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12 giugno – L’OCCHIO DELLO “STRANIERO” – INTRO

L’OCCHIO DELLO “STRANIERO” – intro

Questi “post” sono a corollario di una ipotesi: è molto importante sentire quel che pensa un “osservatore esterno” e prendere in considerazione il suo giudizio – l’idea che ho è che io sia stato uno “straniero”; poi sono diventato funzionale ad un “sistema”; oggi mi sento ancora una volta uno “straniero” – quel che è scritto in questa “intro” è solo davvero un preambolo

intro

Quando arrivi in un posto da lontano, sia questo Bergamo, Feltre o Prato, per starci in quel momento tu credi per sempre, ti nutri di tutti gli aspetti nuovi o diversi, reali o apparenti non importa; ma il tuo sguardo ancor più se sei giovane ed in attesa del “tuo” futuro è scevro da qualsiasi sovrastruttura che si sia già stabilizzata ed hai una grande libertà di giudizio, essendo libero da condizionamenti resi già stretti da più o meno lunghi rapporti e possedendo alla fine dei conti una certa fiducia nelle tue qualità. Alcuni appunti sulla mia presenza all’inizio e poi sulla mia permanenza, breve, meno breve e poi lunga, nell’ordine sopra segnato (Bergamo, Feltre e Prato), li ho conservati. Sono trascritti a mano e si perdono  tra le migliaia di fogli che conservo in luoghi reconditi ed inaccessibili, non solo della memoria che difetta man mano nel corso del procedere degli anni, ma realmente in casse, faldoni, cassetti, ripostigli, soffitte, garage (a tale proposito non riesco ad accedere per mancanza di spazio nel garage di Pozzuoli ed in una parte del garage di Prato).

In questi anni una parte di questi “fogliacci” li ho salvati e pubblicati su questo Blog. In tutti questi anni di permanenza a Prato era abbastanza normale pensare che tra il 1982 ed il 1985 possa essere stato “straniero” con gli occhi aperti sulla “nuova” realtà. Venivo da Feltre, una piccola città, molto importante per me e per la mia famiglia; ma lì sapevo che la mia “estraneità” sarebbe durata per tutto il tempo, anche se ho lasciato molti segnali tra la pratica sindacale e quella politica, sempre contornata da esperienze culturali. Arrivando a Prato portavo con me nella bisaccia una serie di progetti realizzati e tanti da poter realizzare. Era la cultura cinematografica, quella che mi sospingeva, vissuta insieme ad un piccolo gruppo di amici e compagni; e a Prato c’era già in essere il progetto di riconversione degli spazi politici ed associativi di via Frascati; in via Pomeria c’era la sede dell’ARCI (là dove fino a poco tempo fa c’era l’ex caserma dei carabinieri ed ora c’è un complesso residenziale) ed io cominciai a frequentare quegli spazi. Politicamente ero nel PCI, a Feltre avevo cominciato anche ad imparare a fare le campagne elettorali su per le montagne e la diffusione dell’ Unità nelle frazioni più piccole e remote fatta da “stranieri” funzionava alla grande: c’era passione e con essa emergeva la nostra genuinità. A Prato dove la “forza lavoro” di questo settore – intendo la propaganda politica – era sicuramente più numerosa, pur mantenendo l’adesione al Partito Comunista, per un po’ di tempo, tra il 1982 ed il 1992, ho lavorato esclusivamente nel settore della cultura cinematografica ARCI – UCCA a livello regionale, oltretutto. E per l’appunto, in quella prima fase, avendo assunto ruoli dirigenziali, ho messo a frutto alcune impressioni sulla realtà con la quale ero chiamato a confrontarmi, “straniero” tra – per me – “stranieri”.

10 GIUGNO – DA GIOVANE: LA SENSIBILITÀ AMBIENTALISTA, STORICA E CULTURALE – decima parte – 6 (Trenta più cinquanta fa “Nouvelle Vague”) per la 5 vedi 11 maggio

DA GIOVANE: LA SENSIBILITÀ AMBIENTALISTA, STORICA E CULTURALE – decima parte – 6 (Trenta più cinquanta fa “Nouvelle Vague”)

Resta comunque da aggiungere che in una futura realizzazione occorrerà tener bene presente questo aspetto per evitare che si perda tutto il lavoro di preparazione e di allestimento per una difficoltà che può essere affrontata e superata. Clair ci ha fatto sorridere, e sentir dire che non piace ai cinefili ed ai critici ( la storia è vecchia e si rifà agli Anni Cinquanta) non ha convinto i nostri spettatori, che forse non sono né cinefili né critici (a loro merito, si intenda!). Vedere “A me la libertà”, avendo negli occhi il ricordo più noto, anche se posteriore, di “Tempi moderni”, ha iniettato nelle vene una carica di ottimismo, pur se, considerando la nostra realtà, con le acute difficoltà che attraversa il mondo e il lavoro, a molti di noi ha fatto masticare un po’ d’amaro; ma la libertà è sempre bella!

E così gli spettatori, richiedendo “Le Million”, si sono voluti confondere tra coloro che rincorrono con la fantasia i loro sogni, le loro chimere, che hanno ansia di risollevarsi dalla quotidianità misera. Questo tipico esempio di film clairiano basato sulla struttura circolare di corsa-inseguimento ha anche una ulteriore valenza per conoscere quelli che furono i problemi creati dall’avvento della “nuova” tecnica del sonoro, cui Clair, dopo un iniziale rifiuto, non intende rinunciare del tutto a questa novità. Egli vi aderisce (anche se quando gira “Le Million” ha già girato un altro film “sonoro: “Sous les toits de Paris”), sfruttandone a pieno le potenzialità, pur limitando il dialogo all’essenziale.

