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PACE E DIRITTI UMANI – XXVII- per la XXVI vedi 29 ottobre

Parte XXVII

Stiamo avvicinandoci alla data del 30 novembre. Il 30 novembre del 1786 fu promulgato e pubblicato il “Codice Penale Leopoldino” voluto dal granduca di Toscana Pietro Leopoldo d’Asburgo. Il 30 novembre del 2000 per la prima volta la Regione Toscana indisse la Festa della Toscana, collegandola a quello straordinario evento:
per la prima volta nella storia del mondo moderno venivano abolite la tortura e la pena di morte . Questi post riportano la trascrizione degli Atti di un Convegno molto importante che si svolse in quella occasione presso il Centro per l’Arte Contemporanea “Luigi Pecci” di Prato

Riprende la parola il professor Giuseppe Maddaluno:

Bene, grazie Attilio. In ogni caso, come si è compreso e visto i tempi, abbiamo finito gli interventi programmati, ma li abbiamo finiti cominciando; praticamente, come ha fatto, e ha fatto molto bene, Attilio Maltinti che ci ha posto delle domande. Sarà, dunque, compito vostro degli allievi come voi più sensibili e dei vostri docenti riportare in piena autonomia la discussione nelle classi, nelle Assemblee scolastiche.

Purtroppo credo che abbiamo dei grossi problemi stasera con i “tempi”, è interessante però quello che tu, Attilio, dicevi, ben collegato con tutto il resto che è stato qui proposto da parte di tutti gli intervenuti.                                                                                                                                                                                                 Però, rispetto a quello che dicevo in apertura, questo per noi è un inizio di un cammino, di un percorso: chiudiamo con delle domande, apriremo on queste domande i prossimi incontri. I tempi tecnici, a causa del ritardo che si è accumulato, sono piuttosto pressanti, perché dovrebbe partire il film e non appena finisce il film dopo almeno 15 minuti nella stessa sala comincerà il concerto, perché sono già le 17.30 e prima delle 18.30 il film non finisce, con 15 minuti di ritardo, speriamo di riuscire tecnicamente anche a fare questo, comincerà il concerto, che è altrettanto interessante e ci saranno tanti di voi che lo vorranno seguire, non dico che qualcuno sia venuto appositamente per loro, ma può essere anche così.

Io ringrazio tutti, speriamo di avere inserito degli stimoli, vi saluto per adesso, spero intanto che voi rimaniate ancora con noi a vedere il film e poi a seguire il concerto, e che siate nel pubblico presente ai prossimi incontri. Grazie. Buona sera.

Così termina la giornata dedicata alla Festa della Toscana del 30 novembre 2000.

Lo scorso 3 giugno del 2019 cominciai a pubblicare il testo dell’intervento che il prof. Giuseppe Panella svolse nell’occasione della celebrazione della Festa della Toscana, indetta per la prima volta proprio nell’anno 2000, il 30 novembre. In quel post iniziale elenco molti degli aspetti che quella occasione significò. L’input a pubblicare sul mio Blog quegli interventi mi venne spontaneo dalla prematura morte dell’amico Panella: anche per questo, desiderando solo riportare il “suo” corposo intenso intervento, avevo all’inizio escluso di inserire quello di altri, a cominciare dal mio che volli “omettere”. Strada facendo, però, ho pensato di aggiungere gli interventi successivi, oltre a quelli miei di coordinatore, sia quelli istituzionali sia quelli culturali. Anche per questo motivo ed al di là di una mia personale “vanità” aggiungo nei prossimi blocchi la mia introduzione, quella che avevo omesso.

Chi lo desidera può intanto consultare il post  di cui riporto lo shortlink

DENTRO IL LOCK DOWN – la Sanità e la Scuola

LA SANITA’ E LA SCUOLA

Nei mesi scorsi ho scritto una serie di post nei quali evidenziavo le ombre e le luci della Sanità toscana. Tra le “ombre” ponevo in primo piano le manchevolezze della parte amministrativa gestionale troppo legata agli apparati politici; tra le “luci” invece sottolineavo la cura, l’impegno professionale – innanzitutto – e quello umano – non secondario – degli operatori, tutti indistintamente. Se la Sanità funziona  lo dobbiamo a loro che tra mille difficoltà cercano di tappare le numerose falle del sistema. E’ infatti soprattutto questo che non riesce a funzionare; questo – il sistema – e l’assenza di operatori capaci tecnologicamente e numericamente adeguati a rinnovare i meccanismi di elaborazione e condivisione al massimo dei dati, a far funzionare le più avanzate e moderne tecnologie per velocizzare i processi.

Accade però che in molte occasioni, come d’altronde è accaduto anche a me, gli utenti si adattano a vivacchiare in contesti discutibili, che tuttavia passano in secondo piano, ed esprimono un grado di soddisfazione fermandosi a valutare in modo esclusivo le prestazioni sanitarie finali, quelle degli operatori con i quali si entra in diretto contatto. A volte avviene anche il contrario, ma è fuorviante e sbagliato, allorquando per i disservizi vengono attaccati proprio coloro che non ne possono e non ne sono responsabili.

Trattando pur in maniera superficiale il tema delle nuove tecnologie e la loro scarsa applicazione pratica a sostegno degli apparati “burocratici” (il termine è quanto mai come in questo caso doverosamente portato verso la sua accezione negativa) mi sovviene il tono di un post pubblicato sull’account di una mia amica

FUTURO
“ Non vorrei mettervi ansia ma tra dieci anni l’appendicite ve la farà un medico che oggi è alle superiori e sta facendo didattica a distanza in mutande davanti all’ Xbox mentre mangia merendine.

Abbiate cura di voi “

Molti negli ultimi tempi lamentano i danni che la DaD comporterebbe. Sono dell’opinione che questa “tragedia” farà crescere la preparazione digitale sia tra i docenti (la maggior parte dei quali sono “analfabeti” parziali o totali sotto quell’aspetto) che tra gli studenti. Condivido la preoccupazione collegata alle differenti basi economiche familiari da cui partono gli studenti ma il superamento di tali disuguaglianze deve essere compito prioritario dello Stato, doveva esserlo già da tempo, ma la tromba della Storia si è assunto il ruolo di svegliarci ed anche in questo tempo “non è mai troppo tardi!”.

Tutti siamo arrivati impreparati a questo “appuntamento” inatteso. Sarebbe ottima cosa se la classe docente e quella politica di riferimento settoriale si ponesse a disposizione per poter meglio  cogliere gli aspetti positivi. Troppi sono ancora abituati a interpretare l’insegnamento come un mero “travaso” di nozioni o poco più – se va bene – e troppi ancora sono abituti ad insegnare in modo esclusivamente frontale. Se leggiamo il giudizio di questo giovane che è riportato in un articolo de “La Repubblica” del 2013 potremmo pensare che in quel tempo si fosse nel lontano Medioevo: ma no! Non è cambiato davvero nulla da allora. E’ soltanto accaduto che la pandemìa ha scoperchiato la realtà. Il rischio, come spesso accade, è che, una volta risolto il “problema sanitario” (già si festeggiano i vari vaccini in arrivo), finisca tutto “in cavalleria”.

https://scuola.repubblica.it/sicilia-catania-lcspedalierisede/tema/gli-studenti-non-sono-vasi-da-riempire-ma-fiaccole-da-accendere-cosi-e-la-scuola-italiana/

In definitiva, e per ora, a quel post intitolato FUTURO risponderei con le immagini dei tre “DIRIGENTI” della Regione Calabria (ALTI Dirigenti!); sono il “MEGLIO” di quanto noi disponiamo. Potete pensare che abbia fatto bene loro la Didattica in presenza?

DENTRO IL LOCK DOWN – prima durante e ora

DENTRO IL LOCK DOWN – prima durante e ora

Durante la prima fase della pandemìa ci ha sorpreso la capacità di resilienza del popolo italiano, quasi entusiasta di poter essere alla ribalta con delle sortite “magiche”. Abbiamo potuto vedere immagini di compostezza: una delle prime apparse e diffuse in tutto il mondo è stata quella della lunga fila di persone  nel piazzale antistante all’Esselunga di Prato in via Fiorentina in attesa dell’apertura del supermercato il primo giorno di lockdown. Poi c’è stata una lunga sequenza di interventi, alcuni dei quali “geniali”, innovativi, con il “privato” che diventava “pubblico” sui diversi “social”. Abbiamo riscoperto il fascino delle “case di ringhiera”, quelle dove a Milano i condòmini, in particolare quelli di origine forestiera – immigrati interni provenienti nella maggior parte dal Sud – condividendo i ballatoi comunicavano in modo dilatato, dialogando con le persone degli altri condomìni. Abbiamo urlato e cantato l’inno italiano e qualche altra canzone, diffondendo il tam tam sulle piattaforme sociali. Un po’ alla volta abbiamo avuto modo anche di apprezzare l’impegno di quella parte di artisti resilienti che mettendosi insieme in un loro progetto “a distanza” hanno composto concerti e performance di altissimo livello qualitativo.

Di fronte a tutto questo, che è solo una minima parte delle cose buone (quelle “cattive” sono state soprattutto i lutti che hanno colpito tante persone, tante famiglie, tanti affetti), non abbiamo esitato a diffondere, credendoci davvero, che sarebbe andato “tutto bene”!

