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LE MIE PASSIONI

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LE MIE PASSIONI

Tra le mie “passioni” oltre alla Politica c’è lo Spettacolo (dal Cinema al Teatro) che ho praticato in molti sensi e di cui mi nutro costantemente. “Nutrirsi”, care amiche e cari amici, non è solo una necessità fisiologica, come qualcuno ha voluto sottolineare.
In questi mesi di “lockdown” condizionato, riconoscendo che potevo ritenermi tra quelli più fortunati anche se la preoccupazione di un futuro complicato soprattutto per quelli che verranno non mi ha mai abbandonato (ho 73 anni ed in ogni modo non sono “nel mezzo del cammin” ma molto oltre), non ho mai tralasciato di dedicarmi alle mie “passioni”. Tanto è che non appena siamo “emersi”, non appena ne abbiamo avuta la possibilità, il primo pensiero è stato l’ascolto del “grido di dolore” che emergeva da una delle parti più messe in difficoltà dalla crisi: il mondo dello “spettacolo”. Con il quale, anche passati gli anni dei miei impegni “diretti” in Filodrammatiche universitarie e Collettivi (fine anni Sessanta-metà anni Settanta) ed in produzioni videocinematografiche (anni Ottanta, metà anni Novanta), non ho mai staccato del tutto (noto è il mio impegno in Altroteatro di Antonello Nave).
La passione per il Cinema che mi ha portato anche a cimentarmi come scrittore e regista, abbinata alla mia principale attività professionale come docente di Italiano e Storia in un Istituto Tecnico Commerciale, il “Dagomari” di Prato, mi ha spinto a privilegiare una ricerca costante sulle “motivazioni” che hanno spinto gli Autori cinematografici ad intraprendere quel tipo di impegno. Ecco quindi la ragione per cui, già negli anni scorsi, ho prodotto dei Powerpoint dedicati a pochi autori, quelli che ho più amato, forse proprio per una certa consonanza esistenziale che avevo riscoperto comune in loro.
Sul mio account di Facebook, sulla mia pagina e sul mio Blog, dal 25 marzo ad oggi ho presentato in modo secco “non professorale” le “prime opere” di 66 autori e ne sono pronti altrettanti. Indubbiamente credo di poter elaborare dei percorsi per costruire un discorso più ampio; sto provando a metterlo in cantiere.

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Allo stesso tempo, attratto dai grandi interpreti e memore di una ricerca molto attenta pubblicata nel 1981 dalla casa editrice “La Casa Usher” dal titolo “Divi & Divine” a cura di Davide Turconi e Antonio Sacchi, dal primo giorno di Maggio ho rivolto la mia attenzione al mondo del “divismo” cinematografico.

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E, poi, un ultimo blocco quotidiano in questo periodo di “insegnamento a distanza” l’ho voluto dedicare (anche se è la prima volta che lo scrivo) agli studenti costretti dalla pandemia a preparare “a distanza” esami di Stato o in ogni caso tesine da impostare. “Cinema e letteratura” mette a disposizione opere cinematografiche la cui sceneggiatura è ricavata – o a volte ispirata – da testi fondamentali della letteratura mondiale. Per ora, avendo iniziato il 15 maggio ne ho postati solo 14, ma ne ho in preparazione molte di più.
Contemporaneamente sul mio Blog (sull’account e sulla Pagina Facebook) sto scrivendo una “Storia minima cronologica” del Cinema (il 23 aprile la prima parte; la seconda il 26 dello stesso mese; il 2, l’8 e il 16 maggio la terza, quarta e quinta parte).
Non ho mai pensato di utilizzare i “social” per cimentarmi in diatribe molto spesso di basso livello: lo ribadisco, intendo esercitare la memoria partendo dalle esperienze dirette che ho fatto.
Joshua Madalon

L’ASSENZA DI UNA VISIONE COMPLESSIVA GENERA ULTERIORI DANNI ACUENDO LA CRISI – L’assenza di un progetto di decentramento

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L’ASSENZA DI UNA VISIONE COMPLESSIVA GENERA ULTERIORI DANNI ACUENDO LA CRISI – L’assenza di un progetto di decentramento