Su Renoir si parlerà altrove più a lungo. I film visti (a parte ” La Bête humaine” – L’angelo del male che ha avuto qualche problema per essere compreso) sono bastati al pubblico per rendersi conto dell’impegno realistico e sociale di questo grande maestro e della sua incomparabile arte. Di lui si parla come del padre del “realismo poetico”: di certo non può bastare la sola parola “realismo” per contrassegnare il cinema di Jean Renoir. Il suo modo di rappresentare la vita non si ferma ad un arido mero documentarismo ma approfondisce i sentimenti e gli ideali degli uomini, cogliendo, anche lui come Clair, quell’ansia di elevazione dalla realtà umana colma di angustie e di insoddisfazioni, affidandosi all’immaginazione ed al sogno.

9 giugno – PACE E DIRITTI UMANI – parte XXXIII e ultima – per la parte XXXII vedi 20 maggio

PACE E DIRITTI UMANI – parte XXXIII

Io ringrazio, prima di avviare la lettura di questa solenne dichiarazione, il Provveditorato agli Studi, la Provincia di Prato, lo stesso Comune di cui siamo emanazione e rappresentanza, per l’appoggio convinto fornito all’iniziativa e ringrazio anche la sezione locale di Amnesty International che sarà rappresentata dalla signora Liviana Livi che non è ancora presente ma che ha promesso di intervenire per aggiornarci, purtroppo un aggiornamento in negativo, con tutti i dati sulla situazione della pena di morte nel mondo. ringraziamo il centro “Pecci”, ed ovviamente, anche in questo caso lo faremo direttamente non appena sarà arrivato il Vicepresidente il professor Attilio Maltinti che parlerà più tardi come già precedentemente da me precisato.

Ecco, ora davvero mi appresto a leggere l’annunciata dichiarazione solenne, quella firmata dai massimi esponenti della Regione Toscana:

“30 novembre 1786, nel Granducato di Toscana per la prima volta al mondo viene abolita la pena di morte. A partire dal 30 novembre 2000 per ricordare quell’evento, si celebrerà la Festa della Toscana. Quella data mostra come l’impegno per la promozione dei diritti umani e della pace risieda nella storia della Toscana ed appartenga alla sua cultura. Non è solo una memoria storica quella cui ci si vuole richiamare, ma il fondamento stesso dei principi che fanno della Toscana una delle terre più civili. Nel corso dei secoli, la Toscana è stata punto di incontro e di dialogo tra Occidente e Oriente, tra Europa e Mediterraneo. Dall’abolizione della pena di morte alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, dalla Costituzione italiana alla Carta dei Diritti dei cittadini dell’Europa, uno straordinario viaggio si è compiuto e la Toscana ne è stata protagonista. E’ giunta a maturazione una comprensione nuova della dignità della persona; sono stati tutelati i diritti della donna, dei bambini e di tutte quelle persone che si trovano in condizioni di difficoltà e di minorità; alla affermazione del diritto alla vita si è accompagnato il riconoscimento delle libertà fondamentali: di pensiero, di coscienza, di espressione, di culto, di informazione, di associazione, di riunione. Anche quando, nel ventesimo secolo, la storia si è incamminata lungo pericolosi crinali ed ovunque si sono costruiti muri, la Toscana è rimasta fedele ai suoi principi originari e, con creatività, è stata capace di gettare ponti tra civiltà e culture diverse tra l’est e l’ovest, tra le due rive del Mediterraneo, tra le grandi religioni. Questo patrimonio di valori civili e spirituali rappresenta l’identità più profonda e autentica della Toscana ed indica la sua vocazione storica a contrastare ogni localismo settario, ogni nazionalismo egoista, ogni forma di xenofobia e di razzismo. Questa identità e questa vocazione devono essere consegnate ai giovani di questa Regione, come seme di speranza e di futuro. La Festa della Toscana è la solenne occasione annuale per meditare insieme sulle nostre radici di pace e di giustizia, per coltivare la memoria della nostra storia, per attingere con entusiasmo alla tradizione di diritti e di civiltà che si è radicata nella coscienza dei cittadini, prima ancora che nelle leggi. Nel tempo del federalismo, questa è l’identità che la Toscana mette in comune con le altre Regioni dell’Italia e dell’Europa; per unire e non per dividere, per accogliere e non per escludere, secondo uno stile di vita che da sempre caratterizza i cittadini di questa terra”.

Vi ringrazio per l’attenzione, vi ringrazio per la partecipazione e, visto che non vedo ancora la vicepresidente della Provincia Gerardina Cardillo, passo la parola al Professor Giuseppe Panella che aprirà nella maniera più seria possibile dal punto di vista storico questa giornata con un approfondimento su queste tematiche il ci titolo abbiamo prima espresso: “Cesare Beccaria: “Dei delitti e delle pene” e l’influenza che questa opera universalmente ebbe”.

G.M.

