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29 aprile – ripropongo un mio post del 21 NOVEMBRE 2020 – DENTRO IL LOCK DOWN – LA LEZIONE DI GRAMSCI

Il 27 aprile del 1937 moriva Antonio Gramsci – ho dedicato a lui ed all’ espressione del suo pensiero alcuni post rincorrendo gli “anniversari” ma questo che vi ripropongo è collegato direttamente al tempo “pieno” della seconda ondata di pandemia – quella legata alla dabbenaggine dei miei connazionali

Spero che questa riproposta sia un utile promemoria in questo “tempo” in cui sembrano ripresentarsi quelle condizioni “favorevoli”(!) ad una ripresa dei contagi

21 NOVEMBRE DENTRO IL LOCK DOWN – LA LEZIONE DI GRAMSCI

Sarebbe quantomeno opportuno in questo tempo in cui siamo maggiormente portati alla riflessione andare alla riscoperta di alcuni valori che, durante il lungo periodo dell’edonismo sfrenato cui ci siamo lentamente abituati (in realtà chi più chi meno ne ha usufruito) avevamo tralasciato di praticare. Sarà molto difficile una veloce e rapida presa di coscienza complessiva della nostra società, ma si rischia di dover fare i conti con le trasformazioni in modo molto più severo e drammatico man mano che si procederà giorno dopo giorno, settimane e mesi.

Dobbiamo renderci conto che da questo passaggio in poi nulla potrà essere come prima. E se dobbiamo anche continuare a far nostro quell’imperativo camuffato da “futuro” o futuro con desiderio di “imperativo” – “andrà tutto bene!” – che nella prima fase aveva accompagnato le nostre giornate, dobbiamo anche accogliere come prospettiva un profondo cambiamento del nostro stile di vita.

Verifichiamo quotidianamente (anche stamattina leggo un post  tristanzuolo pessimistico di una nostra amica) che non si accettano queste trasformazioni e si paventano in modo inappellabile privazioni accessorie del tutto superflue quasi inconsapevoli dei rischi profondi che si stanno correndo, quasi come si dovesse assistere ad una forma occidentale di Harakiri, un autolesionismo alla maniera dei lemming.

Troviamo davvero disdicevole che, soprattutto persone che posseggono doti intellettuali non comuni, non abbiano acquisito la consapevolezza dei propri limiti umani; lo trovo ancor più inaccettabile se si tratta poi anche di persone che posseggono una fede religiosa chiaramente espressa in tempi “normali”. Ecco! Certamente questi non sono tempi normali: ma nel “mondo” non ci sono stati dappertutto tempi “normali” come qui da noi. In altri luoghi hanno sofferto privazioni estreme: guerra, distruzioni, morti, carestie, epidemie. E’ come se i quattro cavalieri dell’Apocalisse abbiano voluto risparmiarci la loro visita “fino ad ora”.

Forse potrebbe anche bastare questa capacità di volgere lo sguardo sul resto del mondo, hic et nunc, oltre che heri nudius tertius, a renderci conto che siamo ancora tra i più fortunati. Dopo di che occorrerà affrontare tutto il prossimo futuro, facendo tesoro di una parte delle idee espresse da un nostro grande intellettuale, forse il più grande al quale alcuni di noi – a volte immeritatamente (a partire da me) – fanno riferimento: Antonio Gramsci. Forse sarà improprio ma applicare il motto, che Gramsci ricava da Romain Rolland, “Pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà”, può oggi essere utile, soprattutto se si condivida l’idea che i tempi che stiamo vivendo sono destinati a segnare un profondo mutamento nei costumi nello stile di vita nei modelli di sviluppo.

http://www.maddaluno.eu/wp-content/uploads/2020/11/frasi-celebri-inquinamento-ambiente.jpg

Scrive Antonio Gramsci in una nota del primo dei “Quaderni del carcere”:

“Ogni collasso porta con sé disordine intellettuale e morale. Bisogna creare gente sobria, paziente, che non disperi dinanzi ai peggiori orrori e non si esalti a ogni sciocchezza. Pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà”  ed a noi sembra straordinariamente utile ad accompagnarci in questi giorni in cui possiamo impegnarci anche ad aiutare gli altri a sopportare le privazioni e ad attivare una ripresa consapevole per quello che troppo spesso solo in modo pedissequo chiamiamo “sviluppo sostenibile”. Quest’ultimo contiene invece proprio quegli esiti, diversi e lontani dagli stili di vita che abbiamo mantenuto in questi ultimi anni.

28 aprile – due miei post dell’aprile (24 e 27) del 2020

TEMPO DI CORONAVIRUS – domani del 24 aprile 2020

Ve le ricordate le file di persone, centinaia, che – all’annuncio della decisione governativa di indire la “zona rossa” in tutta la Lombardia – tra il 7 e l’8 marzo hanno scelto di ritornare verso il Sud?

Non ci furono solo i “benpensanti” del Nord (in tanti) e del Centro (ne conosco qualcuno) a stigmatizzare quella scelta; anche alcuni tra i governatori del Sud si scagliarono contro quella scelta preoccupati dalla possibilità concreta di una diffusione massiccia della pandemia nel Meridione. I secondi, non lo scrivo per scelta sciovinistica, avevano di certo molte buone ragioni. I primi, soprattutto quelli del Nord, avanzarono una riflessione ipocrita; quelli del Centro non erano in grado di comprendere le motivazioni di quella fuga.
Ad ogni modo, però, quella scelta certamente irrazionale, dettata dalla sensazione di dover sopportare un lungo periodo di difficoltà senza il conforto di una famiglia, senza il sostegno di un lavoro sicuro e dignitoso, senza la certezza di essere curato in un quadro di pandemia acuta, con il sentore di non essere in grado di poter fronteggiare l’emergenza, aveva una sua logica che forse poteva sfuggire a chi non è mai stato costretto ad emigrare in luoghi non sempre “ospitali”, freddi glaciali nei rapporti umani a volte posti in disparte di fronte a scelte di natura economica finanziaria. Fate pure ironia, Feltri e compagnia bella, sulla creatività umanistica dei meridionali, e tenetevi l’arido rincorrere il lavoro soprattutto per il guadagno e non per la valorizzazione della dignità umana (anche il “parcheggiatore abusivo” ha una sua dignità; avrei qualche dubbio su quella degli algidi compassati “businessman”).

