole che si riferivano ai grandi concerti pop del tempo (anni Settanta). E non mancarono rassegne dedicate al cinema d’animazione – per grandi e piccini – così come quella relativa ai capolavori del giallo. Con l’Università allestimmo anche dei percorsi sull’Espressionismo e sul Cinema francese degli anni Trenta; a seguire ma fuori dall’Università, nei locali Liberty della Birreria Pedavena, lanciammo uno sguardo d’insieme al nuovo Cinema tedesco che in quegli anni stava producendo autentici capolavori grazie ad autori come Herzog, Wenders, Fassbinder e altri.

Joshua Madalon
….continua….

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da giovane: la sensibilità ambientalista, storica e culturale…e quella politica – ottava parte – 1

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da giovane: la sensibilità ambientalista, storica e culturale….e quella politica – ottava parte – 1

Il “papa” buono aveva lasciato un grande ricordo in particolare nella sua terra e l’ideatore del Concilio che aveva aperto le porte verso i non credenti era anche un punto di riferimento per l’arte cinematografica in quegli anni di speranze. Bergamo era anche la città di Ermanno Olmi, attento indagatore della realtà sociale urbana degli anni del boom economico con tutte le sue contraddizioni ed allo stesso tempo autore capace di recuperare i meccanismi sociali della vita contadina nelle sue valli.

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Straordinaria ed unica nel suo genere fu proprio negli anni della mia esperienza settentrionale la descrizione della difficile esistenza di una comunità bergamasca alla fine del XIX secolo, riportata in quel capolavoro che è “L’albero degli zoccoli” insignito – tra gli altri premi – della Palma d’oro a Cannes nel 1978. Ma le prime prove, quelle d’esordio che diedero il segno del modo in cui il Cinema poteva – oltre il Neorealismo – abbinare la documentazione sociale alla fiction furono per me, frequentatore assiduo di sale cinematografiche d’essai, una vera “epifania”. I giovani che con tanta cura Olmi descrive nei tre primi film sono i rappresentanti di un mondo reale già allora alla ricerca di una propria collocazione nel mondo del lavoro. Olmi, chiaramente cattolico e cristiano, parlava a tutti in modo aperto, allargando il suo orizzonte sulle questioni più rilevanti del mondo operaio. Di fronte a lui, con uno sguardo in partenza alternativo, Pier Paolo Pasolini aveva da più tempo volto lo sguardo agli “ultimi”, ai diseredati con film quale “Accattone”, suo esordio seguito dall’altro capolavoro, “Mamma Roma”. E, poi, aveva guardato con grande attenzione dentro di sé e si era interrogato intorno ai misteri dell’esistenza, indagando percorsi della fede e del mito attraverso opere ricche di una forma di cristianesimo naturale.
Questo era il mondo che mi circondava in quegli anni nei quali la mia maturazione culturale, sociale e politica prendeva forma. Erano gli anni, quelli precedenti alla mia partenza da Pozzuoli, nei quali già frequentavo la “Pro Civitate Christiana” di don Giovanni Rossi con i Convegni di fine anno, dove incrociai Pasolini e il giovanissimo Guccini. Ed erano anche gli anni in cui organizzavo Cineforum di frontiera, sfidando senza però alcuna volontà di provocazione la mentalità retrogada di una parte della Chiesa, che – malgrado tante aperture “conciliari” – non aveva aperto le braccia a coloro che chiedevano di essere ascoltati.
A Bergamo rimasi poco più di un mese; poi mi si aprì un mondo che non conoscevo in modo diretto ma che portò a compimento la mia scelta ideologica. Erano gli anni Settanta e furono quelli che al culmine di una lunga battaglia sindacale permisero agli operai di accedere a percorsi di studio mirati al conseguimento di un titolo. Non ero impegnato direttamente nelle “150 ore” ma il mio coinquilino, un ragazzo di Rieti, il cui cognome oggi mi appare davvero “strano” (si chiamava Renzi, ma non aveva nulla che lo potesse far somigliare a quel personaggio dei nostri giorni), aveva avuto l’incarico di seguire uno dei corsi attivati alla Scuola Media “Rocca” di Feltre. Io, intanto, mi ero iscritto – per la prima volta volontariamente – al Partito Comunista Italiano ed alla CGIL.

fine settima parte – 3….continua

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da giovane: Bergamo, Pasolini e Giovanni XXIII, le lotte operaie, l’antifascismo – parte sesta

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da giovane: Bergamo, Pasolini e Giovanni XXIII, le lotte operaie, l’antifascismo – parte sesta

