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VIAGGIATORI – reloaded prima parte de “I GIORNI” 1972

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Era il 1972 e scrivevo un racconto lungo nel quale immaginavo un viaggio durante il quale la “formazione” di uno dei protagonisti, un ventenne accompagnato da un amico più maturo, avviene attraverso i ricordi e non attraverso le esperienze dirette. A questo racconto, “I giorni”, fu abbinato un altro, scritto dal mio amico Raffaele Adinolfi, noto studioso di archeologia e storia locale nonché Insegnante di Latino e Greco, il cui titolo è “La notte”, e verrà pubblicato su questo Blog dopo le 12 parti da cui è composto “I giorni”. (g.m.)

PRIMA PARTE

E all’isola Eèa venimmo; qui stava

Circe ……………………………………..

……………………………………………..

Qui con la nave ci avvicinammo alla punta, in silenzio,

fin dentro il porto riposo di navi: un dio ci guidava.

Poi, sbarcati, due giorni e due notti

giacemmo, mangiandoci il cuore di stanchezza e di pena.

(Omero, Odissea, X, vv. 135-36 e 140-43)

 

 

Strada diritta, lunga, senza grandi paesaggi. Tutta pianura. Qua e là, venditori di generi alimentari fra i più vari. Al di là dei recinti, sterpi di macchia, le bufale con la loro pelle bruna dal sole e dal letame. Gli acquitrini lasciavano la loro impronta un po’ dappertutto. Il pino marittimo nano ci accompagnava. Ai margini della strada, qualche giovane viandante straniero autostoppare, col suo cartello di tela e il suo dito sempre pronto. Il traffico non era poco, questa via era sempre tra le più intensamente solcate. Da mezz’ora in auto, senza scambiarci ancora una parola. Di preciso non sapevamo niente. Ci piaceva fare così. Non sapevamo perché eravamo lì su quella strada, non sapevamo dove saremmo andati. Di una sola cosa eravamo convinti, che ci sarebbero stati giorni di vacanza. L’anno, per tutti e due, non era stato dei più sereni. Io venivo fuori da molte delusioni e da qualche insuccesso negli studi. Il mio amico, da travagli spirituali. “Dove si va?” Avevamo pensato, qualche giorno prima, di andare a trascorrere una breve vacanza, la nostra, a Ponza. Ci avevamo ripensato. “Andiamo in qualche posto, qualsiasi sia”: Poi tutto piombato nell’incertezza. Il posto lo avremmo scelto all’ultimo momento. Le isole a me sono sempre un po’ piaciute, forse anche per questo avevo una certa predilezione per Ponza. “Beh, allora facciamo come vuoi, andiamo a Ponza, ma… se mi stanco, te la vedrai tu!” Andavamo a Ponza, l’avevo vinta! In tempo di alta stagione, senza una prenotazione in albergo, col rischio di dormire all’aperto. “Se… mi stanco, te la vedrai tu!”. Di albergo in albergo per postulare un posto non sarebbe stata cosa poco faticosa. Cominciai a sfogliare le guide turistiche (cominciai?) a studiarmi le piantine dell’isola e quelle delle isole circostanti. La topografia e la cartografia erano state sempre la mia passione, forse perché furono oggetto del mio primo esame all’Università. Immaginavo già, così dalle carte, quale forma avesse l’isola: lì un faraglione, là una montagna, più in qua una spiaggia. Riempivo intanto di domande il mio compagno di viaggio e ad ogni risposta l’entusiasmo era crescente. Lui già c’era stato a Ponza, qualche anno prima, e mi fu molto prezioso nelle risposte. “Quanti abitanti ci sono… come è la gente…., come sono le strade… E man mano ne sapevo di più. Contatti umani che si avvicinavano, nuove conoscenze, amicizie. E la fantasia lavorava freneticamente. Tutto quello che importava massimamente nella mia vita era questo. E lo è tuttora. Mia madre quella mattina aveva pianto, alla mia partenza. Quanto è stupido fare così davanti a un figlio che parte per tre giorni! Talvolta immagino cosa potrebbe fare davanti alla mia morte! Per essere coerente dovrebbe stare a piangere tutta la vita. Ma io sono forte, non mi commuovo… e parto. “Ciao. Ti telefonerò non appena arrivati al posto prescelto”. E questo era per lei il maggior dolore: non saper di preciso dove io andassi. “Non appena arriviamo a Formia, fermami ad un telefono pubblico. Dirò a mia madre che andiamo a Ponza”. “Ma no, telefona da Ponza, stasera! Così si sentirà più sicura”. Il mio amico, mentre guidava sulla strada che porta a Formia, mi andava raccontando anche delle sue avventure, di quando era stato all’isola, l’altra volta; mi parlava di una comunità di ragazze, francesi; me le descriveva splendide ingenue e disposte ed il fatto mi eccitava non poco. La nostra vita, qui a Sud, scorre fin troppo monotona, per non lasciarsi accendere nell’immaginare simili venture. Ed una persona come me, che di tali casi ne aveva più fantasticati che corsi, poi… vi lascio immaginare cosa nutrisse nel corpo. Cominciavo già a programmare la mia vicenda, quando scorsi in lontananza il centro abitato di Gaeta e lo additai.

