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MEDIATECA DELLA MEMORIA – un’ iniziativa della Circoscrizione Est del Comune di Prato nel maggio 2001 (LA GIORNATA DELLA MEMORIA FU ISTITUITA NEL NOVEMBRE DEL 2005) la storia di E.T. Eugenio Tinti parte 8 (dopo il preambolo dello scorso 27 gennaio e la prima parte contrassegnata con il numero 2 del 3 febbraio più quella numero 3 del 12 febbraio, la numero 4 del 17 febbraio, la numero 5 del 1° la 6 del 13 e la 7 del 17 marzo)

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MEDIATECA DELLA MEMORIA – un’ iniziativa della Circoscrizione Est del Comune di Prato nel maggio 2001 (LA GIORNATA DELLA MEMORIA FU ISTITUITA NEL NOVEMBRE DEL 2005) la storia di E.T. Eugenio Tinti parte 8 (dopo il preambolo dello scorso 27 gennaio e la prima parte contrassegnata con il numero 2 del 3 febbraio più quella numero 3 del 12 febbraio, la numero 4 del 17 febbraio, la numero 5 del 1° la 6 del 13 e la 7 del 17 marzo)

8.
Abbiamo scelto per accennare alla “manipolazione programmata delle giovani menti” due “poesie” tratte da un libro scolastico (l’articolo determinativo sarebbe più corretto, ma l’abitudine democratica dei nostri tempi ci condiziona: si trattava infatti di un “testo unico”, “il” libro, che nella ideologia fascista si accompagna al moschetto, uguale per tutte le seconde classi del 1938 – anno XVI dell’era fascista): in esse traspare una singolare naturalezza con una propensione all’odio ed alla violenza della quale erano dotati gli “amministratori” di quel periodo.

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Ninna nanna

Sono questi in pratica gli esempi di come si vorrebbe “controriformare” la scuola italiana, di come si vorrebbe intervenire sui “libri di testo” a partire da quelli di Storia?
Eugenio Tinti non ha conosciuto per evidenti limiti di età (nell’anno della Marcia su Roma aveva già 23 anni) la scuola fascista ma ha contrapposto il suo socialismo permeato di pacifismo alla evidente carica di violenza che il Fascismo trasmetteva nemmeno tanto velatamente addirittura alle giovanissime generazioni (bambini e bambine di appena 7 anni): il moschetto che ritorna in entrambe le “liriche”, il messaggio che viene inviato addirittura sotto forma di “ninna nanna”, quel “lotterem fino alla morte” che è giusto presagio dei disastri bellici nei quali l’Italia sarebbe stata spinta dal Fascismo. E questo è purtroppo solo un limitato esempio del ricchissimo florilegio di cui siamo a disposizione, per ricordare ai nostri giovani che cosa è stato il regime fascista e quali siano gli esempi cui oggi si ispirano alcuni “nostalgici” dell’Ordine e della Libertà.

Marite, la figlia di Eugenio Tinti, ci ha voluto raccontare un episodio che la vide protagonista insieme al fratello a Firenze nella casa in Borgo dei Greci: erano gli ultimi giorni prima della Liberazione e si era scatenata anche a Firenze la caccia al partigiano, ai politici ai sindacalisti. Eugenio aveva come amico il Segretario dei minatori della Camera del Lavoro fiorentina e lo aveva nascosto in casa: qualcuno aveva denunciato la cosa ai tedeschi ed infatti una mattina questi si presentarono alla porta del Tinti: andò ad aprire proprio Marite con l’incarico di temporeggiare (“Erano soldatini tedeschi molto giovani e fu forse più facile mostrarsi sorpresi e guadagnar tempo mentre mio padre ed il sindacalista scappavano su per i tetti” dice Marite). Questo episodio tragico ed epico ci riporta con la mente alle contrapposizioni frontali che caratterizzarono particolarmente gli ultimi anni del conflitto mondiale: la Storia ci ha insegnato che nel corso del secolo XX quegli eventi si sono periodicamente ripetuti in altre terre a noi molto vicine, qui alle porte dell’Europa. Animare lo scontro sociale, creare forti contrapposizioni in alternativa all’unità progettuale potrà rappresentare un vantaggio per pochi a danno di tutti gli altri; quindi la lezione del Novecento non dovrebbe essere dimenticata: lo scontro sul piano umano rappresentava sempre una forte drammaticità, ma era allora uno scontro fra chi propugnava la libertà per tutti (tanto che, al di là di pochi casi, chi era stato filofascista potè continuare ad affermare la propria identità all’interno di una vera “democrazia”; e questo, sia ancora una volta ben chiaro, addirittura a danno di una parte considerevole – che si era battuta fianco a fianco con gli altri antifascisti e che fu impunemente discriminata al tempo della guerra fredda) e chi come obiettivo prioritario esaltava le differenze ideologiche a vantaggio del Fascismo e teorizzava la limitazione e l’abolizione delle principali libertà dell’uomo.
Bisogna ricordare ed opporsi a quanti, anche recentemente, hanno ventilato l’ipotesi di “ritoccare” i libri di Storia.
prof. Giuseppe Maddaluno
presidente Commissione Cultura
della Circoscrizione Est
del Comune di Prato

