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Cani gatti e figli – il nostro “primo figlio” era “peloso” parte prima

Cani gatti e figli – il nostro “primo figlio” era “peloso” parte prima

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Non ho avuto mai una grande passione per i cani per diversi motivi. Innanzitutto trovo che possono anche essere fedeli ma non sono autonomi, e quindi sono molto lontani dal mio prototipo di riferimento animale ed umano: un cane avrà sempre dei “padroni” o “il padrone”.  In secondo luogo, anche se per una ragione molto simile alla prima, hanno bisogno di essere “accompagnati” e di essere “curati” (non escono da soli nè sono in grado di provvedere alle loro deiezioni in ambienti ristretti, producono una salivazione eccessiva e nn sono in grado di autoregolarsi nelle pulizie: in sintesi, spesso “puzzano”). Hanno la necessità di essere “portati” fuori e lì, complici “padroni” incivili (non tutti, per fortuna, ma tanti e troppi!), alzano la loro gambetta, di solito quella più vicina ad un muro o ad un oggetto solido, per pisciare e poi… non si limtano a questo e producono altri tipi di deiezione qui e là. Spesso ringhiano ed abbaiano non sempre in modo logico: lo fanno esclusivamente in modo selvatico per difendere il loro territorio. Indubbiamente svolgono anche un ruolo di difesa della proprietà del loro padrone. Spesso lo fanno mentre stanno in casa, abbandonati da “padroni” che li trascurano, ed in quel caso a volte disturbano il vicinato di giorno e di notte. Per tutti questi motivi non ho mai avuto un mio “cane” ma ho accolto quelli di altri con il rispetto dovuto anche ai loro padroni. A qualcuno di loro accennerò.

I gatti, sì, mi sono sempre piaciuti per la ragione opposta a quella che provoca in me una repellenza verso i cani. Sono liberi, autonomi, pieni di inventiva, sorprendenti nella varietà di espressione della loro essenza; le loro azioni sono irripetibili e le reazioni esprimono un livello di partecipazione unico nel suo genere. Ne ho avuti sin dalla mia più tenera età ed a loro ho dedicato anche liriche infantili che ho scoperto essere rimaste nella memoria di qualche compagno di scuola  (da qualche parte ho anche i manoscritti), e ringrazio ancora quanti, tra i felini, mi hanno fatto compagnia nella solitudine da “figlio unico”.

Crescendo, poi, avendo sempre meno tempo (ero in perenne fuga) e rimanendo spesso lontano da casa non ho avuto altri amici pelosi, anche se i miei genitori per ragioni forse associabili alla mia assenza hanno continuato ad averne. Quando poi ho incontrato Mary e sua sorella Teresa ho conosciuto anche “Pallina” un siamese bisbetico ed umorale, che provava grandi simpatie ma altrettante insofferenze verso alcuni ospiti, ai quali riservava minacciosi agguati. Credo di poter dire che, pur non essendogli (“gli” e non “le” perchè “Pallina” era un gatto maschio) del tutto simpatico, mi sopportava ma non mi riservava per niente attenzione, vale a dire che “mi snobbava” fin quando, poi, per una serie di vicende di tipo sanitarie (veterinarie) non ebbe bisogno lui di coccole. D’altra parte, è nel DNA dei felini, questo adattarsi al bisogno.

18 dicembre – IL MOTIVO DI MANUTENERE UN BLOG – il mio Blog – parte quarta (per la parte 3 vedi 25 novembre)

IL MOTIVO DI MANUTENERE UN BLOG – il mio Blog – Parte quarta

Mi rifaccio alla parte conclusiva del secondo post, quello pubblicato lo scorso 4 novembre. Cittadinanza attiva. Se portate attenzione a quel che scrivo non potrete non rilevare che andando a recuperare spazi della mia esperienza civile politica ed amministrativa vado sottolineando l’importanza che avevano le strutture amministrative decentrate qui a Prato.

Spero si sia in grado di sgombrare qualsiasi dubbio circa il mio personale interesse attuale; non ho alcun desiderio di ritornare a fare politica nelle istituzioni, anche se continuo a mostrare interesse per la partecipazione diretta.

Ho premesso quanto sopra proprio perchè deve essere chiaro e preventivo che quanto sto per dire non nasconde scopi personalistici.

In questi giorni orrendi mi sono più volte chiesto come sarebbe stato molto più facile la gestione totale dell’emergenza sui territori pratesi con la presenza delle Circoscrizioni comunali o qualcosa di consimile.  Da quando sono state abolite, appoggiando tale scelta su criteri oggettivi ma non prescrittivi, è venuto a mancare un presidio democratico efficace e ad esso si sono sostituiti individualità non sempre all’altezza dei compiti, molto spesso interessati semplicemente a incassare consensi generici ed occasionali.

Una struttura decentrata “democratica” (vuol dire rappresentativa di ampi e vari interessi politici e sociali) avrebbe potuto organizzare anche presidi diffusi per microquartieri (a Prato andrebbe a significare, in alcune parti del territorio, “paesi”) o ancor più tutte le diverse parti di questi, utilizzando gli stradari che le vecchie strutture politiche (penso al PCI) avevano allestito per preparare le diverse “campagne” informative (la diffusione de “l’Unità” ad esempio) ed elettorali.

Tali “presidi” – solo per fare un piccolo esempio – avrebbero mantenuto costantemente informati i cittadini, avrebbero potuto ascoltare – o in ogni caso essere già preventivamente a conoscenza de – i loro problemi, piccoli medi e grandi.

Si fa un gran “dire” che non tutto il male venga per nuocere e che dalla necessità provenga una indubbia virtù, si dice anche andrà tutto per il meglio, che passerà questa nottata. Se scrivo è perché non ho più una gran fiducia che tutto andrà bene, che ne usciremo migliorati; e tutto questo lo “scrivo per degli amici” (a partire da quello che mi osserva dallo specchio) affinché non ci sia chi potrà dire che nessuno vi aveva consigliato come poter mantenere vivo un rapporto con la popolazione in un momento di così alta difficoltà e solitudine.