Il livello di guardia in maniera generica per tutti noi (tantissimi di noi) non è venuto meno con la riapertura delle attività lavorative, ma alcune scelte e soprattutto la scarsità ( diremmo meglio “assenza totale”) dei controlli dall’inizio dell’estate fino ad oggi (“fino ad oggi” va sottolineato) hanno condotto al disastro attuale.

Di recente, vi è stata un’inchiesta intorno al tema della “riapertura delle discoteche”. A leggere l’articolo che allego (da “Money.it” del 31 luglio 2020) non vi è stata esplicita autorizzazione alla riapertura, ma un’affermazione pilatesca da parte del Ministro Speranza riportata tra virgolette “Se le Regioni decideranno di farlo autonomamente, possono eliminare le restrizioni ma dovranno assumersene le responsabilità”.

https://www.money.it/discoteche-slitta-riapertura-nuovo-dpcm

In realtà si è continuato a non intervenire solo quando sono scoppiati i contagi. A luglio, per nostra esperienza diretta, girando per le strade nei luoghi della nostra vacanza spesso si incrociavano gruppi resistenti agli obblighi di prevenzione e nel chiuso boschivo retrodunale in alcuni spazi si organizzavano festini “alternativi” alle regole. Andavano sanzionati; invece hanno contribuito a far dilagare il virus non appena il caldo si è attenuato. In alcuni luoghi non ci si è nemmeno nascosti e si è derogato ampiamente: il tutto in nome della libertà di impresa ed a scapito della salute pubblica.

Altro grave errore, collegato essenzialmente alla prevalenza di una gestione del Potere da parte delle forze politiche, tutte in modo indistinto (non c’è Sinistra o Destra che si distingua), è stata la volontà di far partire la campagna elettorale per il rinnovo degli organismi amministrativi regionali e comunali in piena Estate ed in piena crisi pandemìca.

Su questo tema abbiamo più volte espresso il nostro dissenso, motivato dal fatto che in piena post-pandemìa (quella che credevamo “post” ma che era solo una timida sosta) mettere in moto meccanismi che – per essere “democratici” – devono essere in grado di coinvolgere il massimo dei cittadini, è da irresponsabili. Ne parleremo, così come parleremo anche della Sanità in Campania (quella della Toscana l’abbiamo già trattata in alcuni post).

DENTRO IL LOCK DOWN – rassegnazione e assenza di speranza

DENTRO IL LOCK DOWN – rassegnazione e assenza di speranza

Non ho mai avuto desiderio di polemica in questi ultimi mesi; piuttosto c’è stata una sorta di rassegnazione che si è accompagnata però in modo contrastante ad una serie di proposte alternative molto legate ad un realismo concreto, formulato soprattutto in base a verifiche non connotate da forme ideologiche.

Ribadisco che la parola “rassegnazione” ha un sostrato per me insopportabile; non fa parte del mio carattere, del mio DNA. Pur tuttavia è collegata alla impossibilità di avere, in questo momento, ma – purtroppo – non solo in questo, delle speranze verso il futuro . Mi ritrovo a condividere molto tardivamente quel che diceva Pasolini in questa intervista ad Enzo Biagi del 1971.

L’ho scritto, l’ho detto, lo confermo: a questo Governo non c’è alternativa possibile; anche se questo Governo squinternato nella sua palese diversità interna non appare in grado di poter affrontare pienamente la crisi sanitaria e quella economica.

Allo stesso tempo, tuttavia, ho avanzato critiche e rimproveri, assolvendo al compito civile che anche il più piccolo uomo di questo Paese ha il dovere ed il diritto di svolgere. Utilizzo questo Blog a tale scopo.

Ho parlato della Scuola. Ci ho vissuto una vita ed ho conosciuto come è fatta la maggior parte degli edifici; ho anche verso la fine dello scorso millennio ingaggiato battaglie, contenziosi che sto documentando un po’ alla volta, proprio sugli spazi scolastici, sui criteri di sicurezza di questi (in un post scrivevo che in qualche caso venivano “stiracchiati” e adattati “alla bisogna”) e sulla protervia di alcuni amministratori, che seguono criteri incompatibili con la comune ragione. E sulla Scuola ho rilevato molte approssimazioni in questi mesi, molte più di quanto sarebbe stato logico attendersi da un Governo all’interno del quale vi erano “contestatori integralisti” verso il Potere (“Apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno” aveva detto il loro Leader tempo addietro) che lasciavano ipotizzare grandi cambiamenti. In realtà quella forma movimentista ha perso nel corso di questi anni, insieme alla forza propulsiva e innovativa, anche la metà dei suoi voti: e quest’ultimo aspetto non è affatto irrilevante; questo Governo è inevitabilmente non più rappresentativo. A poco serve consolarsi con il fatto che l’attuale Presidente del Consiglio abbia ancora un discreto sostegno popolare; quasi certamente fa parte di quella “rassegnazione”, quell’assenza di speranze alternative che caratterizza anche me.

Uno degli atteggiamenti che non mi è piaciuto sin dal primo momento dell’avvento in questo Esecutivo governativo della Ministra Azzolina è quello che emerge dai video qui sotto riprodotti. Non credo di essere colpevole di sessismo, e non voglio esserne sospettato minimamente ma non si può tollerare che un Ministro in carica attacchi in modo così virulente un Ministro che ha appartenuto allo stesso identico Esecutivo.

Mi sono sorpreso di questo atteggiamento e l’ho voluto giustificare per l’inesperienza della Ministra. Ma poi ho capito, abbiamo capito.

Quanto all’insistenza con cui ha chiesto di mantenere aperte le scuole ne parleremo ancora: ma – a chiusura di questo post – voglio dire che non c’era bisogno che lo confermasse il virologo Crisanti: è lapalissiano rendersi conto del grande pericolo di contagio prodotto dalla presenza degli studenti a scuola. Il virus è “invisibile” e contagia in modo anche (direi “soprattutto”) asintomatico. Chi lo accoglie lo veicola già in presenza, quando vi sono comunque masse di individui, e le mascherine diventano un inutile palliativo; poi lo trasporta con sé in giro. D’altronde, il tracciamento è “fallito” ed il virus ha dilagato in lungo e in largo per il Paese.

14 novembre – UN PROGETTO PER IL CINEMA – Prato 2 gennaio 1984 – pubblicato per intero (dal 5 giugno al 16 ottobre 2020)

UN PROGETTO PER IL CINEMA – Prato 2 gennaio 1984 – pubblicato per intero (dal 5 giugno al 16 ottobre 2020)

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Un progetto per il cinema – Prato 2 gennaio 1984 – testo intero

Premessa datata oggi giugno 2020 (ad evitare fraintendimenti)

Ero a Prato dalla fine del 1982; mi occupavo di cultura cinematografica per l’ARCI, ero coordinatore regionale toscano e membro del Durettivo nazionale dell’UCCA, avevamo fondato ed aperto il Cinema Terminale “Movies”; avevamo deciso di mettere in piedi un progetto per il Cinema a Prato. Come spesso mi è accaduto, non ho mai voluto tergiversare intorno ai problemi; c’era qualcosa che non riuscivo a comprendere: si voleva fare ma non si sapeva come portare a compimento, realizzare tali progetti. Nella Introduzione trovate “subito” le perplessità, le preoccupazioni, anche se amaramente appaiono un po’ polemiche. Subito dopo, ad evitare che si potesse dire che non vi fossero idee e progetti, ci sono idee e progetti complessivi per la città di Prato.

Introduzione

Impegno preso, impegno assolto, questo di presentarvi un progetto (anche se modesto) per l’attività cinematografica a Prato, ed ho posto in esso tutto l’entusiasmo e l’interesse che ho per il cinema, con quel poco di esperienza che ho accuumulato in questi pochi anni. Tuttavia non vedo ancora quelle certezze che sono necessarie per un mio lavoro sereno, affinchè la mia collaborazione possa contare effettivamente, e servire. Personalmente, non ho alcuna frustrazione da cui riscattarmi attraverso ruoli culturali liberatori: ho un lavoro che mi soddisfa e mi impegna, una famiglia felice, un’attività culturale già intensa. Non sarebbe dunque il “Movies” di Prato a garantirmi la felicità, anche se mi interessa vederlo crescere. Esistono delle ambiguità elusive soprattutto sul piano organizzativo e delle incertezze ancora profonde sull’assetto operativo: poichè ritengo in maniera alquanto presuntuosa, di essere in grado di offrire una collaborazione attiva, e necessaria, non considero sufficienti le garanzie del nostro rapporto attuale sia sul piano della riuscita culturale sia su quello economico finanziario, per cui non riesco oggi a prevedere altra soluzione se non quella di ridurre la mia collaborazione allo stesso livello di gran parte dei soci fondatori del nostro Circolo, ricordandovi che ho impegni altrettanto seri ed interessanti a livello regionale e nazionale. Esistono delle pigrizie, che chiamerei assopimenti teorico-politici” che non posso condividere; e poi, cari compagni, a conti fatti, chi me lo fa fare! Consideratemi, tuttavia, in ogni momento a disposizione, laddove si voglia chiarire il tutto ed affrontare ogni questione in maniera più seria e globale.