8 GIUGNO – Può darsi, ma….La questione della vaccinazione per i giovani e la riapertura delle scuole -seconda parte

Parte 2 sulla scuola

L’invito a fermarsi e riflettere vale soprattutto per me e, probabilmente, ancor più per i tanti esperti che sollecitavano ad “aprire, aprire, aprire” le scuole, luoghi strasicuri. Qualcuno lo faceva  senza averne diretta cognizione di causa; qualche altro probabilmente pensando in modo onesto ai danni che i giovani avrebbero subìto; altri per solleticare i bisogni legittimi delle famiglie, la stragrande maggioranza delle quali non possiede spazi sufficienti a gestire le problematiche di un lockdown così protratto nel tempo, per un anno e mezzo circa, per quasi due anni scolastici. Tra i “primi” (quelli che parlavano a vanvera) c’erano i fomentatori di mestiere e i loro servitori sciocchi. E poi c’erano tra gli “esperti” scienziati alcuni, che probabilmente appartenevano alla prima categoria o, negando la scientificità che avrebbero dovuto privilegiare, si affrettavano a ribadire la sicurezza delle aule scolastiche. Gran parte poi del corpo docente, dirigenti ed insegnanti, difendevano tali asserzioni, basandosi esclusivamente sui pareri diffusi a sostegno della stragrande sicurezza degli ambienti scolastici. Per rafforzare tale ipotesi, venivano limitate le diffusioni di notizie sui tanti focolai di Covid di cui pur si sentivano notizie “ufficiose” qua e là.

Ovviamente quel che è stato interessa ben poco oggi, a parte voler annotare quell’abitudine antropologica che prima ti fa sostenere l’impossibile e poi ti spinge a cambiare opinione con grande nonchalance.

Infatti in questi giorni il sostegno “bipartisan” ampio alla vaccinazione dei più giovani è sollecitato in modo deciso dagli stessi difensori dell’apertura “senza se e senza ma” giustificandolo con la assoluta esigenza di poter riaprire le scuole “in sicurezza”, visto che le scuole non sono luogo sicuro ed indenne dalla diffusione del contagio. Come dire? Quando c’era una gran diffusione del virus le scuole erano strasicure, ora che ci sono tantissimi vaccinati “invece” le scuole diventano luogo dal quale si potrebbero diffondere nuovi contagi.

Volevo annotare questa incoerenza, alla quale non è stato corrisposto un minimo segno di giustificazione, per non dire di pentimento, un “mea culpa” generico.

Continueremo a seguire le peripezie del mondo scientifico e politico italiano e credo che continueremo a vederne delle belle.

7 giugno – CINEMA Storia minima – parte 19 (per la parte 18 vedi 12 maggio)

“Il grande dittatore” rappresenta una delle pietre miliari  della Storia del Cinema. Chaplin mostra al mondo intero la follia del Nazifascismo: nel film non c’è solo una parodia di Hitler -Adenoid Hynkel dittatore della Tomania – ma anche quella di un Mussolini – Bonito Napoloni dittatore di Batalia –  molto verosimile all’originale nella sua goffaggine e nella sua servile sottomissione al Fuhrer. Vista la data di realizzazione, balza immediatamente agli occhi la capacità critica dell’autore, consapevole dei gravi rischi che l’umanità stava correndo. Solo dopo gli eventi drammatici di Pearl Harbour nel dicembre del 1941 gli Stati Uniti entreranno in guerra per combattere Nazifascisti e loro alleati. E il messaggio finale di Chaplin era un inno alla pace che è da allora in poi utilizzato per contrastare la violenza nel mondo. Il film, pur essendo meritevole più di altri, ed avendo avuto cinque candidature agli Oscar del 1941, non ne conseguì alcuna, anche se in seguito è stato ampiamente rivalutato.

Ben diversamente accadde per il primo film americano di Alfred Hitchcock, tratto da un celebre romanzo di Daphne du Maurier, “Rebecca, la prima moglie”, che vinse due premi Oscar (era stato candidato a ben dodici statuette), uno per il Miglior film e l’altro per la Fotografia in Bianco e Nero. Senza dubbio lo stile e la raffinata tecnica di narrazione cinematografica  del grande cineasta inglese contribuisce a rendere ancora più intricata e misteriosa la vicenda della prima moglie del ricco ed aristocratico Massimo de Winter, interpretato da Laurence Olivier. Di Rebecca sentiremo raccontare come di un fantasma incombente, senza mai vederla, mentre Joan Fontaine che interpreta la “seconda moglie” praticamente anonima (il suo nome non verrà mai menzionato) avrà tutto lo spazio ed il ruolo narrativo che le compete nel film e verrà anche candidata all’Oscar senza ottenere il premio.

Sempre nel 1940 viene realizzato un altro grande film tratto da un’opera letteraria. Si tratta di “Furore” di John Steinbeck, The Grapes of Wrath “I grappoli dell’ira”, pubblicato appena un anno prima, romanzo simbolo dell’America della Grande Depressione vista con gli occhi di coloro che in quegli anni persero tutto quel che avevano e furono costretti a rimettersi in gioco. Anche questo film è collegato alle vicende storiche degli Oscar: “Furore” ottenne sette candidature e due Premi: uno per la migliore regia, quella del grandissimo John Ford, che l’anno precedente non era riuscito ad agguantarla con l’altra sua grande realizzazione di cui abbiamo già trattato, “Ombre rosse”; l’altro premio toccò a Jane Darwell come attrice non protagonista. Il nome potrebbe dire poco ma non appena la vedrete in questa breve clip vi renderete conto che si tratta di una delle più note “caratteriste” del Cinema.                   

