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10 luglio – Breviario per il nostro immediato futuro parte 1 – Delusione e illusione

Breviario per il nostro immediato futuro

Delusione e illusione

Nè l’una nè l’altra: chiariamoci.

Mettiamo tutto alla luce del sole; non c’è  nella mia forma mentale l’idea di una riconvergenza, di un riannodare il nastro del tempo.

Esistenzialmente  ciò non è possibile per noi uomini; non lo è nella maniera più assoluta per me. Lascio ad altri questo privilegio. Continuo a pensare che quel che abbiamo vissuto non possa essere ripetuto. Può accadere nei sogni ma è, il tutto, un’altra cosa. Ho vissuto questo “recente” tempo pandemico lavorando in modo specifico ed intenso al recupero di quella parte di memoria che riesca a spiegare il corso del mio impegno civile, politico e culturale; fino al periodo di una mia personale, anche se in ottima “compagnia”, ricerca di una costruzione di un soggetto civico politico che si ponesse l’obiettivo di riunire le tante anime disperse della Sinistra sul nostro territorio. E’ stato un lavoro difficile, molto coinvolgente; anche se poi non ci è stato possibile pervenire ad un soggetto unico c’è da essere consapevoli di aver prodotto tutto lo sforzo necessario (il risultato è al di sotto di quanto sarebbe stato necessario ed utile, ma è stato un buon inizio). Quello che vado preparando in altrettanto “buona compagnia” è
dunque un nuovo viaggio che deve prevedere “nuove” tappe, per dar seguito ad una volontà non ancora del tutto esplicata. Non c’è “delusione” ma non intendo fornire speranze di una mia resipiscenza, non intendo offrire “illusioni” (ribadisco che l’unica possibilità per un mio rientro è del tutto irrealistica ed impossibile da realizzare: sarebbe una rifondazione del Partito Democratico; e dunque molto lontana dalla realtà).

Mi muoverò dunque fuori dal PD ed allo stesso tempo “fuori” dai fondamentalismi di una Sinistra, ancorata a vecchi schemi, che rendono quasi sempre inutile qualsiasi progettualità fondata sulla realizzazione di obiettivi pratici, concreti, reali.

Il mio impegno sarà quello di procedere alla costituzione di una serie di Comitati che abbiano come obiettivo l’allargamento della partecipazione, territorio per territorio, a partire da quello in cui risiedo e vivo. Senza mire personali. Sottolineerò la necessità che ogni aderente abbia  solo a cuore il benessere della realtà in cui vive. Una sorta di “Pro Loco”? no di certo. Si tratta di far crescere attraverso la cura complessiva degli ambienti che ci circondano, passioni e competenze, all’interno di una nuova forma dell’Agorà greca, sommo ed inclusivo luogo di democrazia partecipativa.

In un prossimo post proverò a delineare la mia proposta

7 luglio – A un giovane compagno – e ai giovani – 2

Queste condizioni non sussistono ancora e probabilmente non ci sarà mai tale riconoscimento; ma la realtà emersa da questi mesi di chiusure forzate nonchè l’età che avanza  mi spingono ad accelerare nell’auspicio di poter essere utile per un gruppo di giovani, che parta dalla consapevolezza critica della nostra (quella del Circolo Sezione Nuova San Paolo) esperienza con “altri” giovani negli anni scorsi.  La ferita che non si rimargina è dovuta anche a loro che hanno tradito le nostre speranze segnatamente perchè attratti soprattutto da un’ascesa ad un Potere locale, per raggiungere il quale hanno scelto di sostenere una parte del Partito che – garantendo  loro una collocazione sicura – si allontanava nella pratica politica da quei percorsi partecipativi messi in piedi in tante occasioni proprio qui a San Paolo (Trame di quartiere, Luoghi Ideali, Palestra delle Idee, Politicsblog).

Non si può tuttavia continuare a rimanere marginali e soli, ma ciò non può non avere un “costo”, da una parte e dall’altra.

Una volta fuori dal Partito per scelta meditata non sono stato mai del tutto fermo. Mi appartiene in modo forte l’esperienza di “Prato in Comune”, che è stato in modo particolare il tentativo più alto di riunire quella parte della Sinistra “fuori” dal Partito Democratico. Esperienza “fallita” ma non fallimentare, in quanto non si è mai avuta la sensazione di aver commesso un errore. Ancora oggi credo che la Sinistra, quella autentica, ma non dogmatica, possa avere una funzione ed un ruolo molto importante non solo in questa città: purtroppo, però, si è limitati soprattutto a causa della esigenza di non scendere in compromessi con “poteri locali” e lobby varie. C’è da chiedersi a che vale la Buona Politica fatta di molte idee buone se per poter emergere debba sporcarsi con accordi che prefigurino una “dazione” in cambio di “concessioni”  (chiamatele se volete “bustarelle”). Ecco perché l’unica via per praticare la Buona Politica è far crescere la partecipazione dal basso.