16 dicembre ESTATE 2020 – parte 8 – su per Campiglia (per la 7 vedi 20 novembre)

ESTATE 2020 Parte 8 – Campiglia

Timidamente e condizionati dalla presenza canina, abbiamo suonato alla porta e Patrizia dall’alto di una scala interna ci ha detto di salire. Ci mostra l’appartamento e ci anticipa che ad ogni modo non intende affittarlo: ci verrà lei: anche a causa della pandemìa, quest’anno, diversamente dal solito, a luglio non andrà all’estero. Ci mostrerà poi un altro appartamento di un suo amico. In realtà avevamo capito che per luglio sarebbe stato disponibile e siamo in qualche modo delusi anche se non lo lasciamo intravedere. Dal soggiorno si gode una straordinaria vista su tutta la pianura. Ad ogni buon conto, anche se l’appartamento è di certo collocato in un contesto davvero affascinante, guardandoci negli occhi, io e Mary, ci comunichiamo un certo imbarazzo ed un segreto sospiro di sollievo. In realtà, un po’ ci aveva spaventato l’idea di dover percorrere tutti i giorni quei tornanti con l’auto e quelle stradine scoscese a piedi, semmai con bagagli e varie borse delle spese alimentari che di solito sono abbondanti.

Patrizia ci mostra gli altri ambienti: l’appartamento è un insieme di camere che si innestano su un corridoio formato da una doppia scalinata interna: si tratta di un terratetto ed in qualche modo più che le tipologie toscane a me ricorda ambienti mediterranei, come quelli della mia isola, Procida. Sarà perché da lì lo sguardo si spinge verso il mare, lo stesso nel quale ho navigato per tanti anni sin dalla prima infanzia, il Tirreno.

Lo dico alla padrona di casa e i miei occhi luccicano di malinconia.

Patrizia, però, vorrebbe non deludere quelle che giustamente considera le nostre aspettative: ci propone di visionare un altro appartamento poco distante. Lasciamo i due cani a far da guardia alla casa: le porte sono aperte proprio come nelle abitazioni isolane a mia memoria – anche se forse nel tempo questa abitudine è andata a modificarsi. Ci spostiamo di un centinaio di metri poco più in giù in una stradina parallela. L’abitazione è molto più angusta e poco luminosa (non c’è lo stesso affascinante affaccio della casa di Patrizia), anche se ben arredata con il segno della Cultura: ci sono tanti libri. Apprezziamo proprio questa caratteristica, rivelando che tuttavia non può essere per noi: a stento ci staremmo Mary ed io.

Patrizia comprende e decide di sentire una sua amica, che possiede altro immobile. Nel mentre cerca di contattarla, usciamo per recuperare i due amici custodi della casa. Insieme a loro ci spostiamo verso la piazza e ritorniamo in Piazza del Mercato, dove ci lascia con i due cani, i cui guinzagli vengono legati ad uno di quegli anelli che verosimilmente in un borgo agreste come Campiglia servivano a legare le cavezze degli equini,  e si inoltra in un vicolo per poter  contattare in modo diretto l’amica, che non si riesce a rintracciare a telefono.

I due cani sono molto diversi tra loro e solo uno appare innervosito dai vari passaggi di altri cani al guinzaglio dei loro padroni; l’altro appare quasi infastidito da quell’atteggiamento.

I CONTI NON TORNANO – un racconto morale – parte quinta (vedi 16 aprile per parte quarta)

I CONTI NON TORNANO – un racconto morale – parte quinta (vedi 16 aprile per parte quarta)
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Si tratta di un meta-racconto che mette in evidenza come la Politica di quella parte che raccontava al mondo di essere Sinistra rincorreva già più di venti anni fa interessi particolari che poco coincidevano con quelli della “gente comune”.

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“Ma gli spazi di quella casa” con saggezza la nonna di un allievo, che era stata preside, si inserì “sono pieni della storia culturale ed umana di quella famiglia ; vi sono suppellettili importanti accumulate nel tempo. A me sembra fondamentalmente egoistica questa proposta!”
E un docente di materie giuridiche, facendo leva sulle sue conoscenze: “Dobbiamo ragionare. Consultiamo qualche esperto; nello studio del prof. Vincenzi ci potranno aiutare. Verifichiamo gli aspetti normativi ed analizziamo le pieghe dei dispositivi legislativi e normativi!”.
Una delle docenti che aveva partecipato anche ad alcune riunioni di Partito soggiunse: “Trovo stalinista e paternalistico l’atteggiamento dell’Assessore. Mi ha profondamente delusa. Dimostra di essere stupida, soprattutto se crede che noi si sia così imbecilli da calare la testa, così, per “disciplina di Partito””!
E qualcuno di rimando alzò il tiro: “..E anche il Provveditore non è da meno….”.
Queste furono solo alcune delle riflessioni fatte a voce alta dai presenti a quell’incontro.
E Giorgio, che aveva annotato il tutto: “Sì, certo” concluse, salutando “la proposta dell’Amministrazione è razionalmente incomprensibile” ed il prof. Vincenzi, esperto di legislazione pubblica e civile, e che per tale motivo era stato chiamato in causa, aggiunse: “Mi attivo, fatemi avere al più presto tutta la documentazione possibile, mentre intanto voi proseguite con le relazioni di carattere politico istituzionale per capire meglio il da farsi”.
I giornalisti che erano stati avvertiti della questione e che non erano intervenuti, vista l’urgenza e l’ora tarda nella quale l’Assemblea si era tenuta, essendo stati informati in modo non ufficiale ma riconoscendo l’appetibilità del dissidio, tempestarono di telefonate Giorgio e gli altri colleghi anche durante il periodo di vacanze natalizie che, lo speravano innanzitutto i tre compagni colleghi ed amici, avrebbe potuto indurre l’Amministrazione provinciale a ritornare sui suoi passi.
L’ipotesi di applicare le regole del dimensionamento, così come erano stabilite, sarebbe stata la più semplice, la più realistica, la più rispettosa, la più legale soluzione.
I documenti che gli esperti chiedevano di avere a disposizione, per dimostrare che quelle scelte avrebbero comportato maggiori danni, anche economici, laddove non si fosse preso in considerazione il numero massimo di 900 allievi per ciascun Istituto, furono tantissimi.
…continua….
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Nota:
Il “racconto morale” per essere compreso ha bisogno di avere anche una documentazione. La fornirò “cum grano salis” attingendo a documenti reali riportati non in linea cronologica, ma tenendo conto degli elementi affrontati nella metanarrazione.
Il primo dei documenti è un “Rapporto circostanziato sulla ottimizzazione della rete scolastica Scuole superiori di Prato” redatto dall’allora (1998/99) Dirigente del Liceo “Copernico”. E’ una relazione di parte, inevitabilmente a difesa delle “legittime” richieste delle diverse componenti del suo Istituto.
Nel prossimo blocco lo riporterò non in testo integrale, che è tuttavia in mio possesso ed è a disposizione di chi lo voglia consultare.