Dopo questa parte “critica” (l’isolamento nella gestione del Programma che non riceveva consensi da parte del gruppo dei fondatori) ed “autocritica” (nel riconoscere di sentirmi inadeguato, ma orgogliosamente consapevole delle potenzialità che avrei potuto esprimere) non rinuncio ad affrontare gli aspetti culturali necessari per una migliore promozione della nostra proposta.
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UN PROGETTO PER IL CINEMA Prato 2 gennaio 1984 seconda parte (per la “prima” vedi 5 giugno)

Lo “stato del Cinema”

Intendo soffermarmi, anche se solo brevemente, su alcune considerazioni di carattere teorico, che appaiono necessarie a delineare il quadro della nostra realtà e della nostra società entro il quale intendiamo agire per sviluppare le basi per un suo rinnovamento, per un suo miglioramento.
Personalmente ritengo che tutte le premesse teoriche possano servire a riempire molte pagine, ma siano inutili, vuote ed ipocrite senza un progetto serio di attuazione pratica che le sostenga: è inutile quindi affastellare argomenti su argomenti, citazioni su citazioni, è inutile ripetere le stesse idee, spesso le stesse frasi, ormai rese degli “slogan” pronti ad ogni uso, è inutil soffermarsi a far grandi, e quasi sempre uguali, valutazioni sullo “stato delle cose”, è inutile preconizzare mutamenti sociali in positivo senza offrire un progetto di cambiamento effettivo della realtà con la partecipazione attiva delle masse. E certamente, cerchiamo di capirci, quando scrivo “masse”, intendo non una massa di persone indistinte, ma un gruppo sempre più largo di persone coinvolte e a loro volta coinvolgenti, interessate ed interessanti, stimolate e stimolanti, che partecipino con pari dignità , con pari meriti e responsabilità alla gestione dell’Azienda.

Diversamente ci troveremmo di fronte ad un progetto che, pur prevedendo il contributo della gente, in effetti tende ad emarginarla, a renderla soggetto piatto e passivo solamente e privo, se non altro, di capacità analitica. Nello stesso momento, dunque, in cui mi accingo ad esprimere mie opinioni su questa nostra realtà, cerco di sintetizzare teoria e prassi dell’intervento che andiamo a compiere.

Ci troviamo di fronte ad una situazione, soprattutto quella italiana, per quanto riguarda il “cinema” e proviamo ad analizzarla. Questo settore attraversa uno stato di crisi che si trascina da anni ed ha una doppia natura: di idee e di spettatori. Se da una parte le due accezioni praticamente sintetizzano una situazione particolarmente drammatica, che si concretizza poi in una continua e sempre più irreversibile chiusura di sale cinematografiche, dall’altra un nuovo settore viene ad essere privilegiato, quello della televisione, canale di diffusione dei materiali filmici, scelto sempre più frequentemente dagli stessi produttori, come stanno ad attestare le recenti messe in onda de “Il Conte Tacchia”, “Il Marchese del Grillo”, “Il tempo delle mele”, quest’ultimo poi ritirato “in extremis” dalla casa di produzione francese GAUMONT.
Tutto questo si verifica in un contesto, più volte denunciato dalla nostra Associazione, che si caratterizza pr una assenza legislativa colpevole da parte di governi latitanti ed irresponsabili, che non riescono da una parte a costruire una legge sulla cinematografia che sia al passo dei tempi (ma l’iter di una qualsiasi legge di riforma nella nostra storia parlamentare ha raramente permesso di fornire una risposta adeguata ai bisogni reali della gente), dall’altra ad emanare nuove disposizioni che regolamentino l’attività delle televisioni private e che colpiscano duramente quei “network” che trasgrediscono le regolamentazioni preesistenti.

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UN PROGETTO PER IL CINEMA 2 gennaio 1984
Parte 3 (per la seconda parte vedi 24 giugno)

La crisi che attanaglia il settore cinematografico ha riferimenti complessi, che già ricordavo, e se il calo degli spettatori è collegato alla caduta di idee nuove ed appetibili, queste ultime vengono meno di fronte al calo “culturale” degli spettatori. Così assistiamo da un canto alla disponibilità, da parte di produttori interessati al guadagno (che è la differenza in più tra le uscite e le entrate), ad investire capitali che sarebbe anche troppo generoso chiamare di serie “B”, dall’altro canto si verifica che alcuni giovani autori con idee non del tutto disprezzabili abbiano una notevole difficoltà ad affermarsi senza un supporto produttivo e pubblicitario che li sostenga adeguatamente. E’ anche vero che alcuni di questi autori nelle loro prime prove , anche sostenuti da apparati di buon livello, hanno fortemente deluso ed hanno creato, vedi Venezia giovani, una accanita caccia al giovane autore da parte dei numerosi critici, che hanno sparato senza pietà i loro strali acuminati sulle pagine dei quotidiani e delle riviste specializzate.
Parlare di crisi di idee , privilegiandola nella scelta del maggior responsabile di questa caduta, può essere tuttavia fuorviante e scarsamente realistica, perché sarebbe utile spiegarsi come mai film sostenuti da un impianto narrativo assai banale o addirittura inesistente, vedi in qualche modo “Flashdance”, riescano ad ottenere incassi favolosi e come mai alcune scelte di serialità, partendo da un’idea nemmeno troppo originale e geniale, forniscano guadagni da capogiro ai suoi realizzatori. Pur non avendo intenzione in questa occasione di approfondire tali tematiche, io sono convinto tuttavia che non manchino nè idee nè spettatori (in maniera potenziale, si intende) e che questa crisi sia dovuta essenzialmente al vuoto di sotegno, incoraggiamento e proposta politica di cui accennavo pocanzi. All’interno di questa crisi, molto importante e fondaentale si rivela il compito delle associazioni e dei circoli di cultura cinematografica e la loro politica culturale può costituire, pur nella sua umile modestia, un riferimento concreto per quelle istituzioni cui prima di tutto è delegata la salvezza dell’arte cinematografica nazionale e la sua competitività sul panorama internazionale.
Il ruolo delle associazioni e dei circoli di cultura cinematografica è notevolmente cresciuto in questi ultimi tempi, proprio in quanto sempre più alta si fa la richiesta – corrispondente di solito alla chiusura di molte sale periferiche e di alcune anche centrali – di usufruire di una produzione medio-alta, che cozza apertamente contro la politica gestionale di moltissime sale normali. Pare che lo spettatore di media cultura sia complessivamente interessato a seguire un certo tipo di produzione cinematografica culturale in alcune sale, tipicamente denominate “d’essai”.
Questo sembrerebbe confortare in partenza il nostro intervento, anche se la tendenza potrebbe invertirsi, anche se non può essere provato anticipatamente quale sarà la rispondenza effettiva nella nostra specifica realtà, dove già è in attività una sala con caratteristiche affini (la Sala “Borsi”); ed è per questo che occorrerà caratterizzarsi fortemente sul piano di nuovi progetti, è per questo motivo che occorrerà analizzare le assenze culturali ormai consolidate o appena evidenti in un territorio tutto sommato provinciale come è questo nostro di Prato, ed affermare necessariamente in contrasto ma anche come contributo culturale il nostro ruolo propositivo e creativo……

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UN PROGETTO PER IL CINEMA 2 gennaio 1984
Parte 4

Ne deriva che non vi è alcun bisogno comprovato di aprire una nuova sala cinematografica, che affronti in maniera banale e solita la gestione della sua programmazione, riuscendo anche, perché non augurarcelo, ad ottenere un certo successo quanto all’affluenza del pubblico e, di riflesso, alla generosità degli incassi, ma senza fornire alcuna risposta seria ed adeguata alle attese nuove che un pubblico più studiato da vicino, maggiormente coinvolto e stimolato ad esprimere le proprie esigenze, i propri interessi culturali, potrebbe mettere in evidenza con laggiore forza e chiarezza che nel passato.
Due livelli di proposta
Esistono dunque due livelli di intervento: il primo che chiameremo “minimo” si potrebbe identificare, ad esempio, con il “BORSI d’essai” e, peggio, con una sla di tipo parrocchiale, dove unico interesse imperante è programmare, anche se lo si fa in maniera soggettivamente intelligente e funzionale ad un proprio progetto di intervento; il secondo che chiamremmo “massimo” dovrebbe invece comprendere una forma culturale più complessiva, aperta alle istanze ed alle sollecitazioni esterne, quando esse si caratterizzino particolarmente per essere interessanti dal punto di vista sociale e politico e legate ad uno specifico intento culturale, soprattutto nel quadro di interventi di educazione permanente rivolti ai più diversi soggetti sociali (studenti, operai, giovani e giovanissimi, anziani, etc…); occorre altresì essere capaci di creare un centro di studi cinematografici che abbia anche la possibilità di fornire materiali filmografici e critici di prima mano e che sappia diffondere, oltretutto, il gusto e la passione per l’arte cinematografica, riuscendo a diventare centro di raccolta e di diffusione delle iniziative più importanti e culturalmente più convincenti. E’ a questo ultio livello di intervento cui il nostro gruppo deve pretendere di pervenire, non può accontetarsi di raggiungere l’obiettivo “minimo”. Certamente, non intendo nè trovare la soluzione della crisi cinematografica, nè assumere il compito di insegnare agli altri come si fa a costruire e sorreggere l’attività di un circolo di cultura cinematografica che funzioni; intendo solamente “sfondare porte aperte” che molti non riescono a vedere e spero non siano un semplice e personale miraggio; cioè vorrei capire e ricercare insieme a voi, come si è già da qualche tempo, ma sporadicamente e disorganicamente, cominciato a fare, come si può e si deve lavorare per ottenere risultati dignitosi ed interessanti in un circolo di cultura cinematografica, ben altro dunque rispetto a tutto quello che finora è stato fatto dalle nostre e dalle altre Associazioni qui a Prato.
Potremmo accennare anche, e perché no, ad un progetto “intermedio”, ma forse non ne vale la pena, soprattutto perché mirare al progetto “massimo”, che comunque potrebbe essere utopistico, ci garantisce parzialmente nella convinzione che, vada come vada, si potrà pervenire ad una posizione “media” del tutto nuova, anche se non ottimale, in questa nostra realtà.
Le “assenze”
Occorrebbe dunque “in primis” innestarsi sulle cosiddette “assenze”: ne ho voluto evidenziare cinque, ma possono essere nè così tante nè così poche, sarete voi a confermarlo. Le assenze: un problema che pomposamente ed in maniera particolarmente ristretta si potrebbe chiamare “di scenario”. Uno scenario molto poco esaltante, in verità leggermente squallido e deludente.

