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Breviario minimo: sul RdC

Ho da sempre criticato l’empito utopico dei sostenitori del M5S, che li avrebbe sospinti a fare i conti con il pragmatismo della Politica concreta, quella basata essenzialmente sulla reale consistenza degli apparati pubblici, mal funzionanti ed incapaci di poter dare seguito a progetti basati sui “sogni” di un gruppo di volenterosi giovanotti. Non bastano le idee positive; occorrono apparati che le facciano funzionare: ed è così che il “reddito di cittadinanza”, pur essendo una proposta che avrebbe potuto essere funzionale a quell’abbattimento della povertà che i promotori sbandierarono come realizzata semplicemente perché dal punto di vista legislativo erano state approvate le linee procedurali, fu affidato a strutture che già da tempo avevano mostrato di non essere in grado di attivare i necessari percorsi creativi di opportunità lavorative.

Allo stesso tempo scarsissime erano le possibilità, anche collegate alla fretta con cui si voleva concretizzare il progetto, di attivare controlli minimamente efficaci intorno alla congruità delle richieste: anche per questo motivo molte sono state le irregolarità riscontrate nel corso dei mesi. L’apparato dello Stato ha mostrato i suoi limiti e queste vicende hanno sospinto i critici “potenti” a prendere in considerazione l’abolizione tout court del RdC. Come se, di fronte ad irregolarità nella corresponsione di pensioni di invalidità (abbiamo ben presenti falsi ciechi e invalidi in genere), si decidesse di abolirle per tutti. Ben diversa sarebbe la presa di coscienza dei limiti evidenziati e l’impegno a mettere in funzione la macchina amministrativa per agganciare domanda e offerta. Attualmente c’è un dibattito politico molto acceso, con le Destre – che peraltro ritengono erroneamente di avere la maggioranza nel Paese – che vorrebbero eliminare il RdC, mantenendo una certa attenzione per coloro che non possono lavorare e sospingendo tutti gli altri, senza un vero e proprio controllo sulla congruità con cui il Reddito è stato percepito, ad accettare la prima proposta “congrua” di lavoro, pena la perdita di quel diritto. “Congrua” è una forma ambigua generica che non esplicita in alcun modo a quale compenso quantitativo si riferisca; inoltre bisognerebbe comprendere pienamente quali siano state le ragioni di una parte di coloro che interpellati da datori di lavoro hanno rifiutato la proposta, accontentandosi di avere circa 500 euro al mese. Viene il dubbio (a me ma mi chiedo come mai questo dubbio non venga ai detrattori del RdC) che la proposta di compenso in senso quantitativo fosse (forse) di poco superiore a quella cifra e comunque collegata a turni di lavoro massacranti come quelli della ristorazione (dove peraltro ci sono contratti fasulli che, a fronte di pochissime ore dichiarate, richiedono un impegno molto più intenso). Allo stesso tempo mi sono da sempre chiesto come fanno coloro che per lavorare accettano proposte in territori molto lontani da quelli in cui vivono e percepiscono salari o stipendi incongrui per la sopravvivenza minima: e quell’ “incongrui” è riferito ad affitti onerosi e costo della vita esorbitanti difficilmente compatibili con la minima dignità.

quel che mi manca…

GIORNI

Giorni uggiosi schizofrenici tra bassi e alti, alti e bassi, con lenti sonnacchiosi risvegli e serate che decollano troppo tardi, costringendoti ad addormentarti ad ora tarda dopo aver avuto colpi di sonno. Un giorno senti di essere molto più giovane di quanto sei ed addirittura senti dentro il desiderio di ritornare al lavoro che hai condotto per tanti anni; un altro subito dopo, un altro giorno, cammini lento portandoti dietro molto più peso di quanto dovresti. Capita per l’ appunto in modalità schizzata proprio in quel giorno in cui sei ritornato a scuola per una festa di commemorazione per un giovane ex allievo di tanti anni fa, che se ne è andato via, così all’improvviso: quello proprio il giorno giusto, no, per sentire dentro di te la vitalità! Roba da psicanalisti anche di quelli alle prime armi o di un counselor che come la mosca cocchiera si possa credere alla stessa altezza dei migliori professionisti. Certamente contribuisce a farti sentire vivo la tragedia di una vita stroncata anzitempo, anche se Menandro suggerirebbe che quella tragica fine sia cara agli dei. Ancor più la giornata mite tranquilla pur di un autunno maturo e l’incontro con docenti che non vedevi da tempo e che nella distanza “forse” hanno imparato ad apprezzare meglio quel che valevi e ti sorridono, mentre alcuni anni prima non erano così cordiali e felici di incontrarti. Ed ancor più la presenza di allievi di quelli ancora più giovani che, casualmente, incroci nei corridoi ti riconduce il desiderio di riprendere un rapporto più sereno e maturo.