Ben prima che si concludesse la mia esperienza militare involontaria (lo chiamavano “obbligo”), in attesa che si svolgesse il concorso per gli aspiranti docenti, avevo già inoltrato una serie di domande per supplenza in varie scuole del Paese. il desiderio di mettermi alla prova era tanto ed anche la volontà di affrancarmi dalla famiglia, che non mi aveva mai fatto mancare il sostegno ma non possedevo altra autonomia che la mia naturale esistenziale e generazionale “rabbia”, che mi spingeva alla fuga. Avevo scelto scuole in realtà lontane dai miei luoghi: Lombardia, Veneto; oppure province periferiche come Rieti. Utilizzai il tam-tam degli amici più anziani, che erano già partiti e dispensavano saggi consigli a coloro che desideravano avviare la loro storia lavorativa prima possibile. Erano ancora tempi pre-elettronici e le convocazioni pervenivano attraverso telegrammi. Il primo che arrivò a casa fu quello di un Istituto Tecnico Industriale di Bergamo: una supplenza di dieci giorni per sostituire un docente che doveva sottoporsi ad un intervento chirurgico. Era il 1975. Fine ottobre. A Bergamo avevo dei punti di riferimento: un mio carissimo amico di naia, attivissimo nel sociale e nella politica praticata extra parlamentare di Lotta Continua ed un ferroviere che negli anni precedenti avevo avuto modo di valutare sui campi di calcio e sul selciato dei nostri spazi ludici. Li contattai prima di partire giusto per orientarmi. In partenza non sapevo di dover avviare la mia storia di docente confrontandomi con la realtà del mondo del lavoro; sostituivo il “collega” in due classi di serale e cominciai immediatamente anche se il tempo sarebbe stato breve a conoscere meglio il variegato cosmo delle attività lavorative. Più che trattare della guerra dei Trent’anni, che in ogni caso affrontai, ascoltammo la voce del mondo operaio ed impiegatizio. Avevo mattine e pomeriggi liberi, anche se in quel breve spazio di tempo, e frequentavo insieme a Fausto e Peppino (i due amici di cui accennavo) gli ambienti politici e sindacali.
Erano anni di grande fermento e di grandi paure. Il 1975 aveva visto l’affermazione del PCI nelle elezioni amministrative del 15 giugno ma nell’anno precedente c’erano stati picchi sanguinosi della strategia della tensione proprio allo scopo di impedire l’avanzata del movimento operaio: il 28 maggio in Piazza della Loggia, a Brescia a pochi passi da dove mi trovavo ed il 4 agosto sulla linea ferroviaria Bologna – Firenze con il treno Italicus due gravissimi attentati terroristici di matrice fascista insanguinarono il Paese.

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Ebbi modo di conoscere altri giovani docenti e, dopo il proseguimento della mia iniziale supplenza, ebbi altre occasioni di lavoro, intervallate da pochi giorni impegnati essenzialmente alla loro ricerca. Funzionava così: non so se fosse del tutto regolare ma era difficile per tantissimi “aspiranti” accettare pochi giorni di supplenza ed allo stesso tempo era difficile per i Dirigenti di allora coprire quelle “assenze” di cinque-sette giorni. Conclusa l’esperienza del “serale” non tralasciai di seguire le vicende politiche e sindacali sia quelle nazionali che quelle locali: uno degli ambienti più fervidi sotto questi aspetti era la mensa del Dopolavoro ferroviario, dove consumavo i miei pranzi, che a quel tempo era aperto anche ai non ferrovieri, che – come me – lo utilizzavano per la convenienza soprattutto ma non solo di tipo economico.
E l’altro luogo che frequentavo di pomeriggio era una Sala cinematografica d’essai intitolata a papa Giovanni XXIII.

Joshua Madalon

…fine parte sesta….

IL VORTICE DELLA VITA – ricordando François Truffaut – Jeanne Moreau

Un omaggio a François Truffaut – Il film è “Jules et Jim” tratto dall’omonimo romanzo di Henri-Pierre Roché ed a Jeanne Moreau.
Il primo video è tratto direttamente dal film, il secondo è riferito alla interpretazione di Vanessa Paradis e Jeanne Moreau a Cannes nel 1995.

Le parole sono di Cyrus Bassiak (pseudonimo di Serge Rezvani, scrittore, pittore francese, nato a Teheran nel 1928), la musica di Georges Delerue.