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UN PROGETTO PER IL CINEMA parte 5 (per la parte 4 vedi 24 luglio)

Se si pensa che fra qualche anno Prato diverrà provincia ed oggi (ndt. Siamo nei primi giorni del 1984) si discute ancora (ma lo si fa davvero?!?) se aderre o meno ad una “proposta” di rivista culturale, l’argomento viene “snobbato”, se ne sminuisce la portata, non se ne vuole tener conto, si lascia che cada nel dimenticatoio o al massimo con argomentazioni scarsamente convincenti ed altrettanti colpevoli silenzi. E’ solo un aspetto di questo “scanario” che trovo di fronte, tremendamente “provinciale”. Se si pensa all’esistenza di un’ARCI in positiva crescita, finanziariamente florida ed in grado di autogestirsi, che però non riesce ad occupare “realmente” quel ruolo politico di protagonista nella trasformazione e nel rinnovamento della società, con il rischio, grave sotto l’aspetto politico, di essere protagonista nella conservazione, si ha anche la risposta ad alcuni dei quesiti drammatici ed allarmanti posti da qualche compagno nel corso di quei dibattiti pre congressuali di fronte ad un documento – quello dei “Temi” – che non offre, con la volontà dichiarata di costituire una “traccia che dovrà arricchirsi”, con la promessa di voler garantire a tutti coloro che interverranno nel corso del dibattito una positiva maggiore libertà, progetti, orientamenti, obiettivi concreti, mentre sarebbe importante per un gruppo dirigente che si rispetti il prospettare in maniera molto più ampia e precisa come la pensi e quali risposte dare alla crisi complessiva della nostra società, quale ruolo assumere per controbattere più efficacemente possibile l’inaridirsi dei rapporti sociali, senza abbandonarsi alla mera spesso arida gestione dell’esistente. Non può bastare la sintesi degli interventi, spesso molto pochi e poco articolati, per compilare poi un eventuale documento programmatico conclusivo del Congresso; ma occorre essere effettivi “dirigenti”, non solo accettando le critiche, e valutandole, soppesandole, valorizzandole, ma offrendo già in partenza un’analisi meno indulgente verso lo stato attuale delle cose, impietosa verso la nostra realtà, anche quando questa ci ha coinvolto e ci coinvolge direttamente. Occorre prospettare anche un miglioramento della gestione politica, la quale non può essere limitata ad interventi disorganici – anche se corretti formalmente – sulla pace, sui problemi sociali, sulla cultura, sull’economia solo per mantenere una semplice dignità di facciata: occorre agire invece nel profondo di questa società e , per far questo, è necessario molto spesso guardare al di là della pura e semplice produttività finanziaria, che finisce quasi sempre per “mettere il cappello” su tutto ed in questo modo diventare prevalente. Di questa esigenza io trovo coscienza nelle parole di alcuni dirigenti, ma non ho ancora la certezza che a quelle corrispondano dei fatti veri, non “chiacchiere” giusto per coprirsi, e corrispondano delle convinzioni acquisite, non fosse altro che sul piano teorico.
Chiudo questa parte “de doléance”, riflettendo su come questa ARCI di Prato mi appaia come quelle famiglie “borghesi” arricchitesi recentemente ( non è forse uno degli aspetti delle realtà del modello di società che noi osteggiamo? ) che, inserite nell’ingranaggio del benessere acquisito “tout de bout”, non sanno nè possono tanto meno tornare indietro senza rinunciare a quei benefici onestamente e con fatica e sacrificio acquisiti; e, nel frattempo, hanno perso i contatti con i vecchi buoni amici – quelli che non sono riusciti a salire nel gradino dei ceti sociali – e non riescono ad amministrare i loro affetti ed i loro stessi sentimenti, smarriscono il senso della misura, non curano il rapporto con i figliuoli, cui non rimane che seguire, oltre alle orme dei padri si intende – ma in maniera spesso più spocchiosa, intrigante e provocatoria a causa della base di partenza più favorevole – la strada dell’abulia e della negazione dell’essere, quella della “nausea” e della rinuncia. Forse siamo ancora in tempo per cambiare (o perlomeno per tentare di capire!).

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UN PROGETTO PER IL CINEMA 6 (per la parte 5 vedi 2 agosto)

Uno straniero

E’ evidente che questo “scenario” lo si può guardare così bene solo dall’esterno: uno “straniero” lo può fare! E, quantunque io mi ostini a considerarmi dei vostri, non mi è parso affatto che ufficialmente, che chiaramente vi sia da parte vostra – si dice, per aride ragioni burocratiche e gerarchiche – un pur semplice riconoscimento in tal senso. Durante quest’anno di permanenza a Prato ho sempre offerto impegno e disponibilità, trovando scarsissima disponibilità e pochissime soddisfazioni e, quando qualcuno argomenta sui risultati che non sono venuti, il mio pensiero corre a qualche chilometro di distanza (vedi Firenze, vedi Empoli –soprattutto-), dove lo “straniero”, pur rimanendo tale, in una realtà tutto sommato non diversa da quella di Prato, con una struttura cinematografica, l’UNICOOP, già attiva da anni, con un gruppo dirigente preparato e consolidato (BALDESCHI, BERTI, PAGLIAI, ecc…), ha contribuito in prima persona a realizzare due rassegne, il cui significato e la cui garanzia e serietà professionale non sono certo riconosciute soltanto dal sottoscritto, presuntuoso impenitente. E’ giustificabile, almeno lo penso, che il mio atteggiamento negli ultimi tempi sia diventato nervoso e guardingo e mi convinco sempre di più che non valga la pena lavorare – anche per una causa così onesta e disinteressata, per qualcosa che si è visto nascere e che si vorrebbe veder crescere – senza ottenere delle garanzie, delle rassicurazioni, dei riconoscimenti morali. E di fronte a questa disillusione, che anche io spero possa svanire al più presto, il mio pensiero si svolge su toni di elevato pessimismo.
Ritorniamo alle “assenze”
“Arrogante e superficiale, spregiudicato e impavido, anche se consapevole dei propri limiti ma pronto a vendere anche del fumo”: la differenza fra me e molti altri potrebbe essere questa: io non faccio velo nè dei miei pregi nè dei miei difetti, non mi piace la falsa modestia; altri nascondono anche i loro pregi, alcuni per giunta rimuovono i loro difetti per una sorta di autodifesa, altri li celano a bella posta, in mala fede, ma in fondo per il potere ucciderebbero anche la loro madre, per parafrasare un illustre toscano. Ed è proprio nel Machiavelli che, per altri versi, bisogna ricercare un’indicazione organizzativa – un misto di spregiudicatezza, prudenza ed intelligenza – per la nostra attività cinematografica.
Stavo accennando poco fa alle “assenze” ed ho messo in evidenza quelle politicamente più grandi ed importanti – ci riguardano molto da vicino – ma forse anche sono limpide e più – come dicevo prima – rimosse dalla nostra coscienza. Esistono però altre “assenze” a Prato che direttamente ed indirettamente sono legate ad un nucleo così importante come la nostra Associazione. E qui, analizzando la realtà in maniera personale approfondirò indirettamente anche la tematica del presunto provincialismo pratese.
Avevamo parlato di cinque “assenze”:
1) A Prato risulta “assente” un centro promotore e coordinatore di attività culturali cinematografiche, manca fino ad ora nella volontà politica dei vari gruppi operanti sul territorio una scelta di questo tipo, anche se, per vie settoriali, c’è un gruppo che si interessa dei rapporti tra Cinema e Musica ed un altro che interviene periodicamente sul tema “Cinema e Fumetti”………..

…6….

