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TRE MIEI POST di fine agosto 2018 – per capire meglio il nostro presente

TRE MIEI POST di fine agosto 2018 – per capire meglio il nostro presente
(per essere chiari, sono sempre più convinto che il virus del “populismo” abbia contagiato anche la Sinistra)

IL DEGRADO STRUTTURALE DEL POPULISMO e i rischi che corriamo

Non è possibile affrontare i nodi nazionali ed internazionali che il nostro tempo ci presenta senza l’Europa. Lo era già da prima, molto prima; ma oggi, di fronte alle problematiche collegate da una parte ai nazionalismi diffusi e dall’altra alla necessità di fronteggiare emergenze mondiali, è ancora più urgente.

Parto con affermazioni ovvie, perfino banali, per segnalare gli immensi pericoli connessi alla volontà espressa dagli attuali nostri governanti in un contesto peraltro sempre più caratterizzato da una parcellizzazione di egoismi e visioni sovraniste che molto difficilmente potrebbero comprendersi e convergere su una linea comune che non preluda a soluzioni apocalittiche, quelle che con l’idea di Europa che molti dei nostri “padri” hanno costruito abbiamo potuto evitare per più di mezzo secolo.

Tra poco più di un anno l’Europa potrebbe cambiare; sarà ancor più nostra responsabilità indirizzarne gli obiettivi anche alla luce delle esigenze che vengono espresse da una larga parte delle popolazioni. Non sono qui a negare la legittimità di una forza di Governo a pretendere con forza che tutti i Paesi dell’Europa in modo indistinto e secondo un piano condiviso aprano le porte a coloro che fuggono da teatri di miserie e di guerre; rilevo tuttavia che tale richiesta cozza contro le idee di Paesi che altrettanto legittimamente negano l’accoglienza di tali immigrati. L’Europa è in questo senso estremamente disarmata, incapace ed impossibilitata ad agire se non di fronte ad emergenze umanitarie palesi.

Devo dire tuttavia che il nostro Paese pur avendo dimostrato di possedere una grande apertura nell’accoglienza di tantissimi immigrati non è stato in grado di organizzare al proprio interno un progetto di integrazione diffusa. I Governi di Centrodestra e quelli di Centrosinistra che si sono alternati e susseguiti nel corso degli ultimi venti anni non sono stati in grado di educare la popolazione ad accogliere ed integrare positivamente queste masse. Il tutto è peraltro avvenuto con la complicità di linee di politica economica e strutturali che si riferivano a forme neocapitalistiche che hanno progressivamente impoverito i ceti medi, che sono divenuti di riflesso il serbatoio di voti per populisti e sovranisti, diffondendo posizioni razzistiche di rifiuto totale verso gli immigrati. Gravissimi sono stati gli errori del Centrodestra, ma molto di più lo sono stati quelli del Centrosinistra che hanno prodotto sconquassi in particolare nel loro elettorato.

Alla base di tutto c’è stato certamente il rifiuto “organizzato” da parte di numerosi Enti locali afferenti alle Destre che hanno negato l’afflusso di poche unità di immigrati sui loro territori. Davanti a questa pur legittima opposizione si sono verificati concentramenti abnormi in poche realtà soprattutto urbane, anche per questo motivo male organizzate pur in presenza di interventi onerosi che hanno visto in azione numerose cooperative sociali, molte delle quali fondamentalmente inadeguate a svolgere tali ruoli ma ben pronte ad assumerseli. Hanno avuto di certo il loro bel da fare in situazioni di continua emergenza: molto guadagno ma una grande confusione.

E’ evidente che occorrerà continuare a riflettere su questi temi: l’immigrazione non si fermerà per le urla di qualche tribuno locale. Né peraltro è pensabile che basti dire “aiutiamoli a casa loro” per fronteggiarla. Soprattutto perché finora molti di quelli che lo hanno detto lo hanno fatto a loro vantaggio; escludo a tutta evidenza la miriade di persone per bene (ne conosco tantissime) che hanno inteso dedicare parte o tutta la loro vita alla cura di quelle popolazioni.

Ma chi pronuncia di nuovo quella frase è un ipocrita che non tiene conto volontariamente delle connessioni mondiali che stanno ancor più impoverendo quei territori con interventi monocolturali spropositati e depauperamento delle risorse, all’interno di un neocolonialismo perverso. Se non lo sa è un ignorante che non è degno di rappresentare un Paese a livello non solo europeo ma mondiale.

IL DEGRADO STRUTTURALE DEL POPULISMO e i rischi che corriamo – 2

 

 

Il nostro Paese è sull’orlo del tracollo; ne sono responsabili le classi politiche ed economiche che lo hanno governato finora e lo sono altrettanto quelle che si sono assunto il compito di governarlo, costituendo un conciliabolo di nuovo conio eterogeneo ma caratterizzato da una comune rabbia ed intolleranza condite entrambi con forme reazionarie.

Molti sono gli esempi che si possono portare, ma più di tutti vale quello che afferisce al comportamento schizofrenico delle due forze di Governo in relazione ai fatti di Genova.

Se qualcuno sperava in un cambiamento, in un rinnovamento delle pratiche di governo potrebbe avviare un suo ripensamento, se….se avesse ancora un po’ di sale in zucca. Temo che passeranno molti altri errori e sfaceli prima che ci si penta di aver sostenuto questa congerie rozza e volgare. Forse ciò avverrà quando il tracollo si sarà già verificato; speriamo possa essere un attimo, anche solo un attimo, prima.