Da ricordare l’interpretazione del personaggio principale, Tom Joad, da parte di un ancora giovane Henry Fonda e quella di un allampanato John Carradine (già segnalato per l’interpretazione del giocatore d’azzardo e gentiluomo del Sud Hatfield in “ombre rosse”) nella parte di Casy, un ex predicatore che di fronte alle tragedie della vita  ha perduto la sua fede.

Ma la Storia del Cinema che narriamo corre di pari passo con quella degli Oscar.

6 giugno – INFER(N)I – Inferni – non solo Dante – Il sogno di Scipione di Marco Tullio Cicerone

Ouverture da “Il sogno di Scipione” Mozart

Tra i tanti testi che affrontano il tema dell’aldilà utilizzando l’escamotage di un “sogno” vi è questo racconto di Cicerone che all’interno di un testo più ampio ci presenta in funzione profetica la Storia delle future imprese di Scipione Emiliano, a lui annunciata in “sogno” dal nonno adottivo Scipione l’Africano. Nel testo che segue che ha una funzione didattica educativa di tipo filosofica troviamo una profonda lezione di etica intesa a valorizzare l’esistenza umana alla quale si impone grande rispetto. Allo stesso tempo vi è la descrizione di questo luogo celeste annunciandogli che gli dei riserveranno a lui, come a tutti gli altri uomini virtuosi l’immortalità dell’anima ospitata in eterno nella Via Lattea: quindi non un luogo oscuro come gli Inferi ma una sede luminosa celeste.

Va proprio in questo caso tenuto presente che agli Inferi (luogo buio nelle viscere della terra, Ade per i Greci – Averno per i Romani) non vi sono distinzioni dal punto di vista del “merito” conseguito in vita. Tutto appare come una destinazione “comune” con la differenza che si tratta sempre di uomini (o donne, ma poche) celebri.

Il testo è tradotto da Fabio Stok


Da parte mia, non appena mi fu possibile soffocare le lacrime e riacquistare l’uso della parola, dissi: «Ti prego, o padre ottimo e veneratissimo, visto che questa è la vera vita, come ho appreso dall’Africano , a che pro rimango sulla Terra? Non è meglio che mi affretti a venire in questo luogo, fra voi? ». «Questo non è il modo – rispose lui –. Non è infatti possibile che ti venga aperto l’accesso a questo luogo, se a liberarti dalla prigionia del corpo non è quel dio di cui tutto ciò che qui vedi è il tempio . Gli uomini, infatti, sono procreati con il compito di custodire quella sfera che vedi al centro di questo tempio, e che è denominata Terra, ed è loro assegnata un’anima derivata da quei fuochi eterni che voi chiamate astri e stelle. Questi fuochi, sotto forma di masse sferiche, percorrono con velocità stupefacente, animati da intelligenze divine, proprie orbite circolari. È per questo, o Publio, che tu e tutti gli uomini devoti dovete custodire l’anima in quella prigione che è il corpo, e non potete lasciare la vita umana se non per ordine di colui che vi ha consegnato l’anima ; diversamente voi sembrereste tradire il compito umano che vi è stato assegnato dal dio. Quindi tu, Scipione, pratica la giustizia e il dovere della pietà, che se è importante nei rapporti con i genitori e con i familiari, è importantissimo nei confronti della patria, e segui così l’esempio di tuo nonno, qui presente, e di me stesso, che sono quello che ti ha generato. Questo tipo di vita costituisce la via che porta verso il cielo e verso questa confraternita di uomini che sono già vissuti e che ora, liberatisi del, corpo vivono in questo luogo che tu stai vedendo (e infatti era un cerchio luminoso, di uno splendore abbagliante, in mezzo ai fuochi astrali) e che voi chiamate, come avete appreso dai Greci, Via Lattea» .