Gaeta

VIAGGIATORI – una serie di racconti – CLOUDY SUN terza ed ultima parte

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Cloudy sun – terza ed ultima parte

Il giorno dopo lo vissero in modo altrettanto intenso visitando i College più importanti con i loro ambienti interni ed esterni, la loro Storia e, dopo il lunch lussuoso e goticamente affascinante come quello del giorno prima, volendo consentire un po’ di libertà ai loro ospiti, Giulietta, che intanto si era fornita di cartina topografica, disse che lei ed Armando quel pomeriggio sarebbero andati da soli ad esplorare gli ambienti; e così fecero. Attraversarono alcuni parchi e si inoltrarono nel Midsummer Common arrivando fino alle rive del Cam ma dall’altra parte rispetto a quella dove abitavano i loro amici. Di là l’acqua era bassa e consentiva esclusivamente ai punt, barconi piatti, di percorrere il corso del fiume; di qua era navigabile ed infatti c’erano delle meravigliose barche “case galleggianti” dotate di molti comfort, alcune delle quali erano anche in vendita. Su molte di esse c’erano animali di affezione, soprattutto gatti e qualche cagnolino. Lungo il corso del fiume si allenavano squadre di canottaggio al ritmo che urlava il capo voga ed a riva si snodava una ciclopedonale che, a quel che si leggeva dalle guide, arrivava fino al mare toccando altri centri importanti, come la medievale Ely. Ripresero la strada del ritorno dopo aver acquistato dei dolcini e del buon vino francese a Sainsbury e, dopo aver attraversato il Cam, notarono un insolito assembramento di persone ma anche di fotografi e poliziotti. Insolito perché, anche se erano lì solo da due giorni, per Giulietta ed Armando era chiaro che a Cambridge non c’erano grandi movimenti e sembrò tutto abbastanza straordinario. Si dovettero avvicinare, anche perché la gente sostava proprio sul percorso obbligato che dovevano fare per ritornare al cottage; ed Armando si ritrovò ad essere coinvolto da una signora con un profluvio di parole incomprensibili; Giulietta capì ma non poté evitare che Armando ingenuamente accompagnasse quello sfogo con dei sorrisini. La signora si allontanò sdegnata dal suo comportamento; le aveva confessato ritenendolo uno del gruppo, che, mentre era lì a partecipare a quel sit-in, perché di questo si trattava, le avevano trafugato la bicicletta. Ma come mai quelle persone così per bene stavano lì? L’Hotel Hilton che affaccia proprio sul Cam aveva presentato alla Town Hall un progetto di ampliamento verso il Coe Fen, un appezzamento di terra incolto alle spalle del Fitzwilliam. Questo, dunque, il motivo per cui protestavano. Poi, ad un certo punto, i pacifici poliziotti e gli attenti fotografi si spostarono verso un gruppettino di persone (due-tre) che spingevano un anziano signore in una carrozzina pluriattrezzata. Lo compresero ben presto sia Giulietta che Armando: era Stephen Hawking, l’astrofisico più famoso del mondo per via dei “buchi neri” e altro, condizionato solo nel fisico da una malattia invalidante per i movimenti. Hawking apparve a suo agio in mezzo a quella folla pacifica ma estremamente chiara nelle vertenze proposte. Giulietta ed Armando si mescolarono ad essa, partecipi della protesta, si fecero addirittura fotografare dai reporter e, quando la sera rientrarono al cottage, ne parlarono a lungo con i loro amici. Il giorno dopo dovevano ripartire e, così, dopo la cena, rigorosamente italiana con un’eccezionale “carbonara” ed un arrosto con contorni vari, Giulietta rientrò in camera da sola per preparare le valigie, mentre Lucio, Francesca ed Armando continuarono a discutere su come fosse la vita a Cambridge e su quanto mancasse l’Italia ai due studiosi; esclusero però nella maniera più assoluta di ritornare per loro volontà, vantando i servizi di altissima qualità della fu “perfida” Albione e denunciando le profonde difficoltà della Cultura italiana e le colpe della Politica che non dà spazio al merito e umilia le giovani generazioni che ha contribuito a formare. Francesca parla di “genocidio della Cultura” ed Armando non può che darle ragione, amaramente ragione. Lucio sollecita Armando a ritornare ancora per qualche giorno, per più giorni; gli chiede anche perché non si trasferisca insieme a sua moglie, visto che sono soli – le case costano anche meno che a Milano o a Roma – e potrebbero curare la loro sete di conoscenza in un ambiente ricchissimo di stimoli. Ma Armando non se la sente e sa che anche Giulietta è con lui: il Paese – dice – con un lieve rammarico ma anche con una profonda consapevolezza – ha bisogno di antichi testimoni. Il giorno dopo partiranno, portandosi dietro il ricordo di tre splendide giornate a Cambridge.
Il mattino dopo la BBC, come di consueto, trasmette le previsioni meteorologiche: sul Regno Unito c’è “cloudy sun”, un sole nuvoloso: il tempo, soprattutto per gli inglesi è bello così.