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I CONTI NON TORNANO – un racconto morale- pa rte quarta (vedi 28 marzo 2017)

nel 2017 recuperando alcuni documenti (che faranno parte integrante di questo blocco di post dal titolo “I CONTI NON TORNANO”) da una mia corposa cartella avviai a scrivere sotto forma di “fiction letteraria” un racconto; poi, preso da tante altre urgenze, abbandonai il progetto. Oggi ho deciso di aggiungere alle prime tre parti pubblicate altre parti – nei prossimi giorni per rendere più comprensibile il senso riproporrò le parti pregresse – ad ogni modo, però, se avete la pazienza e la curiosità potete andare sul post del 28 marzo 2017 per leggere le tre parti precedenti a questa.

J.M.

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Si tratta di un meta-racconto che mette in evidenza come la Politica di quella parte che raccontava al mondo di essere Sinistra rincorreva già più di venti anni fa interessi particolari che poco coincidevano con quelli della “gente comune”.

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I CONTI NON TORNANO – un racconto morale

I CONTI NON TORNANO – parte quarta (vedi 28 marzo 2017)

Il ragionamento fu condiviso da tutti, compreso l’Assessore all’Istruzione pubblica della Provincia, cui le scelte definitive erano affidate dalla legislazione, e compresi anche alcuni colleghi del “Copernico”, che tra l’altro si erano dissociati da alcune dichiarazioni apparse sulla stampa dalle quali emergeva una “presunzione” inaccettabile di superiorità da parte della loro scuola che pretendeva considerazione e rispetto evidentemente anche a scapito dei legittimi interessi di altri Istituti.
D’altronde non è un mistero che la “ragione” ha poco a vedere con gli “interessi specifici e personali” e “il fanatismo ideologico”…e non ci voleva certo un mago nè un santo taumaturgo a far capire che, con quella proposta avanzata, si stesse mettendo in scena una “farsa tragica” con cittadini di serie A e cittadini di serie B, con i figli dei signori distinti da quelli degli operai.
I bravi ne avevano bloccato solo uno…in quell’occasione i tre colleghi se ne trovarono di fronte solo uno, forse un po’ meno “bravo” un po’ più don Rodrigo o Azzeccagarbugli ma comunque “fedele servitore della volontà di altri”.
“Non vi è alcuna possibilità per il “Dagomari” che rimanga nella sua sede ma c’è tutta la mia disponibilità a trattare per le migliori condizioni”. Non molto di più disse il Provveditore ai tre amici di fronte a lui.
“Erano stati convocati loro; perché non i rappresentanti istituzionali?”
Uscirono e se lo chiesero reciprocamente.

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Cascava dalle nuvole o “dal pero” l’Assessore all’Istruzione pubblica della Provincia quando Giorgio la chiamò davanti ai suoi due colleghi da un telefono pubblico in Piazza San Francesco e mantenne la calma, perlomeno si sforzò di farlo, rinunciando ad un tono che covava dentro ed a fatica reprimeva. Forse era davvero del tutto ignara ed i “giochini” le stavano passando sopra la sua testolina, scavalcandola.
Era nell’ambito della razionalizzazione delle risorse pubbliche che lo Stato aveva provveduto a stilare delle regole sul dimensionamento “ottimale” degli Istituti scolastici. L’ottica era quella del risparmio ed era razionalmente condivisibile.
Non era di certo facile gestire scuole con tantissimi allievi ed era diseconomico mantenerne altre con un loro numero ridotto: lo Stato aveva dunque stabilito che le scuole non dovessero avere meno di 500 nè più di 900 allievi.
Il “Copernico” a quel tempo era già sovradimensionato: aveva superato di un terzo il numero massimo previsto e sul territorio non era l’unico Liceo Scientifico; ve ne erano altri due, anzi tre tra statali e parificati.
Il “Dagomari” era in regola quanto a dimensioni ed era diventato un punto di riferimento culturale per la formazione tecnica e professionale nell’ambito delle nuove tecnologie informatiche. Allo stesso tempo aveva ottenuto stima e considerazione negli ambienti amministrativi pubblici e privati che attingevano alle maestranze giovani con le loro fresche competenze. Probabilmente anche questo “successo” aveva dato noia a qualcuno. D’altra parte chi esce da un Liceo ha grandi e principali prospettive nei percorsi universitari.

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MEDIATECA DELLA MEMORIA – un’ iniziativa della Circoscrizione Est del Comune di Prato nel maggio 2001 (LA GIORNATA DELLA MEMORIA FU ISTITUITA NEL NOVEMBRE DEL 2005) la storia di E.T. Eugenio Tinti parte 1 (dopo il preambolo dello scorso 27gennaio)

MEDIATECA DELLA MEMORIA – un’ iniziativa della Circoscrizione Est del Comune di Prato nel maggio 2001 (LA GIORNATA DELLA MEMORIA FU ISTITUITA NEL NOVEMBRE DEL 2005) la storia di E.T. Eugenio Tinti parte 1 (dopo il preambolo dello scorso 27 gennaio)

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Eugenio Tinti classe 1899, uno di quelli che a giusta ragione possiamo anche chiamare “ragazzo del 99”: infatti, benchè interessato da alcuni acciacchi dovuti all’età (102 anni compiuti), ogni mattina dalla sua abitazione in Viale Montegrappa continua ad andare, con la sua andatura lenta ma anche con la postura eretta che fa invidia a tanti giovani, alla Coop di Piazza San Marco per fare le sue spese con una sosta, poi, vero il ritorno, al bar “Europa” dove incontra i suoi amici, i cosidetti “senatori” ed, a volte, càpita che con loro si accendano animate discussioni di tipo politico (e non solo) che gli rammentano la prima gioventù.
Eugenio Tinti è un testimone importante e credibile dell’intero XX secolo, peraltro possiamo dire che ha conosciuto tre secoli: anche se a volte esprime il suo pensiero con qualche lieve difficoltà (e come se ne rammarica!) ne è consapevole ed ha una gran voglia di parlare, di sè, del suo tempo, della sua storia.
Eugenio Tinti è rimasto più o meno quello che era, “un ragazzo del ‘99”: di lui ci dicono, prima di incontrarlo, quelli che da più tempo lo conoscono, che sia caparbio e deciso, un vero e proprio “Leone”, segno zodiacale che gli appartiene in modo certamente appropriato. E’ un po’ anche per questo la disperazione (espressa con amoroso affetto) di chi gli sta più vicino, la figliola Marite (diminutivo di Maria Teresa) ed il genero Lohengrin; ma è ovvio che c’entra poco l’età, perché si tratta di una persona autosufficiente ed anche un pochino esuberante con un caratterino non proprio ammorbidito dal passare degli anni e dell’accumularsi delle esperienze.
E poi, lo abbiamo già scritto, è uomo difficile da convincere, difficile che cambi le sue idee, le sue certezze. Verrebbe da chiedersi quale sia il segreto di tanta vitalità: una cosa è certa, la passeggiata quotidiana ( ne è assolutamente convinto) gli serve a mantenere in forma la circolazione. Andò a piedi anche fino al Palazzo Comunale, rifiutando sdegnosamente l’auto blu messagli a disposizione (data l’età e l’occasione) dal Sindaco, anche quando, nell’agosto di due anni fa, fu festeggiato ufficialmente per il compimento dei cento anni. Poi, vedremo in seguito quali altri segreti vitali si nascondono in un uomo così.