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“PACE E DIRITTI UMANI” un intervento di Giuseppe Panella in suo ricordo – quarta parte (vedi post 14 febbraio 2020)

“PACE E DIRITTI UMANI” un intervento di Giuseppe Panella in suo ricordo – quarta parte (vedi post 14 febbraio 2020)

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A contribuire alla determinazione di Pietro Leopoldo era stata anche l’attività del Professore di diritto pubblico che era collega di Tanucci e che di lui riprese l’insegnamento e soprattutto l’esempio qui in Toscana. Francesco Maria Gianni, che poi fu, come si sa, l’estensore materiale del codice e di tutti i codici e gli editti e le ordinative di riforma che poi appunto passeranno alla storia con il nome del sovrano.

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Ma soprattutto il grande artefice della riforma del codice criminale insieme a Gianni fu Pompeo Neri, altro professore di Diritto penale, che era un sostenitore abbastanza determinato dell’applicazione e della consequenzialità dell’applicazione delle leggi di intendenza rispetto alla materia penale ed alla materia specifica della punizione della pena che si ritrovavano in quell’aureo libretto che è “Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria.

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Ora non c’è stato mai probabilmente nella storia della cultura occidentale – almeno non ne abbiamo prove fino ad ora – un libro così esile; sono 97 pagine, è un testo smilzissimo, di poche pagine: appunto, nessuna delle edizioni che io conosco, supera le 100, non si è dato mai caso di un libro così smilzo e direi anche per certi aspetti di non facile lettura, ma anche così fondamentale. Leggendo il paragrafo ventottesimo dedicato alla pena di morte, vi accorgerete che appunto la lingua di Beccaria non è certamente una lingua corriva e semplice ma è una lingua complessa, molto articolata ed anche tutta piena di neologismi, tutta piena anche di echi francesi e dialettali, nonostante appunto si tratti di un libro di non facile lettura, di un libro molto complesso e molto articolato da un punto di vista teorico e filosofico, non c’è libro appunto nella storia della cultura occidentale che si possa paragonare a questo per il numero di effetti, per la conseguenza, per la vitalità,per la longevità della prospettiva e direi anche per la forza anticipatrice, per la dinamica ed esplosiva utopia che esso contiene, abbiamo quindi un libro molto breve e molto conciso, molto compatto che però ha fatto scuola a partire dall’anno della sua uscita che, vi ricordo, è il 1764, anno della prima edizione ma il libro ne conoscerà ben sette in vita di Beccaria e soprattutto conoscerà un destino singolare che merita forse un breve cenno, nel senso che la prima edizione di Beccaria del 1764 è un testo che circola appunto come afferente a Beccaria insieme a Pietro Verri, con cui il primo degli autori in realtà lo scrisse e lo articolò.
Giunta però in terra di Francia l’eco dell’importanza di questo scritto, il traduttore francese Andrea Morellet, non solo lo traduce ma lo riordina, dandogli una sequenza e anche una struttura probabilmente molto più sicura e molto più compatta rispetto alla prima edizione.
Beccaria approvò questa edizione Morellet e anzi non solo la approvò, ma se ne servì, tanto è vero che la sesta edizione, quella che di solito viene stampata, diciamo nelle edizioni non filologiche , è la traduzione italiana della traduzione francese di Morellet, tanto che noi abbiamo un testo che viene tradotto in un’altra lingua e ritradotto in italiano di modo che appunto migliori, venga sviluppato, venga meglio fatto conoscere attraverso questa forma di collaborazione non solo tra traduttore ed autore ma tra appartenenti a due lingue diverse, questo a dimostrare non solo lo straordinario quasi spasmodico interesse che “Dei delitti e delle pene” suscita nell’intellettualità europea, ma anche il fatto che il testo veniva incontro ad esigenze di riforma molto profonde, molto radicate, non solo nella cultura milanese del ‘700 ma anche nella cultura francese.

….quarta parte…..