Uno dei bersagli contro cui ci si scaglia nelle ultime ore sono i protagonisti delle “movide”. Mi va un po’ stretta questa “indicazione” per sottolineare il bisogno di tanti – e di tutte le età – di poter venir fuori dal chiuso delle asfittiche stanze e respirare semmai a pieni polmoni (che è il massimo per poter sbeffeggiare il malèfico “virus”) l’aria buona degli spazi aperti. Anche perché poi non sono gli spazi “aperti” ad essere utilizzati ma locali angusti e stradine strette del centro storico, rese ancora più tali dall’afflusso unidirezionale delle masse e dalla scarsa capacità imprenditoriale di tanti che, di fronte alle difficoltà, hanno dovuto alzare bandiera bianca, chiudendo i loro esercizi commerciali. Per cui sta accadendo che nelle ore tarde della sera e fino a notte vi sia una eccessiva concentrazione in poche zone, e soprattutto nel “centro storico”. Era così già prima della pandemia. E non era facile dover sgomitare tra la folla, quando vi ci si trovava a passare, dopo qualche riunione o per aver assistito a spettacoli teatrali e cinematografici.
Bisognerebbe in primo luogo rendersi conto una buona volta che dire “Tutto andrà bene” non significhi che “Tutto sarà come prima”. Anche se è dura spiegarlo; ma è il compito di chi amministra le Regioni e le Città e di chi governa il Paese il dover essere chiari anche quando ciò che si va a dire può non essere piacevole. E sarebbe una ottima cosa, se – prima di annunciare delle scelte – i nostri amministratori mettessero in funzione le sinapsi. A Prato, dove vivo, il Sindaco ha voluto incoraggiare la ripresa, preoccupandosi in maniera esclusiva del “Centro storico” con la proposta di concessioni di spazi e chiusura per quattro giorni su sette, nelle ore serali, di una larga parte del territorio “centrale”. Buttata là, l’idea è stata abbracciata dai difensori dell’allargamento della ZTL, sostenitori di una idea che può funzionare se ad usufruirne fossero in primo luogo i suoi abitanti e non le masse indistinte non sempre rispettose e ben educate. L’idea avrebbe potutto essere accettabile se a sostanziarla fossero state chiamate tutte le categorie professionali, a partire ad esempio da quelle collegate al mondo dell’arte e dello spettacolo che stanno ancora oggi attendendo segnali concreti da parte del Governo e degli amministratori locali. Ritorno a due mie “fissazioni”, una recente che è quella della “complessità” di cui non si vede traccia nelle azioni amministrative anche di Biffoni; la seconda è quella del “decentramento”, una mia antica ubbìa, un punto di riferimento costante nella mia vita politica.
Una scelta che facesse perno soprattutto sulla “centralità” degli interventi potrebbe rivelarsi pericolosa, ben al di là dei problemi sanitari. Impoverirebbe le periferie ed accrescerebbe una forma di cultura rivolta essenzialmente al consumismo esasperato, rendendo più arido il panorama culturale. Una notazione “a margine” della mia antica fisima: probabilmente tutto sarebbe stato “migliore” in questa città se le Circoscrizioni fossero state mantenute in piedi. E sarebbe stata – e sarebbe – ottima cosa se se ne riparlasse all’interno di questi nuovi bisogni.

Trovo che sia miope ed incapace una visione così ristretta della realtà, quella vecchia e quella nuova che potrebbe essere – e forse lo è già – ben peggiore della precedente. Sarebbe opportuno aprirsi a valutazioni complessive che d’altra parte nelle chiacchiere scritte sui “programmi politici” erano molto presenti. Rilanciare gli spazi delle periferie potrebbe garantire una migliore “convalescenza” per tutti. E già, non lo dimentichiamo: abbiamo ancora bisogno di mantenere alta la guardia.

Joshua Madalon

L’UOMO E’ CIO’ CHE MANGIA – LA CULTURA E’ IL NUTRIMENTO DELL’ANIMA per cui SE SIAMO COSI’ ( MESSI MALE ) E’ PERCHE’ NON ABBIAMO NUTRITO LA NOSTRA ANIMA

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(l’illustrazione è di Roberta Oriano, Illustratrice di altissima sensibilità)

L’UOMO E’ CIO’ CHE MANGIA – LA CULTURA E’ IL NUTRIMENTO DELL’ANIMA per cui SE SIAMO COSI’ ( MESSI MALE ) E’ PERCHE’ NON ABBIAMO NUTRITO LA NOSTRA ANIMA

