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I CONTI NON TORNANO – un racconto morale – parte 2

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I CONTI NON TORNANO – un racconto morale – parte 2

“Ci vediamo in Piazza San Francesco, davanti all’edicola”

Ognuno di loro aveva il pass per accedere al centro ed il contrassegno consentiva di trovare più facilmente un parcheggio: ciascuno poi pensava, vista l’ora e gli impegni di lavoro modulari, di poter tornare direttamente a casa…
Si ritrovarono nel luogo convenuto a pochi passi dalla sede del Provveditorato.

Vi salirono e si presentarono alla Segretaria che intanto li fece accomodare: “Il Provveditore è impegnato a telefono con il Ministero, gli ho appena passato la linea: quando la ritorna libera lo avverto”. E continuò a lavorare per proprio conto.

Era da poco passato il tocco e tutti avevano avvertito la propria famiglia già prima di uscire da scuola che non sapevano a che ora sarebbero tornati.

E s’era fatto un quarto alle due: il Provveditore aveva smesso la sua conversazione e la segretaria li aveva annunciati. Con un grande sorriso li salutò chiamandoli come di dovere in modo formale istituzionale e stringendo loro vigorosamente le mani.

“Accomodatevi”.
De Marco aggiunse una sedia alle altre due di fronte all’ampia scrivania ricolma di scartoffie e di ninnoli vari.

I volti in un momento di silenzio interrogavano il sorriso dell’uomo di fronte a loro, un sorriso soddisfatto ma per tutti amletico. Pochi secondi, neanche un minuto di silenzio interrotto poi da un proclama apparentemente senza appello.
Manzoni docet.

– fine parte 2 –

I CONTI NON TORNANO – un racconto morale

Lo avevo annunciato per ieri ma ho avuto dei contrattempi che mi hanno distolto – questo racconto dimostra come le scelte amministrative non rispettano né le volontà né le esigenze dei cittadini ma molto spesso sono piegate alle volontà ed alle esigenze(!) di gruppi di potere: ne è dimostrazione recente (agosto 2016) la torbida vicenda del progetto di ampliamento dell’Aeroporto di Firenze Peretola. E’ una “storia” emblematica che insegna a non fidarsi del Governo anche quando blandisce (e sottilmente minaccia) i cittadini con mirabolanti promesse di straordinari cambiamenti…

http://corrierefiorentino.corriere.it/firenze/notizie/cronaca/16_agosto_08/firenze-tar-accoglie-ricorso-contro-ampliamento-dell-aeroporto-cd0efcfc-5d8f-11e6-addc-c76dce7e53cd.shtml

I CONTI NON TORNANO – un racconto morale

– prima parte –

“Professore, al cambio d’ora passi in Presidenza” la bidella del piano aveva risposto al trillo imperioso del telefono interno nel corridoio ed anche gli allievi, che stavano concentrandosi nella prova di italiano in quella fine del trimestre, avevano sentito parte del breve dialogo che, subito dopo essersi interrotto, era stato riportato: la bidella aveva bussato con insolita circospezione ed aveva informato il professor De Marco. “No, avvertite la Preside che scenderò solo al termine della prova: non posso lasciare soli i ragazzi!”.

La bidella ritornò al telefono ma la risposta fu, a tutta evidenza, negativa.
“La Preside dice che manderà un sostituto a sorvegliare la regolarità della prova e le chiede di scendere subito dopo”.

Dal terzo piano Giorgio non appena arrivò a sostituirlo una giovane collega – ma tutto avvenne con insolita rapidità – scese giù verso la stanza della Presidenza, davanti alla quale già sostavano altri due colleghi, la professoressa Bencolti ed il professor Merletti, ai quali scoprì subito era stato detto di attenderlo prima di entrare…

Non era strano vederli insieme; erano tutti e tre politicamente impegnati nell’amministrazione comunale con vari e diversi incarichi istituzionali e più di una volta la Preside li aveva interpellati insieme, ma in quell’occasione la situazione che si prospettò rapidamente fu molto diversa: era il Provveditore agli Studi che li voleva con urgenza ed aveva autorizzato la Preside ad esentarli dalle lezioni e sostituirli per il resto della giornata.

– fine prima parte –

ORFEO, EURIDICE “LA GRANDE SOGNATRICE”

Questa mattina pubblico l’intero racconto

La grande sognatrice 001

ORFEO, EURIDICE “LA GRANDE SOGNATRICE”