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Un progetto per il cinema – Prato 2 gennaio 1984 – parte 7 – per la parte 6 vedi 11 agosto

Esistono poi alcune sale, dove si proiettano film commerciali detti “per famiglie”, che però niente hanno a che vedere con un approfondimento della storia e della tecnica del cinema. Se, però, si calcolasse una tipica ricerca di mercato la necessità di coprire questa assenza, sulla base di dati facilmente rilevabili dalla frequenza nell’istruzione superiore ed universitaria dei giovani, dall’attività scolastica svolta negli ultimi anni intorno all’arte cinetografica ed affini, dalla frequenza ed afflusso dei giovani pratesi nei locali cinematografici della città e della provincia (in particolare Firenze), dall’interesse che nei quartieri e nei vari Circoli ricreativi e culturali, Case del Popolo ed affini, si mostrasse verso il Cinema e dalla domanda che va omogeneamente aumentando quanto alla conoscenza di quest’arte, si potrebbe avere la netta sensazione che risulta indispensabile – anche se in ritardo – intervenire per ottemperare a questa richiesta complessiva con la creazione di un “Centro” che sia in grado di assolvere a questo compito;
2) Un’ulteriore “assenza” a Prato è data dalla inesistenza di uno studio approfondito sul “corpo vivo” dello spettatore cinematografico: è un’ ”assenza”, la seconda, molto legata alla prima. Abbiamo di fronte, oggi, il problema di dover intervenire in questo settore e non sappiamo, se non in maniera approssimativa e soggettivamente parziale, quali sono le effetive preferenze dello spettatore medio e di quello – il cinefilo – che pure ci interessa più da vicino, non abbiamo valutato quali siano le ragioni – io le giudico frutto di provincialismo – che spingono lo spettatore medio alto ad emigrare temporaneamente nei cinema e cineclub fiorentini, disertando i locali pratesi rei – a loro dire – di programmare in ritardo le prime visioni e di boicottare volontariamente la produzione d’essai: la diserzione in campo cinematografico vale come reato quanto le altre (diserzioni). Ci interesserebbe conoscere la frequenza degli spettatori divisa per giornate e periodi, il passaggio delle pellicole, la durata della tenitura, la qualità ed il genere dei film presentati; sarebbe anche importante affrontare uno studio accurato delle motivazioni che costringono, negli ultimi anni, un numero sempre più alto di apettatori a disertare le sale (pigrizia fisica e mentale, riflusso, prezzo del biglietto, ecc..). Una ricerca utile non si limiterebbe solo a questo, perchè non credo di essere stato completo ed esauriente, ed interesserebbe anche altri gruppi che lavorano nei vari settori dello spettacolo;
3) Manca a Prato un progetto “ideativo e pratico” che affronti, partendo dalla conoscenza di questa realtà, tutta la problematica inerente ad un intervento serio ed incisivo nel settore cinematografico. Finora, mi è parso, sono stati realizzati interventi sporadici, disarticolati e molto settoriali, ai quali comunque mancava l’apporto di un progetto complessivo di analisi, il che ha contribuito a onfondere sempre più le idee anche a chi eventualmente cominciava a chiarirsele, ha frustrato l’entusiasmo di alcuni, ha prodotto un effetto negativo “a catena”, facendo in modo che venissero sovvenzionate spesso realizzazioni sporadiche che, oltre a non possedere un progetto solido alla base – come si diceva dianzi – erano, e sono, semplicemente “avventurismi” ai quali occorrerebbe negare qualsiasi consenso politico culturale.

Fine parte 7
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Un progetto per il cinema – Prato 2 gennaio 1984 parte 8

Ovviamente, mi riferisco ad interventi che non riguardano solamente il cinema. Se ben vi ricordate, scrissi una volta – all’indomani del convegno di Artimino del 25 e 26 marzo del 1983 – che non mi convincevano molto i metodi in uso ed i rapporti che intercorrevano tra l’Assessorato alla Cultura di questa città e le varie manifestazioni culturali; qui ribadisco il mio primitivo dissenso, dopo aver osservato per un anno con attenzione locandine e manifesti che pubblicizzano gli interventi e le partecipazioni di questa Amministrazione in campo culturale: mi piacerebbe conoscerne le linee di intervento. Questa è la terza “assenza” che preannuncia la quarta.
4) Quarta “assenza” – Appare chiaro che non esiste un orientamento preciso, un progetto, una tendenza di massima semmai, anche da parte di coloro i quali (istituzioni, organismi, persone singole) avrebbero questo compito di curare in maniera più precisa i rapporti tra l’immagine e la realtà, la comprensione e la lettura della realtà attraverso l’immagine, tranne che in tempi recenti per quel che attiene in modo particolare al settore della Fotografia, l’uso della tecnologia audiovisiva per una migliore conoscenza culturale. Intendo riferirmi agli Assessoratia alla Cultura ed alla Pubblica Istruzione, alle organizzazioni politiche e sindacali, alle Associazioni culturali e ricreative, a quegli appassionati di cinema ed audiovisivi in generale, che agiscono in una realtà tutta personale, ammantata di eleganti sogni e mai concretizzata in un’esperienza pratica e comunicata agli altri; spesso questi ultimi, pur ricchi di esperienza, difettano di capacità comunicativa e di capacità direttiva ed organizzativa o, peggio, non si pongono neanche il problema: eppure esistono e sono preziosi come diamanti e tartufi.
Si pensi, ad esempio, ad un’Assessorato che tracci linee teoriche e politiche non solo, ma anche le linee di intervento pratico in materia di educazione all’immagine, che si ponga il problema delle nuove tecnologie in maniera seria e senza allarmismi semplicemente disorientanti, che apra un rapporto continuo e costruttivo con altri Enti e Istituzioni; sarebbe estremamente importante, ad esempio, partire con un censimento delle attrezzature e dei materiali filmici di cui sono in possesso le scuole pratesi per creare uno schedario delle disponibilità e verificare anche le attività che in ogni singola realtà sono state svolte negli ultimi anni e si svolgono tuttora, oltre che rilevare la capacità e la ricezione che ogni singola struttura presenta; compito di questa Istituzione, che potrebbe anche non essere un Assessorato, dovrebbe comunque essere quello di creare i presupposti per un corretto rapporto tra Cinema e Scuola, raccogliere la fiducia dell’istituzione scolastica ed avviare una proficua e duratura collaborazione con tutte le Istituzioni, scolastiche e non.
5) Quinta, e forse non ultima, “assenza” dovrebbe essere, a parer mio, quella che evidenzia la mancanza a Prato di un gruppo compatto ed il più possibile omogeneo che affronti questa attività cinematografica – che noi vogliamo intraprendere – con professionalità, con serietà e con un serio ed adeguato progetto di intervento, che sia di garanzia per la produttività e la riuscita dell’impresa. Questo, mi sembra, è presente nei desideri e nelle parole dei compagni che lavorano in diversa misura intorno all’ “idea”; ma occorre che le parole si trasformino in fatti reali, e ciò è una questione abbastanza diversa……..

Fine parte 8

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Un progetto per il cinema – Prato 2 gennaio 1984 parte 9

….Ci si può anche candidare ad essere punto centrale e terminale di tutte queste esigenze che, purificate dall’avventurismo, dal provincialismo e dal volontarismo esasperato, potrebbero essere ricondotte ad unità sotto la nostra sigla. Ma, compagni, ora come ora, occorre o uno sforzo di fantasia o un pizzico di intelligenza e di spregiudicatezza mista a conoscenza e professionalità oppure, ma senza escludere niente di quanto prima ho detto, qualche giovane in più che “lavori” concretamente su questo progetto e vi assicuro che scrivere e parlare è molto facile, il difficile è “fare”.
Queste le “assenze”, i vuoti che vanno colmati. Se si pensa di farlo, non basta l’impegno fin qui profuso; se si pensa di non farlo, ci siamo dette tante bugie, abbiamo parlato, e sognato, a lungo invano.

Le “presenze”

Poichè, nell’elaborare questa traccia, ho messo in evidenza la mia preferenza per un intervento di “massima, ritengo di dover aggiungere a queste considerazioni una parte più propriamente pratica con un elenco di “necessità funzionali”, di “operatori necessari” e di “presenze” che in parte già sono state poste in evidenza. Accanto alle “assenze” pongo, quindi, delle “presenze”; esse sono, a parer mio, almeno tre e le elenco velocemente: 1) Il Circolo “MOVIES” ed il suo nucleo dirigente fondatore con il suo progetto, peraltro in via di formazione; 2) Una esigenza fondamentalmente attiva e stimolante da parte del pubblico; 3) Una pressante richiesta, pur se molto spesso non formalizzata concretamente, ed un interesse sempre più ampio della scuola nei confronti delle nuove tecnologie e del Cinema, in generale.

Il gruppo dirigente: quello che c’è
Il grupo dirigente del Circolo, quello funzionale, secondo me, non esiste ancora (o, se esiste, è insufficiente a reggere il progetto di “massima”), in quanto su circa nove elementi che lo compongono sulla carta, solo due potrebbero garantire di impegnarsi sul progetto e non sono sufficienti; tre altri compagni potrebbero, comunque, garantire un impegno, ma sono già oberati di lavoro nell’organizzazione del complesso; sui rimanenti quattro non me la sento di pronunciarmi a pieno, in quanto, secondo alcuni, non offrirebbero – essendone consapevoli – sufficienti garanzie di un impegno continuativo, ed io d’altra parte, anche nel rispetto delle loro consapevolezze, conoscendoli molto poco non azzardo giudizi negativi: anzi!