Parlavo di “complessità” l’altro giorno e d’altra parte è una sorta di “uovo di Colombo” un inno al Lapalisse doversi rendere conto che siamo di fronte ad un marasma, una confusione indescrivibile, un vero e proprio “caos” dopo mesi di profonde “turbative” reali, frutto di ricerche serie, o indotte attraverso le fin troppe fake fatte circolare su basi di credibilità. Abbiamo straparlato di diritti violati, ma forse dobbiamo ringraziare, noi che non siamo stati per ora colpiti dal virus, la responsabilità di tanti che hanno saputo rinunciare ad un pezzo di libertà per il bene collettivo. Abbiamo dovuto ascoltare elucubrazioni politiche insensate che non hanno avuto il merito di contribuire realmente a migliorare la nostra situazione economica: questo è accaduto a livello nazionale dove la scelta da parte delle opposizioni di Destra è stata quella di frapporre un vero e proprio muro. Questa è la dimostrazione del livello culturale del nostro quadro politico, in primis quello conservatore e reazionario, falsamente democratico. Aggiungevo nell’altro post che quel livello culturale è purtroppo la cartina di tornasole di una gran parte della nostra società, ripiegata su se stessa non solo per colpa della crisi pandemica ma soprattutto per una carenza di conoscenza ed istruzione, tout court di “Cultura”. E’ ovvio che non sia facile auto-riconoscersi come bisognosi non solo di aiuti e sostegni economici ma anche di una rialfabetizzazione democratica, capace di affrontare i disagi in modo solidale e cooperante.
Occorrerebbe però mettere a confronto con altri, semmai esperti di Antropologia, quel che io affermo sulla base di una conoscenza pluriennnale dei livelli scolastici sempre più attaccati da evasione ed abbandono scolastico, quella “mortalità” scolastica di cui il nostro Paese, dopo un periodo di ripresa negli anni Settanta con i corsi delle 150 ore e dell’Educazione degli Adulti diffusi su tutto il territorio, ha sempre più sofferto, perchè c’è un dato strano che riguarda uno dei Paesi europei che in tema di “Accesso e partecipazione alla Cultura” sta peggio di noi ma esprime – a livello governativo – dal punto di vista della solidarietà e dell’apertura mentale – un vero e proprio “faro nella notte buia e tempestosa”. Si tratta del Portogallo, dove, all’apertura della pandemia ci si è impegnati ad “Assicurare l’accesso ai cittadini migranti alla salute, alla sicurezza sociale e alla stabilità occupazionale e abitativa” riconoscendo che questo fosse “ un dovere di una società solidale in tempi di crisi”. Sono state queste le parole espresse lo scorso 28 marzo da Eduardo Cabrita, ministro dell’Interno del Portogallo.
Ma non è finita qui; pochi giorni or sono il leader dell’opposizione lusitano, Rui Rio, è intervenuto in un dibattito parlamentare che aveva come tema la ricerca di affrontare al meglio la crisi economica indotta dalla pandemia ed ha profferito le seguenti parole: “Abbiamo una minaccia da combattere e questo esige unità. In questa lotta il Governo non è un avversario, è il Governo del Portogallo e tutti dobbiamo aiutarci in questo momento.”

https://www.facebook.com/watch/?v=1037295706669588

In Italia però non è che manchi soltanto all’Opposizione (che in questo momento è la Destra) la capacità di comprendere la “complessità”. Lo stesso Governo, che avrebbe bisogno di essere sostenuto – in questo periodo – dagli altri, non è in grado di procedere in modo adeguato. E non solo il Governo del Paese ha questo “gap”; sono anche le Regioni e le città in preda all’ansia di primeggiare con scelte assurde e non meditate, frutto di “isteria” congenita. Ne ri-parleremo. Necessariamente.

Joshua Madalon

PROGETTO DI ATTIVITA’ dell’ UCCA Prato Firenze martedì 23 aprile 1985 – seconda parte (per la prima vedi il 14 maggio)

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PROGETTO DI ATTIVITA’ dell’ UCCA Prato Firenze martedì 23 aprile 1985 – seconda parte

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Il Congresso Nazionale di San Miniato certamente passerà alla storia per avere espresso l’intenzione di operare un profondo rinnovamento nell’apparato direttivo, adeguanfolo al corrispondente adeguamento emerso nella nostra società, e di estendere l’intervento dell’UCCA, con una maggiore attenzione, al sistema di realizzazione elettronica, riconoscendo inoltre che il corpo sociale si era fondamentalmente trasformato e non si poteva più fare esclusivo riferimento al vecchio Circolo di Cultura Cinematografica (UCCA senza puntini non significa più Unione dei Circoli Cinematografici dell’ARCI, ma è comunque una sigla che permane per consolidato storico ed affettivo), nè essenzialmente al vecchio tipo di sala, seppure “d’essai”.
Anche lo spettatore e l’operatore culturale hanno assunto in questi ultimi anni caratteristiche molto diverse, i primi diventando più esigenti e rivendicando molto aspesso un ruolo sempre meno passivo, i secondi organizzandosi in società, in cooperative per poter corrispondere sempre meglio alle richieste ed alle necessità del mercato ed anche per poter intervenire in maniera più diffusa sul territorio. E così dal vecchio tipo di sala unica e grande si è passati alla concezione di sale multiple anche se piccole, con l’uso non contemporaneo di più mezzi in sale diversificate a seconda del loro utilizzo (cinema – sala video – bar – ristorante – sale giochi etc…).
Nella realtà toscana il vecchio, anche se costantemente sospinto dal nuovo, resiste e nella maggior parte del territorio ancora predomina: quasi inesistente per ora il fenomeno delle multi mini sale, così come mancano strutture destinate specificatamente all’ “elettronico”; qualche novità la si ritrova nell’organizzazione degli operatori culturali in cooperative di gestione e di servizio.
E’ in questa realtà che va inserita la nostra proposta che, a parer mio, non poteva e non doveva partire da un allargamento precostituito dell’organismo dirigente (direttivo e coordinamento: si ricorderà che nell’assemblea di Prato ci fu un acceso dibattito su questo aspetto), anche se la riduzione di questo a cinque elementi è apparsa di fatto eccessiva ed ha visto spesso i lavori del Coordinamento in qualche difficoltà.
D’altronde un allargamento del Coordinamento in quella occasione creato, a mio modeto modo di vedere, difficoltà diverse e più complesse da gestire, dovendo procedere più che altro in questo periodo ad un inventario della realtà toscana e ad un’analisi dei problemi. Ritengo comunque che la proposta che faremo oggi debba servire ad un successivo – anche se possibilmente ravvicinato – ampliamento dell’organismo direttivo che peraltro è già stato avviato formalmente con una prima verifica sulla disponibilità effettiva alla partecipazione dei vari compagni che deve essere poi vagliata con attenta serietà, pur garantendo in ogni caso che si mantenga un contatto politico e culturale – anche molto diretto e costante – con le realtà più decentrate della Regione, che hanno oggettivamente più problemi a partecipare agli incontri che si svolgono a Firenze.
D’altra parte, occorrerà meglio delineare quello che deve essere il ruolo di questo organismo, i cui membri sono chiamati a rappresentare istanze dai contorni ben precisati e ad avere caratteristiche che li facciano sentire e rendano responsabili di settori particolari.