Orfeo aveva amato davvero una donna che casualmente si
chiamava come quella narrata da Virgilio ed Ovidio; ed anche
lui aveva visto morire Euridice la sua donna vittima di un male
crudele che l’aveva dapprima lentamente debilitata e poi
stroncata. L’aveva amata così intensamente che non aveva
mai più voluto conoscerne altre ed aveva deciso di vivere la
sua vita lontano dal mondo coltivando da solo il suo orto lassù
fra le montagne di Vernio al confine fra la Toscana e l’Emilia.
Di Euridice aveva conservato soltanto un’immagine, un
disegno con cui lui stesso aveva voluto tracciare su un
cartoncino con del carbone i lineamenti del volto sul letto di
morte; e questo oggetto custodiva con affetto in una tasca
interna segreta del suo vecchio cappotto. Erano passati
anni ed anni ed Orfeo andava ormai vivendo la sua vecchiaia
lontano dal mondo, isolato lassù nei boschi e aveva ricercato
la solitudine evitando il più possibile di incontrare e di parlare
con anima viva, autoescludendosi anche dalla partecipazione,
fosse morbosa o umanamente mostrata, dei vicini che però
distavano da lui circa un chilometro più giù verso la valle del
Bisenzio….. le stagioni si alternavano ed alle nevi seguivano
le fioriture primaverili e le calure estive ed i colori intensi e
variegati della natura accompagnavano le giornate di Orfeo,
che non aveva mai più nemmeno nella sua immaginazione
incrociato una figura umana che pur lontanamente
assomigliasse alle fattezze di Euridice, alla bellezza del suo
corpo, al suo bel volto, del quale custodiva il disegno, che
ogni notte per migliaia e migliaia di volte aveva estratto dalla
tasca interna del suo consunto paltò, quel disegno che non
era però mai invecchiato, come il volto che vi era ritratto,
sempre giovane, sempre bello, sempre sorridente anche se
quella donna, la sua Euridice, era là sul letto di morte; ed
erano trascorsi quasi trenta anni.
Orfeo era invece invecchiato per trascuratezza oltre che per
il tempo; non aveva ancora sessanta anni e dalla tragedia che
lo aveva coinvolto non si era più mosso dalla sua casa, quella
che aveva costruito per la sua donna e per la famiglia che
avrebbe voluto avere. Un pomeriggio, verso la fine
dell’autunno, il tempo aveva già mostrato i primi freddi ma si
alternavano splendide giornate di sole a quelle ventose e
piovose, Orfeo decise all’improvviso di scendere verso la
città. Come un clochard indossò il suo sdrucito largo
cappotto e con un ampio cappello si coprì la testa quasi a
voler celare la sua identità. Solo qualcuno lo notò, ma pochi lo
conoscevano, quando sulla Provinciale salì sulla corriera per
scendere verso Prato; nessuno gli diede a parlare per tutto il
viaggio. Prato la ricordava così come era negli anni Ottanta;
con Euridice l’aveva vissuta, frequentandone i teatri ed i
circoli: a lei piacevano la musica e la danza ed aveva praticato
da ragazza quelle arti, da protagonista. Ed era in quei luoghi
che Orfeo, appassionato soprattutto di musica classica,
l’aveva conosciuta. Inoltratasi nella città, la corriera aveva
attraversato le strade i parchi e i giardini lungo il fiume del
loro giovane amore e delle loro passioni; il cuore di Orfeo
riprendeva a battere seguendo i ritmi delle sue emozioni.
Il cuore di Orfeo batteva più forte ed intenso proprio là dove
era il suo segreto.
******
Decise di scendere all’altezza del “Fabbricone”, una vecchia
megastruttura industriale adibita sin dalla fine degli anni
Sessanta come sede supplementare del più vetusto e glorioso
“Metastasio”, e vi si avvicinò: notò una grande confusione
ma comprese immediatamente dal modo in cui era vestita la
gente che non si trattava di pubblico del teatro ma di clienti,
soprattutto donne, di alcuni supermercati. Decise di non
inoltrarsi nella stradina che portava al Teatro e, tornato
indietro, proseguì verso il Centro.
Anche le strade erano più nervosamente ed intensamente
trafficate e la gente faceva a gara con il vento che a Prato è
intenso ed a volte furioso, impetuoso: la gente sia a piedi che
in auto sembrava impazzita, correva correva ed Orfeo non
capiva il senso di questa frenetica fretta. Era innervosito da
tutto questo e, procedendo come in un sogno, non riusciva
nemmeno più a comprendere le ragioni di quella sua discesa;
che c’era venuto a fare dopo tanti anni? O che non stava
bene lassù vicino ad alcuni dei suoi ricordi più belli seppur
lontano da altri legati alla sua infanzia, alla sua adolescenza,
alla sua giovinezza, al suo “amore”? nessuno avrebbe potuto
riportare indietro il suo tempo. Ora spettava ad altri scoprire
la dolcezza dell’amore, sentire il profumo dei capelli e la
morbidezza della pelle e così mentre si muoveva quasi furtivo
in mezzo alle folle osservava le mani di ragazze e ragazzi che
si toccavano, i volti che si annusavano e si avvicinavano, le
labbra che si socchiudevano nell’attesa, i corpi che si
toccavano. Lui tutto questo lo aveva vissuto ma poi il destino
lo aveva voluto segnare con crudeltà.
Superato il Serraglio, percorrendo Via Magnolfi in Piazza
Duomo ci arrivò ma era stracolma di bancarelle dove si
vendeva di tutto: questa delusione non gli impedì per un
attimo di ricordare quella notte di tanti anni prima, una notte
magica; era inverno e da qualche ora nevicava in modo
intenso; le strade erano coperte di un candido manto,
soffice e profondo, i passi crocchiavano lenti e i rumori erano
attenuati e la luce dei lampioni emanava una serenità profonda
nel silenzio quasi totale.
Orfeo aveva da pochi giorni conosciuto quella splendida
gioiosa ragazza ad un concerto in San Domenico; là – a
pochi passi – c’era una Scuola di Danza dove Euridice da
alcuni anni procedeva nella sua specializzazione essendo
passata da studentessa modello ad aiutante della Direttrice di
quei corsi. E quella sera, mentre nevicava, Orfeo andava ad
attenderla fuori della Scuola: voleva parlare, voleva
condividere quello strano turbamento che le aveva trasmesso
solo lo sfiorarsi le mani quando si erano salutati nell’amicizia
appena avviata; voleva capire se…anche lei aveva bisogno di
capire. Arrivò davanti al Circolo proprio mentre Euridice
stava salutando alcune sue giovani allieve ed i loro genitori.
Le fece un segno; non avrebbe voluto importunarla ma
avvertiva quella necessità, impellente. Per questo le fece solo
un timido cenno di saluto; ma Euridice mostrò immediatamente
di essere molto felice di vederlo. Orfeo, lui non se