Quella che io auspico venga messa in cantiere è un’Associazione contenitore. Una sorta di struttura di “Quartiere” per ravvivare il dibattito partecipativo.                                                                                                                                           La chiamiamo “Agorà” (di San Paolo); e deve essere un luogo dove l’individuo confluisce nella collettività. “Agorà” per me deve, anche se ci fermiamo al “può”, essere un seme; ecco perché quel “di San Paolo” va apposto dal momento in cui anche altrove altre “Agorà” nasceranno. Bisogna costruire palestre della pluralità, dove poter condividere in partenza solo “valori”.

Ribadisco che non mi interessa lavorare “per” il Partito, la cui forma considero “immodificabile” ed ormai “quasi sterile”. Ho già provocato reazioni quando più di un anno fa affermai che occorreva rifondarlo (voci in tal senso di tanto in tanto emergono dall’interno, ma sono troppo spesso una forma di riposizionamento o poco più); non mi sento di essere duro e scorretto se dico che c’è troppa muffa incrostata, che provoca “panne” nel motore. Manca in quel Partito, che ho fondato più che convintamente (pochi forse tra i “giovani” sanno che sono stato – insieme ad una compagna che è nel mio cuore, Tina Santini, coordinatore del Comitato per il Partito Democratico), manca la capacità di ascoltare al di là delle modalità ipocrite usuali, che di solito coincidono con le campagne elettorali.

In chiusura di questa mia riflessione confermo la stima verso Fulvio, e condivido quello che lui ha scritto presentando la sua idea di “AGORA’”.

6 luglio – LE STORIE 2008/2009 e 2013/2014 – 3 (un falso sondaggio)

Il falso sondaggio

Mentre ci si approssimava alla scadenza del mandato amministrativo del Sindaco Marco Romagnoli e del Presidente della Provincia Massimo Logli, entrambi alla prima esperienza (di solito i mandati sono due; per non rispettare questa regola, o consuetudine, ci vogliono gravi motivi), venne diffusa una “voce”. Non “vox populi” ma voci di corridoio intono ad un sondaggio voluto dal Partito Democratico (non era chiaro di quale “livello”) sul gradimento nei confronti dei due amministratori che delineava l’opportunità di “non ri-candidarli”. Viste le situazioni precedenti (leggi Introduzione del 7 maggio u.s.) bisognava aspettarselo; fosse vero o non vero quel “sondaggio”. Infatti, il motivo per cui parlo di “voce” è legato al fatto che nessuno ha mai visto realmente quel sondaggio. E addirittura “l’Unità” qualche mese dopo in un piccolissimo trafiletto seminascosto ne metteva in dubbio (più che un dubbio) l’esistenza. Furono avviate rapide consultazioni nella base, partendo dai “dati”(!) di quel sondaggio, e fu in modo palese sfiduciata la Giunta Romagnoli e quella Logli. L’obiettivo reale era la prima delle due: avevano faticato parecchio i massimi dirigenti del PD ad accettare di essere stati, in qualche modo anche loro quattro anni prima, messi da parte ed ora, anche se non sarebbe più toccato a loro quell'”onore”, bisognava rifarsi. Bisogna essere chiari e lo dico per onestà: non so se fosse vero quel sondaggio. Di fatti, in quegli anni la Giunta Romagnoli non era certamente stata in grado di affermare un tratto distintivo apprezzabile: lo stesso Sindaco, per sua indole (ma anche per il ruolo che aveva dovuto accettare, quello di “ripiego”), non si era messo in luce. Ma d’altra parte, tanti altri precedenti Sindaci non brillanti avevano ottenuto la possibilità di riprovarci. Detto questo, onestà per onestà, io quel sondaggio non l’ho mai visto e propendo per la sua inesistenza, anche se aspetto di essere smentito con le “carte”.

Passando al resto seguiamo alcune tracce di quegli anni attraverso qualche documento in mio possesso. Quello che segue è del 30 giugno 2008

Assemblea Provinciale del Partito Democratico

30 giugno 2008 ore 17.30

contributo dei sostenitori della Bindi di Prato

redatto da Giuseppe Maddaluno

        La costruzione del Partito Democratico sul territorio pratese ha visto, come in ogni altra parte del nostro Paese, la partecipazione attiva dei sostenitori della Bindi, che hanno voluto sempre sottolineare l’importanza di creare un Partito nuovo, aperto ed inclusivo di tutte quelle risorse umane che avevano ormai perduto interesse nei confronti della Politica e spesso si collocavano nell’area dei delusi e dell’astensione.

             La campagna per le Primarie inevitabilmente combattuta in modo “separato” ha creato un’atmosfera avvelenata che avrebbe dovuto dissolversi subito dopo i risultati della consultazione.

             E’ evidente in ogni modo e la Bindi lo richiede costantemente che occorra ritornare a fare Politica, dopo un lungo periodo di sbandamento post-elettorale e di assestamento degli organismi e della struttura.     

       Dobbiamo ritrovare lo spirito di condivisione del progetto del PD così come espresso nelle elaborazioni comuni.