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UN MIO AMPIO INTERVENTO quinta parte (per la quarta parte vedi 19 maggio 2020)

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UN MIO AMPIO INTERVENTO quinta parte (per la quarta parte vedi 19 maggio 2020)

20 OTTOBRE 1995 (nell’aprile del 1995 ero entrato a far parte del Consiglio Comunale di Prato ed ero membro della Commissione Cultura e coordinatore della Commissione Scuola e Cultura del PDS provinciale; la legislatura in corso era la prima con la quale applicavamo la legge 142. 8 giugno 1990, quella intitolata Ordinamento delle autonomie locali che rivedeva nel profondo le prerogative del Consiglio e del Sindaco).

5.

C’è in ogni caso qualche segnale positivo di risveglio negli ultimi giorni, e questo ci conforta.
Ma altri problemi che attengono al mondo culturale, nel senso più vasto del termine, ci preoccupano. Non ultima la questione ambientale con le scelte decisive relative allo smaltimento dei rifiuti. E’ necessario, dopo aver assunto impegni nella maggioranza (e questo è formalmente in parte già avvenuto) fornire le dovute garanzie alla popolazione, trattando, nel limite delle possibilità anche vantaggiose contropartite.
In ogni caso bisogna dire a qualche alleato di governo che non si può sottoscrivere un accordo e recedervi in meno di 24 ore per puri calcoli personali o per amene bizzarrie.
Si può essere ambientalisti in una realtà come la nostra costruendo uno o più impianti, garantendone tuttavia lo stretto controllo quanto ad impatto ambientale e verificando oculatamente già in anticipo costi e ricavi non solo di tipo economico.
Non è neanche trascurabile il problema generale dei giovani, le ragioni del cui disagio sono complessivamente assenti dalle nostre analisi politiche, mentre dedichiamo più tempo ed energie ad altri argomenti più tattici e solo in apparenza più urgenti; senza affrontare le questioni si creano così sorprendenti miscele esplosive che si evidenziano in atteggiamenti di frustrazione, di violenza, di nichilismo, in scelte complessivamente negative (alcool, droga, superstizione, ecc…) dalle quali è molto difficile tornare indietroe che determinano un generale disorientamento nella società che, incapace di affrontare i problemi, si avvia a sua volta verso forme di frustrazione o, quel che è peggio, di cinismo, creando un circolo vizioso. Occorre, anche nel nostro piccolo, affrontare le questioni della disoccupazione giovanile e dare risposta soprattutto alla richiesta di nuove opportunità, connesse in particolare al settore della cultura, dell’ambiente, del turismo e del tempo libero.
In questa direzione mi è apparsa personalmente molto interessante la scelta della General Video e di Cecchi Gori di impiantare a Prato un’attività avanzata di produzioni video, particolarmente nel settore didattico. Allo stesso modo e nella stessa direzione è stato indicativo qualche tempo l’intervento della Casa Editrice Giunti.
Tantissimi altri problemi attendono una soluzione e fanno di Prato un’isola non del tutto felice: dai problemi della casa a quelli sociali, che sono in attesa anche di una scelta di tipo istituzionale forte che garantisca il proseguimento del lavoro che era stato avviato in particolare nella passata legislatura.
Sarebbero veramente tante le questioni checoncernono le problematiche culturali, e non ci sarebbe il tempo per elencarle ed esporle tutte, figuriamoci per analizzarle! Un altro argomento che tuttavia ci coinvolgerà pienamente e ci costringerà a discutere sin dalle prossime settimane sarà il Piano Regolatore Generale. Noi tutti sappiamo quale importanza rivesta per la nostra città e quanta importanza vi ripongano in ogni senso numerose categorie professionali (più che gli stessi politici ed amministratori nel loro complesso).