ne era accorto, aveva il berretto ricolmo di neve e sembrava –
essendo molto magro – con la palandrana uno spaventapasseri
in un campo innevato. Euridice gli sorrise e gli si accostò
con evidente gioia.
“Che fai? Sei stato ad un altro concerto?” “No, sapevo che
saresti uscita più o meno a quest’ora e son passato…avevo
bisogno di parlarti” “Mi accompagni, allora? Vado verso casa,
in Piazza Ciardi”. Orfeo non chiedeva di più e per sostenere la
ragazza la prese sottobraccio, dapprima, e poi le avvolse il
braccio sinistro sulle spalle come per proteggerla dalla neve
che continuava a venir giù ed evitarle qualche possibile
ruzzolone.
Orfeo ricordava passo dopo passo quel percorso, parola dopo
parola quelle frasi, le emozioni, la passione e la vita che veniva
segnata da quei minuti; Orfeo ricordava quel bacio, il primo,
più degli altri che quella sera stessa poi fioccarono insieme
alla neve sotto il porticato del Pulpito di Donatello in Piazza
Duomo…
*******
Andò oltre, non volle soffermarsi in quel caos così lontano
dalle magie di tanti anni prima e si infilò in una via Mazzoni
ancor più caotica resa più stretta dalla presenza di tavolini e
sedie per i clienti di un pub. Arrivò in Piazza del Comune, un
crocevia di diverse abitudini ed interessi, e stancamente
osservò la statua del Datini costretta imperterrita a mostrare i
prodotti del suo lavoro ai pratesi più ignoranti e ne ebbe
un’infinita pena. Ma gli voltò le spalle e si avviò verso San
Francesco; faticò a riconoscere quella piazza, caotica come
era, ricolma di auto.
Non riusciva a rendersi conto di come il tempo trascorso
lontano dalla sua città fosse stato tanto e tale da condizionare
le reciproche trasformazioni in modo irreparabile. Eppure in
quella piazza la storia d’amore si era arricchita di tantissimi
altri momenti che non avrebbe mai potuto dimenticare ma che
il “tempo” ormai aveva lasciato solo nella sfera dei suoi, solo
dei suoi, ricordi. Si sedette su una panchina e si toccava
l’esterno del vecchio cappotto proprio a sinistra all’altezza del
cuore e lo accarezzava; era ormai un vecchio, di sicuro più
vecchio di quelli che avevano la sua stessa età perché così si
sentiva ma poi in effetti per davvero che lo era! E
continuava a chiedersi dentro di sé perché mai quel giorno lui
avesse deciso di ripercorrere quasi come una serie di stazioni
penitenziarie alcune delle tappe fondamentali della storia sua e
di Euridice.
*******
Rimase sulla panchina assorto nei suoi pensieri mentre la
gioventù gioiva nell’attesa del Natale; e vi rimase fin quando le
luci della città e quelle della “festa” imminente si accesero in
corrispondenza del buio della vicina notte. Il traffico di
persone e di mezzi era diventato in modo ossessivo
soffocante ma Orfeo non se ne avvedeva punto. Non
ricordava quel caos ma non se ne sentiva particolarmente
infastidito, il suo pensiero era rivolto altrove: nella sua
memoria vi era un tempo ormai lontano ed assai diverso.
Si sollevò e decise di andare verso Piazza del Castello, vi si
diresse ma dopo pochi passi scelse di avviarsi attraverso
Piazza Sant’Antonino verso Piazza Santa Maria in Castello.
Era stato attratto da una luce della quale però non riusciva ad
intravedere l’origine. Era calata la sera e con essa un vento
freddo che proveniva dalle gole dell’Appennino aveva fatto
scendere la temperatura; le strade si erano progressivamente
liberate da quel caos: era anche l’ora in cui ci si ferma a
cenare ed i negozi si chiudono. Orfeo entrò in quella piazza
ed alzò i suoi occhi sollevando la tesa del suo ampio cappello
per dirigere la sua vista verso la luce e si fermò. Principiava
a far freddo ma lui non ne soffriva, era abituato a quelle più
rigide temperature lassù sulle montagne dove per tantissimi
anni era rimasto isolato. Sollevò gli occhi e vide la luce che
lo aveva invitato a muoversi verso di lei: era un volto di
donna, sorridente, un ovale perfetto, chiusi gli occhi dalle
belle lunghe ciglia.
Ma era proprio la donna che aveva amato, conosciuto ed
amato; la donna che lo aveva amato, conosciuto ed amato
trenta e più anni prima; la donna il cui volto aveva disegnato
sul letto di morte anche per poterla ricordare così come era,
ancora giovane e bella della bellezza dei giovani non ancora
corrotta dai segni del tempo.
Si toccò il cuore accarezzando ciò che conteneva quel
pastrano sdrucito ma sempre caldo di quel calore che in
maniera più forte e straordinaria emanava quel vecchio
cartoncino che là dentro aveva custodito. Non ebbe ragioni
per confrontarne le somiglianze: era proprio Euridice, era
proprio lei che dal grande muro regnava su tutta la piazza; e
gli occhi erano chiusi così come lo erano stati quelli della sua
amata quell’ultimo giorno in cui la vide. Le ultime persone
attraversarono la piazza mentre lui senza mai togliere gli occhi
da quel volto si accostò in un angolino e si accovacciò;
avrebbe voluto che quella donna aprisse i suoi occhi e lo
guardasse, gli sorridesse ed immaginò dentro di sé di poterla
nuovamente incontrare come in un sogno, in un bel sogno,
ma non riuscì a sognare se non ad occhi aperti. Scese la
notte ed il freddo portò su tutta la pianura leggeri petali di
neve; ben presto anche la piazza fu ricoperta di un manto
bianco e morbido ed Orfeo ricordò quel primo bacio e quelli
che vennero poi quella sera di tanti anni prima… e lui
rimaneva là con quel suo sogno segreto… Nessuno nei
giorni seguenti fece caso a quel vecchio signore che in un
angolo della Piazza attendeva la sera perché il miracolo
avvenisse; con la luce del giorno il volto spariva.
***************
La gente aveva sempre più fretta ed in quella piazza non
c’erano abitazioni né negozi. Arrivò la notte di Natale, la gente
era nelle case a festeggiare; nevicava e suonarono a festa le
campane del Duomo e quelle più vicine di Santa Maria delle
Carceri, ma Orfeo non le sentì. Euridice aveva aperto gli
occhi, era venuta giù ed aveva preso per mano Orfeo ed
insieme erano andati a ritroso nel tempo ripercorrendolo.
Orfeo era felice e sorrideva, Euridice lo rassicurava; poi tutto
si dissolse. Il mattino seguente un netturbino che spazzava la
neve si accorse della presenza di un vecchio signore
rannicchiato in uno degli angoli della piazza e poiché non
rispondeva agli stimoli chiamò il 118. Al calar della sera la
“grande sognatrice” in Piazza Santa Maria in Castello nel
centro di Prato si illuminò nuovamente ma non aprì mai le sue
palpebre.