Professionalità e volontariato
E’ proprio partendo da questo dato “oggettivo” che io ho iniziato a porre delle serie difficoltà ed ho avanzato continue perplessità sulla possibilità di realizzare, in queste condizioni, il progetto in cui intendiamo imbarcarci. Devo dire purtroppo che non ho ricevuto ancora risposte convincenti e che il mio atteggiamento naturalmente è sul guardingo e di riflesso non è incondizionato. Tra l’altro, poco si addicono i discorsi di alcuni compagni che parlano di “professionalità” e di “imprenditorialità” con altri discorsi che non prevedono neanche il recupero delle spese vive da parte dei collaboratori. Devo qui confermare il mio netto dissenso con quanti parlano appunto di “professionalità” e poi vorrebbero affidare la gestione del progetto in gran parte al “volontariato”: questi due termini non possono facilmente coincidere nella realtà (anche se molto spesso il volontariato si basa, soprattutto in questi territori, su criteri di sufficiente professionalità), perchè il volontariato può venir meno quando vuole dai suoi compiti e creare dei vuoti pericolosi e difficoltà letali per l’attività del Circolo….

Fine parte 9
Un progetto per il cinema – Prato 2 gennaio 1984 parte 10 (per la 9 vedi…..)

Quanto a me, se la questione viene messa in questi termini, il mio impegno finirebbe per essere minimo e limitato – come quello, d’altronde, della maggior parte dei soci fondatori -; se invece si vuole prendere in considerazione il mio contributo come necessario e valido sotto il profilo prevalentemente collegato alle conoscenze culturali, lo si faccia pienamente, senza tentennamenti e senza ambiguità: certamente il mio lavoro dovrà essere posto a verifica e valutato, così come chiedo, però, che venga fatto per tutti gli altri dirigenti e collaboratori del “Movies”, procedendo anche con severità; ma quale pretesa di serietà e di severità può essere accampata se ci si basa esclusivamente sul lavoro volontario? Un progetto che si affidi al volontariato, o ha una base di partenza già molto sicura o non potrà mai volare molto in alto; deve accontentarsi di essere “minimo” rispetto alle attese e finirebbe per non apportare alcuna novità in questo panorama arido e bisognoso di interventi originali e culturalmente validi. In una realtà come la nostra, della quale si è già diffusamente altrove accennato, ci troviamo di fronte a varie esigenze che, affrontate con queste forze, ci potrebbero vedere perdenti. Andiamo per blocchi sintetici e schematici:
Il gruppo dirigente: ciò che ci vuole
Un gruppo dirigente che si rispetti dovrebbe enucleare tutta una serie di incarichi e di responsabilità da distribuire al suo interno con oculatezza e tenendo presenti le disponibilità e le conoscenze specifiche e considerando a fondo le caratteristiche progettuali di partenza e quelle peculiari di ogni singolo dirigente.
Il coordinatore
A capo di questa struttura dovrebbe essere posto un coordinatore, responsabile esclusivamente dell’attività del circolo cinematografico, l’unico a cui verrebbe corrisposto il pagamento di una somma fissa mensile. Il suo compito sarebbe quello di sovrintendere a tutte le operazioni, garantendo la sua presenza attiva in periodi prefissati, assumendosi la piena responsabilità della riuscita organizzativa e culturale e rispondendo direttamente di eventuali sfasature e deficienze della struttura, dovute a leggerezze, a sottovalutazioni, a inadempienze.
Il coordinatore in seconda
Accanto a lui io vedrei un secondo coordinatore che svolgesse, però, un compito di semplice supporto organizzativo, la cui entità sarebbe da concordarsi di volta in volta ed il cui ruolo dovrebbe essere quello di coadiuvare il primo coordinatore nell’esercizio delle sue funzioni. Ma questa figura non è del tutto necessaria; tra l’altro gli verrebbero corrisposti dei semplici rimborsi spesa, secondo le tabelle dell’ARCI oltre a degli incentivi sulla base dell’importanza del lavoro svolto e dai risultati, da concordarsi di volta in volta.
Il segretario archivista
Dovrebbe essere previsto un segretario archivista; il suo compito sarebbe quello di redattore di tutte le riunioni del Consiglio Direttivo e del Gruppo Operativo (cui sono demandate rispettivamente la realizzazione pratica delle linee d’intervento culturale e politico e quelle più propriamente pratiche ed operative), di conservatore e di catalogatore di tutto il materiale costituente la storia del Circolo (corrispondenza, tessere, indirizzi, manifesti, locandine, depliant, registrazioni in audio e in video, ecc….), di tutto il materiale bibliografico e filmografico di provenienza esterna (libri, cataloghi, articoli, recensioni, ecc….); sarebbe inoltre responsabile della cura dell’Archivio e della Biblioteca, il cui accesso dovrà per ora essere esclusivamente riservato ai soci “studiosi” iscritti al Circolo tematico.

Fine parte 10

Un progetto per il cinema – Prato 2 gennaio 1984 parte 11 e ultima (per la parte 10 vedi….) a breve il testo intero

Il programmista

Un’ulteriore figura ch va tenuta presente, molto importante, è quella del programmista, il cui compito è programmare tutti i film, tenendo presente bene le scadenze particolari sul calendario, mantenere i rapporti con le case distributrici e far preparare (e preparare egli stesso, semmai) il materiale di supporto critico. Inoltre spetta al programmista mantenere i rapporti con la stampa, con la pubblicità e con la tipografia. Non spetta a lui fare in modo che il materiale filmico (pellicole, affiches, materaile di propaganda) arrivi e parta dalla sede del Circolo, nè è responsabile per le inadempienze esterne ( case distributrici, tipografie, ecc…), nè per lo stato del materiale in arrivo nè per quello in partenza.
Rapporto con Enti e Istituzioni

Altro ruolo da considerare è quello di colui che dovrà mantenere i rapporti con gli Enti locali e le Istituzioni Regionali, con gli altri cineclub toscani e non, con il Consorzio Toscano Cinematografico e il Ce.d.Ri.C., con le Associazioni di Cultura sul territorio nazionale. Questi rapporti potrebbero però essere mantenuti da più persone, cioè il ruolo potrebbe essere scorporato e suddiviso, così come si potrebbe fare per tutti gli altri, mantenendo un minimo di omogeneità e di coerenza. Un ruolo così importante, ovviamente, deve essere assunto da persone che abbiano una certa conoscenza tecnica, giuridica e politica.

Rapporti con le scuole

Interessante è anche un compito che mi è stato sempre a cuore, ma che non rivendico come mio: curare i rapporti con le Istituzioni educative, con l’Assessorato alla Pubblica Istruzione per creare i presupposti di un contatto costante sulle problematiche riguardanti il mondo degli audiovisivi e del Cinema in particolare. E’ questo un settore di primaria importanza che necessita di una persona che da sola se ne occupi, soprattutto perché sarebbe riservata a lei (o lui) l’incombenza di programmare l’attività culturale per la scuola e per gli studiosi e i cinefili con alcune proiezioni particolarmente riservate sia anti che pome-ridiane.

Qualche cenno sul coordinatore del complesso

Non aggiungo altri ruoli: anche se non ho ancora parlato di colui che dovrà coordinare l’organizzazione nel suo “complesso” e che comunque si interesserà anche della sala cinematografica. Qualche cenno su questa figura: dovrà intrattenere rapporti economici e di lavoro con tutti quelli che saranno i nostri interlocutori e collaboratori ( operatore, case distributrici, tipografia, spot pubblictari, ecc…), dovrà fare in modo che il materiale arrivi e parta, che sia in buono stato ( o perlomeno nello stato in cui ci è stato consegnato ), è responsabile di tutte le scelte organizzative pratiche (botteghino, maschera, controllo sala, pulizia uffici e sala, ecc….)

Il tesseramento

Quanto al tesseramento, anche se ora le scelte potrebbero già essere state compiute, la mia idea era quella di emettere un tesserino del Circolo “MOVIES” dal costo simbolico di lire 1000 obbligatorio per tutti gli spettatori ( paganti e non ) e di riservare l’ingresso a biglietto intero ai soci del Terminale e del Movies e quello con lo sconto ai soci ARCI: altrimenti a cosa dovrebbe servire la tessera ARCI in una struttura che complessivamente vi aderisce, per un Circolo che viè chiaramente affiliato?