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su “La pelle e l’anima” – Astruc, Bazin, Chabrol, Godard, Rivette, Rohmer, Truffaut Intorno alla Nouvelle Vague

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su “La pelle e l’anima” – Astruc, Bazin, Chabrol, Godard, Rivette, Rohmer, Truffaut
Intorno alla Nouvelle Vague

Una delle mie passioni cinematografiche è stata quella per la Nouvelle Vague, il Free Cinema ed il Nuovo Cinema Tedesco. Da giovane, la mia voglia di indagare, scoprire, essere disponibile alla contestazione ma attento anche alla riflessione, mi spinse verso i movimenti cinematografici giovanili e sperimentali, ma anche narrativi. E fu così che mi accostai al cinema di Truffaut e Godard, a quello di Lindsay Anderson e di Karel Reisz fino a Wenders, Herzog e Fassbinder. La passione si affinò nel periodo “feltrino” a contatto con alcuni studiosi del Cinema, dal collezionista cinefilo Carlo Montanaro al prof. Antonio Costa alla docente di Cinema Cristina Bragaglia ai critici cinematografici come Maurizio Grande, Leonardo Quaresima e Giovanna Grignaffini, che avevano appena contribuito in prima fila alla redazione della “Storia del Cinema” a cura di Adelio Ferrero per la Marsilio Editori.
Una volta trasferito in Toscana alla fine del 1982, tra Prato, Firenze ed Empoli proseguii a coltivare la mia passione.
Alcuni aspetti della mia presenza a Prato in quei primi anni sono già stati oggetto di analisi su questo Blog (il lavoro nell’ARCI, l’attività cinefila nell’UCCA, la fondazione del Cinema “Terminale”). Oggi credo sia molto importante ricordare l’attività del Cinema d’essai ad Empoli svolta con il compagno cinefilo, conosciuto alle varie edizioni del Festival del Cinema di Venezia negli anni precedenti, Jaurés Baldeschi. Accanto all’Unicoop di Empoli c’era uno spazio Cinema. Era non molto lontano dalla sede dell’Istituto (il Tecnico Commerciale “Enrico Fermi”) nel quale insegnavo ed infatti nelle ore libere, prima o dopo le lezioni, mi trattenevo tra l’Unicoop e la Biblioteca Comunale, dove lavorava sia Baldeschi sia Franco Neri, che ne era il Direttore (Franco poi è stato per lungo tempo alla “Lazzerini” di Prato con lo stesso incarico), ed insieme ad altri amministratori comunali e membri del Cineclub Unicoop si organizzavano inziative culturali, una delle quali peraltro produsse anche un volume preziosissimo di materiali critici cinematografici. Di questo intendo da oggi per qualche giorno attraverso più post trattare. Il tema che trattammo fu proprio la Nouvelle Vague. L’esperta di quel periodo era Giovanna Grignaffini. La contattai e la coinvolsi.
Nella parte organizzativa, insieme al citato Baldeschi, che è tuttora molto attivo sempre nell’ambito della cultura cinematografica in quel di Castefiorentino, a Bruno Berti, un medico appassionato di Cinema, e Giulio Marlia, che ha continuato ad occuparsi di Cinema come docente a Pisa, ebbi un ruolo primario (d’altra parte ero responsabile regionale dell’UCCA e membro nazionale del direttivo dello stesso organismo); non potetti essere molto partecipe nella parte finale del progetto, poichè in quelle settimane si annunciò la nascita di mia figlia Lavinia, che avvenne l’8 gennaio, e mi impegnò notevolmente nelle settimane decisive.
Su indicazione di Giovanna Grignaffini trovammo molto centrato il titolo della Rassegna “Verso la Nouvelle Vague”: l’intento era infatti di ricostruire la genesi cinefila che aveva prodotto la passione dei protagonisti di quel periodo, nata – quella passione – accrescendo la sua Cultura tra i locali cinematografici ed alcune riviste, una su tutte i “Cahiers du Cinéma” di André Bazin, suo protettore e mentore.
E, come già scritto sopra, cooperammo nella composizione di un libro denso di materiali di prima mano appositamente tradotti per la prima volta: “La pelle e l’anima – Intorno alla Nouvelle Vague”.

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“PACE E DIRITTI UMANI” un intervento di Giuseppe Panella in suo ricordo quattordicesima parte (per 13a vedi 12 maggio)

“PACE E DIRITTI UMANI” un intervento di Giuseppe Panella in suo ricordo quattordicesima parte (per 13a vedi 12 maggio)