Forse quelli del Nord dovrebbero anche ringraziare coloro che sono andati via di fretta e furia in quei primi giorni di marzo. Hanno evitato che nella pandemia vi fossero altre migliaia di morti; e tutto sommato non hanno prodotto grossi sconquassi nel Mezzogiorno. Forse, ad insegnamento futuro, qualche evento di questi mesi dovrebbe essere posto ad esempio. Non c’è alcun dubbio 1) che il contagio in Italia non sia venuto dai “cinesi”; 2) che in molte parti d’Italia il contagio sia partito dalla Lombardia (qui a Prato, da dove scrivo, è arrivato con un messaggero operatore sanitario che aveva frequentato l’hinterland milanese e sulla costa livornese è sopraggiunto sulle ali di alcuni lombardi proprietari di seconde case); 3) che l’aver trascurato la cura dell’Ambiente in quelle aree così operose ha prodotto condizioni favorevoli alla diffusione del virus; 4) che la capronite acuta che hanno mostrato alcune parti politiche che da un lato chiedevano maggiori controlli sui cinesi (che, per dirla tutta, non appena hanno avvertito il rischio del contagio si sono autoisolati in quarantena volontaria e permanente) e dall’altro minimizzavano e chiedevano di non chiudere i luoghi di lavoro.
Una cosa è certa: solo se su tutto questo riusciremo a svolgere una autocritica severa, analizzando tutti gli aspetti, anche quelli negativi che appartengono a nostri punti di riferimento politici, riusciremo a realizzare un mondo diverso, forse riusciremo a modificare in meglio i modelli di sviluppo sociali ed economici che ci hanno caratterizzato fino ad oggi.

27 aprile 2020

TEMPO DI CORONAVIRUS – INSOLENTI FALSIFICATORI o comunque adattatori di notizie a sostegno delle debolezze umane

In questo tempo di Coronavirus non mancano le notizie false o modificate ad arte per indurre una parte della popolazione ad avversare le scelte del Governo. Molti di noi si sono detti che da questa disastrosa situazione c’era la possibilità di uscirne migliorati. Ecco! Questi insolenti falsificatori stanno lavorando proprio per evitare che sia possibile un esito positivo da qui ai prossimi mesi; anzi, sono impegnatissimi nel gettare discredito su ogni scelta del Governo e dei suoi sostenitori. Indubbiamente, la realtà non è facile da governare ed anche all’interno dell’Esecutivo vi sono pareri discordanti che generano imbarazzo e provocano la sensazione che sia tutto più difficile da affrontare.
In questo periodo tra l’altro è molto semplice giocare con la sensibilità della gente. Il distanziamento imposto dalla diffusione del contagio ha prodotto in una parte di noi una forte sensazione di essere più soli; in realtà lo siamo, perchè ci mancano i contatti diretti ed il futuro soprattutto quello collegato allo “status” che siamo riusciti ad ottenere appare molto incerto. Per comprendere pienamente quello che ora siamo e ciò che proviamo non dobbiamo nella maniera più assoluta dimenticare quel che eravamo, quel che dicevamo “prima”. Il rischio della dimenticanza è molto forte ed è stato più volte denunciato. Molti rimpiangono il lavoro che avevano e che si è interrotto bruscamente. Non devono tuttavia dimenticare che a fronte di tanto lavoro svolto nel pieno rispetto delle regole ve ne era ad iosa fuori dalle regole o anche entro limiti di regole che venivano interpretate “solo” a vantaggio dei datori (ad esempio, quei contratti ad un numero di ore molto inferiori rispetto a quelle realmente prodotte). Anche quegli stessi operatori autonomi con Partita Iva che pure hanno trovato spazio nelle organizzazioni sindacali dovrebbero produrre proposte complessive non solo legate in modo esclusivo alle loro categorie. Verrebbe da esclamare in modo ormai demodè “Lavoratori unitevi!” ma non voglio nemmano lontanamente lasciare l’impressione di essere un vetero comunista.
Ovviamente non è solo il “proprio” lavoro a preoccupare, ma sono soprattutto le incognite relative alla riorganizzazione dei servizi (che sono parte importante del mondo stesso del lavoro) a misura di prevenzione che bisognerà mettere in atto. Come funzioneranno le scuole, come i trasporti, come i settori dello spettacolo e del turismo? Molto sarà da riorganizzare, ma tutto questo richiede partecipazione, condivisione, fiducia nel poter anche essere protagonisti attivi non solo in vista della ripresa ma in particolare in quella del rinnovamento e del cambiamento, al servizio dei beni comuni.
Coloro che invece “temono” tutto questo, che vorrebbero sì cambiare ma riportando indietro le lancette della storia in un tempo buio che potrebbe segnare la fine delle libertà, fanno di tutto per diffondere menzogne o ritoccare le notizie a proprio vantaggio operando in modo ossessivo sulle angosce, sulle paure dell’immediato futuro. Accade anche che per screditare chi governa si utilizzino fonti scarsamente scientifiche, poco più che illazioni provenienti da ambienti non abilitati ad esprimersi, già abbondantemente riconosciuti come inaffidabili. E si dà però il caso che alcune testate giornalistiche si diano da fare per diffonderle tra i loro lettori, che hanno nel corso degli anni avuto fiducia nei loro comitati redazionali. E questo genera un disorientamento complessivo che nuoce allo stesso concetto di “democrazia” riducendone la forza.
Il ruolo di chi difende la forza della Democrazia, della Ragione, del confronto dialettico ma ricco di contenuti, di chi non vuole soluzioni facili e a buon mercato, di chi vuole cambiare deve essere quello di rinnovare per migliorare le condizioni dei più deboli, operando anche da posizioni comode di guida. Ovviamente non si può costruire nulla di nuovo sulle macerie; bisogna partire da quello che siamo, da come eravamo, avviare una critica severa e profonda e procedere in avanti.