Joshua Madalon

FOTO per Blog

VIAGGIATORI – una serie di racconti – “CLOUDY SUN” – seconda parte

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Cloudy sun – seconda parte

La colazione inglese è abbondante e ricca di grassi e non mancavano di certo il burro, né le uova né il bacon; ma caffè, latte e biscotti vinsero su tutti la mattina del giorno dopo l’arrivo di Giulietta ed Armando. Lucio e Francesca li lasciarono organizzarsi più lentamente con comodo ed uscirono, raccomandandosi solo di chiudere la porta, senza chiavi, solo per evitare che qualche rettile di piccola taglia potesse introdursi; non temevano incursioni di furti o rapine; a Cambridge non capitava quasi mai: al massimo poteva scoppiare qualche rissa fra studenti ubriachi nel fine settimana. E, poi, comunque il cottage era frequentato a tutte le ore dal personale dell’Università addetto alle pulizie del giardino e dei luoghi comuni, ed erano tutte persone fidate. Armando era già pronto appena all’esterno mentre Giulietta tardava alla ricerca di un ombrello; lo aveva riposto nella valigia ma non si aspettava di doverlo utilizzare così presto. Poi uscirono e ripercorsero il viale ciclopedonale. Pioveva a vento anche se in modo leggero e i due tenevano l’ombrello un po’ obliquo, proseguendo il loro cammino. Non c’era anima viva su quel sentiero e camminavano a passo lento ma deciso quando si accorsero che dietro di loro anche se ancora lontano sopravveniva un ciclista che sembrò scansarli dieci metri prima deviando sul prato che non era motoso costituito da un’erba morbida che lo teneva sodo. Giulietta si voltò proseguendo nei suoi passi insieme al compagno ma avvertirono un tonfo: l’ombrello si era bloccato davanti ad un tronco? Sollevarono l’ombrello e si ritrovarono ad essere fissati da un occhio abnorme bovino. Eh sì erano andati proprio a cozzare contro una mucca, docile, tranquilla, ma ben piantata sul sentiero. Il giovane ciclista non riuscì a trattenere una risata tuttavia composta e si espresse in un linguaggio che, soprattutto ad Armando che non capiva quasi niente di inglese, era davvero arabo (e chissà che quel giovane non lo fosse per davvero, vista la presenza di studenti provenienti da tantissime parti del mondo!). Superato lo stupore, avendo del tutto esclusa la speranza che quell’essere animale si spostasse, lo superarono aggirandolo come aveva fatto il ciclista di prima. Intanto non pioveva più e decisero di andare a visitare il Museo Fitzwilliam che non distava molto da lì; a pranzo erano attesi al Dipartimento per andare insieme a mensa con gli amici.
Seppero da loro, quando raccontarono gli eventi della mattinata che ogni College a Cambridge possiede degli animali che considera quasi sacri. E le mucche vagano in piena libertà nei parchi e sono abituate a convivere con la gente, quasi non se ne curano e solo se infastidite possono essere pericolose. In effetti, quella mattina l’avevano infastidita di certo, la mucca; ma era andata bene! Quel pomeriggio, dopo il lunch in un ambiente che ricordava in modo quasi perfetto i grandissimi saloni utilizzati come locations nei film di Harry Potter (ma poi seppero da Lucio che proprio in uno di quelli al King’s College erno state girate alcune scene di quei film) con un servizio inappuntabile ed una cucina di livello internazionale, visto che il cielo era ritornato limpido (sembrava di essere in un mese come quello di marzo con le sue mattane climatiche) e gli amici erano liberi da impegni tutti insieme andarono per negozi e centri commerciali che, a parte i prezzi, apprezzarono notevolmente soprattutto per l’ordine e il gusto; anche le Charity erano ordinate in modo impeccabile ed erano molto invitanti. Giulietta vi comprò molti piccoli oggetti per donarli agli amici in Italia.
La giornata stava terminando: si fermarono in un pub sul Cam per consumare un pasto locale ed apprezzarono a vederla quella che in fondo era una patata gigante aperta e ricca di carne macinata in salsa piccante con contorno di fagioli. Ne ordinarono quattro e con queste anche delle birre in boccaloni giganteschi. La serata era fresca, al termine della cena, ma non si stava male all’aperto e sul Cam c’erano le classiche imbarcazioni che ora ritornavano dalle escursioni col punt fatto avanzare con il palo infisso sul fondo melmoso. Fecero una passeggiata verso il centro rasentando alcuni fra i college più importanti come il King’s ed il Trinity. Lucio annunciò che il giorno dopo, era un giorno di festa, i College sarebbero stati aperti ai visitatori e che loro due avevano la possibilità di accompagnarci gratuitamente nella visita. Ritornarono al cottage, con Giulietta ed Armando stanchi ma pieni di ricordi.

..continua…

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FESTIVAL DELLA LETTERATURA NEI CAMPI FLEGREI – incontro con Cristina Giuntini primo premio per la narrativa al Premio Sovente 2014

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Il Festival della letteratura nei Campi Flegrei – Libri di mare libri di terra ed il Premio dedicato a Michele Sovente, indimenticato amico, poeta e narratore squisito si è concluso da tre settimane e già subito dopo la cerimonia di premiazione alla Casina Vanvitelliana, avendo ascoltato i nomi dei vincitori (anche noi organizzatori, in primis Angela Schiavone, abbiamo saputo solo poco prima dell’annuncio ufficiale chi aveva vinto), mi ero ripromesso di raggiungere in modo diretto l’autrice del racconto che aveva vinto, Cristina Giuntini di Prato. Eh già, abito anche io a Prato, mi sono detto: come faccio a non conoscerla? Devo assolutamente riparare. Per uno come me, cane mastino, abituato a ricercare e trovare non sarebbe stato difficile. Ed è così che, attraverso sistemi ormai abituali (gli account di Facebook) mi sono lanciato al suo inseguimento. Cristina Giuntini è fiorentina approdata per amore e per matrimonio conseguente a Prato. Lavora in una ditta di importexport e scrive racconti, partecipando a tutti i concorsi di cui riceve notizia. Ha un’altra grande passione per la musica e segue sempre da vicino l’Eurovision Song Contest. Al mio invito accetta di incontrarmi presso una delle Librerie più importanti di Prato, gestita dalla casa editrice Giunti, Soprattutto Libri in via Mazzoni. Parliamo di narrativa, di cultura, di musica e poi sotto un diluvio “universale” (nel mentre una tromba d’aria aveva letteralmente capovolto un tavolo sul mio terrazzo) entriamo in una cioccolateria accanto alla stazione di Porta al Serraglio. Le chiedo l’impegno di venire nei Campi Flegrei per ritirare direttamente il Premio e concordiamo una data. Accetta che io pubblichi sul Blog il suo racconto. Ci salutiamo poi in attesa di risentirci presto per definire il tutto.
Ecco il racconto:

Il futuro nel passato

“Abbiamo quasi finito, manca solo il salone.”
Ant sospirò. Bonificare case abbandonate era la parte del suo lavoro di Addetto alla Sicurezza (o AddSic, come veniva definito) che amava di meno, ma negli ultimi tempi ne erano state segnalate molte, nei dintorni di Mil. Non erano quasi mai vuote: normalmente i proprietari avevano finito i loro giorni in un istituto senza che nessuno si preoccupasse dei mobili e degli oggetti che avevano lasciato indietro. Ogni volta che entrava in una casa abbandonata, ad Ant sembrava di profanare il passato di chi ci aveva vissuto, e uno strano mal di stomaco lo tormentava per vari giorni, una volta terminato il suo lavoro.
Alb, il suo collega, iniziò ad arrotolare il tappeto, con aria seria e professionale. Non sembrava condividere il suo stato d’animo. Dall’altra parte della stanza, Ant estrasse qualcosa da un mobile. Sembrava un parallelepipedo impolverato. Alb si avvicinò.
“Che cos’è?”
“Non lo so…” In quel momento l’oggetto sembrò sfaldarsi. I due sussultarono, ma subito dopo si resero conto che si era semplicemente aperto, rivelando un’enorme quantità di lamine sottili, friabili e giallastre, scritte da entrambi i lati.
“Strano, sembrerebbe una storia come quelle che si leggono sugli eBook reader, ma non è illuminata.”
Incuriositi, rimasero fermi per qualche minuto, scorrendo le frasi con gli occhi.
“Curioso…” osservò Ant.
“Cosa?”
“Le parole. Sono lunghe. Non ho mai visto parole così lunghe. E questi? Giovanna, Luciano… Da come sono usati, sembrerebbero nomi propri, ma hanno molto più di tre lettere.”
Alb alzò le spalle. “In ogni caso, è roba vecchia.”
“Lo porto in ufficio, comunque.”
***

“Guarda.” Ant gli mostrò lo schermo. “E’ stata dura, ma ho trovato dei siti che ne parlano. Pare che si chiamasse libro, e avesse la stessa funzione dei nostri reader.”
“Deve essere molto vecchio: quasi non riesco a capire di cosa parli. Sembra un’altra lingua.”
“A quanto risulta, una volta non si usavano abbreviazioni. “X” si scriveva “Per”. “Cmq” era “Comunque”. Le frasi erano più articolate.”
“Poco pratico. E quei nomi mai sentiti?”
“Sembra che i nostri nomi attuali non siano che abbreviazioni. Una volta i nomi erano Giuliano, Carlotta, Maddalena, ma poi, a forza di abbreviarli in Giu, Car, Mad, ci si è dimenticati degli originali.”
“E quindi i nostri nomi…?”
“Il mio, probabilmente, sarebbe stato Antonio, o Antonello. Il tuo, Alberto. Escluderei Albino: pare che fosse già in disuso quando questo libro è stato scritto.”
“Alberto…” Alb scosse la testa. “Suona così assurdo. In ogni caso,” aggiunse, alzando le spalle, “a chi potrebbe interessare?”
“Beh, rispetto a un reader, questo non ha bisogno di energia, la batteria non si scarica, se cade per terra non si rompe. Non è una cattiva idea.”
“E quanti volumi contiene?”
“Uno.”
“Uno solo! Ah!” Alb emise una risata canzonatoria. “Ridicolo! Immagina quanto spazio ci vorrebbe, in una casa, per conservare tutte le storie che può contenere un reader! Non ha futuro, credimi! ”

***

Giovanna sgranò gli occhioni neri. “Ma davvero, nonno Ant,” chiese, “quando eri giovane non c’erano i libri? E per leggere c’era bisogno dell’energia elettrica?”
“E si parlava in modo così strano, con “X”, “Cmq” e “TVB”?” incalzò Luciano.
Ant sorrise, accarezzando con lo sguardo l’enorme biblioteca dei nipoti. “Eh già!” rispose. “E se io, quel giorno, avessi ascoltato il mio amico Alb, non so a che punto saremmo adesso.”
“E invece sei l’editore più importante della terra!” strillò Luciano, gioioso.
Ant sorrise. Sì, lo era. Ma soprattutto aveva riabituato il mondo alla bellezza della parola.
E quello contava molto di più.