Da quel luogo potevo osservare tutto il resto, che mi appariva di mirabile lucentezza. C’erano infatti stelle che non abbiamo mai visto da qui, ed esse erano tutte così grandi che noi non lo sospettiamo neppure; fra gli astri, il più piccolo era quello che sta più lontano dal cielo e più vicino alla Terra, e che brilla di luce altrui. Le stelle, poi, erano corpi celesti assai più grandi della Terra, e questa mi apparve anzi così piccola che mi venne una stretta al cuore nel vedere che il nostro impero non occupa che un piccolo punto di essa. Continuando io ad osservarla con sempre maggiore interesse, l’Africano intervenne: «Ti prego, quanto ancora la tua mente continuerà a rivolgere lo sguardo verso terra? Non vedi in quali templi sei entrato? Hai qui nove cerchi, o meglio sfere, tutte connesse fra loro, delle quali una è quella del cielo, la più esterna, che contiene tutte le altre; essa è lo stesso dio supremo, che comprende e tiene insieme tutto il resto. In essa sono fissate le orbite eterne percorse dalle stelle in rotazione; ad essa sono sottoposte le sette sfere che ruotano all’indietro, in senso contrario a quello del cielo. Di queste sfere, una è quella occupata dall’astro che sulla Terra chiamano con il nome di Saturno. Quindi viene quello folgorante che prende il nome da Giove e che agli uomini porta prosperità e salute. Poi c’è quello rosso e rovinoso per la Terra, a cui date il nome di Marte. Viene poi la regione all’incirca intermedia, più sotto, che è occupata dal Sole, guida, principe e reggitore degli altri astri, anima del mondo e suo equilibratore; esso è tanto grande da arrivare con i suoi raggi dappertutto. Gli fanno seguito l’orbita di Venere e quella di Mercurio, mentre nella sfera più bassa ruota la Luna, che ha luce dai raggi del Sole. Al di sotto di essa non c’è più nulla che non sia mortale e caduco, con l’eccezione delle anime assegnate quali doni divini al genere umano; sopra la Luna, invece, ogni cosa è eterna. Infatti la nona sfera, quella centrale, cioè la Terra, non è dotata di movimento ed è la più bassa, e verso di essa cadono, per inclinazione naturale, tutti i gravi». Fui preso da meraviglia all’osservazione di tutte queste cose, e quando mi ripresi dallo stupore dissi: «Che cos’è? che musica è questa, così intensa e così piacevole, che riempie le mie orecchie?». Egli rispose: «È quella prodotta dall’energia che muove le sfere stesse, composta da note emesse ad intervalli ineguali, ma tuttavia distribuiti ciascuno sulla base di un rapporto razionale: ne deriva una precisa varietà di armonie, nelle quali i toni alti si mescolano a quelli gravi. Non sarebbe possibile, del resto, che movimenti così ampi si verifichino in silenzio, ed è la natura che fa sì che le sfere estreme producano le une suoni gravi, le altre suoni acuti. Per questa ragione il cerchio più alto del cielo, quello delle stelle, essendo il suo movimento più rapido, produce ruotando un suono alto e acuto; quello della Luna, invece, che è il più basso, emette il suono più grave; la nona sfera, cioè la Terra, resta infatti immobile ed è sempre ferma nella posizione che occupa, al centro dell’universo. Le altre otto sfere, invece, avendo due di esse la stessa tonalità, emettono sette diversi suoni, a diversi intervalli (è questo il numero che sta per così dire alla radice di tutte le cose). Uomini dotti, imitando questo meccanismo con gli strumenti a corda e con il canto, si garantirono così il ritorno in questo luogo, e come loro hanno fatto coloro che nella loro vita terrena affrontarono, grazie alle loro straordinarie capacità, argomenti divini. Le orecchie degli uomini, riempite da questo suono, sono diventate sorde, e nessuno dei sensi è in voi così debole come questo; così accade nella località chiamata Catadupa, dove il Nilo precipita da montagne assai alte: la popolazione di quella località, a causa del grande frastuono, ha perso il senso dell’udito. Anche il suono provocato dalla velocissima rotazione dell’intero mondo, è così forte che le orecchie degli uomini non sono in grado di ascoltarlo; analogamente non potete fissare direttamente il Sole perché il vostro senso della vista è vinto dai suoi raggi.

5 giugno – LE STORIE 2008/2009 e 2013/2014 – 1 (per intro vedi 7 maggio)

Già in altri post, in altri tempi dal giugno 2014 fino ad oggi, ho trattato temi politici “locali”. Alcuni documenti che qui riporterò potrebbero essere stati già da me pubblicati, ma sono utili allo scopo di chiarire,  soprattutto perchè siano di memoria alle generazioni attuali e quelle prossime per comprendere il “disagio” con il quale stiamo vivendo l’attuale crisi di rappresentanza. Come già esposto nell’Introduzione, la “Storia” di cui tratterò in questi prossimi post, utilizzando alcuni miei interventi ed un “carteggio” mail., riguarda due significativi episodi pratesi avvenuti tra il 2008 ed il 2009 e tra il 2013 ed il 2014. Nel primo blocco ci trovavamo verso la conclusione della legislatura 2004-2009, quella che aveva visto Sindaco della città Marco Romagnoli. C’è anche, tra questi documenti, la mia esperienza come Presidente della Commissione Scuola e Cultura nella Circoscrizione Est e come coordinatore delle Commissioni che si occupavano degli stessi ambiti nelle altre quattro Circoscrizioni. Per la cronaca storica, tutti e cinque i Parlamentini circoscrizionali (dal Centro ci si irradiava con l’Est, il Sud, l’Ovest ed il Nord) erano omogenei alla maggioranza che amministrava il Comune.  Per lungo tempo, soprattutto all’Est ed in parte al Centro, il Centrosinistra aveva faticato a conquistare la maggioranza, e questo scenario si era mantenuto, garantendo una certa continuità di visione. In quel periodo, così come Marco Romagnoli per quel che riguarda la sua carica politico amministrativa, anche io mi avviavo alla conclusione della mia esperienza. Era, nel frattempo, nato il Partito Democratico ed io, insieme ad un gruppo caratterizzato da un reciproco rispetto e condivisione, avevo costruito un percorso parallelo ai Democratici di Sinistra ed alla Margherita, costituendo il Comitato di Prato per il Partito Democratico. Le vicende relative a quell’impegno le ho narrate in altri post. Erano in modo oggi lampante foriere delle difficoltà in cui ancor oggi si dibatte il PD. Ed anche quel che avvenne tra il 2008 ed il 2009 ne porta il segno. Consapevole di una parte delle difficoltà già emerse nella fase costituente del Partito Democratico e per il fatto stesso che avrei avuto maggiori difficoltà ad esprimere il mio pensiero in mancanza di una “carica” istituzionale, una volta lasciata la Circoscrizione, avevo fondato un’Associazione di tipo politico culturale. “Dicearchia 2008” aveva molteplici significati: innanzitutto mi collegava alla città nella quale sono nato, Pozzuoli; poi conteneva nella traduzione dal greco, Δικαιάρχεια, due elementi: la “giustizia” del “governo”, un giusto governo, quello che si erano prefissi di conquistare alcuni profughi di Samo, sfuggiti alla tirannide di Policrate e giunti sulle coste campane, in quel tempo (531 a.C.)  dominate da Cuma. Ci si preparava alla “resilienza”? Per i “samesi” profughi fu l’inizio di una grande Storia; molto meno per chi, come me, ha cercato – pur con qualche timidezza, incertezza, forse titubanza o senso pratico – di ricavarsi un ruolo pur marginale in questo tempo.