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Il giorno dopo ti svegli più presto del solito. A fine novembre è ancora buio. Devo lavorare in casa prima di uscire. Devo farlo entro le 8.00 perchè per le 9.00 devo essere a scuola; non quella del giorno prima. Esco di casa dopo una mezza dozzina di caffè perchè non sono riuscito ancora a scrollarmi di dosso la sonnolenza. Per fortuna non piove. Fa freddo, sì, ma non piove e questo mi dà garanzie che non correrò il rischio di impallarmi nel traffico, come in altre occasioni. La città è come me sonnacchiosa. Esco presto anche perché parcheggio in un posto lontano dal luogo dove devo recarmi. Mi dà la possibilità di camminare, che per un settantenne è necessario terapeuticamente. Mi fermo in un parcheggio libero dove non c’è quasi nessun’ altra auto. Mi fermo e
prima di uscire nascondo alla vista qualsiasi oggetto che pur immeritatamente possa indurre in tentazione qualche ladruncolo di passaggio. E poi con una lentezza biblica come se dovessi attraversare un deserto mi avvio lungo la pista pedonale del Bisenzio andando verso il centro. Cammino, mi fermo ed osservo tutti i soggetti che la Natura propone. C’è un sole tiepido rinfrescato dal venticello della valle ma è straordinariamente piacevole prendersela comoda, ed avvertire la forza morale dell’età che si contrappone alla sensazione di un inevitabile lento declino.

Joshua Madalon

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parte 12 – POESIA SOSTANTIVO FEMMINILE – un recupero dei testi di presentazione, introduzioni e Saluti; e questa è la “Presentazione” della V edizione, del 2005) (per la parte 11 vedi 2 settembre)

Siamo alla quinta edizione di un’iniziativa che nacque casualmente a corollario di un Premio di pittura dedicato al nostro amico Franco Morbidelli e fui io, una notte di dicembre parzialmente insonne, a pensare che sarebbe stato interessante creare uno spazio per la poesia. Il titolo mi venne di getto, per consuetudine metodologica ma anche per razionale concretezza; ed altrettanto per la grande difficoltà di identificare altrimenti il significato del termine. Per rendere più elevata la partecipazione pensammo ad una struttura aperta, escludendo il concorso a premi, che ci sembrava macchinoso e costrittivo, fortemente legato alla soggettività delle giurie, contrario alle forme di espressione libera che dovrebbe caratterizzare la parola poetica. L’idea, a noi sembra, è stata premiata. Di annon in anno la partecipazione è andata crescendo; la qualità, è verificabile da chiunque, anch’essa si è accresciuta- Le poetesse e i poeti hanno avuto occasioni intermedie di confrontarsi; altre opportunità sono nate, anche se non si sono affermate allo stesso modo: rimangono tuttavia nella storia del nostro territorio i fogli delle “Poesie da viaggio”, che attendono di essere riproposti. Gli spazi istituzionali, a partire dalla Sala Polivalente “don Lorenzo Milani”, sono a disposizione di gruppi che vogliano periodicamente incontrarsi e che, di tanto in tanto, espressamente invitiamo in happening estemporanei. Quest’anno accogliamo con grande entusiasmo la collaborazione degli artisti e dei poeti di un’Associazione prestigiosa come quella de “Il Castello” (ed in particolare la sua Presidente Nicoletta Corsalini) con la quale speriamo di continuare un percorso positivo di cooperazione. Fra le novità dell’edizione 2005 una presenza di poeti come si suol dire “in erba” provenienti dalla Scuola Elementare “Fabrizio De Andrè” che fanno di certo onore, oltre che a noi, al poeta cantore cui la loro scuola è stata di recente intitolata.