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VIAGGIATORI – una serie di racconti “Cloudy sun”

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Cloudy sun – prima parte

Professionalmente avveduto o un perfido insolente? L’impiegato della ditta di mezzi pubblici delle linee che partono da Stansted non aveva nemmeno chiesto conto dell’età della signora che si trovava di fronte e l’aveva già accreditata come anziana fornendole biglietti scontati. Londra aveva accolto Giulietta ed Armando con un cielo terso del tutto insolito per quelle latitudini; c’era anche un vento abbastanza sostenuto freschino per i turisti che arrivano dal Sud ma gradevole, quasi estivo, per gli autoctoni. Eh già! gli autoctoni che, quando il cielo è coperto, lo identificano con cloudy sun, ovvero “sole nuvoloso”. Avevano programmato quel viaggio per incontrare degli amici che si erano trasferiti da qualche anno a Cambridge, dove si occupavano di materie davvero particolari per un’Università straniera ritenuta di certo a torto anglofonocentrica, retorica latina e papirologia araba. Giulietta ed Armando erano in pensione, mentre Lucio e Francesca, più giovani di loro di circa 10 anni, erano in piena attività e giravano il mondo: erano stati anche a Roma (erano entrambi però originari della Calabria) dove si erano conosciuti ed avevano conosciuto Giulietta ed Armando durante un Seminario organizzato dal Dipartimento Scienze dell’antichità dell’Università della Sapienza. Sarebbero andati a casa loro, all’interno di un College che metteva a disposizione delle stanze anche per gli ospiti dei docenti per un tempo limitato. Né Armando né Giulietta erano stati mai a Cambridge e le aspettative erano alte; ne avevano letto e sentito parlare come di un luogo davvero particolare, costruito quasi esclusivamente per gli “studi avanzati e specialistici”, come Oxford o Harvard che prese il nome dal suo fondatore che apparteneva ad un gruppo di emigrati inglesi che fondarono una nuova città chiamata Cambridge, presso Boston. Ne parlavano identificando quel territorio come un grande parco inframmezzato da nuclei abitativi e strutture universitarie. Il viaggio da Stansted a Cambridge durò circa un’ora; si attraversava un’autostrada, la bretella n.8, con scarsissimo traffico senza vedere nemmeno un centro abitato ed, anche a ridosso della città di Cambridge, c’erano solo case basse – tipo terratetto – inframmezzate da vaste porzioni di verde. La fermata del bus era a ridosso di un Parco frequentato da un po’ di gente seduta sui prati, malgrado il vento, che ai “nostri” apparve anche un po’ freddino. Lucio era venuto incontro ai suoi amici e dopo i saluti cordialissimi si erano avviati verso il College; avevano attraversato il grande Parco e si erano inoltrati su una strada abbastanza trafficata; poi per una stradina laterale erano giunti sul Cam ed erano entrati, dopo aver attraversato un piccolo ponte in legno, in un sentiero ciclopedonale in mezzo ad un Parco di cui non si scorgeva la fine. Arrivarono dopo qualche minuto ad un caseggiato dietro una fitta boscaglia composta da alberi di alto fusto e videro venir loro incontro Francesca, sorridente e splendida in una di quelle gonne plissettate lunghe fino ai piedi con disegni floreali: l’avresti detta già una tipica donna “british” solida e ben piantata. Il tempo era cambiato e, portati dal vento, grigi nuvoloni si erano addensati e già poco prima di arrivare a casa degli amici iniziava a cadere una pioggerellina sottile sottile. Quella sera nel cottage del College, formato da stanze basse e piene di mobili che emanavano insieme al legno del parquet un intenso odore misto di pulizia e di antico, dopo una lunga chiacchierata a cena e dopo cena, Armando e Giulietta si erano ritirati nella loro camera e ben presto si erano addormentati al tepore di un piumone accogliente. Era luglio inoltrato ed in Italia di certo stavano soffrendo l’afa. Il giorno dopo avrebbero potuto visitare, da soli, perché Lucio e Francesca erano impegnati nei loro Dipartimenti, la città di Cambridge.

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VIAGGIATORI – una serie di racconti – Mimmo e Roberta – seconda ed ultima parte