MINICOLLANA DI RACCONTI
1
ORFEO
EURIDICE
LA GRANDE SOGNATRICE
di
GIUSEPPE MADDALUNO
J.M.

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ORFEO, EURIDICE LA GRANDE SOGNATRICE parte 7 e ultima

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L’INSTALLAZIONE DI LUCE E OMBRA “GRANDE SOGNATRICE” DI
FABRIZIO CORNELI
OPERA PERMANENTE DELLA CITTÀ DI PRATO

Piazza Santa Maria in Castello.
La scoperta di questa installazione è stata per me illuminante; ho
immediatamente pensato a questi due personaggi della mitologia
classica; ho pensato ad un amore “eterno” struggente; ho pensato alla
dolcezza della “morte”.

ORFEO, EURIDICE LA GRANDE SOGNATRICE parte 7 e ultima

………….
Le ultime persone attraversarono la piazza mentre lui senza mai togliere gli occhi da quel volto si accostò in un angolino e si accovacciò; avrebbe voluto che quella donna aprisse i suoi occhi e lo guardasse, gli sorridesse ed immaginò dentro di sé di poterla
nuovamente incontrare come in un sogno, in un bel sogno,
ma non riuscì a sognare se non ad occhi aperti. Scese la
notte ed il freddo portò su tutta la pianura leggeri petali di
neve; ben presto anche la piazza fu ricoperta di un manto
bianco e morbido ed Orfeo ricordò quel primo bacio e quelli
che vennero poi quella sera di tanti anni prima… e lui
rimaneva là con quel suo sogno segreto… Nessuno nei
giorni seguenti fece caso a quel vecchio signore che in un
angolo della Piazza attendeva la sera perché il miracolo
avvenisse; con la luce del giorno il volto spariva.

***************

La gente aveva sempre più fretta ed in quella piazza non
c’erano abitazioni né negozi. Arrivò la notte di Natale, la gente
era nelle case a festeggiare; nevicava e suonarono a festa le
campane del Duomo e quelle più vicine di Santa Maria delle
Carceri, ma Orfeo non le sentì. Euridice aveva aperto gli
occhi, era venuta giù ed aveva preso per mano Orfeo ed
insieme erano andati a ritroso nel tempo ripercorrendolo.
Orfeo era felice e sorrideva, Euridice lo rassicurava; poi tutto
si dissolse. Il mattino seguente un netturbino che spazzava la
neve si accorse della presenza di un vecchio signore
rannicchiato in uno degli angoli della piazza e poiché non
rispondeva agli stimoli chiamò il 118. Al calar della sera la
“grande sognatrice” in Piazza Santa Maria in Castello nel
centro di Prato si illuminò nuovamente ma non aprì mai le sue
palpebre.

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ORFEO, EURIDICE “LA GRANDE SOGNATRICE” – parte 6

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L’INSTALLAZIONE DI LUCE E OMBRA “GRANDE SOGNATRICE” DI
FABRIZIO CORNELI

OPERA PERMANENTE DELLA CITTÀ DI PRATO

Piazza Santa Maria in Castello

La scoperta di questa installazione è stata per me illuminante; ho
immediatamente pensato a questi due personaggi della mitologia
classica; ho pensato ad un amore “eterno” struggente; ho pensato alla dolcezza della “morte”.

ORFEO, EURIDICE “LA GRANDE SOGNATRICE” – parte 6

Rimase sulla panchina assorto nei suoi pensieri mentre la
gioventù gioiva nell’attesa del Natale; e vi rimase fin quando le
luci della città e quelle della “festa” imminente si accesero in
corrispondenza del buio della vicina notte. Il traffico di
persone e di mezzi era diventato in modo ossessivo
soffocante ma Orfeo non se ne avvedeva punto. Non
ricordava quel caos ma non se ne sentiva particolarmente
infastidito, il suo pensiero era rivolto altrove: nella sua
memoria vi era un tempo ormai lontano ed assai diverso.
Si sollevò e decise di andare verso Piazza del Castello, vi si
diresse ma dopo pochi passi scelse di avviarsi attraverso
Piazza Sant’Antonino verso Piazza Santa Maria in Castello.
Era stato attratto da una luce della quale però non riusciva ad
intravedere l’origine. Era calata la sera e con essa un vento
freddo che proveniva dalle gole dell’Appennino aveva fatto
scendere la temperatura; le strade si erano progressivamente
liberate da quel caos: era anche l’ora in cui ci si ferma a
cenare ed i negozi si chiudono. Orfeo entrò in quella piazza
ed alzò i suoi occhi sollevando la tesa del suo ampio cappello
per dirigere la sua vista verso la luce e si fermò. Principiava
a far freddo ma lui non ne soffriva, era abituato a quelle più
rigide temperature lassù sulle montagne dove per tantissimi
anni era rimasto isolato. Sollevò gli occhi e vide la luce che
lo aveva invitato a muoversi verso di lei: era un volto di
donna, sorridente, un ovale perfetto, chiusi gli occhi dalle
belle lunghe ciglia.
Ma era proprio la donna che aveva amato, conosciuto ed
amato; la donna che lo aveva amato, conosciuto ed amato
trenta e più anni prima; la donna il cui volto aveva disegnato
sul letto di morte anche per poterla ricordare così come era,
ancora giovane e bella della bellezza dei giovani non ancora
corrotta dai segni del tempo.
Si toccò il cuore accarezzando ciò che conteneva quel
pastrano sdrucito ma sempre caldo di quel calore che in
maniera più forte e straordinaria emanava quel vecchio
cartoncino che là dentro aveva custodito. Non ebbe ragioni
per confrontarne le somiglianze: era proprio Euridice, era
proprio lei che dal grande muro regnava su tutta la piazza; e
gli occhi erano chiusi così come lo erano stati quelli della sua
amata quell’ultimo giorno in cui la vide.

…..fine parte 6 ……

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ANPI PRATO – FESTA PROVINCIALE – 2 e 3 SETTEMBRE 2016

ANPI PRATO – FESTA PROVINCIALE – 2 e 3 SETTEMBRE 2016

La Festa dell’ANPI Provinciale di Prato si svolgerà il prossimo venerdì 2 e sabato 3 settembre con il Programma che potete conoscere attraverso la lettura del manifesto allegato.
Il luogo che ospiterà la Festa è il Circolo ARCI G. Rossi di S. Ippolito (frazione di PRATO) in Via Visiana
L’iniziativa vede la collaborazione di ARCI, CGIL, Sentieri partigiani e Libera.