Si conferma la partecipazione inoltre di allievi e docenti del Liceo Scientifico “Copernico” e dell’ I.T.C. “Paolo Dagomari”. Vogliamo ringraziare inoltre il Dirigente Scolastico dell’ Istituto “Tullio Buzzi”, prof. Francesco Rossi, che in questi ultimi anni ha accettato di ospitare la serata finale dell’Otto marzo, e che questa volta ha messo a disposizione anche altri spazi per la Mostra di Arte Varia (Pittura e Scultura) che competerà l’iniziativa. Allo stesso modo e per motivi ormai di affiatamento per il lavoro artistico di presentazione delle poesie ringraziamo Lisetta Luchini, studiosa e fine interprete del canto popolare toscano, ed i suoi collaboratori. Vogliamo inoltre ringraziare la Provincia di Prato, ed in particolar modo Cristina Sanzò, neo Presidente della Commissione Pari Opportunità per averci concesso, oltre al patrocinio, la giusta fiducia che merita un’attività come la nostra che non sempre ha bisogno, per essere realizzata, di particolari risorse economiche ma di un doveroso legittimo riconoscimento politico. Un ringraziamento infine a tutte le donne, ed agli uomini, che hanno voluto partecipare mettendo in gioco le proprie sensibilità, i propri sentimenti, a questa quinta edizione, ancora una volta curata da Gianfranco Ravenni nella scelta e nella strutturazione all’interno del volumetto.

Prof. Giuseppe Maddaluno

Presidente Comm.ne Formazione e Cultura

I questuanti che fanno a gara a mettersi in fila per non perdere la priorità acquisita

I questuanti che fanno a gara a mettersi in fila per non perdere la priorità acquisita

Quel che penso dell’attuale “condizione” del Partito Democratico (non “del Partito Democratico” ma del suo “stato”, le cui risultanze sono da addebitare al progressivo allontanamento dai “fondamentali” scritti e mai praticati) è inscritto a chiare lettere in quel che ho espresso, e non da unico e solo,  in tutti questi anni, sin dalla fondazione nel 2007.

Il PD ha avuto una genesi controversa con una maggioranza che mirava sin da allora a mantenere le diverse rendite di posizione ed una minoranza che si poneva l’obiettivo di essere punto di riferimento del mondo del lavoro e della produzione con un’ottica sociale e democratica, privilegiando gli interessi dei più deboli e bisognosi di dignità. In questa linea pedissequamente “democratica” (di facciata) si è proceduto, mantenendo la rotta essenzialmente (anche se molte “parole” lasciavano supporre il contrario)  sempre più a favore dei ceti più forti della società, e abbandonando ai margini tutti coloro che denunciavano questa forma maligna che stava man mano corrompendo il Partito.

Era inevitabile, ovviamente, che la deriva portasse ad una profonda disaffezione: il ceto politico che vantava la sua “diversità” non si distingueva da quello delle altre forze politiche, anche quelle della cosiddetta, vituperata in modo ipocrita, Prima Repubblica. C’è infatti una grande “questione morale” che non ha prodotto – per ora – caratteristiche evidenti di illegalità: è quella profonda sensazione che si miri prioritariamente a valorizzare i punti di forza personali e quelli della propria “corrente” (nel PD è un concetto, quello delle correnti, molto fluido ed anche per questo molto insidioso) piuttosto che aiutare la società, anche e soprattutto quella che sopravvive nelle periferie (nel senso più ampio di tale termine) ad affrancarsi dalle angustie che sono diventate in modo drammaticamente progressivo più crude e stringenti.

Questa forma di critica ha avuto sempre un intento benevolo, propositivo; ma era ovviamente rigettata se non “falsamente ignorata” o aspramente criticata come inaccettabilmente emessa da chi – pur sempre potenziale elettore –non era più da tempo iscritto.

Negli ultimi tempi con la scelta di procedere ad una “revisione” congressuale si erano aperte le speranze (in particolare da parte degli inguaribili ottimisti “candidiani”) ma molto ben presto si è compreso che c’è molta “fuffa” e poca concretezza nelle enunciazioni. Ne è prova certa la pletora di “questuanti” che si sono già iscritti alla corte del primo candidato: occorreva far presto per essere della partita “vincente” a pieno titolo.