       Noi “Democratici davvero” sostenitori della Bindi abbiamo da tempo richiesto il riconoscimento della nostra presenza non come quella di una corrente nel senso classico e “storico” della parola ma come risorsa irrinunciabile che permetta a tante cittadine e tanti cittadini, giovani o non, di partecipare alla costruzione di quello che consideriamo, oggi più che mai, il necessario baluardo verso una deriva populistica e demagogica di una Destra sempre più becera e pericolosa.
             Alcuni momenti, alcune vicende poco chiare non hanno fino ad oggi consentito a tanti di noi (ma ci permettiamo di dire che lo stesso è accaduto altrove ed è accaduto per altre liste delle Primarie) di potersi esprimere in modo aperto; anche il Partito è apparso molto più attento a consolidare il suo apparato “antico” piuttosto che ad aprirsi ai contributi “nuovi”: questo è accaduto quasi dappertutto, e ciò non assolve nessuno.

        La realtà ci chiede di impegnarci tutti insieme, riconoscendo a chi coordina un ruolo prioritario di carattere politico ma allo stesso tempo rendendo ampia dignità a coloro che per un Partito democratico davvero nuovo e diverso da quelli che abbiamo deciso di lasciarci alle spalle svolgono un ruolo attivo di critica propositiva.

       Anche in tal senso andava letto il nostro Documento di sostegno all’attuale Coordinatrice: lealtà ma senso critico della nostra azione politica per obiettivi comuni di profondo rinnovamento, anche attraverso il PD, del nostro Paese, destinato diversamente a subire un tracollo “democratico” pericolosissimo.

Seguirà una mail che inviai ad un compagno (eliminerò riferimenti diretti)

….3….

4 luglio – PERCHE’ LA DESTRA STA VINCENDO NEL PAESE (o perlomeno così appare) – parte 6

Durante queste ultime settimane, grazie alla vaccinazione di massa che procede alacremente, il mercato del “lavoro” sembra essere ripartito: in modo particolare ne sono felici tutti gli orfani dei locali commerciali (pub, ristoranti, bar e…discoteche professionali e dilettanti) soprattutto quelli che si rivolgono alle fasce più giovani, ma non solo (giovani “diversamente” sono molto interessati e partecipi). Molte località turistiche sono “a caccia” di personale; vengono richieste molte mansioni e sembra che, quest’anno, l’offerta non corrisponda alla domanda. La “domanda” è quella dei datori; l’offerta è quella dei prestatori d’opera. C’è un j’accuse molto forte nei confronti di questi ultimi da parte di alcune fasce di “opinione pubblica”, che diffondono la novella dei “giovani” choosy (ricordate la “mitica” frase snob della signora – pardòn “professoressa” – Fornero, che scimmiottava Maria Antonietta?) che rifiutano di lavorare, grazie al “reddito di cittadinanza”. Ma non sono in grado nemmeno di guardarsi allo specchio, per procedere ad un’auto offesa, e capire che la domanda è connotata realmente da un inganno su tempi e compensi, che non sono tra di loro adeguati ?
Si fa finta di non sapere che in quella “contrattazione” si utilizza l'”apprendistato” ed un orario di lavoro dichiarato che non corrisponde a quello realmente effettuato; ed inoltre il compenso è irrispettoso della minima dignità. E’ mai possibile che debba apparire in “Prima pagina” la notizia che esiste un albergo dove le “regole del mercato del lavoro” vengono rispettate? Lo trovo assurdo, ma probabilmente quella notizia permette ai dubbiosi di comprendere meglio che le ragioni di questo “rifiuto” da parte dei “giovani” non sono collegate “solo” al reddito di cittadinanza che è in definitiva un pannicello caldo in tempi di crisi ma non risolve il problema della dignità del lavoro cui tutti naturalmente, tranne pochi casi, tendono. E quei provvedimenti vanno riformati, con opportuni aggiustamenti a fronte, però di interventi risolutivi con i quali il lavoro – quello equo, legale, retribuito in modo adeguato – venga creato per tutti.

https://corrieredibologna.corriere.it/bologna/cronaca/21_giugno_21/a-rimini-primo-hotel-etico-riviera-stipendi-equi-riposo-straordinari-035a95a6-d251-11eb-b284-d5b87af38504.shtml?fbclid=IwAR0Hyl7E77Mriad8vuztI8zvipxJJBQFYodcYEx3SjYu0N5eNwkCqfigfIY

Bisogna essere davvero “radicali”, non indulgere in giustificazioni verso ciò che è stato e che ha prodotto – o sopportato supportando e viceversa – tali forme di ingiustizia; occorre un nuovo tempo del rigore, prima interno e poi esterno o, meglio contemporaneamente interno ed esterno. Mi spiego meglio: troppe volte il traccheggiamento a favore dei propri interessi, o tornaconti, non ha consentito che l’analisi degli errori venisse poi condotta fino in fondo con il riconoscimento degli attori principali (individui e gruppi) rei di quelle azioni, o inazioni, antitetiche alle caratteristiche valoriali fondamentali (equità, giustizia sociale, difesa dei più deboli). Bisogna chiedere  che si vada ad un cambio sostanziale di passo, una virata poderosa, bisogna chiederlo ai Partiti e ai Sindacati, quelli che in prima fila si dichiarano essere difensori delle ingiustizie sui luoghi di lavoro: non si può continuare semplicemente a chiedere che il lavoro sia retribuito equamente, che vi siano sostegni adeguati per chi perde il lavoro, che vengano riconosciute le competenze e i meriti. Non si può continuare solo a chiederlo. Bisogna passare ad una protesta veemente, dopo aver sperimentato che sia diventata inutile ogni confronto serio, aperto e democratico. Non una rivoluzione velenosa cruenta e violenta, ma una battaglia pacifica che si fondi sulla consapevolezza che non è la distruzione ma la costruzione di un sereno futuro per tutti l’obiettivo che ci si pone.  Appare, detta così, un’utopia come le tante altre che hanno preceduto la nostra Storia e che alla fine hanno prodotto qualche vantaggio per pochi ed una profonda delusione per molti.