Le tourbillon de la vie

Elle avait des bagues à chaque doigt,
Des tas de bracelets autour des poignets,
Et puis elle chantait avec une voix
Qui, sitôt, m’enjôla.
Elle avait des yeux, des yeux d’opale,
Qui me fascinaient, qui me fascinaient.
Y avait l’ovale de son visage pâle
De femme fatale qui m’fut fatale {2x}
On s’est connus, on s’est reconnus,
On s’est perdus de vue, on s’est r’perdus d’vue
On s’est retrouvés, on s’est réchauffés,
Puis on s’est séparés.
Chacun pour soi est reparti.
Dans l’tourbillon de la vie
Je l’ai revue un soir, hàie, hàie, hàie
Ça fait déjà un fameux bail {2x}.
Au son des banjos je l’ai reconnue.
Ce curieux sourire qui m’avait tant plu.
Sa voix si fatale, son beau visage pâle
M’émurent plus que jamais.
Je me suis soûlé en l’écoutant.
L’alcool fait oublier le temps.
Je me suis réveillé en sentant
Des baisers sur mon front brûlant {2x}.
On s’est connus, on s’est reconnus.
On s’est perdus de vue, on s’est r’perdus de vue
On s’est retrouvés, on s’est séparés.
Dans le tourbillon de la vie.
On a continué à toumer
Tous les deux enlacés
Tous les deux enlacés.
Puis on s’est réchauffés.
Chacun pour soi est reparti.
Dans l’tourbillon de la vie.
Je l’ai revue un soir ah là là
trallallla
Elle est retombée dans mes bras
Quand on s’est connus,
Quand on s’est reconnus,
Pourquoi se perdre de vue,
Se reperdre de vue?
Quand on s’est retrouvés,
Quand on s’est réchauffés,
Pourquoi se séparer ?
Alors tous deux on est repartis
Dans le tourbillon de la vie
On à continué à tourner
Tous les deux enlacés
Tous les deux enlacés.

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Traduzione in italiano

Il turbinio dell’esistenza

Portava un anello per ciascun dito
una montagna di braccialetti ai polsi
e poi cantava con una certa voce
che pure mi acchiappava

Aveva certi occhi certi occhi d’opale
che mi affascinavano, o se mi affascinavano
e poi c’era l’ovale di quel pallido viso
di donna fatale che fatale mi fu.

Ci siamo conosciuti e riconosciuti
ci siamo persi di vista, ci siamo ripersi di vista
e ci siamo ritrovati e poi riattizzati
e poi ci siamo separati

Ciascuno è ripartito per fatti suoi
nel vortice della vita
e poi l’ho rivista una volta di sera trallallalla
e’ un ballo famoso

Al suono del banjo l’ho riconosciuta
quel curioso sorriso m’aveva invaghito
la voce fatale sul viso bello e pallido
mi emozionarono più che ma

Mi sono stordito mentre l’ascoltavo
l’alcool fa dimenticare
mi sono svegliato e sentivo
dei baci sulla mia fronte ardente

Ci siamo conosciuti e riconosciuti
ci siamo persi di vista, ci siamo ripersi di vista
e ci siamo ritrovati e poi riattizzati
e poi ci siamo separati

E abbiamo continuato a girare
allacciati insieme
allacciati insieme
ci siamo riattizzati

Ciascuno è ripartito per fatti suoi
nel vortice della vita
E poi l’ho rivista una sera
trallallla
e mi è ricaduta tra le braccia

Quando ci siamo conosciuti
quando ci siamo riconosciuti
perché perdersi di vista,
perdersi ancora di vista?

Quando ci siamo ritrovati
quando ci siamo riacchiappati
perché separarsi?

Allora tutti e due siamo ripartiti
nel vortice della vita
E abbiamo continuato a girare
allacciati insieme
allacciati insieme

The whirl of life
traduzione di Vanessa Paradis

She had rings on every finger
Tons of bracelets around her wrists
And then she used to sing with a voice
That, immediately, seduced me.

She had eyes, eyes like opal
That fascinated me, that facinated me
The oval of her pale face
Of a femme fatale who was fatal to me

We met, we recognized each other,
We lost sight of each other, we lost sight again
We met again, we heated up each other,
Then we separated

Each one is gone
In the whirl of life
I’ve seen her one day at night, ouch, ouch, ouch,
It’s been a long time now ( x 2)

To the sound of banjos I recognized her.
This strange smile that was so appealing to me.
Her voice so irresistible, her beautifull pale face
Moved me more than ever.

a cura di J.M.