Da questi segnali si comprende che la deriva potrà anche essere provvisoriamente bloccata ma la sorte del Partito Democratico è segnata: non basteranno cinque anni per riprendere in mano le sorti del nostro Paese, se non si comprenderà che occorra riunire le forze della Sinistra, riconoscendo i limiti del Partito che si è arrogato il ruolo di capofila di un Centrosinistra sempre più rivolto ad ottenere riconoscimenti da parte del Centro Destra.

su “rave party” e “vaccini”

Quel che ho scritto ieri potrà essere stato equivocato come una sottile aderenza al nuovo Governo. Mi dispiace averlo lasciato solo pensare; la mia preoccupazione è che gli attacchi improvvisi – e improvvisati – da parte di alcune figure afferenti alla Opposizione, della quale sento di far genericamente (non ho alcuna “tessera” di Partito)  parte, mi sono apparsi molto improvvisati, come alla ricerca nevrotica di costituirsi come punto di riferimento di qualsivoglia discrasia del nuovo Governo. Quel che ho scritto ovviamente mette in evidenza alcuni aspetti che vanno modificati nella gestione politica da parte di chi è all’opposizione: non si può far prevalere l’improvvisazione espressa in modo stizzito. Occorre ragionare. Ed in realtà, dopo la decisione di bloccare il rave party dei giorni scorsi, il Governo ha predisposto un Decreto legge che contiene alcune ambiguità, che mettono a rischio in modo troppo generico la libertà di riunirsi. Bene ha fatto l’attuale Segeretario del PD a chiedere che siano apportate modifiche esplicative della “ratio”  che ha generato quel dispositivo. Bisogna essere ancora più chiari: i rave party non possono essere confusi con qualsiasi altra riunione assembleare. Pur garantendo che il numero di 50 partecipanti da parte degli organismi associativi e politici negli ultimi anni difficilmente si raggiunge, non sarebbe certamente una buona cosa considerare qualsiasi riunione politica, culturale, ricreativa come luogo di sovvertimento rivoluzionario. E non si possono confondere tali “raduni” con i “rave party”, luogo di irregolarità penalmente perseguibili, a partire dall’occupazione abusiva di suolo pubblico e privato per andare allo spaccio di droghe ed abusi violenti. Invito la Sinistra a ragionare maggiormente su quel che conta suggerire al Paese tramite quel Governo cui ci si oppone. Alcuni passi indietro ad esempio si vanno facendo, da parte dell’area governativa, sul tema del Covid: di sicuro sarà mantenuto a lungo l’utilizzo delle mascherine FFP2/FFP3 negli ambienti ospedalieri e nelle RSA; ma non è del tutto definito tutto il comparto della vaccinazione obbligatoria per i lavoratori ospedalieri, a partire da medici e infermieri.

Verso il 25 settembre – reloaded di un mio post del 2 ottobre 2020 – con un brevissimo preambolo

Se oggi, settembre 2022, siamo ancora una volta a domandarci cosa sia “utile” votare alle prossime elezioni politiche, la responsabilità non può essere addebitata alle elettrici ed agli elettori, ma ad una classe politica (quella di riferimento individuale) assolutamente inadeguata a svolgere il ruolo che si è assegnato in maniera quasi autoreferenziale (quasi tutti votati ma designati da gruppi ristretti di Potere). C’è una parte degna di attenzione, ma occorrerà che assuma posizioni di coraggio e si attrezzi a smantellare le strutture che hanno prodotto tali disastri.

IL FUTURO DELLA “SINISTRA” (unita) ed il possibile accordo (non solo di Programma)  tra PD e M5S

Se davvero….bisogna fronteggiare le Destre, “le più pericolose e aggressive”, allora occorre che vi sia una Sinistra, “unita”, che non abbia tuttavia alcun elemento in comune di contenuti e di forme, di mezzi e di risorse umane e che abbia davvero in mente di declinare in senso democratico l’arcobaleno valoriale che si incentra sulla libertà e l’uguaglianza di donne ed uomini, lavoratrici e lavoratori, e che riesca a contemperare le ipotesi programmatiche con la volontà del popolo chiamato ad esprimersi in modo partecipativo attraverso una miriade di organismi territoriali diffusi. Se invece chi si dice di Sinistra anche facendo precedere a quella distinzione politica il termine Centro, allo scopo di aggregare forme variegate e spurie sempre più lontane dagli obiettivi ideali fondamentali dell’essere “di Sinistra”, dell’essere “Sinistra”, rischia di produrre divisioni in una parte considerevole dell’elettorato che o si rassegna o si ribella o si estranea. Nondimeno alcuni “matrimoni” forzosi non possono produrre effetti benefici d’emblée, con un semplice schiocco di dita.