…6….

3 luglio – per non far vincere la Destra “ORGANIZZARE LA PARTECIPAZIONE DAL BASSO”

Era il 19 maggio del 2017 allorché scrivevo questo post che qui di seguito riporto – nella sua “breve” struttura – per intero.

Gli eventi pandemici (da marzo 2020 fino ad oggi) hanno ulteriormente fatto aumentare il gap tra chi può (“il Potere”) e chi non può (la maggior parte – quasi la totalità –  dei cittadini). Quel che scrivevo ha – proprio per questo ultimo rilievo – ancor più valenza. La bagarre entro cui si dibattono le forze politiche e sociali, in modo particolare poi quelle a cui mi riferisco in modo esclusivo, sta mettendo a rischio la nostra Democrazia. Basterebbe uno studio più serio della Storia per comprenderne la pericolosità. Non si può attendere – lasciando che tutto “naturalmente” scorra per poi “turarsi” il naso come in tante altre occasioni. Occorre dunque serrare le fila, in modo civico (cioè senza un sostegno alle attuali forze politiche della Sinistra), anche per consentire loro di avviare una riflessione ed una revisione, resa (forse?) impossibile dalla furia delle battaglie e dalle difficoltà contingenti, nelle quali peraltro hanno continuato a galleggiare.

L’impegno nostro sarà a favore dei bisogni che rileveremo sui territori, laddove la mano dell’uomo politico ha fatto terra bruciata dei livelli partecipativi decentrati.

Questa “riproposizione” diventa un ulteriore appello.

ORGANIZZARE LA PARTECIPAZIONE DAL BASSO

Conosco perfettamente i limiti giuridici assegnati agli Enti locali per la istituzione di Circoscrizioni sul loro territorio. Prato ha poco meno di 200.000 (192.492 al 31.03.2017) abitanti e dunque non rientrerebbe tra quei Comuni per i quali “istituzionalmente” è prevista la presenza di Circoscrizioni.

Pur tuttavia, ripercorrendo la storia dei passati decenni, troveremmo che il Decentramento amministrativo in questa città ha funzionato egregiamente fin quando le forze politiche di maggioranza e di governo le hanno tollerate. La pratica della Democrazia partecipata è stata una delle palestre attraverso le quali si è formata una parte preponderante della classe dirigente locale. Ovviamente – e tutti lo sappiamo – la Democrazia è impegno costante: la fatica con la quale le Amministrazioni hanno dovuto far passare le loro scelte, a volte non pienamente condivisibili dai territori coinvolti, hanno indotto a marginalizzare ed a neutralizzare progressivamente il ruolo del Decentramento.

Rispondo a chi ha rilevato che la “partecipazione” è organizzata da Partiti e Sindacati: forse non conosce lo stato di crisi di queste due Istituzioni; forse è convinto che esse siano ancora baluardo di Democrazia. Io vorrei che così fosse ma poiché non sempre lo è mi attivo a rilevarne le contraddizioni. La mia preoccupazione fra l’altro sono “i piatti di lenticchie spesso avariate” che vengono offerte dal Potere (che “può”) a coloro che ne sono affamati (che “non possono”). E’ la battaglia eterna tra chi gestisce il Potere e gli “incapienti ideologizzati”.

L’alternativa (!) alle Circoscrizioni proposta dall’attuale Amministrazione è un meccanismo solo apparentemente democratico che non può essere accolto come prospettiva: propongo di studiare “alternative” democratiche della pratica partecipativa per la prossima legislatura, che vadano a sanare il vulnus che si è voluto creare per umiliare, mortificare la volontà dei territori. Ovviamente, per poter realizzare tali progetti bisognerà attivarsi alla ricerca di risorse “umane” su tutti i territori: a mio parere occorrerà andare al di là – oltre – della strutturazione in 5 aree (macro, come quella che Prato aveva fino al 2014 e che fu fatta “consumare” lentamente) nè tantomeno di quella in 11 quartieri (la stessa San Paolo di cui sono più esperto ed a mo’ di esempio potrebbe essere suddivisa in tre: Borgonuovo, San Paolo e via Filzi-via Pistoiese). Ogni frazione o sotto-frazione dovrebbe avere una “struttura” a base volontaria, ma parliamone meglio. E soprattutto fuori il coraggio e senza paura! La Democrazia non ci può far paura.

2 luglio – PERCHE’ LA DESTRA STA VINCENDO NEL PAESE (o perlomeno così appare) – post straordinario con un “recupero” di uno del 25.01.2021

PERCHE’ LA DESTRA VINCE NEL PAESE

Il 25 gennaio di quest’anno (2021) ho pubblicato questo post sul mio Blog.