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la seconda ed ultima parte

Mimmo e Roberta non possedevano alcun apparecchio televisivo in casa; avevano fatto una scelta così alternativa per mantenere intatto il bisogno di dialogare e di utilizzare il silenzio della loro abitazione, del loro nido. Possedevano una vasta biblioteca accumulata in modo separato quando ancora non si conoscevano e congiunto, poi, da quando vivevano insieme. Era una biblioteca speciale quasi esclusivamente settoriale, arricchita anche dai numerosi depliant e dalle cartine topografiche, tutta orientata al turismo. Avevano visitato tutto quello che c’era da visitare ma non disdegnavano ora di ritornare negli stessi luoghi per verificarne lo stato e per approfittare di qualche “mostra”, di qualche evento fieristico. Erano stanchi quella sera e, prima di sedersi sul comodo ampio lettone illuminato in modo soffuso da due abat-jour, entrambi avevano scelto alcune brochure e qualche volume su mete possibili per il giorno dopo. Amavano fare così; prima di andare leggevano, discutevano, programmavano, sognavano. Erano dei “viaggiatori” sognatori. Possiamo dirlo? In questo caso, in quel fine settimana avrebbero avuto a disposizione solo il sabato; la domenica erano stati invitati dai genitori di lei che abitavano sulle colline pistoiesi e non era mai facile – ed utile (la suocera, secondo Mimmo, cucinava da Dio, ma non sempre si sentiva di dirlo a Roberta, timoroso di poterla inutilmente offendere: anche Roberta era brava) – rinunciare. E, poi, le previsioni non erano buone per domenica e non era così faticoso il pensiero di rimanere in casa, semmai per Mimmo a seguire il campionato di calcio con il suocero su Sky e per Roberta parlare con la sua mamma sempre prodiga di consigli. Sul letto c’erano cartine di ogni Provincia della Toscana, dell’Umbria, della Liguria e dell’Emilia e libri che trattavano di varie località, dalla Lunigiana al Pratomagno, dall’Alta Tuscia al Mugello, dal Casentino al Valdarno: mancavano solo le Isole perché avevano escluso di potersi imbarcare visto il tempo così breve a loro disposizione. Roberta propose di sospendere la ricognizione quando si accorse che erano passate le undici e le palpebre si avviavano ad essere pesanti. Lasciarono che i libri e le cartine facessero da muraglia fra di loro e si addormentarono sognando il da farsi per il mattino dopo. Quando Mimmo aprì gli occhi erano già quasi le otto e sentì venire dalla cucina un odorino misto di caffè e di fritture: Roberta era sveglia da un po’ ed, oltre ad alcuni caffè per sé, aveva messo in forno per la loro uscita una bellissima soda frittata di spaghetti. Aveva già riempito la lavastoviglie in attesa delle ultime tazzine da caffè e poco altro e, prima di fare colazione, preparato anche dei panini con formaggio, bresaola con fettine di limone ed una borsa con tanta tanta frutta, ché a Mimmo non la poteva negare per quanto ne era ghiotto. E subito dopo la colazione ed il riordino cui Mimmo cooperò, rientrarono in camera da letto, raccattarono tutti i depliant, le brochure ed i libri turistici, li riordinarono in un carrello della spesa, rassettarono la camera arieggiandola brevemente, presero tutto l’occorrente per il pranzo e la merenda, presero anche il carrello della spesa, chiusero porta scesero nei garage, saltarono sul camper e, dopo aver sistemato il tutto Mimmo si pose alla guida Roberta accanto a lui e prima di avviare il motore aprirono il carrello della spesa e ripresero la riesanima della possibile destinazione della giornata. La discussione assunse toni paradossali, intervallata dal consumo di una parte delle provviste; se Mimmo proponeva di andare verso il Mugello e visitare Vicchio giottesca e Barbiana di don Lorenzo Roberta controbatteva proponendo con discrezione condita da innumerevoli particolari una visita a Vallombrosa; se Roberta avanzava un’ipotesi su Certaldo e san Gimignano Mimmo controbatteva con una bella visita all’Abbazia di Calci, dove peraltro c’era un Museo Paleontologico di notevole rilevanza scientifica; e così se Mimmo proponeva di fare una puntata in Lunigiana ed a Pontremoli Roberta rilevava che non sarebbe stato male visitare le Navi romane agli Arsenali medicei di Pisa con una sosta per il pranzo alla tenuta di San Rossore… Ogni proposta era dettagliata da commenti e letture. Le ore passarono, le discussioni erano stranamente pacate come se entrambi si accontentassero sì di viaggiare ma di farlo in maniera esclusiva… con la mente. E con le ore anche le provviste finirono; si fece sera ed i due se ne accorsero perché nel garage rientrarono i loro vicini di casa che erano stati all’Abetone e, vedendoli dentro al camper insieme, dividendosi la battuta: “Anche voi siete appena rientrati?” – dissero – “Dove siete stati di bello?”.

VIAGGIATORI – una serie di racconti – Mimmo e Roberta (prima parte)

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Il diario

Vi presento una serie di racconti dedicati ai “viaggiatori” (è un omaggio ad Angela Schiavone ed alla sua Associazione “Il Diario del viaggiatore”) Questo è “Mimmo e Roberta” prima parte

La settimana era stata dura; il lavoro per fortuna in quel periodo non mancava e Mimmo aveva anche dovuto fare degli straordinari: occorreva proprio in quel fine settimana provvedere alla spedizione di una commessa in Germania ed anche quel venerdì stava ritornando a casa stanco morto. Roberta lo sapeva: Mimmo l’aveva chiamata per avvertirla del ritardo, e lei c’era abituata. Roberta faceva la cuoca in una Scuola Elementare privata ed i suoi orari erano abbastanza regolari. Aveva imparato a cucinare per i bambini ed era molto apprezzata, tanto che ne aveva fatto un segno distintivo della “scuolina” e qualche famiglia attraverso il tam tam dei genitori iscriveva i suoi figli proprio a quella scuola per la fama di Roberta “cuciniera”. Quella sera aveva preparato un minestrone abbondante di verdure (lo preparava tagliuzzando in pezzettini minuti tantissime verdure: patate, cipolle, carote, sedano, porri, pomodori con l’aggiunta di piselli e fagioli e ci aggiungeva qualche pezzo di prosciutto per insaporirlo) ed uno stufato al vin santo che era venuto la fine del mondo. Mimmo era arrivato e, dopo essersi accertato che tutto – per Roberta – fosse andato bene in quel fine settimana si era introdotto nel vano doccia e vi era rimasto un buon quarto d’ora. Non avevano figli: erano sposati da cinque anni e, con tutto l’impegno possibile, non erano venuti. Era una coppia felice, però; e non si erano fatti mai mancare nulla, grazie anche al lavoro che non era mai scemato e ad una forma di ottimismo che li accompagnava sin da quando si erano incontrati, d’estate, in uno dei campeggi della costa tirrenica.
“Che profumino, Roberta!” le aveva detto, entrando in cucina “sei sempre al top” e le aveva cinto il fianco, abbracciandola e sfiorandole il collo con un bacino mentre accudiva agli ultimi ritocchi gastronomici aggiungendo un leggero spruzzo di vin santo allo stufato e mantenendolo in caldo a fiamma bassa, e già sulla tavola la zuppiera fumava per il caldo minestrone. A Roberta i bacini sul collo la facevano letteralmente impazzire. Abbandonò il mestolo, si girò e baciò con passione Mimmo “Ora però dobbiamo cenare. Non hai appetito? Beh, sembra proprio di sì. No? Vivresti di aria e di baci, tu. Ma dobbiamo anche nutrirci.” Ed a malincuore, ma l’appetito per l’appunto c’era, per il resto ci si poteva pensare dopo, i due si misero a tavola. Lasciamoli là a cibarsi come due piccioncini innamorati e discutere del loro lavoro e delle prospettive per le settimane future.
Mimmo era stato da sempre – e lo era potenzialmente (il lavoro non glielo consentiva agli stessi ritmi di quando era giovane, intendo “single”) ancora – un frequentatore di campeggi ed insieme a Roberta aveva acquistato un camper con il quale di tanto in tanto si spostavano per visitare qualche città d’arte (in Toscana non mancavano) o qualche località di montagna o di mare (ed anche quelle non mancavano affatto).