Si è insistito molto sulla necessità di piegare la leadership – e l’elettorato – del Movimento 5 Stelle a garantire nelle elezioni regionali un sostegno ai candidati del Centro Sinistra. Ovviamente non è andata bene in quella direzione; il Centro Sinistra ha vinto malgrado il non avvenuto accordo là dove poteva vincere, aggregando anche voti proveniente da elettori del Centrodestra; ha perso dove non poteva vincere e dove invece un accordo si è verificato. Sento che qui in Toscana in questo fine settimana, quando si svolgeranno i ballottaggi, in uno dei Comuni dove questi sono previsti, c’è stato l’apparentamento tra PD-altre liste civiche e il Movimento 5 Stelle. Il Comune in oggetto è Càscina, in provincia di Pisa, roccaforte della Lega e della ex Sindaca Susanna Ceccardi (anche se in questo primo turno sia per le Regionali che per il Comune le cose non sono andate bene per Salvini e per la sua “pupilla”) ma l’apparentamento è una forma di disperato tentativo, soprattutto laddove o ci sono molte differenze tra le forze politiche che si accordano o ci sono troppi punti in comune. A ben vedere le due ipotesi così d’acchitto non si tengono in piedi. Pur tuttavia quello che può sembrare un inizio fulgido in previsione di un futuro più solido accordo anche a livello nazionale è semplicemente un riconoscere la profonda debolezza della parte a Sinistra in questo paese. Sarebbe invece ottima cosa procedere in un clima di reciproco rispetto, conoscersi meglio, comprendere le differenze e valorizzarle pienamente, senza soffermarsi sui distinguo ideologici da una parte e postideologici dall’altra, abbattendo il muro dei sospetti. E’ un lavoro molto difficile, pieno di incognite ma anche ricco di possibili soddisfazioni. Sarà probabilmente più semplice riuscire ad operare in questa direzione nelle sedi territoriali periferiche, laddove è la concretezza del “fare” a prevalere; ai livelli centrali bisogna richiedere prudenza ed equilibrio, che possano essere di buon esempio anche in tutto il resto del Paese. Ci saranno temi che possono appassionare al di là delle tifoserie partigiane consuete, come – solo per fare un esempio la revisione e la messa a punto dei meccanismi del “reddito di cittadinanza”. Chi lo ha sostenuto in modo fideistico e chi lo ha denigrato dovrebbero ricercare punti di accordo per non deprivare di quel contributo chi ha davvero “onestamente” usufruito di quel contributo (e sono moltissimi) e per mettere a punto un percorso virtuoso che metta in condizione le strutture che si occupano del “mercato del lavoro” di poter funzionare e consentire a coloro che devono controllare nel merito la giustezza del RdC concesso di poterlo fare nel migliore modo possibile. E poi ci sono altri temi che dovrebbero appassionare in modo concorde a dimostrazione di possedere la stessa identica anima “di Sinistra”. Su questo avremo da discutere: non c’è un gran “tempo” di fronte a tutti noi e dobbiamo mettere alla prova la tenuta democratica di questo Paese. Ne riparleremo.