Due giorni fa il Governo Draghi ha interrotto provvisoriamente il processo del “cashback” di Stato. Sono distratto o solo la Destra ne ha gioito?

Come si può evincere dalle mie argomentazioni non è certamente il riconoscimento di una quota a favore dei consumatori che paghino con sistema elettronico non telematico ad essere considerato “immorale”. Anzi; lo avrei mantenuto, lo avrei ampliato senza limiti temporali né di budget (una volta raggiunta la cifra di 150 euro ci si poteva anche fermare) semmai abbassando la quota (non il 10 ma il 5 ed anche meno per cento) e lo avrei protratto ancora più a lungo. Non viene a nessuno il dubbio che il “problema” reale siano i maxi premi? A gennaio esprimevo il mio profondo dissenso da “uomo di Sinistra” verso un progetto “immorale” tendente a premiare i più ricchi.

Fatte le debite distinzioni macroscopiche, in questo frangente (ma purtroppo non solo “in questo”) la Destra appare essere sempre più a difesa dei più deboli, una parte sempre più considerevole di elettorato potenziale che ha bisogno non solo di essere difeso nella condivisione dei valori ma con scelte coraggiose di cui tuttavia da Sinistra (ferma ancora a difendere “i princìpi”) non si intravede nemmeno l’ombra.

CASHBACK un’opportunità perduta perchè in gran parte “diseducativa”

Una delle scelte dell’attuale Governo che meriterebbe una certa attenzione è quella del CASHBACK.

In linea di massima – viene detto – è un tentativo di limitare l’uso del denaro contante che molto spesso è collegato a prestazioni “a nero”. In realtà la maggior parte degli scontrini afferiscono, soprattutto in questo momento di profonde incertezze per il futuro, a spese necessarie di mero consumo o poco più (supermercati, farmacie, vestiario, elettrodomestici, generi vari): tutti collegabili ad operazioni che non avrebbero potuto essere “a nero”. Parlo del CASHBACK di Natale per il quale era molto facile raggiungere il limite di 10 transazioni (dopo tutto, come si sa, contribuivano al computo anche gli scontrini di pochi centesimi) ed ottenere il 10% di rimborso. Quello di Natale è stata una “prova” per far poi abituare un numero sempre più alto di persone all’utilizzo del Bancomat. E in un certo senso quella proposta poteva essere tollerabile.

Poi questa operazione ha avuto un prosieguo. E un regolamento diverso intorno al quale nutro delle forti perplessità.

Per il semestre gennaio – giugno di questo anno non c’è solo il reintegro del 10% fino ad un massimo di 150 euro ma un super premio (!) di 1500 euro per i primi (!) 100.000 contribuenti conteggiati sul totale delle spese delle quali saranno in grado di produrre scontrini.

La trovo una scelta profondamente sbagliata e diseducativa. Ad essere premiati alla fine dei conti sarebbero coloro che conducono un tenore di vita medio-alto, mentre tutti quegli altri dal 100001mo in poi si dovrebbero accontentare del minimo sindacale. In pratica si tratta di una gara tra “non pari”. Iniqua.

E’ stata una scelta infelice; nella prima parte di essa significativa ed equilibrata: non c’erano premi “super” e si sarebbe in ogni caso incentivato l’uso delle “carte” al posto dei contanti. Nella “seconda” invece si è tentato di stimolare ulteriormente la spesa ma si è ridotta drasticamente la possibilità di poter accedere a quel “bonus” di 1500 euro, a fronte di un ridottissimo plafond di 150 euro per sei mesi (mentre, va ricordato, i primi 150 o comunque 10% delle spese riconosciute si riferivano a tre sole settimane).

1 luglio – GRILLO ed il rapporto padre-figlio (al di là dei temi “familiari”)

GRILLO ed il rapporto padre-figlio (al di là dei temi “familiari”)

Sono soltanto gesti di disperazione. Anche la stessa tardiva precisazione (non sono “padre padrone”, ma “papà”, con cui si adegua alle forme paternalistiche care a Salvini) è rivelazione di quanto successivamente scrivo.

Le ultime sortite di Beppe Grillo rivelano dal punto di vista psicanalitico la presa di coscienza della crisi della sua essenza di “padre padrone”, la consapevolezza della sua incapacità di gestire sia le sorti del figlio “naturale” sia quella della sua creatura “politica”. Emerge allo stesso tempo la sua incapacità di guidare un Movimento che naturalmente si è evoluto, evitando la sua dissoluzione, che storicamente è stata la sorte di ogni altro consimile rassemblement costretto dalla provvisorietà a consumarsi, come l’Uomo Qualunque, a diventare universali come ad esempio “Fridays for Future” o “Movimento Pacifista” oppure ad adeguarsi ai meccanismi istituzionali pubblici democratici. La schizofrenia che emerge dalle posizioni di Grillo è collegata al fatto che – dal momento in cui egli ha scelto e promosso la via parlamentare con la partecipazione alle competizioni elettorali – ha messo in moto  un meccanismo di omologazione pur mantenendo in piedi una serie di obiettivi che si rifacevano ai fondamentali punti presentati sinteticamente dai simboli “stellari”: acqua, ambiente, trasporti, connettività e sviluppo. Nel promuovere la scalata al potere il Movimento si è dovuto dotare di un “Programma”; ha dovuto fare scelte “politiche” necessariamente collegate alle altre forze democratiche presenti in Parlamento; ha dovuto progettare accordi politici nazionali ed internazionali, rientrando in un percorso europeo; ha visto crescere una classe dirigente governativa stimata. In definitiva, ha cambiato pelle, anche se ha proseguito a prefiggersi alcuni tra gli scopi che appartengono al tempo della sua genesi.