25 aprile – IN RICORDO DEL “POETA” PIER PAOLO PASOLINI – parte quarta (per la parte terza vedi 23 marzo)

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continua l’intervento della prof.ssa Paola Giugni – Assessore alla Cultura della Provincia di Prato

Molte volte Pasolini ha corso il rischio di essere un uomo romanzato: penso ricorderete anche voi le molte trasmissioni televisive in cui si è parlato di Pasolini e della sua morte e non si è parlato di Pasolini e della sua opera, di quello che rappresentava ed ha rappresentato Pasolini anche dal punto di vista dell’approccio politico, del periodo storico in cui è vissuto, di cui è stato testimone, di cui ha scritto. Pasolini, mi sembra Corseri recentemente ha detto sul Corriere della Sera, è in fondo un fantasma. Si potrebbe dire di più un fantasma che ognuno ha tirato spesso dalla sua parte. Ma questi trent’anni non sono passati invano. Io penso che ormai siamo arrivati ad un punto in cui per il distacco, per gli anni che passano ci sia anche una maggiore serenità di giudizio che porta alla possibilità di approfondire l’uomo e l’opera. L’opera che è enorme. Tra l’altro è andata aumentando dopo la sua morte Perché si sono scoperti inediti, che vanno ancora approfonditi, vanno studiati. Pasolini che comunque non è mai stato dimenticato. Ricordiamo che credo che sia il terzo o il quarto autore più rappresentato nel teatro italiano. Quindi, quello che però appunto è mancato in questi anni è proprio una maggiore serenità nell’affrontarlo, tant’è vero che uno dei libri usciti ultimi che io non so se stamani c’è Tricomi, ecco non lo conosco, bene, è proprio scritto mi sembra molto, molto emblematico da un giovane che è nato l’anno in cui è morto Pasolini.

Quindi ben vengano questi convegni, questi dibattiti, queste giornate di studio Perché c’è bisogno di riflettere molto, di analizzare meglio la sua opera, che è poliedrica, che è enorme dalle poesie, ai saggi, al teatro, il cinema e anche l’uomo. Perché l’uomo e l’opera (parola non comprensibile)…in questo caso direi ancora di più sono uniti inscindibilmente e l’uomo Pasolini, e soprattutto per la mia generazione, è

anche il rappresentante di un periodo storico che poi è quello che ha riflessi enormi sull’oggi. Anche Perché sull’oggi, e ha detto molto bene il Professor Maddaluno, Pasolini aveva avuto delle visioni direi quasi profetiche. Ha parlato di consumismo, di una società basata sulla banalità, su un consumismo e liberismo, in un periodo – e se pensiamo a quello che ha detto della televisione – in cui questo non era chiaro a tutti come lo è oggi. Però appunto, come dicevo, Pasolini è anche stato sfruttato. E’ stato un personaggio anche romanzato. Quindi noi bisogna tornare a capirlo.

Molto velocemente concludo dicendo che noi abbiamo bisogno ora di approfondirlo con giornate come queste al di fuori anche del clamore dei trent’anni. Io credo, e lo ha detto il Professor Maddaluno, che questa non sarà l’ultima, ma deve continuare Perché Pasolini è un classico. Io so che questo è un termine che Tricomi mi sembra non apprezza, poi ce lo dirà lui, per me è un classico della nostra letteratura, poi discutiamo sul valore che si dà a questo termine. E’ comunque un artista con cui dobbiamo per forza confrontarci. Io non so se durerà, se invece è legato solamente a questo nostro mondo, però è un mondo in cui noi siamo ancora di più e quindi conoscerlo, approfondirlo se non altro ci facilita nel conoscere ed approfondire il momento in cui viviamo.

 Quindi io auguro buon lavoro a tutti e permettetemi di ringraziare chiaramente il Professor Maddaluno che ha perseguito queste giornate con forza ed anche con una notevole diciamo forza di carattere Perché non è facile con i tagli, a cui lui accennava, che sono stati fatti in questi ultimi anni alla cultura anche mettere su semplicemente una giornata come questa. E quindi lo ringrazio di nuovo e buon lavoro a tutti. >>

24 aprile – I NODI VENGONO AL PETTINE – parte 1

I NODI VENGONO AL PETTINE – parte 1

Ho sempre più la certezza, superiore alla “sensazione”, che tutte le buone prospettive, i sani propositi che avevamo messo in campo all’inizio di questa fase storica, “pandèmica”, siano andati a farsi benedire. Molti tra i “nodi” che preesistevano sono pervenuti al pettine, alla resa dei conti.