MEDIATECA DELLA MEMORIA – un’ iniziativa della Circoscrizione Est del Comune di Prato nel maggio 2001 (LA GIORNATA DELLA MEMORIA FU ISTITUITA NEL NOVEMBRE DEL 2005) la storia di E.T. Eugenio Tinti parte 7 (dopo il preambolo dello scorso 27 gennaio e la prima parte contrassegnata con il numero 2 del 3 febbraio più quella numero 3 del 12 febbraio, la numero 4 del 17 febbraio, la numero 5 del 1° e la 6 del 13 marzo)

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MEDIATECA DELLA MEMORIA – un’ iniziativa della Circoscrizione Est del Comune di Prato nel maggio 2001 (LA GIORNATA DELLA MEMORIA FU ISTITUITA NEL NOVEMBRE DEL 2005) la storia di E.T. Eugenio Tinti parte 7 (dopo il preambolo dello scorso 27 gennaio e la prima parte contrassegnata con il numero 2 del 3 febbraio più quella numero 3 del 12 febbraio, la numero 4 del 17 febbraio, la numero 5 del 1° e la 6 del 13 marzo)

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Il nostro “ragazzo del ‘99”, che aveva praticamente potuto evitare, pur dichiarandosi sempre antifascista, le prigioni nel corso del Ventennio, ebbe modo pur se solo per 10 giorni, di sperimentare le prigioni “repubblicane”, dalle quali riuscì ad uscire abbastanza presto (ma 10 giorni per chi avverte di non aver commesso alcun reato sono tantissimi) soltanto per l’intervento di un importante legale del tempo, l’avvocato Bacci.
Eugenio Tinti uscì dalle prigioni repubblicane ma, sempre per la succitata Legge Scelba, perse il lavoro all’Istituto Chimico Farmaceutico: iniziò da allora in poi una battaglia legale di molti “discriminati” come lui per motivi politici per il riconoscimento dei diritti, primo fra tutti il lavoro e poi anche la pensione.
Quell’esperienza non di certo isolata dovrebbe essere un monito continuo a non abbassare la guardia: negli ultimi anni troppi sono stati i segnali di un attacco non sempre subdolo alle libertà acquisite; anche il richiamo ufficiale di una parte politica alle “libertà” è di certo un elemento su cui riflettere, visto che, al di là degli slogan, si avverte una forte volontà di “rivincita” di alcuni “poteri forti” sui lavoratori, per ottenere la quale, occorrerà ridurre il livello di libertà personale. Una delle affermazioni, infatti, che si sente sempre più spesso venire da quelle menti straordinarie, è che nel nostro Paese ci sia troppa libertà.
“Punti di vista” diversi certamente, visto che chi si richiama alla libertà in modo chiaro nella sua prioritaria accezione partitica, lo fa esclusivamente per avere maggiore libertà di decidere, puntando sul conseguimento di una maggioranza nel Paese, ciò che meglio gli aggrada: né più né meno quello che poi accadeva nel 1954.
I libri di Storia (a proposito, saranno rivisti e corretti?) ci parlano di quegli anni come quelli di una rimonta delle posizioni monarchiche e fasciste, ma anche di una forte riorganizzazione della classe operaia, svegliatasi finalmente dall’illusione che, con la Liberazione e con la scrittura della Costituzione repubblicana (a proposito, sarà anche essa, nelle sue parti fondamentali, rivista e corretta?), tutte le libertà fossero state definitivamente conquistate ed acquisite.
La Storia infatti ci racconta che non sarebbe neanche necessario modificare la Costituzione, basterebbe ignorarla! Ma i cittadini lo permetteranno?
Eugenio Tinti, dunque, ci trasmette anche questo messaggio: fate attenzione a chi parla di libertà, perché probabilmente pensa di ridimensionarla.

….7….

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“PACE E DIRITTI UMANI” un intervento di Giuseppe Panella in suo ricordo – terza parte (vedi post 10 febbraio 2020) )

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“PACE E DIRITTI UMANI” un intervento di Giuseppe Panella in suo ricordo – terza parte (vedi post 10 febbraio 2020)

Il prof. Maddaluno legge (paragrafo 51 del codice “criminale” leopoldino di cui si tratta bella relazione del prof. Giuseppe Panella):

“Abbiamo veduto con orrore con quanta facilità nella passata legislazione era decretata la pena di morte per delitti anco non gravi. Ed avendo considerato che l’oggetto della pena deve essere la soddisfazione al privato ed al pubblico danno la correzione del reo figlio, anche esso della società e dello stato, della di cui emenda non può mai disperarsi, la sicurezza nei rei dei più gravi ed atroci delitti che non restino in libertà di commetterne altri, e finalmente il pubblico esempio che il governo nella punizione dei delitti e nel servire agli oggetti ai quali questa unicamente è diretta, è tenuto sempre a valersi dei mezzi più efficaci con il minor male possibile al reo. Che tale efficacia e moderazione insieme si ottiene più che con la pena di morte, con la pena dei lavori pubblici, i quali servono di un esempio continuato e non di un momentaneo terrore che spesso degenera in compassione e tolgono la possibilità di commettere nuovi delitti e nuova possibile speranza di veder tornare alla società un cittadino utile e corretto, avendo altresì considerato che una ben diversa legislazione potesse più convenire alla maggiore dolcezza e docilità di costumi del presente secolo e specialmente nel popolo toscano siamo venuti nella determinazione di abolire, come abbiamo abolito con la presente legge, per sempre la pena di morte contro qualunque reo, sia presente sia contumace ed ancor che confesso e convinto di qual si voglia delitto dichiarato capitale dalle leggi fin qui promulgate le quali tutte vogliamo in questa parte cessate ed abolite”.