La prima serata (2 settembre) è esclusivamente di apertura – vi sarà un Apericena alle ore 20.00 e la proiezione di un video “Buon compleanno Repubblica”.

Ubaldo Nannucci

La seconda serata (3 settembre) prevede a partire dalle ore 18.00 un dibattito “ANPI e la difesa dei Diritti e della Costituzione” con la partecipazione di Ubaldo Nannucci, Presidente dell’ANPI Provinciale di Firenze, ex Procuratore in quella città. A seguire, dopo la Cena (euro 15) per la quale si consiglia la prenotazione entro il 31 agosto telefonando al Circolo di S. Ippolito numero 0574 815166, lo spettacolo “Il pane e le rose” (parole e musica) della Compagnia ALTROTEATRO del prof. Antonello Nave.

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ORFEO, EURIDICE “LA GRANDE SOGNATRICE” parte 3

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L’INSTALLAZIONE DI LUCE E OMBRA “GRANDE SOGNATRICE” DI
FABRIZIO CORNELI
OPERA PERMANENTE DELLA CITTÀ DI PRATO
Piazza Santa Maria in Castello.
La scoperta di questa installazione è stata per me illuminante; ho
immediatamente pensato a questi due personaggi della mitologia
classica; ho pensato ad un amore “eterno” struggente; ho pensato alla
dolcezza della “morte”.

ORFEO, EURIDICE “LA GRANDE SOGNATRICE” parte 3

…………………………….

Decise di scendere all’altezza del “Fabbricone”, una vecchia
megastruttura industriale adibita sin dalla fine degli anni
Sessanta come sede supplementare del più vetusto e glorioso
“Metastasio”, e vi si avvicinò: notò una grande confusione
ma comprese immediatamente dal modo in cui era vestita la
gente che non si trattava di pubblico del teatro ma di clienti,
soprattutto donne, di alcuni supermercati. Decise di non
inoltrarsi nella stradina che portava al Teatro e, tornato
indietro, proseguì verso il Centro.

Anche le strade erano più nervosamente ed intensamente
trafficate e la gente faceva a gara con il vento che a Prato è
intenso ed a volte furioso, impetuoso: la gente sia a piedi che
in auto sembrava impazzita, correva correva ed Orfeo non
capiva il senso di questa frenetica fretta. Era innervosito da
tutto questo e, procedendo come in un sogno, non riusciva
nemmeno più a comprendere le ragioni di quella sua discesa;
che c’era venuto a fare dopo tanti anni? O che non stava
bene lassù vicino ad alcuni dei suoi ricordi più belli seppur
lontano da altri legati alla sua infanzia, alla sua adolescenza,
alla sua giovinezza, al suo “amore”? nessuno avrebbe potuto
riportare indietro il suo tempo.
Ora spettava ad altri scoprire
la dolcezza dell’amore, sentire il profumo dei capelli e la
morbidezza della pelle e così mentre si muoveva quasi furtivo
in mezzo alle folle osservava le mani di ragazze e ragazzi che
si toccavano, i volti che si annusavano e si avvicinavano, le
labbra che si socchiudevano nell’attesa, i corpi che si
toccavano. Lui tutto questo lo aveva vissuto ma poi il destino
lo aveva voluto segnare con crudeltà.

Superato il Serraglio, percorrendo Via Magnolfi in Piazza
Duomo ci arrivò ma era stracolma di bancarelle dove si
vendeva di tutto: questa delusione non gli impedì per un
attimo di ricordare quella notte di tanti anni prima, una notte
magica; era inverno e da qualche ora nevicava in modo
intenso; le strade erano coperte di un candido manto,
soffice e profondo, i passi crocchiavano lenti e i rumori erano
attenuati e la luce dei lampioni emanava una serenità profonda
nel silenzio quasi totale.

…fine parte 3 …..

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ORFEO, EURIDICE “LA GRANDE SOGNATRICE” parte 2

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mentre prosegue la tristezza per la tragedia che ha colpito ancora una volta il popolo italiano il mio “sguardo” è rivolto alla “POESIA”

ORFEO, EURIDICE “LA GRANDE SOGNATRICE” parte 2

L’INSTALLAZIONE DI LUCE E OMBRA “GRANDE SOGNATRICE” DI FABRIZIO CORNELI
OPERA PERMANENTE DELLA CITTÀ DI PRATO
Nell’ambito di “PRATO CONTEMPORANEA”, iniziativa promossa e organizzata dal Comune di Prato in stretta collaborazione con il Centro Pecci, il 12 aprile 2014 è stata inaugurata l’installazione ambiente di luce e ombra la Grande Sognatrice dell’artista FABRIZIO CORNELI (Firenze 1958), che illumina Piazza Santa Maria in Castello.
La scoperta di questa installazione è stata per me illuminante; ho immediatamente pensato a questi due personaggi della mitologia classica; ho pensato ad un amore “eterno” struggente; ho pensato alla dolcezza della “morte”.

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Orfeo era invece invecchiato per trascuratezza oltre che per il tempo; non aveva ancora sessanta anni e dalla tragedia che lo aveva coinvolto non si era più mosso dalla sua casa, quella che aveva costruito per la sua donna e per la famiglia che avrebbe voluto avere.

Un pomeriggio, verso la fine dell’autunno, il tempo aveva già mostrato i primi freddi ma si alternavano splendide giornate di sole a quelle ventose e piovose, Orfeo decise all’improvviso di scendere verso la città.
Come un clochard indossò il suo sdrucito largo cappotto e con un ampio cappello si coprì la testa quasi a voler celare la sua identità. Solo qualcuno lo notò, ma pochi lo conoscevano, quando sulla Provinciale salì sulla corriera per scendere verso Prato; nessuno gli diede a parlare per tutto il viaggio.
Prato la ricordava così come era negli anni Ottanta; con Euridice l’aveva vissuta, frequentandone i teatri ed i circoli: a lei piacevano la musica e la danza ed aveva praticato da ragazza quelle arti, da protagonista. Ed era in quei luoghi che Orfeo, appassionato soprattutto di musica classica, l’aveva conosciuta.
Inoltratasi nella città, la corriera aveva attraversato le strade i parchi e i giardini lungo il fiume del loro giovane amore e delle loro passioni; il cuore di Orfeo riprendeva a battere seguendo i ritmi delle sue emozioni.