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PERCHE’ “JOSHUA MADALON” E NON GIUSEPPE MADDALUNO terza parte

'O vico e poesie Di Giacomo

PERCHE’ “JOSHUA MADALON” E NON GIUSEPPE MADDALUNO terza parte

Il mio cognome è all’origine della denominazione successiva al mio atto di nascita. “Maddaluno” ha una grande diffusione nell’area Campania nord. Ha peraltro grande diffusione a Pozzuoli, dove risiedeva la mia famiglia (sono nato a Napoli così come i miei figli, toscani, sono nati a Firenze, anche se noi risiediamo dal 1982 a Prato). Vi sono delle variazioni diffuse in tutta Italia: a Belluno ad esempio vi è la variante Maddalozzo, con una splendido museo dedicato ad una famiglia rurale di quei luoghi ad Arsiè a pochi passi dalla Valsugana dentro la quale cui si perviene scendendo attraverso i tornanti di Primolano mentre di fronte lo sguardo si allunga verso Enego, primo contrafforte dell’altopiano di Asiago. Altre varianti sono Maddaluni, Mataluna, Maddaloni, che forse è quello più diffuso. Mi rifaccio con uno sguardo storico alle origini di quest’ultimo così come riportate da Wikipedia nel commento del toponimo della cittadina in provincia di Caserta, per l’appunto “Maddaloni”.

“Nel corso del tempo vari studiosi si sono cimentati nella ricerca dell’origine del toponimo Mataluni, ma non si è ancora giunti ad una conclusione certa; tra i tanti, il de’ Sivo si concentra sul Castrum Kalato Magdala, cioè il monastero di Maria Maddalena la cui chiesa fu distrutta dal terremoto del 5 giugno 1694. Secondo il Mazzocchi «questo nome fosse venuto al castello dalla voce araba di Magdalo, che vuol dire appunto castello, imposta a quel luogo forte dà Saraceni, che assai probabilmente dovettero farsene un nido di rapina». Per don Francesco Piscitelli, arciprete della Collegiata di San Pietro e studioso maddalonese, invece, il toponimo deriverebbe dal principe Matalo, capitano dei Galli Boi che seguirono Annibale nella sua discesa in Italia durante la seconda guerra punica: poiché lo stesso Annibale si curò poco di loro, essi, «avvezzi ad abitare appiè delle Alpi, trovarono alle falde del Tifata un sito conforme alle loro abitudini».
Decisero, quindi, di stabilirsi lì e di non seguire il condottiero punico a Capua: dal nome del principe, Matalo, gli abitanti di quella zona furono detti Mataluni. Altra ipotesi vorrebbe che il nome derivi, dal Medioevo, da “Mezza Luna”, descrivendo così la forma che è andata assumendo l’espansione del centro abitato rispetto alla collina che sorge dietro di esso. Una quarta ipotesi vede la città citata al tempo dei Romani con il nome di Meta Leonis, ovvero a forma di leone, sembra a causa di un masso di tale forma sito nei pressi”.

A dire il vero, ho sempre pensato che il mio cognome mi appartenesse senza dubbio per il mio sguardo “utopico” sulle vicende del mondo. Una composizione amena di origine iberica: “Mata Luna” come dire “Ammazza la Luna”, un “sognatore” come il “Don Chisciotte” di Cervantes. Oppure una derivazione poco affascinante da “Media Luna” (“Mezzaluna”) riferita alla presenza di quell’immagine nello stemma, emblema dell’islamismo.
Ecco, però, ritornando al mio “nomignolo”, fu proprio l’esigenza di variarlo, derivata dalla diffusione del cognome nell’area flegrea abbinato ad un nome, Giuseppe, altrettanto inflazionato essendo il secondo nome più diffuso in Italia, superato solo da Maria. Perché “variarlo”? Una delle mie passioni è stata quella del “teatro” e già da ragazzo ho calcato le scene con alcune compagnie locali e, dovendo distinguermi dagli omonimi, decidemmo di modificare “ad arte” il mio nome in Giosuè. Sulle locandine appariva così, accanto al personaggio, il nome dell’interprete, semplicemente “Giosuè”. I miei registi sono stati Nunzio Matarazzo ed Enzo Saturnino, con una puntata entusiasmante con Peppe La Mura con il quale abbiamo costruito un testo straordinario “Ccà puntey ll’arbe” (Spunta l’alba”) in dialetto puteolano, ispirato alla celeberrima “Cantata dei pastori”.
Fu in occasione di una delle proposte colte “L’importanza di chiamarsi Ernesto” di Oscar Wilde al Teatro Lopez dove interpretavo la parte del reverendo Chasuble che venne a vedermi Marietta, mia moglie. Da allora – e non solo lei – mi chiamano Giosuè.