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Riprende a parlare il prof. Giuseppe Panella:

“Come si era arrivati a questa determinazione da parte di Pietro Leopoldo, e soprattutto di che cosa era frutto questa esigenza di di riforma della legislazione criminale?
Non solo dell’azione dei ministri di Pietro Leopoldo, ma di un consimile e contemporaneo moto di riforme che attraversavano l’Italia e i diversi stati in cui l’Italia era divisa.
Era stata l’attività di un gruppo di giuristi dell’Università di Pisa tra i quali spiccano i nomi di Bernardo Tanucci che appunto da Pisa si sposterà a Napoli ove lungamente sarà Ministro di Carlo II e poi di Carlo III di Borbone e dove provvederà a tutta una serie di riforme e di razionalizzazioni dell’assetto giuridico amministrativo economico e politico del regno senza però poter arrivare appunto all’abolizione della pena di morte, grande cruccio dell’onestissimo ministro Tanucci del quale gli stessi contemporanei si stupivano dell’onestà e della capacità di mantenersi integro, pur tra le sollecitazioni e gli stimoli ad arricchirsi che gli venivano dal potere (Tanucci è rimasto famoso per questo e c’è una lapide a Stia in provincia di Arezzo dove egli è nato che dice appunto che Tanucci non solo in vita non si arricchì, ma lasciò la famiglia allo stesso livello di ricchezza nel quale l’aveva lasciata quando aveva assunto il titolo di primo ministro, cosa ripeto della quale non solo si stupiscono i contemporanei di oggi, ma si stupirono anche i contemporanei di Tanucci di come egli fosse stato integro al centro del potere).

Stia e Tanucci

….terza parte…..

(ritrascrizione a cura di Joshua Madalon)

MEDIATECA DELLA MEMORIA – un’ iniziativa della Circoscrizione Est del Comune di Prato nel maggio 2001 (LA GIORNATA DELLA MEMORIA FU ISTITUITA NEL NOVEMBRE DEL 2005) la storia di E.T. Eugenio Tinti parte 6 (dopo il preambolo dello scorso 27 gennaio e la prima parte contrassegnata con il numero 2 del 3 febbraio più quella numero 3 del 12 febbraio, la numero 4 del 17 febbraio e la numero 5 del 1° marzo)

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MEDIATECA DELLA MEMORIA – un’ iniziativa della Circoscrizione Est del Comune di Prato nel maggio 2001 (LA GIORNATA DELLA MEMORIA FU ISTITUITA NEL NOVEMBRE DEL 2005) la storia di E.T. Eugenio Tinti parte 6 (dopo il preambolo dello scorso 27 gennaio e la prima parte contrassegnata con il numero 2 del 3 febbraio più quella numero 3 del 12 febbraio, la numero 4 del 17 febbraio e la numero 5 del 1° marzo)

La libertà è un bene prezioso che gli uomini hanno cercato da sempre; per conquistarlo hanno sofferto, lottato, hanno sacrificato il loro tempo e la loro vita. Ma la libertà non è mai un bene acquisito per sempre, va curato, sostenuto, controllato, mantenuto, rinforzato: gli uomini che, dopo la Liberazione dal Nazifascismo, hanno creduto di avere acquisito la libertà, si sono ritrovati molto spesso a dover continuare a lottare per ottenerla pienamente e per difenderla. Eugenio Tinti è stato uno di questi: nel 1954 ha visuto un’esperienza tangibile di queste inequivocabili sofferenze; in un Paese che si diceva “democratico” era praticamente vietata la diffusione delle idee che non fossero funzionali al “potere” di allora. La Costituzione, ancora giovane, fu calpestata nei diritti naturali ed inalienabili e chi era “comunista” non aveva gli stessi diritti degli altri; non trovava lavoro e, se lo aveva, facilmente lo perdeva; se diffondeva le sue idee era equiparato ad un “terrorista”; peraltro la gerarchia ecclesiastica comminava (non solo minacciava) scomuniche a chi, da cattolico praticante, avesse affermato di essere comunista o di voler votare il Partito Comunista.
A mettere in pratica tutto ciò (tranne quel ruolo che non spettava allo Stato, ma alla Chiesa) fu la famigerata “Legge Scelba”, che porta il nome di un uomo politico della “Democrazia Cristiana”, Luigi Scelba, accanito “anticomunista”, dal 1947 in poi prima Ministro degli Interni poi, proprio nel 1954, anche (in quanto mantenne per sè il dicastero degli Interni) Presidente del Consiglio in una coalizione spostata verso la Destra della quale facevano parte, oltre alla DC, il PSDI, il PLI ed il PRI. Egli, cioè l’onorevole Mario Scelba, con il suo discorso programmatico di insediamento, con una serie di interventi e di successivi provvedimenti contro gli appartenenti al PCI, tentò addirittura di allargare la coalizione del suo Governo verso la Destra estrema. In quel modo egli, oltre ad impedire nei fatti la libertà di lavoro (peraltro sancita come diritto nei primi fondamentali articoli della Costituzione repubblicana) e quella sindacale, impediva e sanzionava come illegale la diffusione dell’organo ufficiale del Partito Comunista Italiano, il giornale “l’Unità”.