Eugenio Tinti non ha avuto una vita facile: due guerre mondiali una delle quali, la prima, combattuta in modo diretto; una contrapposizione chiara e forte contro il Fascismo; una fede non sempre comoda da comunista (anche in una Regione rossa come la Toscana); un lavorofaticoso e poi, come è normale per chi raggiunge la sua età, qualche piccolo acciacco ed il venir meno di tanti amici e congiunti con la conseguente malinconica solitudine, contemperata però in lui dal suo carattere forte e risoluto, che gli permette di affrontare ancora le difficoltà normali della vita.

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GLI ESSERI UMANI sono tutti uguali

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GLI ESSERI UMANI sono tutti uguali
di Joshua Madalon

Un essere umano è parte di un tutto che chiamiamo ‘universo’, una parte limitata nel tempo e nello spazio.
Sperimenta se stesso, i pensieri e le sensazioni come qualcosa di separato dal resto, in quella che è una specie di illusione ottica della coscienza.
Questa illusione è una sorte di prigione che ci limita ai nostri desideri personali e all’affetto per le poche persone che ci sono più vicine.
Il nostro compito è quello di liberarci da questa prigione, allargando in centri concentrici la nostra compassione per abbracciare tutte le creature viventi e tutta la natura nella sua bellezza.

(Albert Einstein)

Quando si può, se non piove a dirotto o se fa tanto freddo o c’è un vento forte Gil e Mary escono a piedi anche solo per comprare un pezzo di pane. Non amano i piccoli supermercati vicini e quindi si allungano verso via Pistoiese fino alla Pam.
La giornata di sabato ha già l’aria di festa. Dopo alcune giornate di pioggia incessante c’è un’arietta freschina ma pulita; e non c’è vento. La palazzina dove abitano è impacchettata con impalcature ferrose ricoperte da drappi fatti di plastica tipo canapa per sacchi. Gli operai pur in una giornata semifestiva stanno lavorando a rifinire la base di alcuni balconi prima di procedere con la posa delle piastrelle.
Davanti al bar di fronte alcuni avventori osservano i lavori con il solito interesse dei nullafacenti, mentre sgranocchiano patatine e noccioline per il consueto rito dell’aperitivo. Da un balcone di fronte una giovane signora gentile accenna un saluto, al quale Gil e Mary cordialmente rispondono. Con un sorrisino beffardo rilevano come in modo ben diverso altri, nascondendo la loro maleducazione dietro una presunta timidezza, anche se salutati, sembrano non avvedersi della loro esistenza. Ma la sorpresa è in arrivo lungo il marciapiede che Mary e Gil percorrono.
Prato – quando si andava in giro per il Paese negli anni passati – era nota per il “tessile”, per il “panno”; da qualche anno invece, allorché da pratesi si rivela la loro dimora, “ci sono i cinesi?!” dicono esprimendo l’incapacità ad approfondire altre caratteristiche, come la presenza di luoghi d’arte magnifici, di un Museo dedicato al tessuto, di un Teatro che ha vissuto grandi successi, di un Centro per l’Arte contemporanea unico al mondo per la sua “mission”.
Quando cammini, particolarmente nelle vie di San Paolo, ne incontri di cinesi! Ci sono anche due famiglie nel condominio di Gil e Mary, gente operosa e molto aperta all’Occidente, e non importa se tale ampiezza di vedute sia strumentale nella forma tipica dei “mercanti”.
Non è stato semplice avviare una convivenza condominiale, ma non lo è a prescindere dalle diverse nazionalità: ad esempio, nel contesto di cui si tratta, è più difficile il rapporto tra la gran parte degli altri, autoctoni o comunque immigrati interni come Gil e Mary. Diverse questioni, a partire dal corretto conferimento dei rifiuti, per il quale tuttavia non vi è stata cura da parte dell’ente preposto a tali controlli.
Un raggio di sole illumina lo stretto marciapiede attraverso il sorriso di una piccola bimba, tenuta per mano dalla mamma, che già da qualche metro agitava la manina per mostrarsi a Gil che in realtà era stato distratto da alcuni suoi pensieri e vagava con la mente. Gil infatti se la ritrova direttamente abbarbicata ad una delle sue gambone. Vuole essere sollevata, ricorda Gil di averlo fatto con i propri figli che ora sono molto grandi e, anche se non obesi, pesanti. La solleva e la bimba lo abbraccia come se fosse pratica consueta, quella con un nonno o con uno zio. Sprizza energia attraverso gorgheggi come un uccellino…..
Anche la madre, una giovane ragazza probabilmente abituata ad un contatto non ostile, è sorpresa. Chissà quali siano i suoi pensieri e quali quelli della bimba, si chiede Gil. E’ solo un attimo: sempre sorridente, dopo l’abbraccio si sporge verso la mamma e passa tra le sue braccia. Rivolge il sorriso a Gil dal comodo nido conquistato. Chissà, pensa Gil, che non lo abbia fatto proprio per quel transito furbesco. Ma è proprio bella e gli ricorda la sua bambina. A dire il vero, a Gil ricorda in quello stesso momento un cagnolino che aveva incontrato, condotto dal suo padrone al guinzaglio: non voleva camminare e continuava a piccoli passi con lo sguardo innalzato supplichevole verso il ragazzo, rifiutandosi di procedere. Lo disse a Mary, alla quale tornò in mente subito un altro episodio con un cane di grossa taglia che praticamente si stendeva spiaccicato in un corridoio di un discount. Sorrisero e proseguirono verso il supermercato. La dolcezza degli esseri viventi ha espressioni che li rendono molto simili tra loro. Anche lo sguardo truce di un uomo o quello sprezzante di una donna può assomigliare al ringhio di un doberman.
Camminare a piedi permette di osservare il mondo gli oggetti i condomìni; meglio farlo lentamente senza avere fretta. Mary e Gil passarono attraverso i giardini di via dell’Alberaccio e si diressero verso quelli di via Vivaldi, in fondo. Mary riferendosi agli stranieri che da alcuni anni hanno cominciato ad abitare quei caseggiati si rammentò di una querelle nella quale due famiglie di un contesto complesso di ben dodici condòmini avevano portato in tribunale le altre dieci perché non avevano accettato che in due occasioni all’anno lo spazio comune venisse impegnato in incontri multiculturali coinvolgenti tutto il caseggiato compreso alcune delle famiglie formate da persone di altre nazionalità. Per fortuna, dice Mary, che hanno trovato un buon giudice, un giudice giusto che ha dato loro torto, riconoscendo la funzione civile di un contesto condominiale.
Parlando parlando arrivano al supermercato. E’ uno di quelli frequentato quasi esclusivamente da stranieri, in massima parte cinesi. La spesa è anche l’occasione in uno spazio non tanto affollato di guardare le merci come si fa al mercato generale. Non c’è molta scelta, ma ciascuno si ferma a particolari banchi. Mary al pane, Gil alle verdure; Gil ai formaggi, Mary alle carni e via via poi ci si guarda intorno e si va verso le casse. Accanto ad esse ci sono prodotti vari, dai rasoi ai chicchi dolci, dalle ricariche telefoniche alle batterie di diversa forma e potenza. C’è anche lì in fila una giovane mamma cinese con una bimbina che frigna e allunga la mano verso una mini confezione di cioccolatini. La madre la dissuade ma pur se con dignità la bimba continua a mugolare. C’è dietro Gil e Mary un signore di età avanzata che mostra visivamente di non sopportare l’espressione della bambina e con voce alta avvia ad affermare che non se ne può più di questa gente, che se ne tornassero a casa loro. Mary non può tacere e sottolinea come i bambini siano molto simili tra loro qualsiasi sia la provenienza geografica delle loro famiglie. Si avvia una controversia intorno alla educazione da impartire ai propri figli. I miei, dice quel signore là, non hanno mai piagnucolato. E lo afferma con sguardo truce. Saranno stati repressi e cresciuti nella rabbia e nel rancore, aggiunge Mary, che si becca un “cattolica di merda” dall’aggressivo signore. Mary, che peraltro “cattolica” non è, soggiunge “meglio cattolica che infelice come lei”. Il commesso ha seguito ma, professionalmente, non interviene. La bimba ha smesso di frignare, mentre gioca con i corti capelli della madre, ignara di avere scatenato un empito cieco razzistico. Gil e Mary pensano ai figli del signore, infelici e repressi. Saranno, ora, grandi e da genitori forse saranno diversi, pensano. Lo si spera, ma forse, quel signore là, non ha mai avuto figli; o perlomeno non ha mai avuto bambini come tutti quelli che noi conosciamo. E si avviano verso casa.