Ritornando a quella che può essere considerata una “metafora” esistenziale, il comportamento di Grillo è quello di un “padre” che nel male e nel bene non riesce a comprendere il carattere di una evoluzione naturale, scrollandosi di dosso alcune sue responsabilità educative e comportandosi in modo irrazionale e infantile verso chi, crescendo si è “naturlamente” e positivamente evoluto.

Certamente esiste nel “parterre” dei Cinque Stelle una parte che condivide, sia per affezione sia per indole sia ancora forse per puro personale interesse (accade a tanti, anche nelle altre forze politiche), la posizione di Grillo. Malumori nel corso della legislatura (la prima nella quale il M5S ha dovuto assumersi responsabilità dirette nel Governo) ce ne sono stati, a testimonianza di quelle “contraddizioni” insite nel proprio DNA ed alcuni parlamentari lo hanno segnalato uscendo dai Gruppi ed entrando in altre formazioni, ivi compreso il Gruppo Misto, che raccoglie transfughi generici.  

                                                                                            Da semplice osservatore, per di più di Sinistra, aggiungo che sarebbe importante in questo Paese, che rischia di poter essere governato dalle Destre, avere una forza radicale di Sinistra, come lo è stata una parte del Movimento nel periodo dalla sua nascita all’ascesa e mi preoccupano non poco le fibrillazioni attuali. E’ in questa direzione che auspico si muova Giuseppe Conte, il cui “appello” ho ascoltato con molta attenzione, senza rilevare un desiderio di onnipotenza: è logico che in una “prima fase” sia lui a guidare la nuova fase di quello che fu (e potrebbe in parte continuare ad essere) il Movimento 5 Stelle. Consapevole di essere stato crudo con Grillo, concluderei con l’invito a rendersi conto che ai genitori – prima o poi – tocca farsi da parte. Anche per mantenere in piedi quel minimo di autorevolezza che compete loro.

30 giugno – DA GIOVANE: LA SENSIBILITÀ AMBIENTALISTA, STORICA E CULTURALE – decima parte – 7 e ultima (Trenta più cinquanta fa “Nouvelle Vague”) – per la parte 6 vedi 10 giugno

Certo, non si può dimenticare neanche il particolare grande impegno di Renoir (ma non fu il solo!) nella costruzione di una poetica cinematografica propria del Fronte Popolare francese (1934-1938); erano anni di grandi speranze di cambiamento, rese vane poi dalla mancata coesione nell’ambito della Sinistra ma anche dall’incalzare degli avvenimenti internazionali.

in Carnè ritroviamo alcuni elementi essenziali di questa “sconfitta storica” nel suo accentuato pessimismo, fatalismo e senso della tragedia, in cui il sogno e la fantasia finiscono con il soccombere sotto il peso della realtà. I personaggi di Carnè, infatti, vorrebbero partire ma non hanno una meta sicura, vorrebbero cambiare la realtà ma sono consapevoli che ciò risulta impossibile: questa doveva essere proprio l’aria che si respirava nel 1938-39, all’indomani della caduta del Fronte Popolare ed alla vigilia delle operazioni belliche che precederanno la seconda guerra mondiale e l’occupazione nazista.

I film di Carnè visionati sono stati purtroppo quelli meno adatti a delineare questo suo aspetto peculiare: sono mancati sia “Quai des brumes” che “Le jour se lève”, proprio a causa della loro indisponibilità. ma si può dire per consolarci con il senno del “poi” che, essendo questi tra i più diffusi prodotti della filmografia di Carnè, è stato meglio così, perché abbiamo visto film che non passano sui nostri schermi domestici, come “Jenny” ed “Hotel du Nord”.

Nell’ambito della Rassegna una giornata è stata dedicata ad esponenti meno famosi, ma altrettanto importanti e prolifici come Feyder e Duvivier. Di quest’ultimo, presentando “La belle équipe”, si è voluto rendere un ulteriore omaggio all’atmosfera euforica ed ingenua che caratterizzò il primo periodo del Fronte Popolare: nel film si narra la storia di un gruppo di amici squattrinati e disperati che ritrovano la serenità, grazie ad una sostanziosa vincita, che permette loro di aprire un’osteria sulle rive della Marna. La solidarietà, la felicità, la gioia del primo periodo viene ad offuscarsi (il film è del 1936, e forse è leggermente profetico), allorché insorgono dei contrasti tra due di loro, a causa di una donna. Il tutto finisce in tragedia. Così sarà anche per la Francia degli Anni Trenta.