Una postilla molto personale

Detto tutto questo che, partendo da un punto di vista teorico, è arrivato a toccare anche aspetti molto pratici, quali – ad esempio – la divisione degli incarichi e delle competenze, le difficoltà, le necessità che troviamo di fronte a noi, occorre adesso provvedere a risolvere quei nodi che qui sono posti in evidenza e dare anche quelle risposte che qui vengono sollecitate. Non sono affatto convinto che si debbano attendere gli esiti delle tornate congressuali per rispondere ad una particolare esigenza da me posta sulla collocazione precisa che io dovrei avere nella futura struttura dell’ARCI di Prato e del “MOVIES: altrove il mio impegno è già richiesto in maniera precisa ed io devo quindi decidere nei prossimi mesi che e che cosa privilegiare. Fra le altre questioni, vado chiedendomi da un po’ di tempo se valga la pena, alla mia età, con un figlio in arrivo, mettermi a correre dietro ai miraggi per concretizzarli.
Se i prossimi incontri saranno più convincenti dei precedenti, se garantirete rispetto per il mio lavoro e la mia professionalità, se si capirà finalmente cosa si vuole fare, appronterò una seconda parte, ancora più pratica, di questo progetto, nella quale tenderò a chiarire come si possano costruire i rapporti esterni, che sono indispensabili a far crescere il prestigio e la conoscenza del nuovo Circolo e della sua struttura e quali siano le iniziative, come e con chi attuarle.
Prato. Li 02.01.1984

13 novembre – IN RICORDO DEL “POETA” PIER PAOLO PASOLINI – atti di un Convegno del 2006 – PREMESSA sulle iniziative del novembre-dicembre 2005 – parte prima

IN RICORDO DEL “POETA” PIER PAOLO PASOLINI

– atti di un Convegno del 2006 – PREMESSA sulle iniziative del novembre-dicembre 2005 – parte prima

Da quel 2 novembre 1975 sono trascorsi 45 anni. Non si finirà mai di ricordare e ringraziare Pier Paolo Pasolini per la sua grande intelligenza, la sua capacità naturalmente profetica rispetto a ciò che, quando egli parlava, noi in tanti non eravamo in grado di capire, anche se “oggi”, e progressivamente nel corso di questi anni, quelle “parole” ci sembrano sempre più chiare. In più occasioni abbiamo voluto ricordare Pasolini ed anche su questo Blog grande spazio gli abbiamo riservato (nella ricorrenza dei 40 anni abbiamo coinvolto un forte numero di poetesse e poeti per un libretto collettivo ed una “performance” teatrale e abbiamo trascritto molti di quei commenti).

Come Presidente della Commissione Cultura della Circoscrizione Est del Comune di Prato ho coordinato una serie di interessanti iniziative culturali nell’autunno del 2005 nel trentennale dalla scomparsa. In primo luogo, essendo coordinatore delle Commissioni Cultura delle cinque Circoscrizioni coinvolsi i Presidenti delle altre quattro (Matteo Aiazzi “Centro” – Mario Barbacci “Nord” – Monia Faltoni “Ovest” – Gabriele Zampini “Sud”). Insieme decidemmo come muoverci e coinvolgemmo i due Assessori alla Cultura di Comune e Provincia, Andrea Mazzoni e Paola Giugni. Poi ci mettemmo in contatto con la Presidenza e la Direzione del Teatro “Metastasio” (in quel periodo c’erano Alessandro Bertini e Massimo Castri. Chiedemmo poi il contributo culturale del Polo Universitario PIN di Prato-Corso di Laurea Progeas diretto da Sandro Bernardi, che già aveva collaborato con me in altre occasioni (come nelle Giornate di studio intorno alla figura di Jean Vigo) e che accettò con entusiasmo; insieme a lui riuscimmo a coinvolgere il Presidente del PIN, Maurizio Fioravanti. Per promuovere la partecipazione “attiva” degli studenti delle scuole medie superiori chiedemmo un incontro con il CSA (quello che comunemente si chiamava Provveditorato e che poi divenne Ufficio Scolastico Provinciale): allo stesso tempo ognuno di noi mise a punto una serie di contatti con i Dirigenti scolastici del proprio territorio e con quei docenti più sensibili cui cominciare a rivolgerci. Contemporaneamente allargammo i nostri orizzonti a quelle strutture culturali già attive come l’Università del Tempo Libero “Eliana Monarca” (intitolata ad una docente e amministratrice eccelsa) che in quel periodo era presieduta dall’ex Dirigente scolastica Valeria Tempestini; e all’Associazione per il Lavoro e la Democrazia ideata e presieduta da un grande personaggio del Sindacato CGIL, Giuseppe Gregori, che negli anni appena successivi avrebbe ricoperto l’incarico di Assessore alla Cultura.

Sotto l’aspetto organizzativo ci fu fornito un sostanzioso sostegno da parte di giovani studiosi dottorandi di Storia del Cinema dell’Università di Pisa, tra cui menziono Costanza Julia Bani, Stefania Cappellini allieve del rpofessor Lorenzo Cuccu, con le quali avevamo già collaborato per un Convegno dedicato a Jean Vigo, ed un giovane fiorentino, allievo di Sandro Bernardi, Riccardo Castellacci.

Tra i gruppi teatrali di riferimento avemmo la partecipazione della Compagnia “Per l’acquisto dell’Ottone” (chiaro riferimento a Bertolt Brecht), diretta da Viviano Vannucci e Andrea Bianconi,  la Compagnia “Altroteatro” del Liceo Classico “Cicognini” di via Baldanzi, diretta da Antonello Nave e la Compagnia “Poetar Teatrando” del Liceo “Copernico” diretta dalla professoressa Angela Pagnanelli.

Una delle riunione organizzative in preparazione degli eventi. Tra i presenti si vedono distintamente Giuseppe Gregori, Mario Barbacci , Benedetta Tosi, Evita Milone, la preside Valeria Tempestini, Roberto Carlesi. Di spalle Andrea Coveri e Maurizio Fioravanti

….premessa fine parte prima…..

12 Novembre – I CONTI NON TORNA(VA)NO – parte 17 (per la 16 vedi 26 ottobre)

I CONTI NON TORNA(VA)NO – parte 17.

Anche nell’Assemblea del “Dagomari” volevo stare zitto. Ma poi a tarda notte ho dovuto, proprio dovuto, intervenire: e non è stato piacevole né per me né per l’Assessore, alla quale voglio dire che ho dei princìpi da rispettare che porto dentro di me, che non mi consentiranno neanche di ritornare da lei a parlare di altri progetti: ci tenevo, ora non mi interessano più. Perché vedi Gerardina io sono fatto così: le cose le faccio fin quando mi diverto, fin quando mi piacciono e non mi piace, soprattutto adesso, che il mio lavoro “libero” e gratuito sia fatto insieme a persone che hanno perso la mia fiducia.
Come eletto, dunque, mi occupo delle questioni che riguardano la città e nella città esistono molte questioni che riguardano la scuola; non ne vorrei dimenticare nessuna, ma pretendo che anche altri non se ne dimentichino. E poi che non se ne creino di nuove e peggiori.
Infatti, se questo Piano fosse realizzato come si dice il “Copernico” avrebbe la sede che desidera, che non risponde soltanto ad un criterio di sicurezza come ci ha detto il Presidente Mannocci; il “Gramsci” avrà una sede nuova non ancora (ma quasi) pronta; il “Marconi” fra breve avrà la sua nuova (mi sembra giusto ed anche tardi) bella sede; si riuscisse a portare in porto la questione “Cicognini”, vedremmo anche risolto quel problema. Mi dica qualcuno perché mai ci si meraviglia tanto se quelli del “Dagomari” protestano.
In queste settimane nella discussione sul dimensionamento tanti sono intervenuti, a dire il vero anche il Collegio Docenti del Liceo “Copernico” lo ha fatto con un documento esemplare, che fa riferimento, a quanto pare, a quanto mi è stato riferito, ad una Legge dello Stato (di quale non lo so) che garantirebbe ai LICEI scritto tutto con lettere maiuscole di essere collocati nel Centro delle città, mentre dovrebbe relegare i tecnici scritto con le minuscole nelle periferie, anzi più lontano stanno e meglio sarebbe!

Altre ironie sono state fatte su quel documento: è opportuno invece prenderlo sul serio e fare una riflessione per la quale anche chi ha studiato al “Classico” e si è laureato in Lettere Moderne dovrà un attimino sporcarsi le mani, polemizzando allo stesso livello nei confronti di un Liceo che se ha dato un contributo a questa città lo ha fatto solo attraverso quanti si sono lì diplomati e sono poi autonomamente entrati nella società; ma non lo ha fatto in quanto Istituto Scolastico, come è riuscito a fare nel corso dei decenni ed in particolare nel corso degli ultimi quindici anni quell’altro Istituto che inopinatamente si vorrebbe sradicare dal territorio dove ha prodotto, realizzato, vivacizzato, contribuito a creare una cultura che non è solo legata alle principali discipline che vi si insegnano, ma si irradia in diversissimi settori, che, badate bene, dovrebbero essere prerogativa dei Licei. Teatro, musica, cinema, poesia, arte ed altre attività culturali sono l’espressione di una scuola tecnica che ha saputo nel tempo precorrere le innovazioni ed aprirsi alla città, anche e soprattutto perché ha saputo adattare i suoi spazi vitali.

DENTRO IL LOCK DOWN – un invito a guardare il futuro con meno pessimismo

DENTRO IL LOCK DOWN – un invito a guardare il futuro con meno pessimismo

Ho già esplicitato il mio pensiero sulla chiusura delle Scuole in vari post. Pur avendo espresso molti dubbi sulla cocciutaggine con cui si esprimeva l’idea di mantenere aperte tutte le scuole, anche in presenza di una diffusione intensa del virus su tutto il territorio italiano, comprendo perfettamente tutte le perplessità di quella parte del mondo della Cultura, in particolare pedagoghi e psicologi che sostengono come sia importante mantenere in piedi il senso di “comunità” che, con la chiusura, verrebbe drammaticamente meno.