Joshua Madalon

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Due euro l’ora e altri film

Due euro l’ora e altri film

Poche volte il “caso” bussa alla porta in perfetto orario. E’ accaduto ieri sera. Come molte altre volte, trascorro la prima parte del riposo collegandomi con il mio smartphone a RaiPlay (in tempi di Fiorello, tuttavia, non ho ancora visto una sola delle puntate del suo “VivaRaiPlay”: sarà che il titolo non mi convince!). Guardo film, documentari (molto belli quelli sul Cinema non solo quelli della RAI ma anche e soprattutto le “sintesi” di “Blow Up, l’actualité du cinéma (ou presque) – ARTE” di cui allegherò una clip per consentirvi di accedere (l’app è gratuita). Vado sulla “banda” delle opzioni e digito “On demand” e scorro le offerte.

Ieri sera, però, ho cliccato su “La mia lista”, casualmente. E mi è apparso un titolo di cui non sapevo nulla (di solito i film si scelgono e, poi, non avendo il tempo di guardarlo, lo si accantona in una “lista”. In questo caso, no. Non riesco a comprendere come mai ci fosse “quel” titolo. Forse il “sistema operativo” ha interpretato le mie sensibilità, i miei gusti, così come la “mia” propensione politica ideologica.

“Due euro l’ora”. Il titolo suggerisce immediatamente problematiche lavorative di sfruttamento della manodopera e mette a nudo questa pratica diffusa sui nostri territori capillarmente (non c’è luogo immune da essa ed è ancor più presente nelle realtà periferiche) e non esclusiva di una nazionalità (uno dei protagonisti, il perfido padrone della ditta di confezioni, è “italiano”). Le operaie subiscono trattamenti violenti, vessazioni, angherie senza avere neanche il supporto delle forze dell’ordine e questo mette in luce una delle tante questioni che non sono state affrontate con vigore per poter essere risolte (diciamo che il “buonismo” va male da una parte e va bene dall’altro).
Ovviamente, il film è molto più altro nella narrazione complessa del tema “emigrazione” che ci coinvolge: c’è chi è andata e chi ritorna, c’è chi è andato e chi vuole partire. Le terre meridionali (il film si basa su una vicenda realmente accaduta a Montesano sulla Marcellana, un piccolo comune in provincia di Salerno ai confini con la Lucania) sono sempre state povere, ma la globalizzazione ha spinto più rapidamente alla loro desertificazione.
Tutto il film è costruito in maniera egregia. Un piccolo capolavoro di cui sentiremo ancora parlare: una menzione speciale voglio tuttavia dedicare alla colonna sonora di Fausto Mesolella, straordinaria figura di musicista autore, componente degli Avion Travel (a proposito il perfido è interpretato da uno straordinario Peppe Servillo, anima del complesso), scomparso a fine marzo del 2017.

Negli ultimi tempi il cinema ha prodotto dei veri piccoli “capolavori” a basso costo che parlano del nostro Sud. Uno di questi è “Lucania – Terra Sangue e Magia” di Gigi Roccati, giovane documentarista alle prese con un vero e proprio film; è uscito nella prima parte di quest’anno. L’altro che è invece uscito da qualche giorno è “Aspromonte – La terra degli ultimi” di Mimmo Calopresti, regista di successo che ha alternato nel tempo la realizzazione di documentari e di film. Nel primo, quello sulla Lucania, troviamo Pippo Delbono che interpreta un malvivente ecologico; nel secondo troviamo Marcello Fonte. “Gli ultimi” mi richiama alla mente quel film dimenticato di padre David Maria Turoldo: siamo lontani dal Sud ma in terre altrettanto povere.