Cosa accomuni gli Anni Trenta agli Anni Cinquanta ed anche agli Anni Ottanta (30 + 50 = 80) può apparire solo uno stratagemma per sviluppare una tesi quanto mai originale, se non si pensasse (ma non si offrirà, con questa nostra proposta, una risposta, per avere la quale occorrerà altra sede ed un diverso e più ampio approfondimento) alla Nouvelle Vague come ad una nuova Avanguardia (vedi Resnais, Robbe-Grillet, Godard), con uno sguardo molto attento puntato sul mondo sociale e politico, che ha poi avuto uno sviluppo notevole nell’acquisizione di tecniche e tematiche non sempre del tutto originali, perché derivate dalla letteratura e dall’arte in genere, ma sensibilmente approfondite e fatte proprie da questi nuovi “maestri” del cinema. Se si aggiunge alla Nouvelle Vague una valutazione sugli esiti che in quegli stessi Anni Cinquanta trovavano i “maestri” degli Anni Trenta su quegli esiti che hanno ottenuto, e otterranno, gli ex giovani che si impegnarono negli Anni Cinquanta, troveremo un primo filo che lega quell’apparente equazione e metteremo in evidenza uno dei quesiti cui occorre dare una risposta.

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29 giugno – reloaded Era il 29 giugno di un anno fa – Facciamo finta che “tutto va ben – tutto va ben!”

Era il 29 giugno di un anno fa

Facciamo finta che “tutto va ben – tutto va ben!”

C’erano una volta dei Sindaci che, mentre ancora la pandemia era in corso (si era a fine aprile) volevano riaprire le scuole; lo dicevano con molta energia, come per convincere coloro che li tiravano per la giacchetta: intanto facevano lunghe passeggiate in bici per lanciare occhiate severe; molte dirette per rispondere alle domande della popolazione; dichiaravano una grande disponibilità ad occuparsi delle angustie della gente. Tuttavia, “anche” grazie ad una legge che concentra nelle loro mani – e nella loro testa – molti poteri alla conta dei “fatti” hanno soltanto utilizzato gli spazi a loro disposizione per farsi propaganda: non importa se poi l’applicazione pratica di quei “poteri” non permette, per mancanza di materia grigia e di capacità organizzative “manageriali”, di affrontare i veri problemi quotidiani che come nodi irrisolti incancreniti da anni di profonda incuria e sottovalutazione (ambiente, scuola, traffico, sanità, cura del territorio a partire dalle periferie), finiscono per accumularsi e rendere peggiore il livello qualitativo della vita della gente comune.
Accade in molte parti. Quasi dappertutto. Accade anche a Prato. In una città, che ha retto nel periodo dell’emergenza grazie al senso civico di “responsabilità” della cittadinanza, ma che ai suoi vertici (non solo amministrativi ma anche imprenditoriali) non ha costruito un nuovo inizio per il “dopo” emergenza. Come e più che altrove i suoi amministratori e le sue classi dirigenti non sono in grado di rispondere ai bisogni e non può essere una giustificazione che “è così dappertutto” oppure che “il Governo non è in grado di…”.
Parlo spesso dei problemi della Scuola. Anche l’altro giorno in un post che cercava di spiegare il senso di quei “conti che non tornano” ponevo in evidenza l’incapacità dei governi di ieri e dell’altroieri – non supportati diversamente da quelli di “oggi” – nell’affrontare i problemi della Scuola, non “un” problema ma i “mille” problemi irrisolti che da diversi anni condizionano il livello di Istruzione e di Cultura “generale” (a partire da quella “civica”) nel nostro Paese.
Sin dal primo momento dell’emergenza Covid19 con la chiusura delle strutture scolastiche una classe dirigente con gli attributi avrebbe dovuto luogo per luogo, in piena ed assoluta autonomia mettere in piedi una “task force” (che bello, questo termine, di cui i governanti piccoli, medi e grandi, si sono riempiti la bocca!) per affrontare le urgenze di una emergenza che viene da lontano.
Io, da parte mia, mi riempio la bocca di un altro macrotermine, “Memoria”. E lo faccio per segnalare che ciò che oggi ha difficoltà a funzionare non è che funzionasse prima del marzo 2020: non è stato certo il Covid19 ad evidenziare le carenze strutturali degli edifici scolastici; la mancanza di aule era male cronico, così grave da condizionare gli avvii di ogni anno scolastico e costringere gruppi numerosi di studenti a frequentare le loro lezioni in spazi “inventati”, adattati all’uso didattico ma non a tale scopo vocati nella loro genesi. E neanche si può pensare che una didattica moderna, semmai digitale ma non a distanza, si possa praticare in aule costruite per una didattica ottocentesca, eminentemente umanistica; ed ancor più ciò può avvenire in strutture che non erano destinate a scopi didattici. E dunque bisognava, bisogna, bisognerà preparare una progettazione che guardi davvero verso il futuro, verso il quale naturalmente si rivolge il mondo dell’Istruzione, della ricerca, dell’apprendimento, della Cultura.
In questo stesso periodo, ma c’è chi osserva giudica ed esprime sue opinioni in merito da tempo, si mette in evidenza l’esistenza di un surplus insopportabile di strutture abitative “nuove” ma invendute (colpa ovviamente dei costi, della crisi di prima e di quella che andiamo vivendo ora, ma non solo: anche qui c’è una profonda incapacità progettuale. Che rasenta l’irresponsabilità e l’illegalità). Ci si giustifica – nei “piani alti” – che, così facendo (cioè permettendo a ditte edili di lavorare e far lavorare) – si svolga anche un ruolo ed una funzione sociale. Molto bene: allora se è così dirottiamo sull’edilizia pubblica di riconversione, ristrutturazione o anche semplice manutenzione del patrimonio esistente delle scuole e degli edfici pubblici generici.
Ne riparleremo. Non si può tacere.