In tal caso, se dovessimo ripagare i sostenitori dabbene di questo Governo della stessa moneta che ci porgono, non basterebbe un pur salutare “Vaffa!”; anche perché questo giochino rischia di mandare in fallimento l’intera società e servirebbe davvero a ben poco lamentarsi dei danni della Fornero, del Debito Pubblico stratosferico (ridotto con “fake” grazie a….), delle presunte e/o reali ruberie e delle incurie collegate peraltro ad un sistema economico finanziario attraverso il quale sia il Movimento 5 Stelle che la Lega ha potuto usufruire di vantaggi significativi, di cui ora negherebbero l’esistenza.

Tornando a Genova, trovo il comportamento di Di Maio e Salvini non diverso da quelle corna di Berlusconi o quel “culone in….” riservato alla Merkel dallo stesso nostro illustre “statista”, entrambi in sedi ufficiali internazionali. Un Di Maio vice premier e capo politico del M5S dovrebbe ben misurare il proprio eloquio e mantenere il giusto contegno di fronte alla tragedia. Sembra quasi che non ci sia il tempo per riflettere e ci si abbandona all’esternazione; mi ricorda (ma forse lo si è già dimenticato) il Di Maio “furioso” che annunciava a tamburo battente la richiesta di “impeachment” per Mattarella. Ora annuncia “immediatamente” a mercati aperti la revoca della concessione governativa alla Società Autostrade senza un minimo di atteggiamento pietoso verso le vittime.

Un Salvini vice premier e capo politico della Lega che va e viene da Genova, continuando a partecipare ad iniziative festose del Ferragosto, finendo con la ciliegina sulla torta del selfie vanitoso durante i funerali pubblici. Tout le monde lo hanno potuto ammirare. Questo sarebbe il “nuovo”?

Ma, per finire (ed è un the end amaro non solo per me e chi la pensa come me), voglio ricordare a tutti voi che le prospettive che abbiamo davanti non dipendono soltanto dalla irresponsabilità di quelli che c’erano prima ma in modo concatenato come un classico giochino di domino le scelte attuali producono contraccolpi tali da portare anche all’uscita necessitata dall’Europa (screditata giorno dopo giorno con-sa-pe-vol-men-te) e dall’euro. Se si continua ad essere ciechi si finirà con un referendum (non mi si dica che non è previsto; tutto si può fare con le attuali maggioranze parlamentari. Tenendo conto del fatto che i più ricchi e potenti spostano cifre stratosferiche da un paese all’altro con un click, avrà la sua moneta di cambio quel gruppo di “amici” che criticano le scelte sciagurate dei governi passati quando si troverà di fronte a “carta straccia” e come accade oggi in Venezuela ed è avvenuto in Grecia non venga a dirmi che “non l’avevo previsto”.
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IL DEGRADO STRUTTURALE DEL POPULISMO e i rischi che corriamo – 3

Non si esce dalla crisi politica nella quale stiamo vivendo in questi tempi senza aver prodotto una seria e profonda analisi dei motivi per cui a capo del nostro Paese sono arrivate persone che ottengono consensi ampi sulle problematiche tipicamente razziste e xenofobe.

La forza demagogica e populistica di alcune forze politiche ha potuto contare soprattutto sull’ignavia di molti e sull’uso ideologico del pensiero, per così dire “perentorio ed intransigente”. Troppo spesso di fronte ai problemi che venivano a crearsi ed alla conseguente richiesta di interventi che li affrontassero si è prodotta da parte della Sinistra e del Centrosinistra essenzialmente una contrapposizione diseducativa di stampo sciovinista. Quel popolo meno disponibile, per motivi e condizioni molto diversi tra loro, ad intraprendere una discussione, ha avvertito una percezione di abbandono e solitudine; spalleggiato da coloro che per motivi ideologici politici e culturali hanno felicemente accolto questa percezione per scopi spesso molto personali.

Occorrerà riprendere in mano anche se con grande fatica il ruolo cui democraticamente possiamo aspirare; ma non con i vecchi strumenti “solo” ideologici. Bisogna guardare ai problemi e sviscerarli a 360°; non si può chiudere ogni discussione intorno a temi che riguardano, ad esempio l’immigrazione, etichettando come “razzisti” tutti coloro che hanno più volte chiesto che vi sia un’organizzazione ed una progettazione seria che parta dal rispetto dei diritti umani e dalle regole della convivenza civile.

Qualche anno fa un gruppo di attivisti, quasi tutti afferenti al PD, in quel di San Paolo frazione di Prato, aveva lavorato ad un progetto. Purtroppo non si è potuto realizzare per diretta responsabilità del Partito a cui in quel periodo ci si riferiva. Troppo libero ed autonomo era il pensiero. Oggi è palese il disastro prodotto.

Dobbiamo dunque reagire con fermezza e compostezza. Essere dalla parte dei più deboli, qualsiasi sia la provenienza, lo stato civile, il colore della pelle, la lingua parlata, è il nostro punto di riferimento.

Ai dirigenti del Partito Democratico che si ergono ad opposizione di questo Governo, suggerisco di partire dalla autocritica più profonda possibile. Qualcuno che fa di tutta le erbe un solo mazzo chiede loro di sparire. Può essere utile un profondo serio ripensamento: oggi l’alternativa per voi del PD nelle attuali condizioni è solo un’alleanza con quel che resta di Berlusconi. La Sinistra è sempre più lontana e le politiche renziane lo hanno confermato e lo ribadiscono costantemente. Solo fuori da questo PD si possono costruire serie alternative al degrado politico, sociale ed economico che si respira e si preannuncia in modo peggiore.

 

J.M.