GLI ESSERI UMANI sono tutti uguali

GLI ESSERI UMANI sono tutti uguali
di Joshua Madalon
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Un essere umano è parte di un tutto che chiamiamo ‘universo’, una parte limitata nel tempo e nello spazio.
Sperimenta se stesso, i pensieri e le sensazioni come qualcosa di separato dal resto, in quella che è una specie di illusione ottica della coscienza.
Questa illusione è una sorte di prigione che ci limita ai nostri desideri personali e all’affetto per le poche persone che ci sono più vicine.
Il nostro compito è quello di liberarci da questa prigione, allargando in centri concentrici la nostra compassione per abbracciare tutte le creature viventi e tutta la natura nella sua bellezza.

(Albert Einstein)

Quando si può, se non piove a dirotto o se fa tanto freddo o c’è un vento forte Gil e Mary escono a piedi anche solo per comprare un pezzo di pane. Non amano i piccoli supermercati vicini e quindi si allungano verso via Pistoiese fino alla Pam.
La giornata di sabato ha già l’aria di festa. Dopo alcune giornate di pioggia incessante c’è un’arietta freschina ma pulita; e non c’è vento. La palazzina dove abitano è impacchettata con impalcature ferrose ricoperte da drappi fatti di plastica tipo canapa per sacchi. Gli operai pur in una giornata semifestiva stanno lavorando a rifinire la base di alcuni balconi prima di procedere con la posa delle piastrelle.
Davanti al bar di fronte alcuni avventori osservano i lavori con il solito interesse dei nullafacenti, mentre sgranocchiano patatine e noccioline per il consueto rito dell’aperitivo. Da un balcone di fronte una giovane signora gentile accenna un saluto, al quale Gil e Mary cordialmente rispondono. Con un sorrisino beffardo rilevano come in modo ben diverso altri, nascondendo la loro maleducazione dietro una presunta timidezza, anche se salutat, sembrano non avvedersi della nostra esistenza. Ma la sorpresa è in arrivo lungo il marciapiede che Mary e Gil percorrono.
Prato – quando si andava in giro per il Paese negli anni passati – era nota per il “tessile”, per il “panno”; da qualche anno invece, allorché riveliamo la nostra dimora, “ci sono i cinesi?!” ci dicono rivelando l’incapacità ad approfondire altre caratteristiche, come la presenza di luoghi d’arte magnifici, di un Museo dedicato al tessuto, di un Teatro che ha vissuto grandi successi, di un Centro per l’Arte contemporanea unico al mondo per la sua “mission”.
Quando cammini, particolarmente nelle vie di San Paolo, ne incontri di cinesi! Ci sono anche due famiglie nel condominio di Gil e Mary, gente operosa e molto aperta all’Occidente, e non importa se tale ampiezza di vedute sia strumentale nella forma tipica dei “mercanti”.
Non è stato semplice avviare una convivenza condominiale, ma non lo è a prescindere dalle diverse nazionalità: ad esempio, nel contesto di cui si tratta, è più difficile il rapporto tra la gran parte degli altri, autoctoni o comunque immigrati interni come Gil e Mary. Diverse questioni, a partire dal corretto conferimento dei rifiuti, per il quale tuttavia non vi è stata cura da parte dell’ente preposto a tali controlli.
Un raggio di sole illumina lo stretto marciapiede attraverso il sorriso di una piccola bimba, tenuta per mano dalla mamma, che già da qualche metro agitava la manina per mostrarsi a Gil che in realtà era stato distratto da alcuni suoi pensieri e vagava con la mente. Gil infatti se la ritrova direttamente abbarbicata ad una delle sue gambone. Vuole essere sollevata, ricorda Gil di averlo fatto con i propri figli che ora sono molto grandi e, anche se non obesi, pesanti. La solleva e la bimba lo abbraccia come se fosse pratica consueta, quella con un nonno o con uno zio. Sprizza energia attraverso gorgheggi come un uccellino…..

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RITORNO ALLA GAIOLA con appendice

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4 agosto si ritorna all’isola della Gaiola.

Ad accompagnarci Oriana e Rachele. Oriana illustra in modo sintetico e concreto oltre che appropriato nei contenuti e nella forma le “storie” legate alla costruzione dell’ampio e lungo (ottocento metri circa) condotto che porta da Coroglio al complesso archeologico Pausilypon; le competenze sono multidisciplinari e vanno dalla Storia alla Geologia, dall’Ingegneristica alla Antropologia, dall’Archeologia all’Ecologia. Rachele ci segue per documentare foytograficamente la presenza di un gruppo che ha scelto di partecipare ad una escursione culturale chiamata “Terra Mare” perchè comprende anche un percorso su un battello la cui base è formata da un vetro trasparente.
E’ la terza volta che visito con parte della famiglia il sito “terrestre”. E’ la prima invece per la parte “marina”.
Una giornata indimenticabile nonostante il caldo africano. Complimenti all’Associazione che si occupa di tenere viva l’attenzione su questi temi così importanti, informando e divertendo.

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RITORNO ALLA GAIOLA con appendice

Flash forward e flash back si incrociano. La narrazione è composta essenzialmente da tanti puzzle autonomi la cui linearità a volte non è nemmeno in possesso di chi scrive. La ricomposizione può essere a carico dei singoli lettori.

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“Sarebbe bello portarci Daniele e Lavinia!” Mary era rimasta incantata da quel percorso guidato al quale già per due volte insieme a Jo aveva partecipato: la Grotta di Seiano sin dalla loro giovinezza aveva attratto l’attenzione ogni volta che si passava davanti ai cancelli “chiusi” oltre i quali si intravedeva una alta ed ampia feritoia nel tufo della punta estrema di Posillipo che si spinge nel Golfo di Coroglio, Nisida e Bagnoli. “O forse lasciare che ci vadano da soli. Certo, però, potremmo prenotare: quando arriveranno sarà già agosto e potremmo non trovare posto” ribattè Jo, sempre entusiasta di organizzare per sè e per il resto degli amici e della famiglia.