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P.S.: Nei prossimi giorni procederò rapidamente verso la conclusione

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IL RISCHIO DELLA DIMENTICANZA parte 1

IL RISCHIO DELLA DIMENTICANZA parte 1

Ho imparato nel corso del tempo a saper ascoltare le persone più grandi; l’ho imparato – come tutti i “giovani” quando erano tali – un po’ tardi. Ma negli anni non ho incontrato tanti saggi “accademici”, a fronte di coloro che, senza titoli o lauree, erano in grado di suggerirti non necessariamente in modo diretto la strada da percorrere.

Senza dover ricorrere alle figure morettiane di “un pastore abruzzese”, “un bracciante lucano”, “una casalinga di Treviso”, mi soffermerò su realtà a me più vicine, riferite in ogni caso a persone reali, non personaggi, rappresentativi della capacità pratica: il primo, senza sorprese, è stato mio padre. Nato nel 1916 aveva con difficoltà superato la terza elementare ma era in grado di fare calcoli alla pari con geometri ed ingegneri e di organizzare la gestione di cantieri importanti come quello della Funicolare di Montevergine e di tanti complessi abitativi nella Provincia di Napoli e di Caserta e Avellino. Aveva vissuto la parabola del Fascismo senza mai compromettersi con quello ed aveva acquisito una particolare idiosincrasia per il mondo politico, che in definitiva non stimava.

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Un secondo personaggio al quale tengo molto è il proprietario della casa di Feltre nella quale ho vissuto anni intensi di apprendistato per il mio lavoro didattico educativo. Dopo un primo contatto caratterizzato da un certo sospetto pregiudiziale unilaterale (ero pur sempre un “terrone” e quelli erano gli anni che non solo nell’Alto Veneto “non si affittava a terroni”) la simpatia ma soprattutto il desiderio reciproco di essere “come un figlio ed un padre” hanno prodotto un rapporto di fiducia reciproca. Da lui ho imparato che non esistono differenze insormontabili e che la dignità degli uomini è un bene prezioso di cui essere fermamente difensori e custodi.

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Un terzo personaggio da cui ho imparato ascoltando le storie della sua vita avventurosa è un signore che accoglieva nella sua fattoria i nostri bambini qui a Prato ed aveva grande disponibilità. Credo di avere da qualche parte una serie di testimonianze audio che la mia bimba maggiore volle registrare e non appena le ritroverò proverò a riportarle su questo Blog.
Sia il secondo che il terzo non avevano titoli di studio così come il primo, cioè mio padre. Ma possedevano quella capacità pratica di saper raccontare in modo preciso e con una forma letteraria congenita molti eventi storici: tutti avevano vissuto gli anni della seconda guerra mondiale in realtà così diverse e lontane tra loro (la Campania, il Veneto nord asburgico, la Toscana) e riuscivano da punti di vista eterogenei a raccontarne le sfumature.
Storie fondamentali di vita che sarebbe molto bello raccontare in modo più profondo.
Scrivere questo post, oggi 11 marzo 2020, significa anche dover avviare una riflessione sulla necessità di utilizzare tutti i tasselli di una vita nel momento del declino; ma in particolare sono spinto a farlo perché ritengo indispensabile dover ripetere di non dimenticare mai ogni piccolo aspetto dell’esistenza e della storia – quella massima e quella minima – in un periodo nel quale c’è il rischio di non ricordare anche elementi molto vicini a noi. In tempi di “coronavirus” c’è il rischio di essere afflitti anche da una epidemia di “oblio”.