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RI-PARTIRE (appunti per una ri-partenza) parte 2 e finale

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RI-PARTIRE (appunti per una ri-partenza) parte 2 e finale

“Un blog non può neanche lontanamente risolvere i problemi ma può denunciarli annunciarli ed avviare una ricognizione, suscitando attenzione e dibattito”

Ognuno ha pensato a rincorrere i propri vantaggi, le proprie rendite di posizione: politici, imprenditori, intellettuali, quelli che avrebbero potuto e non hanno agito, tanti di quelli che oggi ancora sopravvivono a se stessi, complice il vento di rinnovamento ipocrita che sta investendo la nostra società. Non sarà facile modificare quello che oggi vediamo, per cui ne traggono vantaggio “politico” – in netta e chiara malafede – coloro che spingono a scelte estreme come i blitz hollywoodiani con grande utilizzo di mezzi e di uomini, coloro che urlano in modo insensato che “devono andare tutti via” o che “ci hanno portato e ci portano via il lavoro”, coloro che parlano più alla pancia che alle menti. Ed allora mi vengono in mente due film particolarmente significativi anche se non si tratta di “capolavori”; il primo è già chiaro dal titolo: “Un giorno senza messicani”. Eh già, meno male che si tratta di un solo “giorno”, anche perché i poveri americani non ne saprebbero fare a meno, visto che i messicani svolgono in quella città al confine fra gli States ed il Messico lavori molto umili ma altrettanto utili; eppure di questi messicani si dicono le cose peggiori fin quando non ci si rende conto della loro “utilità” fino ad allora mai riconosciuta. L’altro film è “La macchina ammazzacattivi” (1959) di Roberto Rossellini, una sorta di “favola dark nostrana” e lo utilizzo semplicemente per suggerire un sistema risolutivo per eliminare tutti quelli che non ci piacciono, quelli che anche temporaneamente ci disturbano, che sono colpevoli di qualcosa che non riusciamo nemmeno a spiegarci: lo hanno fatto anche in passato, ad esempio, con gli Ebrei, con i disabili, con i rom, con gli omosessuali, con gli oppositori. Che dite? Ci si vuole provare ancora una volta? Forse una sparizione “temporanea” – ma non di un solo giorno – potrebbe servire a togliere il velo che copre il preesistente “degrado” di cui non si vuole essere consapevoli per non assumersene in quota parte le profonde e fondamentali responsabilità.
Noi non pensiamo tuttavia di poter proporre soluzioni ma non vogliamo rinunciare a leggere, studiare, approfondire la realtà che ci circonda sapendo anche che lo facciamo in modo parziale e gravato da forme di ideologismi che si sono andati accumulando nel tempo e che difficilmente potremmo superare senza un “reset” impossibile per ora nel cervello umano. Ad ogni modo è del tutto evidente che il nostro Paese, e con esso la città di cui abbiamo parlato, evidenzia un’arretratezza “culturale” che la sua Storia non merita, anche se tale “gap” è inscritto nella sua Storia. Ne sono prove certe le difficoltà del settore dell’istruzione che ormai non forma più adeguati “quadri” dirigenti e professionisti: i migliori studenti, al termine del loro percorso formativo, frustrati da una costante sottovalutazione del “merito” e da una sopravvalutazione di ben altre doti non sempre significative dal punto di vista delle relative competenze, trovano il loro spazio vitale in altri Paesi, dai quali difficilmente tornano: è questo da anni il vero drammatico “spread” che inficia l’ingente impiego di risorse a fondo perduto. I dati sono di un’evidenza assoluta anche per il settore del Turismo nel quale il nostro Paese potrebbe eccellere, “dovrebbe” eccellere. Ne parleremo ancora in uno dei prossimi interventi.

Giuseppe Maddaluno

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RI-PARTIRE (appunti per una ri-partenza) parte 1

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“Un blog non può neanche lontanamente risolvere i problemi ma può denunciarli annunciarli ed avviare una ricognizione, suscitando attenzione e dibattito”

RI-PARTIRE (appunti per una ri-partenza) parte 1

Fra le conseguenze negative della globalizzazione dei “mercati” e delle persone vi è stato di certo in contemporanea un degrado del livello di alfabetizzazione e di preparazione professionale, di acculturamento parallelo rispetto alle trasformazioni economiche e sociali che il mondo, soprattutto quello finanziario globale, stava subendo. A Prato l’imprenditoria piccola e media (ma in qualche caso anche quella medio-grande) non era stata costruita su una solida preparazione culturale ma piuttosto su una “praticità” istintiva che pure aveva prodotto eccellenze, destinate tuttavia a non reggere il passo sia per il susseguirsi di generazioni non sempre ben disposte ad una vita fatta soprattutto di sacrifici sia per il sopraggiungere di tecnologie innovative e mutamenti epocali nelle abitudini e nei consumi. Di fronte al tempo che scorre il mondo cambia e noi non sempre ce ne rendiamo conto.
La crisi del “tessile” a Prato è stata più volte annunciata ma poi in più occasioni con formule provvisorie è stata considerata come superata; ma non si è voluto riconoscere che il problema più importante era di tipo “culturale”, intendendo con questo termine la capacità complessiva di conoscere le trasformazioni ampie in atto. Ed è anche per questo che non si è percepita, forse non si è voluto, forse non si è riusciti a, percepire la cosiddetta “invasione” cinese nei suoi connotati “positivi”. Questa sottovalutazione dal punto di vista “politico” è stata “generale”, con qualche limitata eccezione, generando sia una forma di accoglienza umanitaria di tipo “cristiano” sia – dall’altra parte – un rifiuto categorico di stampo razzistico con in mezzo un atteggiamento ambiguo del tipo “non sono razzista, ma….” che si collocava in ogni caso in un’area culturalmente e socialmente assai modesta.
Se non si comprende questo punto di partenza non si è in grado di fornire alcuna soluzione al fenomeno che da un paio di decenni sta travagliando la società pratese e mettendo in crisi profonda la parte imprenditoriale “tessile”, non di certo quella immobiliarista, né quella commerciale che, grazie alla comunità cinese, ha visto, se non elevare, reggere i propri guadagni: se il mercato immobiliare è crollato meno che altrove lo si deve alla presenza straniera; se alcuni supermercati (vedi la PAM di via Pistoiese) reggono è per lo stesso motivo; se alcune concessionarie non hanno chiuso i battenti è perché hanno i migliori clienti fra la comunità cinese. Ad ogni modo il ”degrado” del territorio è direttamente collegato al degrado che la società “pratese” (quella fatta da “pratesi” doc o non doc poco importa) ha evidenziato negli ultimi venti\trenta anni e di ciò è indubbiamente colpevole la classe politica così come quella imprenditoriale e così anche l’intellighentia che non ha saputo interpretare i mutamenti e, laddove li ha riscontrati, poco ha fatto per divulgarli e chiedere alle diverse istituzioni azioni precise e decise per affrontarne le conseguenze.