Joshua Madalon

28 giugno reloaded un post di un anno fa – IL RITORNO ALLA NORMALITA’

IL RITORNO ALLA NORMALITA’

Mi ripeto: una delle peggiori “epidemie” che colpisce le nostre popolazioni si chiama “amnesia”. Ieri scrivevo che ci siamo inoltrati nel distanziamento abbandonando nel “cestino” del nostro cervello tutto quello che fino a quel momento ciascuno di noi aveva detto, scritto, fatto, pensato e praticato. Anche per questo, sento di essere un maledetto imperterrito insistente rompiscatole, continuo a praticare la memoria “critica” (quella di cui trattavo ieri che non ha soluzioni univoche). Durante questo lungo senza dubbio inedito inverno molti di noi si sono limitati negli spostamenti e lo hanno fatto quasi con piacere, costruendosi dei ritmi domestici che non consentissero di avvertire la mancanza di socialità. Molti, ma non tutti, anche perché una parte considerevole è stata posta in difficoltà sia per le risorse economiche di cui non disponevano ( ma qui il discorso diventa anche “politico” ed “antropologico” e vale la pena soffermarci su questo tema in uno dei prossimi post ) sia per gli spazi angusti in cui dovevano necessariamente muoversi.
Appartengo per fortuna al primo macro-gruppo: solo un lieve reflusso di ipocondria mi ha interessato. Ma era anche il frutto di una riflessione concreta. Da giovane sono stato ipocondriaco ma con l’età ho razionalizzato le paure e le ho superate con l’impegno costante nella Politica e nelle attività culturali. Pur tuttavia in quei giorni, nei primissimi giorni drammatici, ho avvertito qualche lieve diisturbo psicosomatico ma in defintiva ero angosciato da un problema concreto che mi tormentava: non poter essere tranquillo sul fatto che, di fronte ad un malessere reale non riferibile ai problemi pandemici (un ictus, una disfunzione cardiaca; insomma qualcosa di veramente serio), non ci potesse essere da parte del Servizio Sanitario pubblico una risposta rapida e perlomeno sufficiente.
In quel periodo non era neanche immaginabile di poter andare al Pronto Soccorso così come mi è capitato di poter fare all’inizio dell’unica patologia seria che mi è stata riconosciuta: in quell’occasione, ma sono passati quasi dieci anni, ebbi modo di apprezzare la professionalità complessiva del personale sanitario che, in un tempo ragionevolmente veloce, diagnosticò la mia ipertensione.
Ritornando al “prima”, ma rimanendo sul “tema”, vorrei ricordare che negli ultimi anni si è andato progressivamente riducendo il ruolo della Sanità pubblica a Prato ed in Toscana. Sono stati chiusi molti Distretti periferici e sono stati ridotti i posti letto nel nuovo Ospedale. Già prima che scoppiasse la pandemia c’era chi lamentava l’aumento esponenziale degli accessi al Pronto Soccorso ed in quelle occasioni si segnalava da parte delle Sinistre la sottovalutazione del ruolo della Sanità pubblica a favore di quella privata. Su questi temi occorre ritornare a denunciare e proporre.
Durante il periodo pandemico più duro per diversi motivi la Sanità pubblica è stata dominante ma l’attenzione maggiore era per i contagiati ed i malati Covid19. La Sanità privata ha provato ad inserirsi nel contesto ma lo ha fatto in modo maldestro, svelando la sopravvalutazione dei “propri” interessi: si dirà che ciò sia inevitabile in una società dove prevale la logica del “mercato”, ma bisognerebbe anche saperne limitare gli ambiti in momenti di emergenza.
Con il ritorno alla normalità risaltano nuovamente ed in modo più eclatante i difetti del tempo di “prima”. Come la questione dell’accesso al Pronto Soccorso, che in questi giorni è intasato da richieste a volte improprie e banali e mette in evidenza la “complessità” del fenomeno, dovuto essenzialmente alla mancanza ormai “cronica” di presidi di medicina territoriale e difficoltà che genera sfiducia nel rapporto con i medici di base. Questi ultimi finiscono per essere considerati come consiglieri trascrittori di ricette o poco più, anche per le restrizioni imposte dalla dirigenza regionale che li limita nel loro specifico lavoro.
Anche in Toscana, meno però che in altre Regioni più “operose” dal punto di vista manageriale (ivi compresi gli ambiti sanitari), il Covid19 ha posto in evidenza i limiti dell’azione politica, in questo caso, del Centrosinistra, che – fatte le debite distinzioni poco meno che “ideologiche” – non ha operato per valorizzare le funzioni pubbliche ma ha avvantaggiato – anche nascondendosi dietro le lungaggini delle pratiche burocratiche – di fatto il “privato”, anche se convenzionato.

Joshua Madalon