In realtà avevo anche proposto nel maggio del 2008 un mio specifico impegno di tipo più politico nell’area della Circoscrizione Est. Non mi sarebbe dispiaciuto ed a conti fatti avrebbe potuto anche creare condizioni utili ad evitare la debacle, o perlomeno a renderla meno grave di quanto non accadde.

Nel prossimo post riporterò il “documento” con il quale mi presentavo candidato al Coordinamento politico della Circoscrizione Est per il PD.

4 giugno PUO’ DARSI, MA….. La questione della vaccinazione per i giovani e la riapertura delle scuole – prima parte

PUO’ DARSI, MA…..

La questione della vaccinazione per i giovani e la riapertura delle scuole

L’apparente deviazione con cui mi sono occupato della questione “agricoltura biodinamica”, la cui dizione così “moderna” e avveniristica (movimentistica) è solo uno specchietto per le allodole, che – com ben si sa – ignorano la realtà dei fatti, che sarebbe invece molto più vicina alla parte più buia del Medioevo ed alle pratiche di stregoneria e di magia che pur in seguito nei periodi di regressione civile che l’umanità ha conosciuto sono state sperimentate. Mai, però, confondere, la ricerca scientifica che pur utilizza sistemi empirici con questi atti apotropaici, di squisita “fattura” scaramantica.

Riprendo a trattare temi di natura politica, che finiscono per essere riconoscibili anche per la loro forma socioantropologica. In questi lunghi mesi di pandemìa uno dei dibattiti più frequenti (utilizzati – si potrebbe supporre –  per esorcizzare gli annunci dei drammatici eventi) è stato coperto dalle tematiche collegate alla Scuola (chiudere o aprire, oppure chiudere in parte o aprire in parte). Alcune testate massmediali ed una parte considerevole, maggioritaria, del mondo politico in forma “bipartisan” insisteva per l’apertura, mettendo in evidenza quali sarebbero stati i danni per i giovani in riferimento all’apprendimento ed alla socialità. Giuravano in modo perentorio che la “Scuola” come struttura ed ambiente fosse luogo sicuro indenne dal contagio. Lo facevano in modo strumentale? Il dubbio, forte, c’era: era una sorta di “braccio di ferro” per dimostrare che tutti gli errori commessi in materia di programmazione relativa agli edifici scolastici dalle forze politiche governatrici (quasi tutte indistintamente) non avrebbero influito sulla diffusione della pandemìa. Con tutta probabilità venivano prodotti dati che asserivano tale ipotesi, dati falsificati, anche alla base e collegati ad una sorta di passaparola che spingesse l’opinione pubblica a credere in questa ipotesi. In realtà la Scuola proprio come luogo di comunità non poteva essere esentata, soprattutto – ma non solo – se frequentata massivamente, dal dominio del Coronavirus originale e nelle sue possibili varianti.

In quel periodo ho scritto molti post su questo tema, mettendo in evidenza i rischi che si andavano correndo in un periodo peraltro in cui il vaccino era ancora una speranza, pur se non molto remota. Potete trovarli su questo Blog.  Vi riporto una parte del mio post del 20 aprile 2020. Ve ne sono altri non dissimili e più vicini. Vi rimando ad un breve messaggio in conclusione di questo post, che avrà un seguito.