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“U no’ Nonno!, quanti anni hai?” “72” I giovani che Jo aveva incrociato mentre scendevano baldanzosi e sicuri verso la spiaggia della Gaiola stavano risalendo: non avevano trovato un solo posto libero sulla scogliera. Era già suonata la prima ora del pomeriggio e i tanti giovani che erano scesi giù lungo la stradina avevano riempito quasi tutti gli spazi disponibili: gli scogli erano tappezzati di teli da mare e di corpi ricchi di vitalità. Mentre con Mary risaliva lentamente, rapidi e garruli si avviavano verso il basso scendendo gli ultimi cento e più scalini. “Voglio vedervi quando salirete”. E infatti dopo una sosta per Mary e Jo poco sopra la fine degli scalini, il gruppo faceva ritorno forse deluso ma non dòmiti nella loro naturale arroganza. “Ah però ci ha un buon passo!” e Mary soggiunse “Da giovane è stato un maratoneta” esagerando e aggiungendo “E poi non fuma”.

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Al deskpoint a cento metri dal Belvedere di Coroglio c’è l’ingresso della Grotta. Da alcuni anni un’Associazione culturale ha riaperto il percorso ed organizza visite guidate: d’altra parte non sarebbe nemmeno giusto e consigliabile un accesso libero, soprattutto per i costi che dovrebbero essere a carico dello Stato. Mary e Jo sono sicuri che avranno le risposte ai loro quesiti, che in parte Jo già conosce, avendo maggiore pratica sulla consultazione dei siti, ma ci sono dei punti meno chiari da sviluppare. “Vorremmo fare la visita della Grotta e del Pausilypon e poi proseguire con la barca; vorremmo però sapere meglio il punto poi di arrivo.” Il problema è che dopo la visita del sito sulla media collina vi è la possibilità di proseguire scendendo verso il mare per un’esplorazione dell’Area protetta su una piccola imbarcazione dotata di una carèna piatta trasparente. Alla fine della visita non si può ritornare per il sito e la Grotta ma bisogna risalire dalla Discesa Gaiola. Mary e Jo si chiedono dove si può parcheggiare: in pratica sarebbe un vero disastro dover fare ritorno a piedi salendo verso il Parco virgiliano e poi discendendo verso Coroglio – un giro lungo non meno di un chilometro – verso il parcheggio nei pressi dell’ingresso di partenza, quello della Grotta di Seiano. La soluzione sarebbe che qualcuno di loro facesse ritorno con il gruppo dei visitatori che non optassero per il proseguimento in barca, ritirasse l’auto e scendesse giù dall’alto dell’anello del Parco virgiliano verso la Gaiola.
Flash forward e flash back si incrociano. La narrazione è composta essenzialmente da tanti puzzle autonomi la cui linearità a volte non è nemmeno in possesso di chi scrive. La ricomposizione può essere a carico dei singoli lettori…e poi ci sono le ellissi, quella specie di buchi neri narrativi che lasciano ai lettori la libertà di immaginare quel che è avvenuto.

Tutto facile?
Jo, raggiunti gli anni di lavoro prescritti nella Scuola, era andato in pensione. E da allora aveva ripreso a ritornare molto più frequentemente alla sua terra. Insieme a vecchi e nuovi amici aveva proposto o partecipato ad iniziative culturali, quasi sempre collegate al mondo classico, ispirate dalle suggestioni mitiche che il territorio flegreo forniva a pieno e dai ricordi dei venti anni coscienti. La Grotta di Seiano a quel tempo, anni Cinquanta, era praticamente ignorata sia dagli studiosi sia dalla gran parte dei residenti. Forse alcuni più anziani ne avevano contezza per l’utilizzo di spazi protetti (i rifugi) nel periodo dei bombardamenti che tra il 1940 ed il 1944 distrussero la città e provocarono innumerevoli perdite umane tra la popolazione civile. Solo negli ultimi anni lo spazio è stato ripulito e posto a disposizione dei visitatori.
Mary si lascia condurre e Jo, rimessosi alla guida dell’auto, percorre la Salita Coroglio (eh già ma la toponomastica dice “discesa”: chissà perché?!) deciso a consultare il moderno oracolo di Google Map solo dopo aver raggiunto il culmine nello scollinamento. Jo si ferma un attimo attratto da una decina di tir parcheggiati e da un brulichio di operatori. Legge le intestazioni “Cinetecnica” e si rende conto che sono parte di un set cinematografico allestito o da allestire e la sua curiosità è immensa e la passione di una vita riemerge ma non c’è tempo per i ricordi: bisogna trovare la strada. Si ferma. Apre l’app, scrive “discesa della Gaiola” e attende il responso. Niente. Forse non c’è linea.Riprova. Niente. Poi dopo altri due tentativi “20 minuti” scrive Google. Jo è convinto che qualcosa non funzioni. Vorrebbe lanciare il cellulare fuori dal finestrino. Mary intanto si è affacciata ad uno chalet per chiedere informazioni.
L’imbocco della stradina è angusto: un’auto media forse riesce a passarci. Intanto qualcuno risale a piedi e qualche altro in vespa. Sulla strada c’è una pattuglia di Polizia municipale. Jo è accaldato. Fa manovra con grande difficoltà, la strada è ingobbita dai tronchi dei grandi pini che affiorano dall’asfalto dei marciapiedi.L’ora è tarda per chi voglia andare al mare: il sole è già a picco sulle teste e la canicola imperversa. Gli stessi vigili sostano all’interno della vettura, mantenendo la temperatura del condizionatore ad un livello gradevole. Non sa che fare, Jo. C’è un cartello che ammonisce a non entrare, riservando questo privilegio ai condòmini. Eppure laggiù ci sarà una spiaggia, c’è il mare. Fa segno quasi spazientito al vigile, che gentile forse comprendendo il disagio (non è da tutti i vigili, però!) apre il finestrino, sporge la testa e conferma che non si può accedere, che non c’è spazio per manovrare veicoli a meno che non si acceda verso una delle ville, ospiti o meno dei proprietari. Bisogna dunque parcheggiare e proseguire a piedi. Lo avevano lasciato intendere le due guide alla Grotta, ma Jo, soprattutto lui sognatore ormai irrecuperabile, non aveva voluto dar credito a ciò che in fondo non piaceva sentirsi dire, in quella condizione climaticamente difficile.