EPIFANIE – 6

Stagione

EPIFANIE 6

Non penso sia facile spiegare quali siano le motivazioni che mi hanno sollecitato in vari momenti della mia vita ad intraprendere strade di conoscenza diverse da quella “familiare”. Non sono né un moralista a senso inverso né un inguaribile dongiovanni e nemmeno, né nell’apparenza né tanto più nella sostanza, potrebbe celarsi in me una macchina da sesso, tanto per dirla con chiarezza. I messaggi, sinceri, non accennavano mai a particolari prestazioni né ne richiedevo. Ed infatti tutte le storie che ho vissuto sono partite da basi culturali e sulle basi culturali sono durate e su di esse sono terminate senza mai creare scompigli; forse a dire il vero qualcuna di queste storie potrebbe essere in modo davvero atipico ancora in piedi. Suggerirei a tal punto alla mia recente amica psicoterapeuta di attivare (tutto a suo vantaggio) uno studio su di me, considerando anche solo queste riflessioni oggetto di indagine psicologica con tratti di psicanalisi spinta. Accennavo ad una raccolta poetica; credo proprio di poter indurre chi legge in errore: non ho mai approfittato del mio ruolo e le “storie” sono nate quasi al di fuori, appena al di fuori del perimetro organizzativo. La prima di cui ricordo è relativa ad una giovane ragazza, collega di lavoro, di cui scopro alcuni versi su di un foglio volante (un manoscritto si sarebbe detto un tempo; ora non più in uso, anche se io stesso conservo molti appunti con gelosia maniacale, data la mia scarsa rilevanza “letteraria”); avverto profonda curiosità umana e prolungo le frequentazioni anche al di là dell’ambito lavorativo con delle fasi ricche di motivazioni. Di lei conservo ricordi lirici indimenticabili con un addio costruito con parole che da sole hanno rilevanza poetica. Conservo, per l’appunto, tutto nella memoria. Altra vicenda più complessa, più duratura, mi collega ad una figura ambigua per la quale continuo ad avere un affetto sostanzialmente quasi paterno. Mi viene da ripeterlo: l’uomo che ama non può essere accomunato all’uomo che ama ed odia allo stesso tempo; non ci può essere comunanza fra l’uomo che ama e l’uomo che, ritenendosi figura prevalente, tende a sopraffare fisicamente ed intellettualmente la donna. Ho ancora l’idea che occorra superare gli istinti e far operare i sentimenti; e questa idea che non mi ha mai fatto sentire uguale ad altri che sopravvalutano anche le loro fantasie la coltivo ancor più in questa età matura. Dunque, tutto quello che è accaduto che avrei anche potuto non narrare è semplicemente collegato ad una volontà di conoscenza e di approfondimento della conoscenza; e la prevalenza femminile in tutto questo mio modo di essere è il solo elemento, forse, istintivo che mi sospinge. Scopro mondi inesplorati, estremamente e straordinariamente fecondi anche se a volte territorialmente lontani; ho poche amicizie maschili ed a volte, fra queste ultime, preferisco persone che abbiano dentro di sé la doppia essenza. Cerco di continuo di comprendere l’animo umano; ne ho bisogno anche se a volte ho rischiato ( e rischio tuttora ) di non essere compreso. Ciascuna di queste “storie” e forse di quelle che verranno mi ha aperto varchi di conoscenza che non avrei potuto acquisire personalmente; in molti libri troviamo le “storie” di altri personaggi e le possiamo trasportare su noi lettori; ma è tutta un’altra cosa.

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FESTIVAL DELLA LETTERATURA NEI CAMPI FLEGREI – risultati finali

Alla Dragonara Schiavone e Castiglia

Bacoli nei pressi della Dragonara

Le Assessore

QUESTI I DATI DEFINITIVI IN MIO POSSESSO GIA’ DA QUALCHE GIORNO, MA CHE NON AVEVO ANCORA PUBBLICATO –

Oltre 400 partecipanti in 3 giorni, più di 10 tra siti archeologici o di interesse architettonico e paesaggistico, oltre 40 tra autori, scrittori, intellettuali e critici letterari, più di 30 reading e letture teatralizzate, 4 spettacoli-concerti e performances, circa 10 tra librerie ed editori coinvolti, 9 partner culturali, 8 tra bar, ristoranti e strutture alberghiere del territorio flegreo: tutto questo – e molto altro – è stato “LIBRI DI MARE LIBRI DI TERRA 2014″, la settima edizione del Festival di Letteratura itinerante dei Campi Flegrei, organizzato dall’Associazione IL DIARIO DEL VIAGGIATORE e promosso dai Comuni di Pozzuoli, Bacoli e Monte di Procida.

Nel corso della giornata conclusiva di domenica 28 settembre, il festival ha accolto la cerimonia di consegna del Premio Michele Sovente [III edizione], dedicato al poeta, intellettuale e scrittore flegreo, considerato tra i maggiori poeti campani contemporanei neodialettali, scomparso nel marzo 2011.