Il cuore di Orfeo batteva più forte ed intenso proprio là dove era il suo segreto.

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….fine parte 2 ….. ……………..

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non poteva che essere così! PRIMO CIAK dedicato alla memoria di un grande amico GIORGIO DE GIORGI

non poteva che essere così! PRIMO CIAK dedicato alla memoria di un grande amico

GIORGIO DE GIORGI

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PRIMO CIAK

“Ragazzi state fermi! E fate silenzio” Andrea riprese per un attimo il suo ruolo di professore, anche se solo due di quei giovani erano suoi allievi. Erano più di quindici, diciotto per l’appunto, a partecipare a quell’esperienza, che per loro era la “prima”. In verità lo era anche per Andrea. Solo che “quelli” avevano dai 16 ai 18 anni e “lui” 35.
Il cinema però ce l’aveva avuto nel sangue, come spettatore, sin da bambino e poi man mano negli anni come cultore; Andrea aveva visto, aveva letto, aveva scritto; mai però aveva vissuto da vicino la “fabbrica” del Cinema. Ne conosceva i fondamentali ma solo in teoria. Da docente utilizzava in modo costante il Cinema come riferimento e supporto didattico e così molte volte aveva partecipato ad incontri e corsi di aggiornamento che utilizzavano in modo precipuo le tecniche audiovisuali. Ne aveva organizzato qualcuno anche lui ed in quelle occasioni aveva progettato per le scuole una serie di incontri con i vari “mestieri” del Cinema ai quali avevano preso parte grandi personaggi. E gli era man mano cresciuta la voglia di provare a costruirlo, un film!

Quel giorno ci sarebbe stato, dunque, il battesimo per quella nuova esperienza. Andrea era emozionato sin dai giorni precedenti ma non voleva mostrarlo; si era affidato ad un amico esperto che aveva già realizzato molti video ma costui si sarebbe occupato essenzialmente delle riprese e poi del montaggio, ma tutto il resto….avrebbe dovuto deciderlo lui!
La fase preparatoria era stata entusiasmante; anche la “sceneggiatura” era stata scritta progressivamente su “fogli” volanti. Erano state accuratamente scelte le “locations”, coinvolgendo amici ed amici degli amici: era stato uno degli aspetti più interessanti del progetto insieme alla ricerca dei “protagonisti”, anche questi “amici” ed “amici di amici”. Il “tutto” una vera e propria “troupe” all’opera, una piccola “armata culturale”! ma il primo ciak fu davvero sorprendentemente “disastroso”!

Il luogo prescelto era un “ristorantino” sul lato sinistro del Bisenzio all’imbocco del Ponte Mercatale. Quando Andrea lo aveva adocchiato si era presentato con le credenziali del Comune ed aveva ottenuto il consenso ad utilizzarne le strutture nel giorno di chiusura: non gli era parso così piccolo come al momento del primo ciak. Cinque tra operatori e tecnici, diciotto tra ragazze e ragazzi giustamente curiosi ed entusiasti di prendere parte ad un’impresa artistica, cinque attori da gestire, sistemare e coordinare creavano non pochi problemi ad un neofita come Andrea.
L’ambiente risultava molto piccolo e stretto; è lo scotto che bisogna pagare quando si scelgono location in assenza di risorse per costruire scenografie adatte per il testo sceneggiato.
“Ragazzi, vi prego: state fermi e fate silenzio!”
Andrea aveva sistemato personalmente due tavoli, quelli piccoli per due sole persone, due “coppie”. In primo piano, con vista “Ponte” e “Porta” al di là del finestrino, quello con il protagonista e la sua cugina e più in là in secondo piano quello al quale è seduto un altro signore in compagnia di un’amica. Poi aveva fatto collocare le “luci” e posizionare la telecamera per la migliore inquadratura. Le riprese prevedevano la registrazione “in diretta” ed occorreva il massimo silenzio. Prima di iniziare a registrare si fecero delle prove.
“Possiamo andare! Vi raccomando, silenzio. Non possiamo nemmeno sentire il minimo calpestio e trattenete il respiro”. Tavoli e sedie “inutili” erano stati accatastati alle spalle o nei lati fuori campo: il resto era occupato dall’armamentario tecnico e da presenze aliene curiose di quel che accadeva.
Ciak si gira. Sulla lavagnetta uno dei giovani allievi a ciò assegnato da Andrea aveva trascritto numero romano di scena e numero arabo di ripresa. Era come il primo bagno di stagione, quando si teme di più il contatto con l’acqua fredda ma poi si sguazza piacevolmente in essa…..