PACE E DIRITTI UMANI

XIV
Riprende la parola il coordinatore, prof. Giuseppe Maddaluno:
Bene, ringraziamo Giuseppe Panella per la sua disamina lucida, significativa e stimolante; e mentre il Professor Panella interveniva avete visto che sono arrivate anche l’Assessore alla Pubblica Istruzione della Provincia, Gerardina Cardillo, la Professoressa Anna Agostini del Provveditorato agli Studi e la signora Liviana Livi di Amnesty International. Vedo, proprio mentre stavo cominciando a parlare, vedo anche il Vice Presidente del Pecci, che avevo annunciato in precedenza, il Professor Attilio Maltinti; prego vieni, sì, intanto poiché fra qualche minuto inizierà la seduta solenne dell’Amministrazione Provinciale, io credo che la prima cosa che dobbiamo fare, addirittura prima di salutarla perché sicuramente potrebbe essere anche in ritardo è quella di passare la parola a Gerardina Cardillo, Vice Presidente dell’Amministrazione Provinciale di Prato. Grazie.
Parla la Signora Gerardina Cardillo:
Grazie, a me sarebbe piaciuto rimanere da ora in poi anche perché molto probabilmente si ptrà stabilire un dialogo, un confronto tra i giovani che sono presenti qui in questo Auditorium e naturalmente soprattutto con chi è dall’altra parte di questo tavolo. C’è la seduta del Consiglio Provinciale sempre dedicata a questo tema e che rientra nel programma della Festa della Toscana e quindi dovrò purtroppo necessariamente lasciarvi. Ma prima di lasciarvi vorrei fare soltanto alcune brevi considerazion. Il professor Panella ci ha fatto una lezione puntuale, precisa e ricca di riferimenti storici e non solo. Io voglio dire solo questo, ricordare solo questo. Leopoldo abolì la pena di morte, suo fratello abolì nello stesso periodo la pena di morte in Austria: successivamente sappiamo che fu reintrodotta e voglio ricordare due episodi, in Toscana, successivamente all’abolizione. Non so se il professor Panella lo ha già ricordato, ci furono due esecuzioni, una a Firenze ed una a Livorno; ci fu la rivolta delle popolazioni e allora l’abolizione della pena di mortela colleghiamo a degli illuminati, Leopoldo e Giuseppe, ma dobbiamo sicuramente invece ricordare che il popolo della Toscana e soprattutto visto che quelle due esecuzioni avvennero a Firenze e Livorno, quei cittadini proprio di Firenze e di Livorno, quei “toscani” avevano maturato una coscienza civile, erano convinti del no alla pena di morte, e questo va sottolineato. Ecco, se accanto a tutti quei nomi ch giustamente Panella metteva in evidenza: Leopoldo, Giuseppe, Beccaria, e tutti gli altri grandi personaggi che costituiscono sicuramente un grande riferimento, noi in Toscana possiamo aggiungere con orgoglio la nostra gente e dobbiamo ricordarlo.
Ora, permettetemi, sempre andando per brevi flash significativi, di riflettere sul perché ricordiamo quegli eventi e sul perchè diamo tanta importanza ad un qualcosa che possiamo considerare acquisita nella nostra realtà, nella nostra Italia, e per fortuna anche in molte altre parti del mondo (anche se sicuramente ci riteniamo impegnati, come lo siamo stati, per l’abolizione della pena di morte anche in altri paesi).
E allora permettetemi di ricordare un altro episodio; non molto tempo fa ho partecipato con alcuni studenti delle scuole medie superiori ad un dibattito, ad un confronto che seguiva la visione di un film “L’albero di Antonia”…………..

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La scuola al tempo del Governo Berlusconi – terza parte (vedi 11 maggio per seconda parte)

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La scuola al tempo del Governo Berlusconi – terza parte

– Un mio intervento sui temi della scuola 1994 (ero responsabile della Commissione Scuola e Cultura del PDS a Prato) – terza parte

E’ un tempo questo, di cui tratto nell’intervento, in cui è in atto una vera e propria trasformazione del quadro politico nazionale –abbiamo governi “quadripartiti” (Giuliano Amato dal 28 giugno 92 al 29 aprile 93) e di unità nazionale (Carlo Azeglio Ciampi 29 aprile 93 – 11 maggio 1994) seguito dal primo Governo Berlusconi che durerà 9 mesi fino al 17 gennaio 1995

Punto c – Il progetto di “autonomia” è fondamentalmente necessario e legato ad esigenze reali: proviene già dalla Finanziaria 94 del Governo Ciampi che aveva poi rinviata l’attuazione con una delega. Si parla di autonomia finanziaria, amministrativa, didattica. La delega è scaduta ed ovviamente non poteva essere rinnovata da un Governo diverso, cosicché è stata riscritta ogni cosa ed è di nuovo in discussione in Commissione al Senato. Sulla questione dell’autonomia vanno dette alcune cose:

1) molti sono stati gli equivoci, molta la disinformazione, per lo più voluta e strumentale; è stato creato un collegamento forzato fra “autonomia” e “privatizzazione”, senza il necessario approfondimento e senza avvertire la necessità, in particolare da parte dei giovani, di avanzare “controproposte”, in cui fossero evidenti e chiare e precise le regole da rispettare, specialmente nella parte finanziaria, collegata ai contributi “esterni”;
2) nell’autonomia amministrativa politica appare troppo pesante il ruolo dei Capi di Istituto, i cosiddetti “presidi-manager” e non è chiaro il loro sistema di reclutamento e di aggiornamento: affidare una scuola nelle mani di alcuni Presidi (penso a figure concrete in carne ed ossa) con questi compiti, con questi poteri è veramente un fatto pericolosissimo; c’è da aggiungere che alcuni Presidi, avveduti e scrupolosi, sono molto critici ed hanno notevoli problemi a vedere amplificare il loro ruolo e le loro responsabilità; 3) appare, proprio per questo strapotere dei presidi, non a caso chiamati “Capi di Istituto”, sempre più evidente il ruolo progressivamente più ridotto degli Organi collegiali, con particolare rilevanza della scarsa presenza degli studenti, che invece farebbero bene a richiedere una maggiore attenzione su questo aspetto, senza ostinarsi a cobattere l’ “autonomia” per quello che non è, ovverosia per la privatizzazione. Non intendo dire che non vi sia questo rischio, ma certamente se il ruolo e la presenza degli studenti negli Organi collegiali (ed il potere, già ridotto, di questi ultimi) venisse ulteriormente a diminuire, la situazione sarebbe davvero molto grave ed irreparabile. Una questione a parte è collegata al mancato decentramento dei poteri.
d) Da qualche giorno c’è sul tavolo della Commissione Cultura e Pubblica Istruzione del Senato anche il progetto di “Riforma”. Noi non possiamo che vedere con piacere che si parla di “innalzamento dell’obbligo” fino ai 16 anni, ma dobbiamo puntare concretamente ad un ulteriore innalzamento fino ai 18 anni. Pur tuttavia dobbiamo rilevare con una certa preoccupazione e sconcerto che al comma 7 dell’art.1 sia consentito l’assolvimento dell’obbligo nell’ambito dei corsi biennali di formazione professionale regionale. Al di là di quelle che possono apparire delle assicurazioni (“rispetto di standard di qualità…”), si deve sottolineare la volontà di questo Governo di distinguere una scuola di serie “A” da una scuola di serie “B”, dove si entra in possesso di una cultura e di una formazione di serie “A” e “B”, relegando i meno abbienti e dotati in un eterno “Limbo”.

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ALCUNI DANNI DERIVATI DALLA PANDEMIA

ALCUNI DANNI DERIVATI DALLA PANDEMIA

E’ a tutta evidenza una rappresentante della buona borghesia “intellettuale”(!!!) del Nord quella “signora”(!) che si dice “chirurga” e che, animata da un grande amore per il prossimo “si dice” essere andata ad aiutare “nei loro paesi (a casa loro)” le tribù africane quando era più giovane; nel suo alto eloquio si scaglia lancia in resta contro quelle giovani (al femminile come il termine che la “signora” utilizza) “senza arte nè parte” (questo lo interpreto io; lei, per l’appunto, dice ben altro) che si permettono di andare ad offrire il loro aiuto senza preoccuparsi dei rischi che corrono. La “signora” in questione rappresenta certamente il pensiero di quanti sentono di appartenere ad una “razza” (termine odioso ma che tenta di interpretare il pensiero espresso) “superiore”, che tutto può, a cui tutto deve essere consentito. Il video che porta alla ribalta questo “essere superiore” intende esplicitare un moto di protesta che coinvolge una di quelle rappresentanti dell’improvvisazione che, incappata in una vicenda drammatica, è riuscita a salvarsi ed a far ritorno in Italia, a casa sua. Si intende in realtà protestare per i modi con cui questo avvenimento si è concluso: grandi festeggiamenti, parata di rappresentanti delle Istituzioni, pagamento (forse) di un riscatto ed una “conversione” all’Islam, che è stata come una “ciliegina amara e velenosa” per tanti buonpensanti.
Le “giovani” che senza arte nè parte vanno verso i Paesi dell’Africa “nera” sono gli obiettivi principali degli strali della “signora”; vien da pensare, e forse non ci si sbaglia, che ben diversa sorte avrebbero avuto “giovani virgulti” anche loro “senza arte nè parte” ma appartenenti al genere “maschile”. Il dubbio è forte e la sensazione è altrettanto alta che si possa trattare di una forma di maschilismo e di riflesso di uno degli aspetti peggiori della mitizzazione della produttività industriale e conomico affaristica “lombarda”. Come diceva un noto uomo politico, “a pensar male spesso ci si azzecca”.
Su questa linea di “ipocrisia spinta” non ha mancato di esercitarsi (ad evitare di perdere l’allenamento) Matteo Salvini. Il nostro – o meglio quello degli altri o il vostro – eroe, intervistato da un giornalista sulla “parata” di politici presenti ad accogliere la giovane cooperante che era stata liberata dai suoi rapitori, ha affermato che “lui, no, non ci sarebbe andato; lui, no, non avrebbe consentito (forse immaginando di interpretare il ruolo di Presidente del Consiglio) che ci fosse tanta partecipazione, lui noooo!”, dimenticando come si comportava quando era Ministro degli Interni, con il suo presenzialismo spinto oltre misura, eccedente addirittura la stessa figura di Primo Ministro.
Comcludo questo mio post, osservando che – in un tempo come questo nel quale dovrebbero emergere in modo più netto le riflessioni, ci ritroviamo di fronte invece ad un fenomeno di regressione civile, che dovrebbe preoccupare. I problemi più forti, “dopo” questo tempo, non saranno quelli sanitari, non saranno quelli economici, ma quelli sociali ed antropologici comportamentali: avremo bisogno di una grande cura se vogliamo risollevare questo mondo che già prima non funzionava a dovere. Il riferimento ad una certa Cultura “meneghina” tiene conto di aspetti che emergono con chiarezza; non vogliono essere una generalizzazione e non lo sono. Indubbiamente si riferiscono ad un “modello” di vita che non appartiene a chi, come me, preferisce vivere una esistenza contemplativa, idealistica, fatta di libertà e ricca di sogni.