In questi ultimi mesi, ormai diventati “anni”, sono andato pubblicando alcune riflessioni sulla situazione degli edifici scolastici, che sin dalla loro “inaugurazione” (parola che denota la pomposità dell’atto “politico ed amministrativo”) presentavano delle inadeguatezze. L’ho fatto utilizzando un titolo, “I CONTI NON TORNA(VA)NO” con un imperfetto che diventa presente: purtroppo! Ed era “presente” nei blocchi iniziali a partire dal settembre 2016, quando ho avviato a pubblicare un “racconto morale” metanarrativo. In “I CONTI NON TORNANO” e nel precedente “I CONTI NON TORNA(VA)NO” ho messo in evidenza l’insensatezza del mondo politico, cui peraltro appartenevo, in una specie di “partita a scacchi” le cui pedine erano “edifici scolastici” tutti in definitiva inadeguati a contenere il numero degli studenti di allora (siamo alla fine del secondo millennio). Non va sottovalutato il costo abnorme di quel “tourbillon”, dato che negli anni successivi fino ad oggi (2021) si sono dovuti aggiungere spazi, che sono ancora insufficienti, non solo per il necessario “contingente” bisogno di fronteggiare la pandemìa, ma per una gestione ordinaria corrente adeguata.

Quando evidenziavo quelle disfunzioni ero considerato una sorta di Grillo (è solo una casuale omonimìa) parlante, il cui destino è stato da sempre segnato sulla scorta della narrazione collodiana. Eppure vi erano in modo oggettivo (le rammento così alla rinfusa)  aule insufficienti a contenere il numero di allievi che i vari Governi di Destra e di Sinistra decidevano progressivamente di aumentare; corridoi stretti; aule comuni come bar mense e palestre – soprattutto gli spogliatoi – inidonei a dover fronteggiare eventi ordinari; criteri di sicurezza rispondenti ai valori minimi necessari piegati in modo forzato.

Allorquando in questi frangenti recenti sono andato sottolineando la necessità di ridurre la presenza di allievi nelle aule scolastiche non facevo altro che tener conto di tali problematiche. Mi veniva contrapposta l’importanza della socialità e l’assenza di dati scientifici comprovanti la diffusione del contagio “dentro” le strutture scolastiche. Lo si è fatto ignorando due realtà: la prima, collegata alle questioni qui sopra sinteticamente tracciate; la seconda relativa proprio a quel bisogno impellente tra i giovani (non tanto tra i bambini e i giovanissimi, ancora protetti dall’ambiente familiare, anche se quest’ultimo ha conosciuto un degrado poderoso nel tempo) di socializzare. Ho rilevato più volte che comprendevo pienamente tali bisogni ed ero consapevole dei danni psicologici che sarebbero derivati da tutte queste obbligate limitazioni. Nondimeno non potevo esimermi dal sottolineare l’obbligo di rispettare in primo luogo la Vita contro la Morte.

….1…

23 aprile – PACE E DIRITTI UMANI parte XXXI – per la parte XXX vedi 11 marzo

PACE E DIRITTI UMANI parte XXXI

Abbiamo anche la convinzione che non sia più eludibile da parte delle istituzioni, comprese quelle più piccole come le nostre, un urgente e stabile impegno a favore della pace e per il rispetto dei diritti umani e la costruzione di nuovi diritti in un mondo che sta progressivamente cambiando. Tutto questo in un momento dalla difficile transizione che richiede la massima sollecitudine e tensione morale estrema da parte di tutti.

Guai ad abbassare la guardia; le nostre generazioni non hanno conosciuto direttamente la tragedia della guerra, ma non è detto che potrà in futuro essere sempre così; le nostre generazioni sul nostro territorio non hanno conosciuto il disprezzo dei diritti umani, anche se a pochi chilometri dai nostri confini questo è accaduto, ma non è detto che in futuro ciò non tocchi anche a noi.

https://www.lastampa.it/cultura/e20/passato-presente/2018/09/06/news/la-guerra-nei-balcani-e-il-massacro-di-srebrenica-1.36625645

La pace ed il rispetto dei diritti umani vanno salvaguardati soprattutto attraverso l’uso della pratica quotidiana della democrazia e della libertà: non pochi segnali di oscurantismo, di imbarbarimento civile, di attentato alla memoria storica del nostro paese, anche negli ultimi giorni, ci richiamano ad un maggiore impegno in difesa della democrazia e della libertà.

La Toscana, anche rispetto ad altre Regioni, può vantare con questa indizione di una ricorrenza così speciale ed importante, di aver seminato – e di voler continuare in questa direzione – radici solide di pace e democrazia e questo, anche se non dovesse essere considerata una garanzia in assoluto, sarebbe comunque un buon punto di partenza. L’indizione di questa ricorrenza è di certo un forte motivo di orgoglio per tutti noi, sia per chi è nato in Toscana sia per chi come me da tempo vi risiede; cogliere questa opportunità, permette poi a tutti noi di attingere ad uno stimolo in più per riprendere la buona abitudine (e parlo soprattutto e prima di tutto pensando in primo luogo a me stesso) di avviare una discussione ed un approfondimento su alcune tematiche come quelle che sono state evidenziate nel titolo dell’iniziativa odierna.

La giornata che abbiamo organizzato sarà caratterizzata da due interventi programmati: in effetti il secondo intervento quello previsto da parte di Italo Moscati, Presidente del Centro per l’Arte Contemporanea “Luigi Pecci” che ci ospita, viene rinviato ad una prossima occasione in quanto chi lo doveva tenere ha avuto un contrattempo, si è scusato ma non potrà essere con noi: al suo posto ci sarà un intervento di saluto comunque della struttura – il “Pecci” – da parte del Vice Presidente, il Professor Attilio Maltinti. Ad ogni modo, senza voler sminuire il valore del collega che sostituirà Italo Moscati, devo dire che l’intervento fondamentale dal punto di vista storico, la “lectio magistralis”, sarà quello del Professor Giuseppe Panella, che tratterà del tema “Cesare Beccaria ed il suo “Dei delitti e delle pene”: l’influenza che questa opera ha avuto sullo Statuto Leopoldino, sul Codice Penale Leopoldino”.