I personaggi agivano sotto le spoglie degli interpreti, che erano stati scelti accuratamente attraverso l’analisi dei loro caratteri, che fossero i più affini e vicini possibile a quelli dei personaggi.
Quella occasione fu una grande palestra: alcuni, come Andrea, erano al loro debutto. Qualcuno fra gli interpreti veniva da esperienze brevi o lunghe in campo teatrale che servivano a rendere meno complicato il lavoro di preparazione e quello sul set.
Dopo il “ristorantino” di Ponte Mercatale furono utilizzati ambienti pubblici come quello di Villa Filicaia e il teatro Santa Caterina e privati come le abitazioni di amici in Piazza Mercatale, uno studio medico in Via Garibaldi, uno splendido casolare sulle pendici del Montalbano, la lussuosa aristocratica rinascimentale Villa Rucellai, i locali dello Zerosei (uno spazio riservato ai più giovani frequentatori di discoteche), la bottega antiquaria di Filippo Citarella sempre in Piazza Mercatale, la Libreria “La Luna” in via Tinaia e l’abitazione di un amico di Andrea in via Pugliesi, un giovane molto impegnato culturalmente, che prestò le sue mani a quelle del protagonista mentre suonava un brano di Domenico Zipoli, di cui si celebravano i 300 anni dalla nascita (Prato – 17 ottobre 1688) proprio in quei giorni.
Infatti con grandi entusiasmi e passioni in quei giorni ci si impegnò a ricercare la musica che avrebbe dovuto accompagnare facendo da valido contrappunto alle storie narrate nelle scene girate. Le note musicali dovevano avere, nell’idea di Andrea, una funzione speciale per costruire già in anticipo le atmosfere della narrazione per immagini, a sostituzione delle parole, troppe volte sovrabbondanti e mortificanti. Andrea viaggiava, riposava ed a volte dormicchiava ascoltando ore ed ore di musiche; e le riascoltava immaginando le scene da realizzare: aveva sempre pensato che le parole fossero importanti ma non necessarie e che il Cinema non ne avesse bisogno al di là dell’essenziale e, dopo aver scritto le sceneggiature, procedeva con tagli impietosi a ridurne la complessità verbale.
Durante le riprese non mancarono gli errori ma la maestria dei tecnici combinata all’intuizione di Andrea aiutarono a non renderli visibili nel prodotto finale: questa è una delle magie del Cinema, che è somma arte della finzione camuffata da eccelsa verità. Come quando, dopo aver lasciato le stanze e i giardini di Villa Filicaia, si ricordarono di non aver girato una scena.
Ora bisogna sapere che una “troupe” anche minima sposta chili e chili di materiali tecnologici e poi Villa Filicaia era anche una struttura “speciale” alla quale non era facile accedere. Occorrevano permessi precisi e circostanziati. Villa Filicaia si trovava (ora è ancora là, tuttavia cadente ed abbandonata, e la Regione Toscna intende venderla) alle pendici dello Spazzavento, una collina alla cui sommità c’ è il Mausoleo di Malaparte ed era allora utilizzata come Presidio geriatrico per pazienti non autosufficienti con gravi deficit mentali, demenza senile non associata a gravi problematiche.
Era stata scelta sia per la bellezza degli spazi interni con soffitti affrescati con scene mitologiche, grottesche e decorazioni tipicamente rinascimentali, che servirono per i titoli di testa sia per la presenza, che si avverte poi nel sonoro, dei pazienti: furono utilizzati essenzialmente gli spazi a disposizione del pubblico esterno ed anche gli operatori sanitari collaborarono ad aiutare Andrea e la troupe, prestando sia i costumi (camici da lavoro) necessari nelle scene sia se stessi, interpretandosi.

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La sceneggiatura era stata costruita con modalità molto aperte e questo permise di cogliere anche qualche occasione e di portare a soluzione taluni errori.
Sempre a Villa Filicaia per la scena finale Andrea aveva preparato una sistola con un ampio soffione terminale e stava sistemando all’esterno le luci insieme all’operatore e ad alcuni allievi all’altezza di una delle finestre al di là del quale l’alter ego del protagonista doveva essere estasiato in contemplazione di un oggetto particolare, un feticcio: seduto in posizione fetale illuminata da un raggio di sole artificiale.

Mentre si andava allestendo la scena, Andrea si accorse che stava sopravvenendo un temporale. Avrebbero dovuto girare una scena di pioggia, ma sapevano per esperienza che non potevano bastare due goccioline la cui direzione peraltro non avrebbero potuto guidare.
E si prepararono a girare la scena con la “pioggia” artificiale. Cominciarono anche a girare qualche prova e poi ne approntarono la registrazione. “Fortuna iuvat audaces”, ma non solo gli audaci, anche le persone normali come Andrea ed i suoi amici si accorsero di avere acceso la telecamera proprio mentre un fulmine ravvicinato fu accompagnato da un potente tuono. Non pioveva ancora ma decisero di rientrare, perché le nuvole si addensavano proprio sulle loro teste e di lì a poco mentre erano dentro (avevano riportato dentro anche i punti luce allestiti, pensando al “dopo” la tempesta) si scatenò l’inferno meteorologico con una pioggia violenta che andava proprio nella direzione che loro volevano tamburellando sulle vetrate e scorrendo sulle foglie degli alberi. Sistemarono la telecamera e ripresero la scena che subito dopo si illuminò intensamente e naturalmente con la forza di un raggio di sole che sgomitava tra le nuvole creando un’atmosfera naturale e più realistica, proprio perché fondamentalmente e veramente tale.

La storia che dovevano narrare attraverso le immagini si riferiva ad un caso psichiatrico di tricofilia ed il personaggio principale doveva trovare una ciocca di capelli ricca di misteri all’interno di una vecchia specchiera. Egli aveva una straordinaria passione per gli “oggetti” già vissuti perchè da questi promanavano storie misteriose ricche di un fascino particolarmente erotico.
“Le mani che avevano accarezzato quella cassettiera; il collo sul quale si era con leggerezza e grazia appoggiato quel collier, il polso intorno al quale era stato inserito quell’altro bracciale” e la sua fantasia lo trasportava in un sogno emotivamente coinvolgente ed estatico.
Andrea doveva per l’appunto ricercare un mobile, forse ne occorreva anche più di uno per le diverse scenografie. E allora si rivolse ad un amico falegname, ma anche restauratore ed esperto di mobili antichi, uno di quegli artigiani di un tempo che non aveva però la “puzza al naso”, cioè che non si atteggiava a super-esperto, quelli che peraltro poi di fronte a richieste come quelle che avrebbe rivolto loro Andrea, non si sarebbero tirati indietro dall’alzare il prezzo, facendosi pagare le loro “arie”!

E non c’erano molte risorse da utilizzare.
Filippo Citarella si pose a completa disposizione. Prestò alcuni mobili alla troupe e se stesso per uno straordinario “cameo” davvero impagabile. Le scarse risorse implicavano peraltro che Andrea e i ragazzi trasportassero i mobili piuttosto pesanti ed ingombranti con mezzi di fortuna e poi li sollevassero a mano attraverso ingressi e scale anguste senza rovinarli e senza fare danni, ma il risultato finale ha dell’incredibile, soprattutto quando all’interno di una strettissima casa-torre alcuni di questi oggetti contribuiscono alla creazione di un’atmosfera surreale di un pessimismo mortale incombente che riporta alla mente alcuni versi da “Spleen” di Baudelaire.