Joshua Madalon
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UN MIO AMPIO INTERVENTO ALLA COMMISSIONE CULTURA DEL PDS DI PRATO 20 OTTOBRE 1995 – terza parte (vedi 3 maggio)

Prato

UN MIO AMPIO INTERVENTO ALLA COMMISSIONE CULTURA DEL PDS DI PRATO 20 OTTOBRE 1995 – terza parte (vedi 3 maggio)

20 OTTOBRE 1995 (nell’aprile del 1995 ero entrato a far parte del Consiglio Comunale di Prato ed ero membro della Commissione Cultura e coordinatore della Commissione Scuola e Cultura del PDS provinciale; la legislatura in corso era la prima con la quale applicavamo la legge 142. 8 giugno 1990, quella intitolata Ordinamento delle autonomie locali che rivedeva nel profondo le prerogative del Consiglio e del Sindaco).

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La nostra città ha vissuto negli ultimi quindici anni una serie di mutamenti, messi in evidenza peraltro da alcune indagini scientifiche, quali quella dell’IRIS per il nuovo PRG. Scorrendo quelle pagine, tuttavia, la sensazione è che il punto di riferimento degli studiosi che le hanno redatte sia stato, in primo luogo ed in maniera preponderante, l’imprenditoria pratese nel suo complesso, con qualche accenno numerico alle altre componenti sociali. Io non dispongo di altri dati scientifici ma, per motivi professionali e politici, es essendo un immigrato interno, arrivato a Prato solo alla fine del 1982, ho cercato di essere particolarmente attento a quelle trasformazioni sociali ed ambientali che si possono toccare e vedere direttamente, che si avvertono, che si annusano, si sentono. In questi anni, di fronte ad un processo produttivo dell’industria pratese che ha avuto un notevole sviluppo qualitativo, c’è stato un fortissimo calo del livello culturale generale, misurabile sulla base dei dati che si riferiscono alla bassissima percentuale di laureati ed allo stesso tempo di una elevatissima percentuale di abbandoni scolastici nel post-obbligo, dati che assumono rilevanza notevole nella periferia.
Grande attenzione andrebbe dunque rivolta alle zone periferiche, che appaiono sempre più come quartieri-dormitorio, mentre il centro non riesce nel contempo ad assolvere pienamente, ed anche giustamente perché lì risiedono molte delle principali strutture culturali della città, ad una sua funzione propulsiva e propositiva di carattere positivo sul piano della Cultura.
Molto spesso sono stato invitato negli ultimi anni a guardare in particolare a ciò che in questa città funzionava, a quello che di buono c’era, senza soffermarmi troppo sugli aspetti “negativi”.
Non sono uno stupido, posso anche capire da solo che Prato è, rispetto a tante altre città, molto più avanti; ma il nostro obiettivo, compagne e compagni, almeno fra di noi diciamocelo, è quello di portarla ancora più avanti e, per poterlo fare non possiamo migliorare soltanto ciò che funziona, ma dobbiamo guardare a ciò che funziona, ma dobbiamo guardare a ciò che “non” funziona, anche per un motivo, che è poi molto vicino a quello che enunciavo pocanzi che a Prato da alcuni anni in qua se un miglioramento c’è stato esso è collegato alle alte tecnologie, alla media e grande produzione, all’imprenditoria privata da quella artigiana a quella industriale, ma per gran parte dei ceti medi le difficoltà sono aumentate e nel settore culturale in generale si è speso da parte di tutti sempre meno e sempre peggio. Occorre affermare proprio in riferimento a ciò che appare fuori luogo un certo tipo di lavoro sull’immagine di Prato fatto esclusivamente di luccichii, perché tenderebbe a fornire di essa solo l’aspetto positivo, portando anche molti di noi al convincimento dell’assenza di questioni problematiche che invece continuerebbero a nostro dispetto ad esistere e non troverebbero facile riconoscimento.

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