Posso però annunciare che proprio per supplire alla improvvisa défaillance di un tassello del nostro Programma proprio perché lo abbiamo saputo soltanto stamattina, abbiamo pensato di farvi cosa gradita nel presentarvi per intero (in un primo momento avevamo previsto di utilizzarne solo un brano) il film di Krzysztof Kieslowski, “Quinto comandamento: non uccidere” che fa parte del “Decalogo” di quel regista.

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20 aprile – Quel che si poteva e non si è fatto in questo anno pandemico – parte 3

3.

Aggiungerò riflessioni ripetute ed apparentemente banali. Con la convinzione che nelle banalità si concentri la verità, quella incontrovertibilmente emersa da esperienze concrete (quella che chiamiamo “vox populi…”) , quelle che sono state evocate nel primo blocco: allorquando si festeggiava (tutti lo potevano fare, anche se “est modus in rebus”) ma non si prevedevano i contraccolpi di alcuni comportamenti irresponsabili. Ad essere in perfetta equidistanza posso inserire la dabbenaggine di chi considerava finita la pandemìa “festeggiando” con una pubblicazione “Perché guariremo. Dai giorni più duri a un’idea nuova di salute”, troppo affrettatamente preparata, e quelle affermazioni patetiche dei difensori delle discoteche ( “Provvedimento senza senso. La mia resta aperta” e “Ma che me frega, io non chiudo!” ) da parte di alcuni “alti” rappresentanti del “popolo” delle Destre. Temo che ci risiamo. La campagna vaccinale è partita solo con grandi aspettative ma non ha raggiunto i livelli ottimali per poter garantire, non dico “l’immunità di comunità”, una efficacia in grado di poter riprendere pur con mille cautele le attività sociali connesse ad una parte considerevole delle attività produttive, fermate in toto o in parte. Il “rischio ragionato” di cui parla il Governo è a tutti gli effetti una concessione fin troppo benevole a coloro che hanno spinto, in modo anche minaccioso, perché tutto si riaprisse, “immediatamente”.

Non è passato neanche un giorno dalla Conferenza Stampa del Governo (Draghi e Speranza) e per quel che riguarda Prato, che a sorpresa – a causa, sembra. di una promessa dell’ineffabile Presidente della Regione – è ritornata ad essere “zona arancione”, pur permanendo in modo oggettivo il numero dei contagi settimanali superiori a 250 ogni centomila abitanti – limite indicato dal Governo centrale come discrimine tra l’arancione ed il rosso – si è assistito ad una sorta di liberazione che non lascia ben sperare per i prossimi giorni. Quel che è accaduto in Sardegna che da zona bianca è precipitata ad essere “rossa”, direi “rossa intensa”, molto rapidamente, non ha insegnato nulla. “Rischio ragionato” non basta; occorrono, laddove necessiti, agire con severità. Supermercati pieni fino all’inverosimile, bar ed altri consimili esercizi commerciali assaltati da avventori assetati ed affamati non tutti rispettosi delle regole di prevenzione, giardini e parchi stracolmi di famiglie che non attendevano altro che “riprendersi la vita”. Per quel che riguarda la scelta “toscana” è apparsa a tutti l’insensatezza di riaprire Prato e Firenze (da “rosso” ad “arancione”) non il lunedì ma già dal sabato pomeriggio. A dirla tutta, anche nel periodo del “rosso” a Prato c’era troppa trasgressione ed è stata questa permissività a incentivare in gran parte (molti dei contagi provenivano anche dall’ambiente lavorativo artigianale e industriale) la diffusione del virus.

E non bastano i moniti dei Sindaci (leggi tranche articolo del “Corriere Fiorentino” del 16 aprile, qui sotto “in corsivo”) a risolvere il problema: ci vogliono scelte decise, dure, drastiche. Lo ripeto: in questa “partita” non c’è Destra o Sinistra, c’è la scelta tra la Vita e la Morte.

«Dobbiamo essere tutti consapevoli che comunque non siamo fuori dall’emergenza, il virus non sparisce domani», comunque «prendiamo atto della decisione del Presidente Giani che analogamente ai comuni della Piana fiorentina ha deciso anche per Prato e provincia, dove il tasso è di 282 positivi ogni 100mila abitanti, il passaggio a zona arancione». Così in una nota unitaria i sindaci di Prato, Montemurlo, Poggio a Caiano, Carmignano, Vaiano, Vernio e Cantagallo intervengono sulla decisione della Regione che ha uniformato le province a unico colore Covid, l’arancione. «La comunicazione iniziata una settimana fa in cui si preannunciava la zona arancione per sabato alle 14 ha creato aspettative e un po’ di confusione – proseguono i sindaci pratesi -, ma siamo certi che la decisione del Governatore, che ha disposizione tutti i numeri anche sugli ospedali, sia stata ponderata. Riteniamo che i cittadini e le attività economiche dovrebbero sempre essere informate con un congruo anticipo di qualsiasi tipo di decisione». I sindaci ribadiscono: «Dobbiamo essere tutti consapevoli che non siamo fuori dall’emergenza, domani alle 14 non sparisce il virus».