…1…

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SONO NATO CON LA COSTITUZIONE ITALIANA – un mio intervento nei primi giorni del 2008 parte 4

SONO NATO CON LA COSTITUZIONE ITALIANA – un mio intervento nei primi giorni del 2008 parte 4

Nei primi giorni del 2008 festeggiando i sessanta anni della Costituzione italiana promulgata il 27 dicembre del 1947 fui invitato da un caro amico di Campi Bisenzio a tenere un intervento pubblico sulla nostra Carta. Quel che segue è il testo di quel mio contributo.

4.

Ed è lo stesso Scoppola che si chiede in relazione al fatto che negli ultimi anni sempre più spesso si è ventilata l’ipotesi di mettere mano alla Costituzione per modificarla.

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PIETRO SCOPPOLA in Cinquant’anni di Repubblica italiana pagg. 137\138

“Ma è stata efficace quella sintesi culturale? Che traccia ha lasciato nella storia successiva del Paese?….il principio di solidarietà si è tradotto in larga misura nella prassi di un assistenzialismo statalistico, strumentale nel consenso elettorale, divenuto fonte di corruzione nella vita pubblica.”

Per aggiustare queste pecche qualcuno ha pensato di intervenire sul “tutto”

“…ma dobbiamo saper distinguere la cattiva applicazione o più spesso la non applicazione dei valori della Costituzione dalla sua ispirazione fondamentale; dobbiamo far bene attenzione a non gettare via, come si dice, con l’acqua sporca anche il bambino.”

Allo stesso modo in un testo uscito proprio in questi ultimi mesi un altro illustre esponente “costituzionalista” Valerio Onida

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VALERIO ONIDA in La Costituzione pagg. 33\34

“Si è accusata la Costituzione di essere frutto di un compromesso. Ma storicamente tutte le Costituzioni, quanto meno quelle che durano nel tempo, lo sono, in quanto riflettono un punto di equilibrio fra esigenze e forze diverse, e spesso, se non lo sono all’inizio, lo diventano col tempo, integrando nell’esperienza costituzionale esigenze e forze diverse, anche contrapposte….Il pòunto è la qualità del “compromesso”, è vedere su quali principi si fonda, e se è saldo e durevole.
La Costituzione italiana non nasce da una trattativa fra gruppi ristretti di potere, nasce sulla spinta di partiti di massa dotati di effettiva rappresentatività, in un contesto storico di crisi e di profondo rinnovamento…..”

Oggi noi, ed immagino (lo spero) molti altri ancora siamo ad interrograci sul tema “La Costituzione oggi”.
Con un compito importante, farla conoscere, farne apprezzare le caratteristiche che la rendono un atto fondamentale della nostra Storia, della nostra vita civile.

Vorrei, infine, che non fosse del tutto scontato che nei prossimi mesi, nei prossimi anni non vi sia qualcuno – senza alcuna distinzione di parte (centro destra o sinistra) – che consideri “vecchia e superata” la nostra Carta costituzionale.
Sarebbe un grave errore, ed è bene che sulla Costituzione si mantenga da parte del mondo “democratico” un’attenzione vigile, in primo luogo perché essa venga applicata (il capitolo delle non o delle tardive applicazioni è molto lungo e non ne avremmo il tempo qui ora) e venga difesa da attacchi camuffati da “nuovismo”, soprattutto nella prima parte di essa.

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Lo studioso Claudio Pavone in “Cinquant’anni di Repubblica italiana” nel suo contributo “Rileggere oggi la Costituzione” pag.33 scrive

“Potrebbe accadere addirittura…che la ripresa d’interesse…sfiorisca prima che a quel desiderio sia stata fornita adeguata risposta. Il rischio sta nel fatto che tutto il lavoro di ricerca, di confronto e di dibattito….venga come scavalcato da un apparente rinnovamento degli studi…Alcuni segnali dell’incombere di questo pericolo sono già evidenti….”

….4…..

. “What Salvini is saying now is that there are simple answers to complex problems.”

“What Salvini is saying now is that there are simple answers to complex problems.”

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Lo scorso 5 dicembre il New York Times ha pubblicato un lungo reportage su Prato e sulle ragioni per le quali la Lega va acquisendo, pur immeritatamente, larghi consensi.
Per farvene un’idea – forse diversa dalla mia, leggetelo https://www.nytimes.com/2019/12/05/business/italy-china-far-right.html

Il titolo è The Chinese Roots of Italy’s Far-Right Rage

Il sommario è The country’s new politics are often attributed to anger over migrants. But the story begins decades ago, when China first targeted small textile towns.