A coloro che chiedono in queste ultime ore a gran voce che si riaprano le scuole, adducendo giustificazioni, che in periodi di normalità potrebbero anche essere condivisibili, chiedo che si fermino a riflettere prima di far partire la loro parte di natura irrazionale. Non abbiamo un nemico visibile contro cui indirizzare le tipologie di scelta. Non è un terremoto, nè un’alluvione il rischio che dobbiamo fronteggiare. Le scuole, così come le conoscevamo “prima” (e già non erano del tutto a norma: molte di esse non lo erano –non ce lo dimentichiamo!), non potrebbero garantire la “sicurezza” – a questo punto – sanitaria. E si rischierebbe di far ripartire i contagi: le scuole, oltre agli allievi – di tutte le età dai 3 ai 19 anni – sono necessariamente frequentate dal personale scolastico e dai genitori o congiunti autorizzati. Gli allievi, entrando in contatto con tutta questa “umanità” potrebbero diventare se non altro portatori sani con tutte le possibili conseguenze che ciascuno può immaginare. Il rischio d’altra parte è maggiore proprio nelle scuole dell’infanzia e del primo ciclo, dove il distanziamento ottimale non sarebbe garantito, proprio in virtù di quanto alcuni genitori, non so se “surrettiziamente”, porterebbero a ragione giustificativa per le loro richieste di apertura anticipata rispetto a quanto ventilato finora dal Ministero: la mancanza, in questo periodo, di socializzazione. Tra l’altro nel seguire alcuni servizi ho potuto notare che tra i richiedenti non apparivano persone modeste ma (ovviamente “in apparenza” – lo ripeto) tutt’altro. Ora, è possibile che vi sia una forma che non corrisponda alla “sostanza” e che dietro quell’aspetto di benessere si celino drammi di carattere economico (in questo periodo è del tutto credibile); ma, ad un primo giudizio (che può essere fallace) mi verrebbe da dire che, laddove abbiano la possibilità in questa fase, anche per preservare se stessi e le loro famiglie dal contagio, sarebbe molto utile assumere una “tata” o un “tato” per seguire i loro rampolli (una o uno sarebbero una sicurezza in questa fase di rischio sanitario diffuso). Avendo uno spazio condominiale (o di rìvicinato) attrezzabile o attrezzato potrebbero supplire con ambienti molto limitati e spostamenti annullati al bisogno di socialità.
D’altra parte c’è anche l’intervento dello Stato ad hoc: il bonus baby sitter previsto per i minori di 14 anni. Vorrei capire chi ne ha ususfruito, anche confrontando i dati con quanti oggi chiedono a gran voce la riapertura delle scuole.
Trovo davvero molto ma molto curioso il richiamo “indiretto” a Don Milani con l’intestazione apposta alla petizione che recita: “Ministra, questa è una lettera a una Professoressa”.
Bisognerebbe che chi utilizza quel richiamo si ricordi perfettamente come era la “Scuola di Barbiana”. Forse qualcuno dei proponenti lo sa bene. Ma il tempo porta con sè i suoi “segni”: quella “scuola” era un esperimento “naturale”, vivo, diretto, non recuperabile all’interno delle “mura” di una struttura scolastica come quelle dei nostri tempi. Era “innovativo”, assolutamente fuori dagli schemi, un po’ come oggi è “la scuola al tempo del Coronavirus”. I nostri ragazzi ricorderanno questo periodo nella loro lunga vita come uno dei più belli ed innovativi: questa voglia di rinchiuderli in quelle scatolette striminzite che sono le strutture scolastiche, a fronte del “mondo” che si è spalancato davanti a loro 24 ore su 24, è una delle tante forme di sadismo che gli adulti vogliono infliggere ai giovani. Non dico che sia l’ “optimum” continuare in questa direzione, ma proviamo a trovare qualcosa di buono in questa esperienza, come ad esempio la “scoperta” della “famiglia” che non era proprio garantita a tutti, prima di questi eventi.
Poi, avremo tempo per rivedere ogni aspetto della nostra vita futura. Non abbiate fretta!

Forse, varrebbe la pena fermarsi e riflettere, hic et nunc, su alcune affermazioni recenti di autorevoli scienziati, affermazioni in netta opposizione a quanto asserivano qualche mese fa.

…parte prima….

3 giugno – un post di un anno fa STATE BUONI SE POTETE, PER PIACERE – TUTTO TORNERA’ COME PRIMA PEGGIO DI PRIMA – “SE TI VA BENE A QUESTE CONDIZIONI…

STATE BUONI SE POTETE, PER PIACERE – TUTTO TORNERA’ COME PRIMA PEGGIO DI PRIMA – “SE TI VA BENE A QUESTE CONDIZIONI…DIVERSAMENTE LA FILA È LUNGA!”

con un’aggiunta al 3 giugno 2021 – Pil, finalmente la luce: Italia verso +4,2% nel 2021 – titolo da Qui Finanzafate voi i conti – è molto incoraggiante che si riprenda a produrre, ma questo rischia nell’entusiasmo generalizzato di creare nuove ingiustizie e di produrre altri danni ai lavoratori

STATE BUONI SE POTETE, PER PIACERE

TUTTO TORNERA’ COME PRIMA PEGGIO DI PRIMA

“Se ti va bene a queste condizioni…diversamente la fila è lunga!”