18 aprile – Quel che si poteva e non si è fatto in questo anno pandemico – 2

Quel che non è stato fatto lo scorso anno potrà ben essere messo in atto in queste prossime settimane. Non lasciarsi illudere dai dati meno severi e tanto meno dalle prospettive di una accelerazione delle fasi di vaccinazione dovrebbe essere pratica oggettiva da parte di tutti noi, così come il rispetto delle regole che devono essere precise, dettagliate, e alle cui infrazioni dovrebbero corrispondere sanzioni altrettanto rigorose. Pur considerando ormai assodata la cronica malattia che – al di là delle pandemìe – colpisce tutti noi – mi riferisco alla amnesia congenita – questa volta dobbiamo fare uno sforzo per ricordare meglio quanto sia accaduto lo scorso anno più o meno in questo periodo. Basta uno sguardo superficiale su Google digitando – come ho appena fatto – “2020 fine del lockdown” per scoprire cosa pensavamo che stesse accadendo a metà maggio con gli annunci di aperture generalizzate di tutti i settori pur con tutte le regole da rispettare nella consapevolezza che si dovesse attendere l’arrivo dei vaccini.

Sul sito di quotidianosanita.it il 26 aprile 2020

Si leggeva 

Dal 18 maggio, invece, riaprirà il commercio al dettaglio mentre per l’attività ordinaria di bar, ristoranti e affini si dovrà aspettare il 1° giugno, quando riaprianno anche barbieri, parrucchieri e centri estetici. Dal 18 maggio possibile apertura anche per musei, mostre e allenamenti sportivi per le squadre.

Su Rainews del 16 maggio con il titolo

Le linee guida delle Regioni si trovano tutte le indicazioni, molte delle quali non verranno rispettate

 Il documento che racchiude le linee di indirizzo per la riapertura delle attività economiche e produttive, e che ha trovato un accordo bipartisan incassando pure il placet del governo, è un corollario di indicazioni, obblighi e raccomandazioni sul come tentare di ripartire cercando però di contenere l’avanzata del coronavirus. Nei ristoranti potrà essere rilevata la temperatura corporea, impedendo l’accesso a chi ha una temperatura superiore a 37,5 gradi. Obbligatoria la presenza di gel e disinfettanti, mentre gli elenchi delle prenotazioni dovranno essere conservati per 15 giorni. Nei ristoranti con all’interno i tavoli dovrà essere garantita la distanza tra un tavolo e l’altro di almeno 1 metro. Stop a buffet mentre la consumazione sul bancone potrà essere consentita se verrà garantita la distanza. Mascherine per il personale ma anche per i clienti che non saranno seduti al tavolo. Barriere dinanzi la cassa, igienizzazione del tavolo e menu online. Ma si potrà andare al mare questa estate? Se sì, con quali regole? Raccomandate le prenotazioni, le regioni raccomandano di garantire il distanziamento tra gli ombrelloni di un metro e mezzo. Le attrezzature come lettini, sedie a sdraio, ombrelloni vanno disinfettati ad ogni cambio di persona o nucleo famigliare. Distanza di un metro pure tra i bagnanti nelle spiagge libere. Per quanto riguarda gli sport da spiaggia, ok a quelli individuali (es. racchettoni) o in acqua (nuoto, surf, windsurf, kitesurf), vietati invece gli sport di squadra (es. beach-volley, beach-soccer).

Le spiagge, in modo particolare quelle organizzate (non quelle “libere”, ad esempio), erano affollatissime. In alcune pinete spazi riservati a luoghi di ritrovo, pub o discoteche, erano frequentatissimi da avventori poco rispettosi delle regole. In linea di massima si pensava di essere abbastanza immuni, soprattutto se giovani e forti, dal contagio.

Questo si scriveva il 21 maggio su un sito giornalistico online

ilfaroonline.it/2020/05/21/gli-interminabili-69-giorni-del-lockdown-una-storia-infinita-o-manca-solo-il-finale/340419/

“Dal 18 maggio tutte le speranze possono essere verificate, al di là che si ritornerà o meno alla cosiddetta “normalità”.
Ma quello che è urgente è recuperare il senso e la sicurezza della quotidianità; rimettere in moto settori vitali per il benessere e la qualità della vita di tutti: in primo luogo l’economia, il lavoro, le scuole, i servizi sociosanitari, le opere pubbliche, il senso di comunità e di civiltà.

Chiunque abbia delle responsabilità istituzionali e politiche per far sì che tutto questo accada non può tirarsi indietro. È il momento che ogni azione e ogni provvedimento sia pensato e condiviso; è il momento di agire con competenza, professionalità, onestà e rispetto per gli altri, in particolare per chi si trova in condizioni di disagio e di fragilità. Quello che prima dei “tempi del Coronavirus” era normale non fare, adesso deve diventare straordinariamente normale fare.”

Il 23 maggio sul sito del Corriere della Sera  si legge

L’Italia spera nel vaccino tra una ricerca di una mascherina e le lunghe code ai supermercati. Si guarda con interesse a quello che accade ad Oxford dove un team di ricercatori – di cui fanno parte anche tre italiani – annunciano di aver sperimentato un possibile antidoto su un ragazzo australiano: Edward O’Neill.

Il 27 aprile il premier Conte arriva per la prima volta in Lombardia da quando è scoppiato il virus e lo fa per annunciare l’avvio della Fase 2: «E’ la fase di convivenza con il virus non di liberazione dal virus. Non ci sono le condizioni per ritornare alla normalità». Nei giorni successivi, invece, proprio a Milano si registrano assembramenti nei parchi e nei luoghi della movida.

Ovviamente questi stralci sono un utile promemoria per evitare di incorrere negli stessi errori commessi un anno fa.