Una delle frasi, quella di Riccardo Cammelli è

“What Salvini is saying now is that there are simple answers to complex problems.”

E’ la sintesi di quel che accade, che comprende ogni aspetto, ivi compreso il nuovo epifenomeno delle “sardine”: la semplificazione dei temi complessi. Basta urlare “in modo più composto e civile” alcune tematiche per ravvivare le passioni ed avviare forme virtuose? Ne dubito da tempo.

Il quadro che emerge dall’articolo del New York Times è desolante ed indubbiamente spinge chi, come il Sindaco di Prato, è chiamato a rappresentare la città in primissima fila, ad indignarsi nel considerare superficiale e desueta l’analisi. Pur tuttavia non si può non sottolineare che, al di là di ogni fallace percezione, la realtà che quotidianamente noi tocchiamo con mano è deprimente e molto più vicina a quella descritta da Peter S. Goodman ed Emma Bubola. Lo sciovinismo autocelebrativo può essere anche giustificabile ma poi occorre agire di conseguenza ed in questa città nella quale vivo consapevolmente la seconda legislatura di Matteo Biffoni non sembra destinata alla gloria. L’amministrazione è ingessata in un processo di autoreferenzialità insopportabile e larga parte della città non ha avuto rappresentatività ed ascolto. E continua a non averla.
Molto diversamente da quanto scrive il Sindaco su “La Nazione” di oggi 8 dicembre, Prato ha smarrito proprio quella “capacità di essere comunità, di costruire il proprio futuro” e non sembra più “una città forte e coesa”, e forse non lo è da un po’ di tempo in qua, malgrado non siano mancati gli allarmi che parti della Sinistra hanno più volte lanciato in questa direzione.

Joshua Madalon

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UN DOCUMENTO DEL 19 GIUGNO 2003 – TERZA ed ultima PARTE

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UN DOCUMENTO DEL 19 GIUGNO 2003 – TERZA ed ultima PARTE

Questo che segue è un mio intervento su temi che hanno conosciuto una stagione d’oro nella nostra città e che negli ultimi decenni sono stati trascurati. Il disastro che potrebbe derivare da questa negligenza potrebbe essere letale anche per la nostra Democrazia. (J.M.)

Come potete comprendere, vado recuperando la mia memoria con la speranza che non tutto ciò che è stato fatto sia stato inutile.

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Il decentramento delle attività formative sul territorio

3.
Non sembri, quest’ultima, una critica gratuita: è principalmente rivolta a quella straordinaria contraddizione che sono i “Circoli di Studio”, fiore all’occhiello della progettualità europea; come si fa a contemperare la libertà massima istituzionalizzata del concetto stesso di “Circoli di Studio” con la costrittività mortificante della burocrazia degli apparati di controllo amministrativo, che pure sono necessari? E’ una domanda semplice e difficile che purtroppo non attende risposte immediate.
Gli incontri preparatori che si sono svolti principalmente in Biblioteca, ma abbiamo anche utilizzato momenti privati per confrontarci fra un biscottino ed un caffè, sono stati, come sempre accade in queste occasioni, momenti di emissione e di immissione di diverse competenze: se eravamo già ricchi ne siamo emersi più ricchi; perché è in simili occasioni che si percepisce la vera qualità della vita, ed io non posso non ricordare un altro personaggio che ci ha lasciato nel bel mezzo di questa impresa, Eliana Monarca, alla quale tutti noi davvero dobbiamo molto e mi avrebbe fatto molto piacere continuare a lavorare con lei.
Credo che, nel concludere, proprio per significare anche la nostra precisa volontà, debba anche precisare che l’opportunità offertaci da questo Progetto possa servirci da insegnamento, sia considerando i lati positivi sia quelli negativi. Negli ultimi anni, infatti, sono partiti nella città di Prato, per volontà delle Circoscrizioni, alcuni progetti EDA estremamente interessanti; anche laddove non è stato possibile, per varie ragioni, coordinarsi, quei progetti, per la loro validità e per i risultati che hanno dato, sono tappe fondamentali del percorso EDA di tutta la città. Infatti il Coordinamento, così come io lo interpreto deve essere anche luogo, perché non accademico e teorico?, di confronto di esperienze diverse, che possono essere utili per tutti; ed è poi da quel luogo che possono emergere progetti comuni che coinvolgano non necessariamente tutte le Circoscrizioni.
Le Circoscrizioni, in ogni caso, devono essere viste come luoghi centrali essenziali per far emergere la domanda e devono essere, nel settore dell’EDA, dotate di una loro specifica autonomia da esplicare attraverso il Coordinamento. Una precisazione tuttavia va fatta: vedo il Coordinamento non come una struttura a se stante, ma come un luogo nel quale essenziale deve essere il ruolo dell’Assessorato. La richiesta più volte espressa dalle Circoscrizioni di ricevere la delega per questo settore ha valore più di un riconoscimento per il lavoro svolto che di un vero e proprio passaggio di competenze; sarebbe infatti per tutti noi più utile che da parte del Comune cui noi ci riferiamo venisse un impegno a lavorare tutti insieme per costruire progetti comuni come quello per il quale oggi siamo qui, piuttosto che un’elaborazione teorica alla quale poi non segue una vera e propria forte affermazione politica. Se invece ci fossero passate le competenze più come una rinuncia ad occuparsene che una convinta operazione di decentramento, questo creerebbe solo un grave danno al settore dell’Educazione degli Adulti, e nessuno di noi potrebbe volerlo. Piuttosto, non sarebbe un grave delitto se, nel riconoscere praticamente la funzione delle Circoscrizioni, esse fossero rappresentate in modo più diretto all’interno del Comitato locale.
Questo Progetto “Gestire il cambiamento” deve dunque servirci ad andare avanti; l’esperienza dei Circoli di Studio (così come la consimile e pionieristica esperienza della Circoscrizione Sud) è forse l’elemento sul quale continuare a lavorare per il futuro. Per diversi motivi: 1) per il coinvolgimento diretto dei cittadini; 2) per la rivitalizzazione (o il non depauperamento) di alcuni luoghi di incontro e di aggregazione; 3) per la libertà di espressione che emanano; 4) per il forte entusiasmo che questo tipo di situazione crea; 5) per i risultati per struttura specifica sempre inattesi che essi riescono a produrre; 6) per i costi abbastanza esigui che comporta la loro organizzazione e la loro realizzazione. Quest’ultimo aspetto, per chi soprattutto nelle Circoscrizioni opera, è purtroppo centrale: le risorse sono esigue e le necessità aumentano.
Per finire, vorrei auspicare che nei prossimi programmi elettorali di coalizione sia comunali che circoscrizionali (ormai, tanto, come ho detto prima, ci siamo vicini) fosse possibile inserire una parte consistente di vera progettualità dedicata all’EDA; che si avviassero anche accordi e si stilassero convenzioni con le diverse agenzie formative presenti sul territorio per costruire interventi specifici nell’area non formale; che, nei fatti, si riconoscesse alle Circoscrizioni il ruolo specifico che hanno in questo settore.