Joshua Madalon

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BUONA PASQUA…abbiamo bisogno di una Sinistra, vera!… seconda parte

“Mente e braccia vogliono riunirsi, manca il cuore….Tu, Mediatore, mostra la via dell’uno e dell’altro….”

BUONA PASQUA…abbiamo bisogno di una Sinistra, vera!…seconda parte

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O MEDIADOR ENTRE A MENTE E AS MÃOS DEVE SER O CORAÇÃO

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Rivedo la scena finale del film di Fritz Lang,“Metropolis” del 1927, nella quale Freder il giovane rampollo della buona società dei ricchi industriali attraverso una giovane donna, Maria, rappresentante della società del mondo sotterraneo dove vivono e lavorano gli operai, si pone come mediatore tra gli interessi del mondo della produzione industriale, impersonati dal padre di Freder, Johann, e quello del lavoro interpretato da un rappresentante degli operai che nella scena appena precedente si recano con il consueto ordine verso l’ingresso della cattedrale. Il gesto della stretta di mano su invito di Maria è il suggello finale del film, che contribuisce a portare pace ed armonia in quel mondo.

Per tantissimi motivi quel film mi è caro ma questo finale supera la distopia generale e si addentra in un mondo utopico ma non del tutto impossibile.

Quel Freder avrebbe potuto essere rappresentato da quel “rampollo” di buona famiglia che ha governato il Paese prima direttamente poi “indirettamente”; ma non è stato così: egli ha preferito allearsi esclusivamente con quella parte più forte, garantendo che nella ripresa essa si arricchisse a dismisura.
Il “Job’s Act” è una legge squilibrata a favore dei “furbi”. Ha lasciato ampi spazi ai profittatori, non ha risolto la piaga del “lavoro nero”, ha abbassato il potere contrattuale in modo generale. Tardivamente lo stesso Partito Democratico in corso di campagna elettorale ha cercato di rimediare in modo maldestro a questi aspetti, senza tuttavia fare ammenda dell’errore. L’idea che la ricchezza prodotta potesse essere redistribuita era davvero amena, conoscendo la tradizionale cupidigia della stragrande parte del mondo imprenditoriale sempre più lontano dalla Cultura, se non quella del Guadagno. D’altra parte la lieve marcia indietro ha contribuito all’insuccesso elettorale, in quanto non ha convinto nessuna delle parti in causa. Ha creato profondo allarmismo nei gruppi industriali, abbinato ormai ad un discredito diffuso corrispondente ai proclami demagogici ed autogiustificatori del gruppo dirigente del PD, che tendevano a valorizzare (Cicero pro domo sua) le grandi scelte ed il loro successo.
In modo davvero paradossale sembra che ad operare un’inversione di tendenza in quel settore fondamentale della vita possano essere “oggi” coloro che si vogliono accreditare come “onesti” e “puri” ma che difettano di esperienza (e non è certamente poco importante sapere distinguere la sincerità dalla furbizia senza una certa esperienza “politica”) e possono essere facili vittime di inganni e soprattutto schiavi del malgoverno già ampiamente diffuso. Noi abbiamo bisogno di gente umile e di gente abile ed esperta nella ricostruzione della Sinistra. Parlo di “ricostruzione” perchè la Sinistra – anche se, come ho rilevato all’avvio di questo post nella prima parte (31 marzo), essa esiste come necessità da tempo inespressa – va reinventata aggredendo le contraddizioni che l’hanno resa quasi invisibile da alcuni decenni a questa parte. Alcune idee del M5S sono assolutamente affini alla Sinistra ma non possono essere realizzate senza un profondo coinvolgimento della parte più sana della società, che abbia la capacità di sanzionare comportamenti illegali purtroppo diffusi in tutto il Paese e tollerati con una forma di lassismo dilagante (“Così fan tutti!”).

Ritornando al film di Fritz Lang del quale qui sotto allego la scena finale riporto la traduzione delle didascalie, che ho utilizzato all’inizio di questo post del 1° aprile 2018, Giorno di Pasqua, come “Augurio” per il nostro futuro.

“Mente e braccia vogliono riunirsi, manca il cuore….Tu, Mediatore, mostra la via dell’uno e dell’altro….”

…abbiamo bisogno di una Sinistra, vera!…fine seconda parte

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