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14 aprile – reloaded da 19 dicembre 2017 (e 15.10.2018) Pasolini, don Milani, Gramsci e Danilo Dolci sarebbero degli “incompresi” (anche) oggi

reloaded da 19 dicembre 2017 (e 15.10.2018) Pasolini, don Milani, Gramsci e Danilo Dolci sarebbero degli “incompresi” (anche) oggi

Augias ha funzionato da “galeotto” con la puntata dedicata a Firenze (Città segrete – 10 aprile 2021 Rai Tre) https://www.raiplay.it/video/2021/04/Citta-segrete—Firenze—10042021-a5a826bc-33a0-49c1-8d52-9cd43ede5440.html

Qualche commento a post sui social intorno alla figura di don Milani mi ha fatto ricordare che negli anni scorsi ho trattato in diversi post i temi prioritari del suo “magistero”, che per tanti di noi hanno avuto un immenso significato

Il mio “santuario” laico

L’affermazione è semplice, forse una delle tante banalità cui il web ci ha abituati, ma continuando a leggere e rileggere le pagine di questi grandi uomini del secolo scorso e praticando le piattaforme dei social mi rendo sempre più conto che questi personaggi “incompresi” nel loro tempo avrebbero il fiato corto anche oggi, di fronte ad una società sempre più immiserita culturalmente, sempre più imbarbarita nei rapporti umani e sociali, incapace di risollevarsi da una crisi epocale che ha fatto smarrire artificiosamente la bussola delle ideologie, rendendo tutto nebbia, melma, fanghiglia indistinta. Essendo poi inevitabilmente protagonisti dell’attualità, non necessariamente di primo piano e non solo, portiamo la stessa responsabilità di tutti quelli che noi accusiamo: il mondo politico, quello culturale, quell’altro dell’impresa e della finanza rappresentano questo degrado nel quale noi nuotiamo. La frammentazione politica, collegata alle pretese poco più che personali di quadri dirigenti cresciuti esclusivamente per concorrere a carriere proprie e dei propri “grandi” sostenitori sta creando un brodo di coltura di gruppi reazionari che non promette nulla di buono per il futuro (fascisti, neonazisti, oltranzisti di sinistra); la Cultura, complice una Politica scolastica sempre più burocratica e meno umana, sempre più legata alla formazione di futuri “schiavi”, sta divenendo un semplice strumento mercantile ad uso di lobbies finanziarie ed industriali.
Di fronte a tutto questo proviamo una certa consolazione mentre, nel chiuso delle nostre aule o dei nostri studi privati, scorriamo le pagine dei “grandi” del secolo scorso. In esse la denuncia di un “disastro”, un’apocalisse prossima ventura della quale non siamo riusciti a comprendere la gravità.
Forse non tutto è perduto, ma occorrerebbe che il personale politico rinsavisse e facesse lo stesso il mondo della Cultura.
Non mi riferisco purtroppo per ora a nessuna delle forme partitiche vecchie e nuove che si sono profilate negli ultimi giorni o che lo faranno nei prossimi. Occorre uno sforzo immane di generosità, una capacità di fare qualche passo indietro personale per consentire di fare qualche passo avanti collettivo.

Non avverto tuttavia ancora questa consapevolezza e mi fanno paura soprattutto più le “ipocrisie” degli annunci che i “silenzi”!

Quel che è particolarmente strano, forse lo è per me ma non per tanti altri, è l’occasione che mi ha sollecitato a scrivere questo post: non ci avevo pensato fino a questo tardo pomeriggio.
Ho letto un’intervista che il giovane e bravo giornalista Stefano Feltri fece a Fabrizio Barca nel 2013: è pubblicata in apertura del libro “La traversata – Una nuova idea di partito e di governo” edito da Feltrinelli nella collana Serie Bianca”.
Da quel tempo è passata un’eternità: eppure sono appena quattro anni. Archeologia politica che ha tuttavia una funzione straordinariamente illuminante su quel che si poteva fare, su quel che si è fatto. Si poteva costruire una Sinistra nuova, si è distrutta quel poco che c’era.
Rileggendo quelle pagine si può comprendere molto del disastro che ha compiuto Renzi e tutte/i coloro che lo hanno sostenuto pensando al proprio tornaconto o inconsapevolmente. Soprattutto a queste/i ultime/i inconsapevoli consiglio vivamente di procurarsi il libro e rendersi conto di quanto è avvenuto.

A presto con riflessioni politiche e culturali

Joshua Madalon

12 aprile – CANI GATTI E FIGLI – il nostro primo figlio era”peloso” – parte 4 (per la 3 vedi 2 febbraio)

CANI GATTI E FIGLI – il nostro primo figlio era”peloso”

Parte 4

La proprietaria della mansarda che aveva seguito con curiosità le nostre manovre da una sua finestrella mi portò un sacchetto con un residuo di lettiera che aveva per un suo gatto che da qualche mese aveva perso anche la sua “settima” vita ed era stato sepolto nel giardino sotto casa.  Era a tutta evidenza un modo per solidarizzare con noi e condividere la gioia di questo “lieto evento”, inatteso.

Mary ritornò molto presto.  Intanto mi ero accorto che si trattava di una gattina. Lo dissi subito a Mary, al suo ritorno.  Aveva raccolto  i consigli di una delle farmaciste, della quale conosceva la passione per i gatti, e così era passata  a comprare del latte “senza lattosio”  da riscaldare, come le era stato suggerito, solo leggermente per renderlo più simile possibile a quello della “mamma-gatta”.

Procedemmo subito alle operazioni di “ristoro” ed il micetto,  sfibrato dal lungo digiuno, si accoccolò famelico e dolcissimamente paziente tra il mio busto ed il braccio, chiudendo gli occhi e suggendo con immenso piacere il latte, stringendo con le zampine anteriori il piccolo biberon. Dopo un po’, beato, sembrò addormentarsi continuando a suggere le ultime goccioline. Era un piccolo esserino che entrava a far parte della “famigliola”; mi accorsi che, una volta smesso di nutrirsi, aveva un grande piacere a rimanere accoccolato con la punta del mio indice in bocca, come un bambino con il suo ciuccio. Era uno spettacolo guardarlo, con una grande immensa tenerezza.