Prato li 19 giugno 2003
prof. G. Maddaluno
Coord.to Comm.ni Cultura Circoscrizioni

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UN DOCUMENTO DEL 19 GIUGNO 2003 – SECONDA PARTE

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UN DOCUMENTO DEL 19 GIUGNO 2003 – SECONDA PARTE

Questo che segue è un mio intervento su temi che hanno conosciuto una stagione d’oro nella nostra città e che negli ultimi decenni sono stati trascurati. Il disastro che potrebbe derivare da questa negligenza potrebbe essere letale anche per la nostra Democrazia. (J.M.)

Come potete comprendere, vado recuperando la mia memoria con la speranza che non tutto ciò che è stato fatto sia stato inutile.

Il decentramento delle attività formative sul territorio

2.
In quest’ultima legislatura, anche per la volontà espressa in modo esplicito dai Presidenti delle Commissioni Cultura della precedente legislatura, si è creata una forma di Coordinamento che ha potuto, fra l’altro, realizzare percorsi comuni in più circoscrizioni: come coordinatore non sono affatto soddisfatto; in una scala da 1 a 100 non siamo riusciti a superare 50 e questo se da una parte assume una nota di rammarico ci spinge davvero ad essere per il futuro maggiormente propositivi.
Non faccio la storia degli insuccessi, ma li assumo come esempio di quello che non deve essere fatto e spingo tutti in avanti. Anche perché quando i progetti, anche se vedono solo una o alcune Circoscrizioni in cooperazione, poi funzionano servono a tutti e bisogna essere contenti. Così, non è che il Coordinamento debba mortificare l’autonomia dei singoli; deve saperla esaltare e saper cogliere gli elementi positivi che emergono dal lavoro dei diversi operatori, dal contributo dei fruitori. Non deve mai essere un problema il “copiare”, basta farlo con personalità, basta saper inserire le proprie sensibilità, le proprie competenze specifiche al servizio degli unici nostri veri giudici (ovviamente si fa per dire, ma le elezioni incalzano) che sono i nostri cittadini.
Il ruolo delle Circoscrizioni è stato fondamentale in un momento durante il quale solo le Circoscrizioni, come dicevo prima, rappresentavano il Comune di Prato nell’ambito dell’EDA; con il Progetto del quale oggi verifichiamo il primo dei due anni previsti, le circoscrizioni erano pronte a fare quel salto di qualità necessario per accreditarsi quali agenti formativi, pur se all’interno della rete civica, ma fondamentalmente prioritari e privilegiati. Ed è stato infatti il Coordinamento delle Comm.ni Cultura delle Circoscrizioni ad attivarsi su un’idea che tendesse a rivitalizzare l’attenzione di gruppi di cittadini sulle piccole e grandi trasformazioni che il territorio aveva subito negli ultimi venti.dieci anni attraverso diversi linguaggi, attraverso diverse modalità, dal corso abbastanza tradizionale ai Circoli di Studio, coinvolgendo molti soggetti, i più importanti Enti Culturali e l’Università della Terza Età, mettendo in moto poi anche le competenze diverse di tanti soggetti, da Dryphoto alla scuola d’arte “Leonardo”, da Alta Via Trekking all’Itc Dagomari, dalla Scuola comunale G Verdi ai Circoli della Circoscrizione Est (La Querce, La Macine, La Pietà e Mezzana).
Un ruolo sostanziale lo ha avuto la Biblioteca Comunale di Prato, il suo Direttore Franco Neri e la signora Maria Battaglia: il loro lavoro è stato, ed è, inestimabile, così come l’impegno ed il lavoro dei diversi dirigenti ed Istruttori amministrativi delle Circoscrizioni. Per consolarli parzialmente potrei dire che il Comune aveva bisogno di uno staff che seguisse questo settore e questo Progetto potrebbe averne se non altro gettato le basi, mettendo insieme tutto il meglio delle competenze presenti sul nostro territorio. A tale proposito cosa si aspetta a dotare nuovamente il Comune e le Circoscrizioni di figure specifiche che seguano questo settore così chiaramente strategico della società dei nostri giorni e del nostro immediato futuro? Ad essere sinceri, quando abbiamo cominciato a lavorare insieme, questo era uno dei nostri obiettivi più importanti; poi si è, per motivi seri e contingenti, un po’ persa la bussola: oggi siamo qui a sperare ancora sia possibile riavere a Prato uno staff tecnico e amministrativo capace di tener dietro alla barocca burocrazia della legislazione europea.