Joshua Madalon

IN RICORDO DEL “POETA” PIER PAOLO PASOLINI – parte 30 – atti di un Convegno del 2006 IN RICORDO DI PIER PAOLO PASOLINI per la parte 29 vedi 24 giugno

IN RICORDO DEL “POETA” PIER PAOLO PASOLINI – parte 30 – atti di un Convegno del 2006 IN RICORDO DI PIER PAOLO PASOLINI per la parte 29 vedi 24 giugno

….. prosegue l’intervento del prof. Giuseppe Panella

Io ho letto e apprezzato i libri di Tricomi, soprattutto il libro uscito da (parola non comprensibile), un libro si sintesi anche Perché essendo più breve è anche più facile da memorizzare. Ho però dei dubbi su quello che lui dice e li porrò sottoforma di domanda, ma anche in un tentativo di andare un po’ al di là rispetto a questa prospettiva che è una prospettiva invalsa in questi anni sulla base di opere molto diverse fra di loro, penso ad esempio al giallo intellettuale di Zigain che prova a risolvere il problema della morte di Pasolini non tanto in termini lettarario-deduttivo, quanto su una base fattuale cioè la morte di Pasolini sarebbe il frutto di una messa in scena dello stesso Pasolini, della volontà di Pasolini di concludere la propria vita con un colpo di teatro, no? E dall’altro nei testi di Carla Benedetti in “Pasolini contro Calvino” ai quali credo, se non erro, Tricomi si rifaccia nel tentativo di mettere appunto Calvino sul piano della classicità un po’, e dall’altro Pasolini dal lato della classicità che però non è tale ma si rimette in discussione, si autofagogita all’interno di una volontà di non conclusione, di apertura continua dell’orizzonte sul discorso.

Ci sono però delle obiezioni che mi vengono spontanee da fare, una delle quali è relativa ad un autore che non è stato qui suscitato. Ovviamente non si poteva parlare di tutto Pasolini, però tra i famosi nipotini dell’ingegnere, che è una definizione di Alberto Arbasino, in cui compare Arbasino stesso ma anche Giovanni Festori e Pasolini, c’è una sorta appunto di nome tutelare, di persona che vigila in una specie di divinità, divinità laica che vigila sulle sorti della scrittura letteraria italiana e cioè Gaza.

Io credo che per esempio questa volontà di non finito che c’è in Pasolini non so se Petrolio dovesse essere destinato a non essere finito volontariamente. Su questo i filologi diranno la loro, ma io ho per esempio delle perplessità sul fatto che Petrolio dovesse rimanere così, cioè che poi Pasolini non ci avrebbe messo le mani.

Questo non credo si possa dire così a priori. Ma, ad esempio, riguardo alla Divina Mimesis la pubblicazione di un non finito come questo testo ricorda molto la pubblicazione dei testi di (parola non comprensibile). Penso ad esempio alla Meccanica, penso soprattutto al Pasticciaccio. Il Pasticciaccio è un classico esempio di romanzo non finito Perché noi non sapremmo mai chi è il vero assassino, possiamo soltanto dedurlo, ma che non per questo non ha caratteri né di classicità e né di compiutezza nell’ottica di (parola non comprensibile). Per (parola non comprensibile) il Pasticciaccio che non è finito per il lettore, al quale il lettore viene invitato in certa misura a mettere la parola fine, in realtà è un testo compiuto.

….prosegue l’intervento del prof. Giuseppe Panella

IN RICORDO DEL “POETA” PIER PAOLO PASOLINI – parte 29 – atti di un Convegno del 2006 IN RICORDO DI PIER PAOLO PASOLINI

IN RICORDO DEL “POETA” PIER PAOLO PASOLINI – parte 29 – atti di un Convegno del 2006 IN RICORDO DI PIER PAOLO PASOLINI

Promemoria – Vado pubblicando i testi del dibattito che si svolse nel corso di un Convegno da me organizzato a Prato, dedicato alla figura di Pier Paolo Pasolini – si tratta dell’unica testimonianza di quell’evento. Grazie alla sbobinatura di cui posseggo testi e registrazioni, vi riporto gli interventi di illustri critici che in quell’occasione vennero al PIN di Prato

Però al di là del caso specifico mi interessava dire questo: che c’è un Bazen però in Pasolini in qualche modo recuperato assieme o addirittura, come dire, con il filtro di (parola non comprensibile)…perchè l’altro autore essenziale per la teoria poi anche fisica di Pasolini è il Bart cinematografico, ma il Bart che legge Brecht. Quindi in pratica tutta la teoria estetica del Pasolini cineasta…(VOCI FUORI MICROFONO)….>>

Parla voce non identificata:

<< Gli studenti che non conoscessero questi saggi di Bart, ricordo che sono i saggi critici editi prima da Einaudi e adesso anche gli scritti di Roland Bart sul teatro. >>

Parla il Professor Antonio Tricomi:

<< Quindi, in pratica, c’è questa commistione tra Bart e Bazen probabilmente è all’origine dell’estetica cinematografica di Pasolini. Ci sono anche altre fonti, però a mio avviso le due fonti più calzanti e più decisive sono queste. >>

Parla il Professor Sandro Bernardi:

<< Bene, a questo punto è previsto un secondo discassant, Giuseppe Panella. Purtroppo il nome di Giuseppe Panella è rimasto fuori dal programma per un errore tipografico. Giuseppe Panella è ricercatore alla Scuola Normale Superiore di Pisa come Rino Genovese. >>

Parla il Dott. Giuseppe Panella – Ricercatore Scuola Normale Superiore di Pisa:

<< Come dire questo intervento è un po’ in contumacia, no? Latitante. Volevo dire questo: come nei buoni film polizieschi, nei buoni romandi polizieschi quando c’è una indagine gli interrogatori vengono condotti dal poliziotto buono e dal poliziotto cattivo è un gioco classico. Genovese ha fatto il poliziotto buono, io faccio il poliziotto cattivo non Perché voglio bastonare i relatori, anzi ho per loro il più vivo apprezzamento, ma Perché volevo porre dei dubbi. Proprio quella sineciosi *del dubbio come si accennava prima. Non a caso il titolo dell’intervento di Fortini è proprio “Sineciosi del dubbio” dove la sineciosi in realtà ha qualcosa ha che vedere con l’ossimoro, ma è una figura leggermente diversa proprio Perché compone i pezzi del proprio discorso, sineciosi appunto è una figura retorica nella quale le argomentazioni vengono portate in maniera infinita, cioè non si concludono. E’ qualcosa appunto che mostra tutte le possibilità di qualcosa, ma non dà alla fine una risposta. Ed è un po’ questo che accade sempre confrontandosi con Pasolini.

* riporto da Google: Il termine «sineciosi», mutuato da Franco Fortini, significa «ossimoro» ed indica il procedimento retorico, molto spesso utilizzato da Pasolini,consistente nell’accostamento di due termini opposti al fine di esprimere, ad un tempo, due contrari.

….29….. prosegue l’intervento del prof. Giuseppe Panella

Al di là della mera ritualità, oltre i “sogni”

Al di là della mera ritualità

Di tanto in tanto chi si occupa (chi crede di occuparsi….) di temi politici, avverte il bisogno di mostrare come è in grado di ascoltare il parere della società diffusa (quella parte che la Politica non la pratica, pur avendone specifiche competenze settoriali), pur essendo consapevole che le soluzioni sono più o meno già delineate, all’interno di una serie di “confini” dove i “bisogni” vengono ad essere limitati dagli interessi non sempre per diversi buoni o meno buoni motivi espressi chiaramente. Questa forma di falsa Democrazia è praticata costantemente, soprattutto nella Sinistra. Nella realtà, tutto questo “palcoscenico” serve a costruire provvisorie condivisioni, con una naturale selezione basata su adesioni strumentali, poco utili alla costruzione di una programmazione di media e lunga durata, quella che era (ed è) necessaria per costruire un futuro di cambiamento percepibile realisticamente. Se si vuole rivolgere una critica a chi scrive, vi tolgo dall’imbarazzo: sono perfettamente consapevole che questi meccanismi li ho utilizzati anche io. Anche se, come molti sanno, li ho criticati e denunciati da alcuni decenni. E chi mi segue sul Blog può rendersene conto: sono considerato un polemico ma ne ho ben donde, visto che dopo venti anni a Prato si discute di edilizia scolastica e di dispersione, argomenti che potevano essere affrontati (seriamente) e avviati a soluzione già alla fine del secolo scorso e nei primi anni del nuovo. Nel frattempo, complice anche la pandemia, che ha reso tutto più difficile, si è buttato all’aria tutta la storia del Decentramento. E, questo, per ora, solo per soffermare molto sinteticamente sulle tematiche scolastiche (il Decentramento ha una valenza “universale” ed è la massima interpretazione di volontà democratica partecipativa, a patto che sia riconosciuta sul serio). Poi tratterò dei temi collegati al Lavoro, con particolare attenzione alla “crisi” del Sindacato.