Non dirò nulla che non si sappia già.
Le condizioni erano che il lavoratore veniva assunto a part-time ma poi le ore di lavoro effettive diventano molte di più. Molte volte c’è un rapporto di subordinazione servile che induce lo stesso lavoratore a non denunciare questi abusi. In qualche caso, durante un controllo, addestrati a mentire resi consapevoli e preoccupati dalla carenza di posti di lavoro “normali” (legali), dichiarano semmai di essere appena arrivati. Fondamentalmente il ricatto è legato a questa cronica carenza di “lavoro” e quindi ad un diffuso bisogno di trovarne uno, anche se in parte o in tutto illegale. Questo è solo un esempio minimo; a volte l’operaio, nel controllo, dichiara di essere appena arrivato e di essersi disposto a “provare”; oppure in altri casi i datori di lavoro, durante le ore notturne, quando il timore di un controllo è ridotto, accelerano i ritmi delle operazioni. Indubbiamente la condizione del lavoro è a rischio di un ritorno al passato, a forme di schiavitù che avremmo voluto ormai tramontate. In alcuni settori, come quelli della ristorazione ed in particolare nei pub o comunque in localini dislocati nel centro delle città, dove si svolge la “movida”, non è raro imbattersi in rapporti di lavoro siffatti più o meno legali, a seconda del grado di onestà dei datori.
Chi dovrebbe controllare perchè a ciò preposto e delegato si dice molto spesso che non abbia strumenti e mezzi per poterlo fare in modo diffuso e questo, forse, è in gran parte vero. In qualche occasione, poi, sorge il dubbio che alcuni strumenti ed alcuni mezzi non vengano utilizzati di proposito; ed in questo caso ovviamente si può parlare di complicità. Ovviamente dovrebbe essere lo Stato a pretendere che le leggi vengano rispettate anche nella loro applicazione concreta: un maggiore e rigoroso controllo potrebbe comportare una migliore condizione sociale diffusa. Un “controllo” sociale potrebbe essere una delle soluzioni: chi svolge la sua attività onestamente dovrebbe essere il principale controllore. Chi rispetta le regole ne paga gli effetti mentre coloro che non le rispettano finiscono per nuocere principalmente ai primi ed intossicano il mercato. Per non parlare di quel che significa questa elusione (in qualche caso anche “evasione”) per le casse dello Stato nel suo complesso: ci si lamenta dell’esosità dello Stato, e a volte lo si fa per giustificare – a se stessi ma non solo – l’illegalità; tuttavia quello che accade è un generale abbassamento del tenore di vita generale ed impoverimento sociale.
Ho portato pochi esempi, ma voglio qui ricordare quel che scriveva l’altro giorno un mio amico di Facebook riportando un dialogo “illuminante” ascoltato in uno dei tanti bar eleganti della città
“… E allora gli ho spiegato a quei tre: prendete la cassa integrazione ma venite a lavorare e io vi pago a nero. Alla fine costate meno ma guadagnate di più”.
Forse era un artigiano, un industriale, non so, l’amico non lo specifica. Ma è indubbio che con questa gente, dopo l’emergenza, le cose andranno peggio, altro che “meglio”, altro che “andrà tutto bene!”. Non so se tra i commenti ci sia stato qualcuno che, illuminato, abbia segnalato che in questa particolare situazione, laddove ci fosse un controllo fatto bene, a venirne sanzionato – penalmente, fiscalmente e moralmente – non sarebbe soltanto il datore di lavoro ma anche l’operaio che avrebbe frodato lo Stato e nociuto gravemente anche ad altri più onesti e corretti di lui.

2 Giugno – PICCERE’ un recupero con revisione – 2 (per la parte 1 vedi 1 maggio)

Parte 2

Il paese era piccolo e tutti conoscevano tutti; Piccerè era piccolina di statura così come il nomignolo con cui la chiamavano, anche quando aveva raggiunto l’età di 16 anni ed era ormai guardata dai giovani – quei pochi rozzi e brutti che circolavano ancora, anche perché negli anni sessanta la strada più facile per tanti era stata quella del “continente”, Torino, Milano, la Germania – non era interessata a loro. Anche se come tutti gli altri della famiglia non aveva frequentato nemmeno un giorno di scuola Picceré era vivacissima per la furbizia e non si lasciava lusingare dalle sollecitazioni delle altre sorelle più grandi che, essendo già sposate, la spingevano a scegliere la sua strada presentandole di tanto in tanto qualche “rozzo” pretendente. Un’estate, era il 1963, era tornata per un grave lutto nella famiglia del marito una sua cugina, Adelaide, che viveva a Prato. Adelaide era una bella giovane donna, più elegante che bella ma davvero faceva la sua figura in mezzo a quelle contadine ed a quei buzzurri. Vennero con una bella auto portando con loro i due figli che non avevano nemmeno conosciuto il nonno, che era morto in quei giorni. Adelaide parlava di quella città, Prato, decantandone l’operosità ed anche la facilità di trovare lavoro, diceva “meglio che a Torino o a Milano o in Francia, in Belgio e Germania”. “Certo, la “ggente ce chiamme marrocchine ma se lavori t’apprezza anche perché so’ ggeluse del modo con cui stammo assieme ridendo e facendo un po’ casino; lloro so’ fridde, ma a nnuje che ce n’ mporta”. Piccerè beveva a gorgoglioni tutto quello che la cugina raccontava e già sognava la sua libertà.
Ce ne volle d’impegno da parte di Adelaide e Stefano, suo marito, per convincere Gesualdo a farla partire per Prato a fine agosto. Ma il padre stimava moltissimo quel suo nipote acquisito e conosceva sin dalla nascita anche Adelaide, donna pia e coraggiosa; e poi a Prato aveva anche un altro fratello più grande di lui che aveva fatto il meccanico e quindi per Picceré ci sarebbe stata possibilità di controllo da parte della famiglia e se voleva lui stesso poteva salire a riprendersela, anche se si stava facendo vecchio e gli acciacchi lo bloccavano nelle ossa. Le sorelle erano gelose di questa avventura; sotto sotto appunto la invidiavano ma la loro vita era stata segnata; la prima, Filomena, aveva già una bambina di cinque mesi, la seconda. Concetta, era in attesa da sette mesi ed ogni tanto minacciava di sgravare anzitempo, non avendo mai smesso di lavorare nei campi.
Con la valigia di cartone chiusa tutta intorno con lo spago sistemata sul portapacchi Piccerè salì sulla Fiat 1500 celeste sedendosi come una signora dietro con i due diavoletti; e qualche lacrimuccia la versò dopo aver abbracciato la mamma e il padre e salutato sorelle e fratelli.
A Prato, lo aveva promesso, avrebbe fatto la brava e si sarebbe subito cercato un lavoro; Adelaide aveva detto a tutti che sarebbe stata ospite da loro fin quanto avesse voluto e semmai – nel pensiero di Adelaide questa idea le balenava – avrebbe potuto accudire alle due “pesti” di casa. In più le aveva anche fatto capire che a due passi da casa loro, una delle sue cugine aveva da poco aperto un bar e forse avrebbe già lì trovato lavoro.