Il Premio – in quattro diverse categorie (Poesia, Narrativa, Giornalismo, Illustrazione) – è stato assegnato, per questa edizione, a:

NARRATIVA
1) “ABBIAMO QUASI FINITO, MANCA SOLO IL SALONE” della pratese CRISTINA GIUNTINI

2) “ANONIMA” del romano ARISTIDE BELLOCICCO

3) “EL MUSS” del pescarese MARCO DE LUCA RADOCCHIA

ARTICOLI / GIORNALISMO:

1) ‘IL GIOIELLO DEL RIONE TERRA’ della napoletana LUISA DE CRISTOFANO (pubblicato su “L’Espresso Napoletano” nel giugno 2012)

2) ‘DIRITTI SINDACALI DI DUE SECOLI FA’ del tarantino ARTURO TUZZI

3) ‘DISCORSO INTORNO ALLA VIOLENZA SULLE DONNE, COME COMPORTARSI’ della padovana CAMILLA BOTTINI

POESIA
1) “Linea di poesia delle tue fragole” del napoletano Raffaele Piazza

2) “Essere d’ombra” del novarese Aldo Ferraris di Novara

3) “Giunchi” della campana Giovanna Silvestri

GRAFICA – ILLUSTRAZIONI

1) RITA MASI (Pistoia)

2) ROBERTA ORIANO (Pozzuoli | NA)

3) ANTONIO MOIO (Napoli)

“Abbiamo voluto riportare gli scrittori nei Campi Flegrei per dar corpo e voce ai loro libri, far sentire la fatica e il respiro, l’immaginazione e la creatività – spiega la professoressa Angela Schiavone, presidentessa dell’associazione Il Diario del Viaggiatore e ideatrice della kermesse – e il nostro desiderio è stato quello di far attraversare questa terra, che ha tante ferite e tante rughe, da chi fa dell’arte un prolungamento necessario del mondo”.

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EPIFANIE 5

Stagione

Altro viaggio, altra storia, qualche tempo fa. Ero di ritorno da una delle frequenti visite a mia madre che, ormai vedova, era accudita da una badante ucraina. Si chiamava Maria ed era una donna straordinaria della quale ho perduto i contatti ma che è rimasta nella mia memoria per la sua correttezza che mi rendeva tranquillo durante le mie comunque lunghe assenze. La mia irrequietudine emotiva mi aveva spinto ad una ricerca di momenti “diversi”, alternativi alla vita monotona coniugale ed avevo intercettato una signora che aveva più o meno le medesime esigenze. Fu proprio durante il viaggio di ritorno che ritrovai il suo messaggio sulla chat: “Mi chiamo Daniela e vorrei conoscerti”. Seguiva il suo numero di cellulare. La chiamai e, dalla voce, sospettai, essendo anche lei di Prato, fosse persona a me già nota: la identificai per una donna che aveva frequentato insieme a me le stanze del PCI poi PDS, ma la curiosità non è solo “donna” e fissai, proprio nel corso del viaggio, quando dove e come vedersi. A pochi chilometri da Prato c’è un paese che si chiama Calenzano; in questo don Lorenzo Milani agli inizi della sua carriera svolse funzioni di vice-parroco alla Pieve di San Donato la cui struttura ed il Campanile si vedono distintamente dalla linea ferroviaria e dall’Autostrada Firenze-Bologna. E, per quel che riguarda don Milani da qui cominciò la sua “rivoluzione”. L’appuntamento con Daniela avvenne all’Ufficio Postale di Calenzano; arrivò in Vespa. No, non era la persona che avevo sospettato, aveva un aspetto gradevole: piccolina, ben messa dal punto di vista del fisico, forse un po’ tonda ma non mi è mai importato questo aspetto. Non perdiamo tempo dopo il riconoscimento reciproco; non ce n’è molto: entrambi dobbiamo essere a casa fra un paio d’ore ed abbiamo bisogno di conoscerci meglio, di sapere. La invito in auto e ci spostiamo verso Calenzano alto, non nella zona della Rocca ma in quella proprio di San Donato. Il luogo ha una sua grande forza simbolica legata al fascino della vicenda terrena di don Milani ed è abbastanza tranquillo ed isolato per fare due chiacchiere in grande libertà. Solite motivazioni ci spingono ad avviare una relazione; niente bugie, niente promesse di costruire pezzi di vita definitivamente alternative: solo l’esigenza di rilassarsi respirando atmosfere nuove o recuperare emozioni antiche. Entrambi sappiamo quel che facciamo e conosciamo il suo valore. In questo caso sento parlare di violenze domestiche, di rapporti difficili con un uomo rozzo e umorale, che forse addirittura conosco. Ed è questo uno dei motivi per cui con Daniela, colta e sensibile, il rapporto non è nemmeno iniziato; in quel periodo i miei impegni mi portavano fuori e non avevo molto tempo per coordinare tre vite parallele, faticando a tenerne in piedi anche solo una. Mi occupavo di Politica, di Cinema e di Poesia e proprio in relazione a quest’ultima andavo curando la redazione di un libro che raccoglieva poesie di donne e per donne, dal titolo “Poesia sostantivo femminile”. Incontravo donne, molte; in verità anche uomini. Ma spero non vi sembrerà strano: ero costantemente attratto dalle prime. Dai loro occhi, dai loro sorrisi, dai loro silenzi e dai testi che mi consegnavano; mi intrattenevo a parlarne, mi confrontavo con loro osservandole al di là delle comuni e banali apparenze. Erano mondi inesplorati che emergevano e mi affascinavano. Non volevo trascurarli.

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