Non basta, ora, riavviare i motori, come se nulla fosse accaduto: occorrerebbe ma è per davvero inimmaginabile che ciò accada, riconoscere gli “errori”, le sottovalutazioni ammantate da un “falso perenne ascolto”. Lo dovrebbero fare quelli che c’erano prima, alcuni dei quali ancora oggi rimangono in sella e lo dovrebbero affermare quelli che vogliono cambiare. Bisogna fare un bagno nell’Umiltà: finora abbiamo ascoltato dichiarazioni e su queste ci si è sperticati in elogi; ma la sostanza tarda a farsi strada, ancor più  se permangono ostacoli alla realizzazione dei “sogni”.

IN RICORDO DEL “POETA” PIER PAOLO PASOLINI – parte 28 – atti di un Convegno del 2006 IN RICORDO DI PIER PAOLO PASOLINI

PARTE 28

Parla voce non identificata:

<< Credo che sia molto importante quello che dice Pasolini sul piano sequenza e il montaggio. Ci sono

pagine bellissime in cui, come giustamente diceva il Professor Costa, Pasolini quasi riscrive, ma riscrive anche (parola non comprensibile) secondo me: l’essere il nulla e quelle pagine che lui aveva letto in francese probabilmente in cui Sartr  parla delle storie e dice che le storie cominciano solo quando sono finite. Si racconta una storia solo quando è finita Perché prima non si può raccontarla. Questa osservazione di Sartr, che è fondamentale per la narratologia che seguirà successivamente, è anche una osservazione filosofica, Pasolini la intende proprio in senso filosofico e non narratologico nel senso che per lui il piano sequenza è paragonabile alla vita ed il montaggio è paragonabile alla morte e fra piano sequenza e montaggio c’è lo stesso rapporto intenso, vivo e costruttivo che c’è tra la vita e la morte nel senso che hanno bisogno l’una dell’altra proprio per esistere, per definirsi. C’è una frase molto famosa di Eghel che dice che l’uomo inizia a morire dal giorno in cui nasce, ed è forse questo appunto il rapporto in cui dobbiamo intendere quel discorso che fa Pasolini fra piano sequenza e montaggio nel cinema e vita uguale piano sequenza, montaggio uguale morte nella filosofia. Se la vita sta alla morte come il piano sequenza sta al montaggio, allora bisogna pensare che come la vita ha bisogno della morte quotidiana, del nostro invecchiare, del nostro chiudere le giornate e sono queste tutte tappe di costruzione del senso della nostra vita, di giornate che si chiude, ogni anno, ogni momento che si chiude, le ricorrenze, le celebrazioni non a caso noi alla fine dell’anno facciamo un riepilogo e diciamo quest’anno è successo questo, questo e questo cioè ce lo raccontiamo Perché l’anno è finito e così anche c’è questo rapporto di reciproca costruzione, di reciproca definizione allora veramente si potrebbe dire che il piano sequenza e il montaggio sono entrambi necessari al cinema e vitali l’uno per l’altro, non due modi alterni di fare cinema, ma due modi veramente che si fecondano, che acquistano senso con l’uno con l’altro. C’è anche una risposta di Tricomi. >>

Parla il Professor Antonio Tricomi:

<< Volevo dire solo una cosa su Bazen in pratica per quel poco che può contare la mia adesione a quanto è stato detto. Che ci sia un recupero di Bazen da parte di Pasolini è innegabile. Dopo di che cosa succede? Che come spesso Pasolini fa segue la fonte per due terzi la abbandona infine, e quindi poi arriva a dire la cosa contraria della (parole non comprensibili – VOCE FUORI MICROFONO)…nell’opposizione piano sequenza e montaggio. Però se c’è un recupero di Bazen è evidente soprattutto nel modo in cui poi entrambi concepiscono la possibilità della sceneggiatura come possibilità di (parole non comprensibili – VOCE FUORI MICROFONO)…ad un certo punto Bazen scrive verrà il tempo delle (parole non comprensibili – VOCE FUORI MICROFONO)…direttamente gli sceneggiatori.