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Jo vede una Sirena.
Al gabbiotto, varcato il cancello, Mary e Jo precisano che non sono interessati alla visita che, dalla folla variopinta che gironzola intorno alle aiuole, sta per iniziare. “Vorremmo sapere quando e come poter prenotare una visita “Terra-Mare”. “Non la gestiamo noi; noi abbiamo solo la possibilità di farvi visitare la Grotta ed il Parco archeologico. Chiamate questo numero per le altre opzioni: c’è la possibilità di praticare lo snorkeling, il diving e noleggiare un kayak oltre al percorso Terra-Mare integrato comprendente la visita di Grotta e Parco Archeologico e l’utilizzazione della barca Aquavision per un percorso guidato via mare”. Jo vuole sapere però come organizzarsi una volta parcheggiata l’auto nello spazio antistante il Belvedere Coroglio, quello prospiciente la spiaggia omonima e l’Isola di Nisida. “Scusate, è possibile portare giù l’auto verso la Gaiola?” “E’ difficile trovare un posto e comunque non si arriva fino alla spiaggia” la risposta della Sibilla locale. Mary e Jo ritornano all’auto e si avviano per una ricognizione.
Il luogo, malgrado il caldo di una giornata estiva in una parte di essa – l’una e mezza – decisamente inopportuna da godersi per chi ha più di 65 anni, è da annoverarsi tra i mozzafiato. A Jo stranamente ricorda le cascate del Niagara o la vista del Gran Canyon, è di quelli che ispirano i poeti “Dovunque il guardo giro” e fanno diventare credenti per un lampo di vita gli atei “immenso Dio, ti vedo”. Blocchi di pietra lavica misti a tufo, manufatti di epoca romana mescolati a materiale piroclastico e costruzioni più recenti, risalenti a fine Ottocento. Più sopra i resti di un complesso residenziale del I° secolo dopo Cristo, con una villa arricchita da un teatro, un ninfeo e delle terme.

Non è stato facile accedere. La spiaggia, piccola, era già piena di teli: e la scogliera non tanto ampia da contenere tutti i pretendenti. Molto stretto lo spazio per chi, come Mary e Jo, volessero percorrerlo. “Lassù, dovete salire lassù” una giovane ragazza indica il luogo cui accedere “Lì c’è l’ufficio del Centro Studi della Gaiola”. C’è uno spazio protetto da un cordone: Mary vi accede, Jo invece lo aggira. Entrambi arrivano alla base di una scalinata dove c’è una lunga fila di giovani che appaiono in attesa di poter accedere.

La stradina che dall’alto della rotonda della Rimembranza scende giù verso la Gaiola intorno all’una con un caldo asfissiante è percorsa da molti giovani che vanno e pochi che ritornano. Jo fa di tutto perché Mary utilizzi la sfera d’ombra sempre più risicata. L’atmosfera è quella di un paese come tanti in una campagna sul mare; ricorda gli anni giovani nell’isola e qualche incursione in Riviera, quella sorrentina ed amalfitana. Profumi di zagare e limoni, non di certo dissimili da quelli idilliaci di Eugenio delle Cinque Terre. Mary e Jo sono fortunati: vivono intensamente la loro età matura godendo dei frutti e delle emozioni che la Natura a piene mani liberamente spande.
C’è un muretto di mattoni di tufo, oltre il quale si accede alla parte riservata ai giovani che attendono di poter entrare, lo spazio è molto ristretto e non può ospitare tutti. Il cancelletto è custodito a chiave da una sorta di secondino che tiene in carcere i liberi e libera i carcerati. Su quel bordo Jo intravede una Sirena; ha le sembianze di una dolce fanciulla, non ha la coda ma si crogiola là come una lucertola rupestre.

Nell’ultima parte della discesa Gaiola la strada non è più percorribile da alcun mezzo, nè auto nè moto. C’è un angusto ingresso che somiglia ad un viottolo di campagna ed in qualche modo lo è. Si abbandona la strada asfaltata lungo la quale c’è l’annuncio di quel che il viaggiatore riuscirà a vedere. Lui crede già di aver visto il Paradiso, ma in realtà quel che gli si propone è solo un timido scorcio che in ogni caso cerca di ingabbiare nel suo smartphone semmai con un selfie testimoniale. C’è in ogni caso il silenzio tipico della controra in un ambiente agreste: qua e là si notano, lanciando gli sguardi attenti, attrezzi dell’agricoltura enologica: tini, torchi, scalette di legno. Dopo i primi cento metri di strada sterrata comincia il serpente di gradini di una lunga scalinata che si interrompe semplicemente quando si passa sempre in discesa un po’ meno ripida davanti a due fila di abitazioni basse tutte restaurate per l’uso turistico, ricordo di un villaggio di pescatori. A Jo vengono in mente altre scalinate verso il mare, a Capri, a Sorrento. In modo particolare anche quella che porta alla spiaggia di Chiaia a Procida. E ricorda la celebre “Scalinatella”, una delle canzoni più famose della tradizione napoletana.

C’è anche per la devozione tipica della gente di mare una piccola Cappella. Sopra bassi e stretti gradini alcune fanciulle non si sa se in attesa di riprendere il cammino verso il mare o verso la collina stanno sedute. Mary e Jo scendono con la curiosità di chi pur non conoscendo il cammino ne coglie conspevolmente le suggestioni evocanti della giovinezza. Baldanzosi ragazzotti in frotte veloci corrono verso il mare che si intravede soltanto con degli squarci di promesse. “Vi voglio rivedere quando risalirete” Jo dice tra sè, ma forse uno di loro lo sente e gli lancia uno sguardo silenzioso di sfida.
Mentre si scende c’è qualcuno che risale lento mogio e deluso “Non c’è un lembo di spazio!” ed è per questo che Jo ha vaticinato il loro rapido ritorno.
L’ultima parte del viaggio verso il mare è fatto ancora di scale: due giovani volontari dispensano informazioni generali sul Parco e sulle possibili attività, al di là del puro e semplice tuffo “dove l’acqua è più blu”! Jo li ringrazia chiamandoli “Eroi” e si guadagna un sorriso lungo tutto il tempo che trascorre tra la discesa e la risalita.
Lungo la strada del ritorno Mary e Jo salgono lenti e affaticati. Si fermano più volte: la parte più dura è proprio quella della scalinata. Il borgo però accoglie con una leggera ombra ed una brezza che comincia a venire su dal mare. “Porti….orizzonti…e alati messaggeri vengano a voi a lenire la vostra stanchezza” un signore dall’apparente età di settanta che dice di averne ottantasei li accoglie con una brocca di acqua fresca e limoni. Si chiama Gabriele, racconta sprazzi della sua vita e di tanto in tanto tra questi emergono brani in versi. E’ un moderno aedo la cui ricchezza la Fortuna riserva a chi sa cogliere simili occasioni. E si annulla ogni stanchezza in questo abbandono idilliaco della Natura e dell’Uomo indistinti.

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