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PESI E MISURE ……continua

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PESI E MISURE ……continua

La giornata di ieri è stata intensamente contrassegnata da tutta una serie di vicende collegate al susseguirsi di argomentazioni e riflessioni intorno alla crisi epidemica che va travolgendo le nostre abitudini. Siamo tutti, soprattutto noi anziani che disponiamo di un maggiore spazio di tempo libero, incollati ai programmi televisivi che cpntinuano a trasmettere bollettini di guerra ed a dispensare consigli, più o meno sempre gli stessi.
Questo “preambolo” è utile a giustificare l’assenza dal Blog per alcune ore e per tutta la giornata di ieri.
Anche se ormai è storia passata (da ripassare in rassegna – per trarne lezione di vita – una volta conclusa questa vicenda) vorrei sottolineare la mia vicinanza a coloro che, all’annuncio della decisione del Governo di considerare “zona arancione” la Lombardia ed altre quattordici province del Nord Italia, hanno deciso in un battibaleno di prendere il primo mezzo utile e tornare alle loro famiglie.
Ho rilevato intorno a quell’evento una insolita severità e la considero il frutto di una profonda incapacità di comprendere la drammaticità nel suo complesso. E’ tipico, questo comportamento, di chi è garantito da una condizione di partenza già perlomeno sufficiente a mantenere un tenore di vita dignitoso. Mi spiego meglio portando un esempio: la signora Elsa Fornero nel pieno del suo impegno ministeriale, tra le lacrime ed i sorrisi, ebbe modo di avanzare una riflessione acuta sui benefici del lavoro in agricoltura. Le sue argomentazioni rivelavano il livello di cultura rappresentata dalla concezione snobbistica borghese da vera e propria “madamin”, che dall’alto della condizione economica personale poteva guardare all’agricoltura come un hobby.

Potete trovare parte delle sue dotte argomentazioni nel seguente articolo:

https://www.ilgiornale.it/news/interni/i-contadini-restano-giovani-fornero-ora-consiglia-andare-853630.html

Ho preso l’esempio della Fornero, perché ritengo più o meno simile il livello culturale di chi (anche persone che stimo per tanti versi) non ha avuto un minimo di comprensione verso chi, preso dal panico, cercava in tanti modi di ritornare a casa. Queste persone così rigide non si nascondano dietro lo stato di necessità unilaterale ma osservino la totalità delle problematiche. In questi giorni una parte del nostro popolo non ha soltanto il problema medico sanitario da tener d’occhio, ha anche un problema economico personale senza la soluzione del quale può essere molto difficile affrontare il primo. Molti hanno perso il lavoro, molti erano nei territori del Nord alla ricerca del lavoro, erano sulle spese per l’affitto e per la minima sussistenza personale: cosa avrebbero dovuto fare?
Sono ritornato a trattare quel tema, e penso che sarebbe stato meglio invece, anche da parte degli occhiuti censori di cui sopra, rivolgere il nostro biasimo a quei giovani che in diversi luoghi ed occasioni hanno affollato i luoghi delle “movide”. Il mio biasimo non è solo verso di loro, ma soprattutto verso i loro genitori, evidentemente incapaci di trasmettere rigore soprattutto nel momento in cui questo risulta necessario.
In realtà, anche io l’altro giorno, arrivando alla Coop di Prato sono stato colpito dal modo in cui persone adulte facessero capannelli senza curarsi delle prescrizioni generali. Probabilmente tra quei signori c’erano anche alcuni dei genitori “modello” dei “vitelloni” del nostro tempo.

Joshua Madalon

TEMPI NUOVI…. pesi e misure

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TEMPI NUOVI ….pesi e misure

Non ho mai sottovalutato la difficoltà e la pericolosità del momento che stiamo vivendo: sin dai primi segnali “internazionali”, forse anche perché viviamo a stretto contatto con una delle “comunità” cinesi più numerose e concentrate d’Italia e forse d’Europa, ho osservato con attenzione il processo dell’epidemia.
Ed in questo modo ho potuto convincermi che nella nostra città, dove ancora permaneva una certa forma di discriminazione o avversione contro i cittadini cinesi, non sarebbe accaduto nulla che potesse essere riferibile alla loro responsabilità. Immediatamente, infatti, hanno scelto di mantenere alta la guardia, rinunciando addirittura a celebrare una delle festività più attese del loro calendario: il Capodanno, che si era annunciato ricco di sorprese; hanno poi continuato ad osservare più di quanto fossero stati capaci prima le norme di igiene e di sanità personale e collettiva.