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SONO NATO CON LA COSTITUZIONE ITALIANA – un mio intervento nei primi giorni del 2008 parte 3

SONO NATO CON LA COSTITUZIONE ITALIANA – un mio intervento nei primi giorni del 2008 parte 3

Nei primi giorni del 2008 festeggiando i sessanta anni della Costituzione italiana promulgata il 27 dicembre del 1947 fui invitato da un caro amico di Campi Bisenzio a tenere un intervento pubblico sulla nostra Carta. Quel che segue è il testo di quel mio contributo.

3.

Nel tempo in cui i nostri Padri costituenti si applicarono alla stesura della Costituzione non mancarono di certo i contrasti ma anche in essi si avvertiva fra i diversi avversari la consapevolezza della dialettica necessaria, per cui era sempre massima l’attenzione per tutti gli interventi per tutte le proposte per tutte le idee che venivano espresse.

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VITTORIO FOA in Cinquant’anni di Repubblica italiana pag. 45

“Ho molti ricordi. Il capo della Democrazia Cristiana era Alcide De Gasperi, quello del Partito Comunista era Palmiro Togliatti, il leader socialista era Pietro Nenni; poi c’erano un piccolo Partito d’Azione e un Partito Liberale, con tanti grossi nomi di un passato senza ritorno. Indubbiamente vi erano profondi contrasti, ma quando prendeva la parola De Gasperi, Togliatti lo ascoltava con attenzione e rispetto, e quando parlavano Togliatti oppure Nenni, la destra e il centro facevano silenzio.
Ricordo la drammatica seduta finale dell’Assemblea quando il giovane deputato La Pira chiese di scrivere nella Costituzione un richiamo a Dio, e il tono affettuoso e paterno con il quale Togliatti gli spiegò che la cosa era impossibile.”

Ovviamente non mancarono le differenziazioni. Dell’ Assemblea Costituente facevano parte, nel complesso dei 556 deputati, 207 afferenti alla DC, 115 al PS, 104 al PCI, 41 all’Unione Democratica Nazionale (liberali), 30 al Movimento dell’Uomo Qualunque, 23 al PRI, 16 al Blocco Nazionale della libertà, 7 al Partito d’Azione.
Sembrava, dunque, quasi logico che vi fossero delle differenziazioni, delle contrapposizioni. Ma sono sempre più convinto che in definitiva non si possa, non si debba parlare di “compromesso costituzionale”.

Vorrei a tale proposito utilizzare le parole di una persona a me molto cara, riportate da un suo intervento nello stesso libro di cui ho parlato prima.
Parlo del prof. Pietro Scoppola che ci ha lasciato pochi mesi orsono.

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PIETRO SCOPPOLA in Cinquant’anni di Repubblica italiana pag.136

Riferendosi in particolare all’art.3 Pietro Scoppola dice

“Se teniamo presenti le posizioni da cui partivano le diverse forze politiche presenti nell’Assemblea Costituente, ci rendiamo conto che l’opera compiuta dai costituenti ha avuto un grande rilievo culturale e politico; ci rendiamo conto che il cosiddetto “compromesso costituzionale” ha avuto un grande spessore.

Poi quasi con una sorta di correzione aggiunge

“Occorre liberarsi dalla versione riduttiva e negativa oggi ricorrente del “compromesso costituzionale” . Prima di ogni compromesso fra i partiti vi fu la coscienza ben viva nei costituenti – che si ritrova nei loro scritti e nei loro ricordi – di una grande responsabilità storica: quella di dar voce alla domanda che saliva dal Paese di una radicale rifondazione della convivenza dopo gli orrori della guerra. Occorreva una risposta che fosse all’altezza della vicenda epocale in cui l’Italia era stata coinvolta. Il fondamento vero della Costituzione, prima che nel compromesso fra i Partiti, è in questo suo stretto legame con la Storia.”

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a partire da un intervento di Marco Revelli

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a partire da un intervento di Marco Revelli

Come scrive Marco Revelli (https://www.tpi.it/opinioni/sardine-qualunquismo-sinistra-radicale-20191129506770/?fbclid=IwAR2K7FsywRYhsMoHo8wDr4XF4j7mcu2MoWDOfxH6ym5Bj_c3yxUM2uGSflM)faccio parte di quella “sinistra in preda a un disordine mentale culturale-politico” che va avanzando pur benevoli critiche a quel movimento spontaneo chiamato casualmente “sardine”.

Revelli aggiunge a sigillo della prima parte “sintetica” del suo intervento la frase “Scenario, verrebbe da dire, vagamente weimariano”. E che significa? Può questa accezione essere scaricata in senso negativo sulle forze di Sinistra? Ne dubito.

Allo stesso tempo proprio, concordando con quanto lui aggiunge in modo critico verso le

“tante sinistre, soprattutto quelle (ex) radicali, ognuna con i suoi fallimenti, le sue colpe nell’averli coltivati, i suoi atti mancati e le sue afasie, tutte sicuramente incapaci di opporre all’onda scura populista-sovranista la benché minima barriera, ma attivissime nel puntare indici accusatori (o in qualche caso medi offensivi) e loquacissime nel dispensare consigli e/o scomuniche.”

mi sento di confermare i miei giudizi ancor più negativi verso i proponenti, gli organizzatori, gli illusionisti di questo “popolo” chiamato “sardine”.