Poi, però, si pensò che avrebbe dovuto abituarsi alla sua vita autonoma e lo depositammo nello scatolo apprestato a cuccia. Probabilmente i panni non erano tiepidi come le mie braccia e scattò fuori miagolando. Seguiva me, ma non avrei mai potuto sostituire “mamma gatta” e facendoci forza né io né Mary lo riprendemmo “in collo”. Allestimmo uno spazio riservato alla “lettiera”, pronti ad interpretare i “bisogni” per evitare che utilizzasse qualsiasi altro angolo della mansarda. Quando si avvertiva che era il momento, lo si prendeva per la collottola, così come fanno le “mamme-gatte” e lo si adagiava nel giaciglio appositamente preparato all’uopo. Occorreva fare attenzione, perché di norma le prime volte cercava di sfuggire; ma a quel punto lo si riagguantava e lo si riportava dove avrebbe dovuto “imparare” a svolgere quelle pratiche. Dopo un paio di tentativi, il meccanismo educativo andò in funzione con regolarità.

La sera, però, quando per noi “umani” era ora di andare a dormire, non c’era verso di indurre il micetto, che avevamo chiamato “Pussypussy”, a rimanere nella sua “cuccia”. Di norma noi chiudevamo la porta della camera da letto non tanto per “privacy” quanto per il clima freddo tipico di quella realtà (c’è un detto: “Se vuoi soffrir le pene dell’inferno vai a Trento d’estate e a Feltre di inverno”), ed il riscaldamento era centralizzato e funzionava fino all’incirca alle otto di sera, quando i proprietari che lo regolavano andavano a letto. Ovviamente i nostri ritmi erano un po’ diversi ma ci adattavamo.

…4…

11 aprile – PIU’ GIOVANI PIU’ DONNE – sesta parte – le amare conclusioni

PIU’ GIOVANI PIU’ DONNE – sesta parte – le amare conclusioni

Questa serie di “post” è un vero e proprio pretesto per sviluppare quella che potrebbe apparire una mia forma di misoginia  e di sottovalutazione del ruolo dei giovani, ma che, io,  in verità, considero un modo per essere meno ideologico e più concreto di guardare alla realtà dei fatti. Quanto all’importanza di una maggiore e più qualificata presenza delle donne in funzioni direttive di primissimo livello e al bisogno di guardare al rinnovamento dei metodi della Politica incentivando e qualificando la presenza dei giovani – donne e uomini – sono stato sempre tra coloro che non solo lo hanno teorizzato con le “chiacchiere” banali dei documenti e delle discussioni accademiche ma lo hanno cercato di mettere in pratica, contribuendo all’inserimento di queste figure nei meccanismi amministrativi locali. Si è rivelato, questo mio impegno, quasi sempre, ma per mia diretta esperienza troppo spesso fino ad oggi, una delusione immensa. Quella nota del  mio ultimo interlocutore (“è vero i giovani assomigliano sempre più agli adulti…. quelli peggiori…. “)    conteneva una profonda verità, valida per tutti, addirittura, mi sento di aggiungere, a partire da chi scriveva. Ho la netta sensazione che sia ormai una regola, secondo la quale i “giovani” che si accostano alla Politica e se ne rendono asserviti allo scopo di utilizzarne gli aspetti utilitaristici a proprio esplicito vantaggio, perdono contestualmente quella forza creativa innovativa rivoluzionaria che dovrebbe essere appannaggio di quella condizione esistenziale. Finiscono per avviare uno scimmiottamento dei modi adulti, fino a diventare parte integrante di quel meccanismo che essendo condizionato da diverse forme compromissorie ne blocca le spinte che potevano essere considerate tipicamente “giovanili”. Già in questa fase la presenza dei “generi” è fortemente squilibrata, ma abbastanza meno che nel prosieguo e su questo “passaggio” ovviamente dovrebbe essere posta maggiore attenzione ma senza alcun “bilancino” meccanico come a volte accade con il sistema delle “quote”. E’ orribile e mortificante quella sorta di “caccia” che dalle sedi politiche parte molto spesso alla ricerca di “figure” che possano equilibrare i “generi” nelle liste. Ogni forza politica dovrebbe prevedere tali presenze in modo “organico” e qualificato, non ridursi agli ultimi attimi per tale scelta, correndo il rischio di fermarsi molto all’apparenza e poco alla consistenza. Una volta “inserite” la frittata è fatta!

Tornando al tema dei “giovani” in Politica e per giustificare al massimo il senso della mia delusione, vi aggiungo un fulgido esempio, il più elevato che io possa utilizzare. Il nostro Paese ha conosciuto nell’ultimo decennio l’ascesa ed il declino del più “giovane” Presidente del Consiglio (tralascio giudizi su quel che è ora) ed a me non è apparsa, quanto all’ equilibrio di “genere”, molto qualificata (al di là di una affidabilità verso il “capo”) la presenza femminile dei rappresentanti del suo Partito nel suo Governo.

Aggiungo infine che, diversamente da tanti altri che si sono entusiasmati davanti alle discese in campo delle “Sardine”, ho espresso da subito molte perplessità su quel “movimento” e mantengo verso di esso una distanza, pronto a ricredermi, anche se permango in ciò dubbioso, conoscendo i costi della Politica e allo stesso tempo considerando impossibile un impegno politico di quel peso, scevro da introiti riferibili ad attività di lavoro in proprio.

Ciononostante spero che i “giovani” possano mantenere intatto il loro potenziale di rinnovamento di cui fino ad ora non ho trovato e non trovo, ahimè purtroppo, alcuna traccia.

Ne riparleremo, di certo.