Capodanno cinese

E’ probabile che nel ragionare sul mio Blog io mi vada ripetendo.
Tuttavia quello che scrivo, che ribadisce ciò che ho già scritto, può essere ancor più utile, affinchè quel che accade nel suo tragico proporsi sia foriero di un cambiamento di clima nei prossimi tempi, quelli migliori che dobbiamo auspicare arrivino presto.
Detto questo, non posso non rilevare una parziale divergenza rispetto agli aspri rimproveri che sono stati diretti nei confronti di coloro che, avvisati da una serie di comunicati giornalistici, peraltro molto vicini al vero, dell’imminente chiusura di un ben più vasto territorio del Nord comprendente l’intera Lombardia e gran parte del Piemonte, del Veneto, dell’Emilia Romagna e di un lembo di Marche, hanno preparato in gran fretta e furia i loro bagagli ed hanno letteralmente occupato i treni che da Milano proseguono verso Sud. Mi sono detto: cosa avrei fatto io? Seguendo la mia esperienza pluriennale e le mie conoscenze attuali, avrei scelto quasi certamente di fare lo stesso. Ragioniamoci finché la testa ci aiuta! Davanti ad un allarme di questa portata, di cui non si intravede la parte finale, e davanti ad una situazione “occupazionale” incertissima (io spero che i censori di quel comportamento abbiano ben presente che centinaia e forse migliaia di persone hanno perso il lavoro o ne vedono la reale possibilità di perderlo ad horas) avrei di gran lunga preferito fare la fame a casa dei miei – forse in una situazione sanitaria naturalmente migliore – piuttosto che vivere nell’angoscia quotidiana dell’incertezza futura lontano dai miei affetti più cari. Detto ciò, ritengo che sia doveroso da parte di chi si è spostato così repentinamente mettersi a disposizione immediatamente delle autorità sanitarie locali affidandosi ad esse, proprio nel rispetto delle comunità nelle quali si sceglie di proseguire la propria vita, semmai per lo stretto tempo necessario – forse lungo speriamo breve – della crisi epidemica in atto.
Ben diverso è il mio giudizio nei confronti di quanti non hanno accolto in modo ristretto le indicazioni del Governo e della comunità scientifica.
Ne riparleremo certamente in uno dei prossimi post.

Joshua Madalon

TEMPI NUOVI

TEMPI NUOVI

Può darsi che questa emergenza, superati gli aspetti negativi, produca effetti positivi sulla società. Di solito accade, ma tutto dipende dalla qualità degli uomini e delle donne (delle donne e degli uomini) del nostro tempo. Se devo riferirmi a quel che ho visto e sentito negli ultimi tempi, le speranze che una revisione etica positiva si verifichi, sono al minimo termine. Tuttavia, occorre uno sforzo comune di buona volontà, al quale voglio a modo mio partecipare. Stamattina in uno dei commenti familiari intorno ai primi caffè rilevavo che negli ultimi giorni c’è una sorta di “pax mediatica” su Facebook: i commenti beceri si contano sulle dita di una sola mano. Segno è che il Coronavirus limita le acredini e tiene lontano le buzzurrate. Tuttavia, partecipando alla lettura dei quotidiani attraverso i canali televisivi non ho potuto esimermi dal provare un profondo disgusto nel leggere il titolo di prima pagina de “Il Giornale” che, commentando l’intervento a reti televisive unificate del Presidente della Repubblica, lo giudica come una sorta di “commissariamento” nei confronti del Presidente del Consiglio.

Non è solo un modo ignobile di accostarsi ai temi, ma dimostra la profonda ignoranza del dettato costituzionale relativamente al rapporto ed ai ruoli dei diversi principali soggetti istituzionali. Tra l’altro, proprio per la caratteristica dei meccanismi elettivi che conducono alla scelta del Capo dello Stato, non vi è alcun dubbio che spetti soprattutto a lui il compito di richiamare all’unità e ad un certo tipo di “ordine democratico” necessario nel momento delle maggiori difficoltà del Paese. Aggiungerei addirittura che sarebbe stato quasi fuori luogo che quel discorso lo avesse pronunciato il Premier.

Il Giornale 6 marzo

Il titolo “MATTARELLA IN CAMPO – CONTE DIMEZZATO” sta a sottintendere non del tutto velatamente il profondo desiderio, inconscio e non, di portare il Paese verso un baratro davvero profondo, cercando di scaricare responsabilità che, umanamente, potrebbero essere di molti – e diversi – rispetto a quanto da loro, in modo scellerato, auspicato.

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Ieri la leader di “Fratelli d’Italia” ha lanciato dardi malèfici contro il Premier, accusandolo di essere un “criminale”. Si è poi parzialmente corretta, aggiungendo che “ha avuto un atteggiamento criminale” mettendo il Paese in difficoltà, allorquando – alle prime avvisaglie del morbo -ha avanzato una critica nei confronti della sottovalutazione dei primi casi. Indubbiamente quel rilievo è apparso un atto d’accusa verso quelle strutture sanitarie regionali del Nord Italia, i cui governatori – tutti appartenenti al blocco del Centrodestra – avevano voluto mostrare una grande capacità di autonomia non del tutto poi rispondente alla necessità del caso. Ho peraltro già scritto che sarebbe stato doveroso, anche nel rispetto dei cittadini e dei lavoratori di quella zona “lombarda”, ammettere tale debolezza: ciò non avrebbe inficiato sostanzialmente il riconoscimento dell’eccellenza di quella Sanità. Capisco perfettamente che “non sia il momento”, che “non lo fosse nemmeno allora”; ma, quindi, evitiamo di trascendere in polemiche inutili alla stregua dei “polli di Renzo”, che – disgraziati loro – vivevano in quella parte di Italia ed in un abbastanza simile periodo di difficoltà sanitarie.
Fermiamoci dunque alle parole del Capo dello Stato.