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Questi ultimi sono essenzialmente “figli di papà garantiti” né più né meno rispetto ai giovani di Valle Giulia apostrofati da Pier Paolo Pasolini (cosa avrebbe detto “oggi”?), che – se in buona fede – hanno dato il via ad un’operazione spontanea dilettantesca che ha avuto semplicemente il merito di chiamare a raccolta diverse forme associative o meno (molti singoli o gruppi formati da singoli) che avevano bisogno di dare sfogo pur se in modo pacifico alla loro rabbia repressa. Quelle piazze sono esclusivamente rappresentative di quella Sinistra borghese, antifascista ma vacua e timida, che, non più di quella parte che si pone criticamente, non è in grado di proporre unitariamente sbocchi risolutivi alle problematiche che sono state acuite dalle crisi degli ultimi decenni.
Sono “storicamente” anch’io critico (non intendo lasciare scettri ad altri “maitres à penser”) nei confronti di queste manifestazioni “di popolo” senza costrutti. E d’altra parte non è di certo “dal popolo” che dobbiamo attenderci le soluzioni. C’è un altissimo rischio di creare illusioni e di credere e far credere che, poichè si risponde con piazza” a “piazza”, il maggior numero possa significare maggiori consensi. Così come si rischia di delegare ruoli che sarebbero delle forze partitiche storiche e soprattutto antifasciste e “democratiche” (aver sperperato progressivamente il patrimonio della”Democrazia” è un vero e proprio crimine, dal riconoscimento e dal superamento del quale far ripartire una nuova “Storia”) affidando funzioni inusuali a gruppi del tutto misteriosamente anonimi ancor oggi.
A chi avverte con sensibilità il mio accento critico e riconosce in me l’appartenenza a una di quelle Sinistre di cui parla Revelli suggerirei di andarsi a leggere moltissimi dei miei interventi “politici” su questo Blog. In quelli non ho mai risparmiato critiche al radicalismo di Sinistra, tendente a sottolineare la propria identità specifica ed incapace di proporre scelte politiche davvero innovative. D’altronde, pur molto (ma molto e molto ancora) più importante di me, anche Marco Revelli esercita la sua azione politica nei salotti dei talk show e con gli articoli e, lo dico per giustificazione pur non richiesta, comprendo di non essere più fatto per le “barricate” e per le “piazze”. Detto questo, non è per l’età ma per convinzione che riaffermo la necessità dell’esigenza di applicare metodi democratici più coinvolgenti, campagne d’ascolto serie prima di addentrarsi verso scelte politiche a partire da quelle locali. E’ su queste linee che potremo affrontare il cammino nel deserto, il viaggio nuovo che quasi certamente dovremo fare, malgrado le “sardine” ed anche per responsabilità di chi crede che queste forme superficiali mediatiche possano innescare il recupero di credibilità ed attrarre consensi.

Joshua Madalon

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SONO NATO CON LA COSTITUZIONE ITALIANA – un mio intervento nei primi giorni del 2008 parte 2

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SONO NATO CON LA COSTITUZIONE ITALIANA – un mio intervento nei primi giorni del 2008 parte 2

Nei primi giorni del 2008 festeggiando i sessanta anni della Costituzione italiana promulgata il 27 dicembre del 1947 fui invitato da un caro amico di Campi Bisenzio a tenere un intervento pubblico sulla nostra Carta. Quel che segue è il testo di quel mio contributo.

2.

E’ evidente che tale assunto di partenza, che allora i nostri Padri costituenti avvertivano, pur condizionato da una “tragedia” da cui si usciva, deve servire da monito costante nei confronti delle nostre classi dirigenti e deve essere sempre più patrimonio diffuso nelle giovani generazioni cui dovremo inevitabilmente affidare le sorti del nostro Paese.

Occorrerà evitare che una soluzione positiva debba essere necessariamente il frutto di eventi drammatici. Occorrerà forse impegnarsi a scrivere “oggi” nuove regole al di là della Costituzione, senza toccare la Costituzione e cioè non “contro” di essa, regole che si impongano di “normalizzare” questo nostro Paese. Per fare questo, lo ripeto, non è affatto necessario modificare la Costituzione nel suo impianto “fondamentale” ma sarà invece necessario che il “comune sentire” diffuso di un recupero del “senso etico” dell’impegno politico conduca ad un accordo che porti a “regole” che impongano eticamente un’irreprensibilità di comportamento da parte dei rappresentanti pubblici ad ogni livello in ogni settore della nostra vita pubblica, così come andrebbero drasticamente limitate e sottolineo LIMITATE tutte le forme di “privilegio” perché anacronistiche in quanto relative ad un periodo in cui la nostra società doveva garantire davvero a tutti nella estrema diffusa indigenza l’accesso alle cariche elettive.

E’ quest’ultima parte una deviazione dal contesto vero e proprio per il quale noi siamo qui, e me ne scuso.

Ritorniamo al tema.

Porre in evidenza le “differenze” potrebbe essere abbastanza semplice e forse, in modo autosevero, addirittura semplicistico sarebbe anche andare a connotarsi in sede ideologica, richiamandosi alle differenti radici, alle differenti culture, ai tre sostanziali fondamentali filoni culturali presenti nell’Assemblea Costituente: quello liberaldemocratico, quello cattolico e quello marxista.

Bisogna invece ribadire che proprio in quella particolare temperie quelle differenze servirono davvero ad arricchire di contenuti il dettato costituzionale, piuttosto che a delinearne i contrasti, i quali invece connotarono molti degli eventi che precedettero, che accompagnarono e seguirono negli anni a venire la costruzione, la scrittura e la lenta attuazione della nostra Costituzione.
Furono quelli gli anni che divisero il mondo all’interno della Guerra Fredda.

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