Quand le ciel bas et lourd pèse comme un couvercle
Sur l’esprit gémissant en proie aux longs ennuis,
Et que de l’horizon embrassant tout le cercle
II nous verse un jour noir plus triste que les nuits;
Quand la terre est changée en un cachot humide,
Où l’Espérance, comme une chauve-souris,
S’en va battant les murs de son aile timide
Et se cognant la tête à des plafonds pourris;
Quand la pluie étalant ses immenses traînées
D’une vaste prison imite les barreaux,
Et qu’un peuple muet d’infâmes araignées
Vient tendre ses filets au fond de nos cerveaux,
Des cloches tout à coup sautent avec furie
Et lancent vers le ciel un affreux hurlement,
Ainsi que des esprits errants et sans patrie
Qui se mettent à geindre opiniâtrement.
— Et de longs corbillards, sans tambours ni musique,
Défilent lentement dans mon âme; l’Espoir,
Vaincu, pleure, et l’Angoisse atroce, despotique,
Sur mon crâne incliné plante son drapeau noir.

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….Dopo il “primo ciak” i ragazzi si adattarono al comportamento imposto dalle circostanze e costituirono un gruppo nel quale ciascuno aveva un ruolo, una funzione da svolgere.
Nella villa Rucellai, concessa totalmente dalla famiglia Piqué, Andrea un ricevimento nel corso del quale si evidenzia la personalità decadente del protagonista. Gli ambienti austeri aiutano non poco a stabilire questo rapporto con la particolare sensibilità del personaggio, che tende a sfuggire i luoghi frequentati dai suoi coetanei ed a vivere esistenze parallele fuori dal suo tempo. Anche i tramonti occasionali ripresi con l’accompagnamento di panorami tardo-romantici col sottofondo di “Hyperborea” dei Tangerine Dream tendono ad accrescere il senso di precarietà nell’eternità della vita che venendo da un misterioso affascinante passato si proietta verso un futuro di interrogativi e di incertezze.

Andrea non è diventato un grande regista ma ha continuato ad impegnarsi nella gestione dei gruppi.

PRIMO CIAK – fine

GLI ESAMI NON FINIRANNO MAI (altre doleances)

GLI ESAMI NON FINIRANNO MAI (altre doleances)

Il mio “cahier de doleances” non finisce qui e continuerò a scrivere anche di questioni positive, riferendomi a quel che è avvenuto nelle Commissioni che ho presieduto nel corso di questi anni, non perché siano esemplari ma perché ne conosco dettagliatamente le caratteristiche:  tra l’altro,  ho sempre pensato che  compito del Presidente dovesse essere quello di rendere sereno il dialogo tra educatori ed allievi e che non è certamente con domande alla “Rischiatutto” che si riesca ad acquisire  il merito della qualità della preparazione e del conseguimento di un metodo di studio propedeutico a quello successivo.

E poi cosa dire di quei docenti che, mentre lo studente è impegnato ad esporre spesso con fatica le sue conoscenze, leggono il giornale oppure intrattengono grandi chiacchierate tra loro ed a volte, quel che è ancora peggio, intervengono in modo scortese. Non capita spesso, ma segnalazioni di tal genere mi sono pervenute e da parte di persone di cui non posso che fidarmi. E la cosa più grave è che sono gli “interni” ad infierire di più sui loro allievi.

Bisogna tener presente che, come per gli studenti, anche per i docenti l’Esame di Stato è il “terminale” di un percorso, individuale e collettivo, e dunque quel che si raccoglie tra fine giugno ed inizio luglio è anche il “frutto” di tutto quanto “coltivato” in quel lasso di tempo: e così si può annotare, attraverso i comportamenti quanto valgano sia gli studenti che i docenti e di quale “pasta” siano composti. Mi permetto di suggerire che, di tanto in tanto, i docenti siano sottoposti a visite che non siano soltanto riferite alla teoria ed alla preparazione di base (il “nozionismo” vituperabile) ma anche alla capacità di “insegnare” cioè “trasmettere con passione” le proprie conoscenze e che le “valutazioni” vengano redatte da una Commissione “esterna” all’ambiente scolastico, nella quale però non vi siano “conflitti di interessi” (né allievi né genitori né docenti). Capisco bene che la mia proposta sembra essere riferita a dei “marziani”, soprattutto sapendo che viviamo in un Paese che non è mai diventato “normale”.

Siate certi che l’unico obiettivo che mi pongo, quello prioritario – si intenda –, è la difesa della dignità degli studenti, ai quali “inevitabilmente” dovremo lasciare il futuro che è sempre meno “nostro” e sempre più “il loro”. Non è giusto che l’Esame divenga un “calvario” nel quale alcuni docenti trasferiscono le loro ubbie, le loro frustrazioni, le gelosie, le invidie ed anche l’ansia di dover mostrare la loro enciclopedica preparazione. Ritengo che la maggiore responsabilità sia di chi deve controllare, ed in primo luogo – come ho avviato a dire – dei Presidenti. Poi ci sono i membri interni che a volte colgono l’occasione per togliersi sassolini dalle loro scarpe sia sotto forma di rivincita verso colleghi sia di rivalsa dispettosa verso i loro allievi con i quali a tutta evidenza non sono riusciti a creare la necessaria empatia didattica-educativa: anzi, a volte, sono mal disposti nei loro confronti e mostrano cattiverie indicibili, offendendoli prima, durante e dopo il colloquio.  E poi ci sono gli organismi ispettivi ministeriali a tutti i livelli, che andrebbero coinvolti.

Lancio una proposta alle organizzazioni studentesche nazionali: chiedano di costituire in ogni scuola un nucleo semmai formata da studenti “esterni” che, durante il corso degli Esami di Stato, che sono “pubblici” e dunque non possono avere margini di segretezza, sia delegato ad ascoltare eventuali recriminazioni rispetto alla corretta applicazione della legge che regola la conduzione degli esami.

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