“Qui sono tutti matti” a partire da me

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“Qui sono tutti matti” a partire da me

Qualche giorno fa commentando alcuni dati sull’incidenza del Coronavirus rispetto ad altre patologie una mia amica oncologa concludeva: “Qui sono tutti matti!”. Ricevendo questo messaggio, non riuscivo però a comprendere chi fossero i “matti”. In realtà non avrei potuto comprenderlo, avendo io involontariamente (la mia non è una scelta condizionata dalla diffusione del virus) utilizzato una sorta di “quarantena” culturale: me ne sto per gran parte della giornata in casa in mezzo a migliaia di stimoli culturali, che mi distraggono dalla “catastrofe” mediatica. L’altra mattina Mary, svegliandosi un po’ più tardi del solito mi chiedeva i dati aggiornati sul contagio ed io le ho risposto che “non se ne può più…non c’è uno spazio libero dai bollettini di guerra…la tv non fa altro che questo…e io stamattina non l’ho proprio accesa!”.
Così, un po’ alla volta, sto comprendendo a cosa si riferisse la dottoressa, parlando di “matti”. Sono perfettamente convinto che quel che sta accadendo sia molto serio e grave: pur tuttavia occorre mantenere la calma e non farsi prendere dal panico, contribuendo ad aumentare così il numero dei “matti”.
Le isterie colletive non aiutano a superare la crisi. Occorre certamente rispettare le norme igieniche, anche se sarebbe stato bene farlo da sempre; ma non è mai troppo tardi per imparare. Sono quelle cose che ci aiutano a giustificare quel che ci appare come un sacrificio insormontabile. Ovviamente alcune indicazioni, come quella della “distanza di uno o, meglio, due (facciamo uno e mezzo) metri” non vanno interpretate in modo rigoroso: sarebbe molto comico vederci zigzagare per la strada o nei corridoi del supermarket alla ricerca di uno spazio di sicurezza. Intanto si evitino i luoghi pieni e si privilegino quelli meno affollati. Bene, perciò, aver chiuso le scuole; così, con l’accortezza di uscire poco, e con gli strumenti tecnologici sempre più avanzati utilizzati soprattutto dalle nuove generazioni, si potrebbero studiare forme alternative di trasmissione del sapere, sperando tuttavia di non dover corrispondere alle assurde pretese di quel Dirigente (!) preoccupato per il fatto che la chiusura straordinaria delle scuole avrebbe comportato un danno alla preparazione didattica dell’Istituto. A proposito di “matti” ci sono anche queste tipologie, che assestano un colpo di credibilità fortissimo alla validità della preparazione scolastica dei nostri studenti: basta lavorare sul “sapere” in modo esclusivo ed avviare invece un “saper fare”, che nella scuola italiana è fortemente carente. In Italia c’è ancora troppa accademia e troppi parrucconi vetusti a dettar legge. Chissà che un “virus” anche tanto pericoloso non ci aiuti in quella direzione.
E poi la grande confusione che alberga sovrana è dovuta proprio a questo analfabetismo civile che caratterizza il momento. L’altra sera ho ricevuto la richiesta da parte di una giovane amica supplente temporanea di farsi accompagnare alla Guardia medica. Forse non era necessario ma la solitudine fa brutti scherzi e quindi mi sono prestato per accontentarla. Aveva seguito le indicazioni prescritte dal giorno prima, per cui per accedere occorreva prenotare telefonicamente l’appuntamento. Ed era tutto in regola: niente di che, solo un mal di gola persistente, qualche linea di febbre. Ma mentre attendevo che uscisse dall’ambulatorio sono passate altre persone che non avevano tuttavia prenotato e le Guardie giurate le informavano su come fare, commentando in modo improprio che “la legge non ammette ignoranza”. Purtroppo non di “legge” si trattava, ma di una prescrizione temporanea di tipo organizzativo tesa ad evitare assembramenti pericolosi per la diffusione della patologia virale; e poi solo da poche ore era stata comunicata: fino al giorno prima chi aveva bisogno in giorno festivo o feriale notturno di un controllo ne poteva usufruire senza alcun preavviso. Ecco, dunque, che – guardandosi intorno – i matti li scopriamo un po’ dappertutto, a partire da noi stessi, ovviamente.

Joshua Madalon

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