Quasi tutti gli esperti della comunità scientifica hanno svolto il loro ruolo, lanciando drammatici appelli a non sottovalutare il grave pericolo che la recrudescenza del virus in tempo autunnale avrebbe provocato. Dall’altra parte il mondo politico ha continuato a sottovalutare tali rischi, mettendo su uno dei piatti della bilancia il peso numerico dei fruitori del servizio scolastico: la stragrande maggioranza dei genitori evidenzia molteplici difficoltà, che vanno al di là della qualità dell’esperienza di cui pubblicamente lamentano la perdita. Non vi è alcun dubbio che in questi mesi, in questo anno ( e ci auguriamo davvero che l’emergenza si concentri solo in “questo”), una gran parte delle acquisizioni potenziali in “tempo normale” verrà perduto. Ma non è per nulla certo che a limitare queste “perdite” non ci possano essere altri elementi positivi: la stessa utilizzazione della Didattica a Distanza dovrebbe far emergere nuovi orizzonti, utilizzabili poi in tempi normali, come espressione della volontà di recupero di ciò che non è acquisito, una forma di “ristoro” parallelo e non monetizzato.

Non è poi da poco per i giovani di oggi il poter vantare per un periodo molto più lungo, rispetto a quanto potremo fare io ed i i miei coetanei, l’aver vissuto questa fase. Ne parleranno tra loro e con i figli e nipoti, ne scriveranno le memorie, ricostruendo quei giorni nei quali la loro esperienza di vita è stata costitutiva del loro futuro; perché in ogni momento negativo si struttura il futuro: la Storia e la Letteratura che ne è la trascrizione indiretta ce lo hanno insegnato. Anche per questo non mi convincono le posizioni dei profeti di sventure; anche a loro bisognerebbe chiedere una capacità critica analitica che non si blocchi sul presente, e allo stesso tempo in modo severo avanzare un giudizio che si sostanzi sul fatto che alcuni di questi “esperti” del nostro tempo abbiano costruito il loro attuale prestigio vivendo in un periodo sostanzialmente di grande prosperità, di crescita economica, di pace: non hanno in definitiva vissuto momenti di indigenza e di sofferenza tali da far crescere in loro il desiderio di puntare ad obiettivi positivi, come è stato invece per tanti di coloro che, provenendo in modo diretto (o indiretto, come tanti della mia età) da tempi bui, hanno potuto sentirsi protagonisti della ripresa economica, del boom produttivo del dopoguerra.

Pensavo proprio questa mattina a come abbia superato la crisi derivata dalla umiliazione subìta il popolo giapponese dopo Hiroshima e Nagasaki; a come abbiano lavorato per ricostruire il Paese i nostri genitori, che hanno conosciuto anche la “spagnola” ed hanno “saltuariamente” frequentato la “scuola unica fascista”. Ovviamente, nessuno di noi si augurava (non ci passava nemmeno lontanamente per l’anticamera del cervello) di dover sopportare queste limitazioni e subire tali difficoltà. Ma tanto è! E non è facile supporre una rapida soluzione.

DENTRO il lockdown – tempo di riflessioni e di proposte “critiche e costruttive”

Riprendiamo a trattare della “scuola”. Certamente tra i temi “generali” insieme a quelli sanitari ed economici quelli del settore “istruzione” rivestono primaria importanza.

Sono stato tra quelli che richiedevano di fronte ai dati allarmanti all’avvio della fase autunnale di questa pandemia l’adozione di sistemi alternativi al normale orario scolastico fino alla possibile chiusura delle attività in presenza e il contemporaneo utilizzo della didattica a distanza.

La Ministra, il Governo ed alcuni settori del mondo dell’Istruzione hanno proseguito a descrivere un “mondo” della Scuola estremamente sicuro, immune da contagi: “La Scuola è il luogo più sicuro”, dicevano. Aggiungo “in modalità ideologica!”, cioè come “credo assoluto acritico”. Provo a ragionare con una sintesi: è ormai assodato che uno dei motivi per cui l’attuale diffusione del contagio è così alta è dovuto al fallimento dei sistemi di tracciamento dei contagi; per cui non è possibile affermare che in un luogo piuttosto che in un altro qualcuno si sia infettato. I giovani, soprattutto quelli più grandicelli non hanno – nel tempo in cui hanno avuto assoluta libertà dagli impegni scolastici (non mi riferisco alle “vacanze” terminate intorno alla metà di settembre) vissuto vita monacale, ma sono stati nei parchi, nei cinema, nelle piazze, nei pub e via dicendo. Finito l’orario scolastico non solo salivano sugli autobus ma si intrattenevano prima e dopo i loro impegni, in modo particolare poi nei weekend, insieme ai loro coetanei e non sempre rispettavano – in modo particolare – i criteri preventivi della trasmissione del virus.  Sappiamo anche che i più giovani sono più resistenti in linea di massima al contagio con sintomi: sono per lo più asintomatici e, proprio per questo, subdolamente più pericolosi per gli anziani. Quindi, anche per questo motivo, trovo non proprio corretta l’assegnazione di “grande sicurezza” in modo generalizzato totale alla Scuola.

Ho già scritto degli spazi angusti e dei numeri eccessivi di allievi distribuiti nelle classi; i corridoi di alcune scuole, dove inevitabilmente si transita anche vociando (non è bello che lo si faccia ma così è, purtroppo), sono molto stretti, e così anche le scale di accesso e di uscita; le aule non possono contenere gli stessi allievi che vi erano fino all’anno scorso; i banchi – quelli che c’erano e che, per fortuna, in qualche scuola ci sono ancora – erano sufficientemente ampi da mantenere il distanziamento (i “nuovi” sono per lo più inadeguati anche per le attività più avanzate “sognate” dalla Ministra “ad usum delphini”).

Ho già scritto che condivido le preoccupazioni di quanti – in modo particolare in questa seconda fase – temono per il futuro di queste generazioni dal punto di vista dell’apprendimento. Potremmo dire che ci sono state tante altre volte in cui generazioni intere non hanno potuto accedere all’Istruzione, ivi compreso tanti che hanno vissuto durante il periodo della seconda guerra mondiale e che sono stati nostri “maestri”. “Potremmo” ma, dopo averlo appena accennato, “provo” a lanciare una “critica costruttiva”. “Critica” perché, come per il resto fanno in troppi in modo subdolo, trovo disdicevole che il Governo (in primo luogo la Ministra Azzolina) non abbia allestito un progetto per la didattica a distanza, in “previsione” (gli “esperti” avevano lanciato l’allarme già da tempo: “ci sarà un ritorno dei contagi in autunno”) della ripresa della pandemia e della necessità di interventi adeguati.

Quel “treno” lì è ormai perduto e allora ecco la parte “costruttiva”: avviare da subito un percorso che sia in grado da una parte di fornire adeguati e più sostanziosi strumenti per rendere più efficace possibile la DaD; preparare una strategia di recupero delle attività curricolari per i prossimi anni scolastici.

Infine, va sottolineato che la “Scuola” non poteva funzionare in presenza “come se tutto – fuori di essa – fosse normale”: erano numerose le classi dimezzate,  gli studenti e i docenti contagiati. E dopo tutto ugualmente non avrebbe funzionato.

DENTRO IL LOCKDOWN tricolore –

Dentro il lockdown tricolore –

Ciascuno di noi, in questi tempi, ha molte diverse buone ragioni da rivendicare. L’emergenza ci va condizionando, va imponendo alla nostra vita di confrontarci con dei limiti oggettivi da non sottovalutare. Sarebbe stato tutto molto diverso se non fossimo stati tutti coinvolti nella pandemìa. Abbiamo dovuto rivedere molti dei nostri comportamenti “sociali”. Chi più chi meno ha ridotto la frequentazione esterna sia in pubblico che in privato; si va meno nei luoghi di consumo (bar, ristoranti, pub, centri commerciali) e ci si muove molto meno, non si viaggia, non si frequentano cinema, teatro e riunioni politiche.

Casa e lavoro, lavoro, casa e luoghi per l’acquisto di beni essenziali: queste sono le uniche attività che svolgiamo. E’ indubbio che per molti di coloro che, per ragioni connesse al tentativo che il Governo impone allo scopo di  frenare l’andamento progressivo verso l’alto della linea di contagi, pèrdono pur temporaneamente (ma a volte non è così) il lavoro, il cambiamento di vita deve fare i conti con la mancanza di un reddito sicuro.

Negli ultimi giorni, nelle ultime ore, direi anche in diretta, ora, il dibattito verte sulla colorazione che il Governo ha assegnato a ciascuna delle Regioni italiane. Giallo, arancione, rosso: sono gradazioni collegate ad un indice di contagio denominato Rt basato su 21 parametri tra i quali il numero dei casi sintomatici, i ricoveri, i casi nelle Rsa, la percentuale di tamponi positivi, il tempo medio tra sintomi e diagnosi, il numero di nuovi focolai, l’occupazione dei posti letto sulla base dell’effettiva disponibilità.

Sia come sia, la matematica pare che “non sia un’opinione” e l’unico modo per contestare i risultati è una valutazione di tipo “politico”. Pur tuttavia, continuerò ancora una volta a ribadire che in un tempo di crisi così acuta e “speciale” sulle cause della quale è molto complesso scaricare la responsabilità su una sola delle aprti politiche occorra far prevalere, pur utilizzando il meglio  della  pratica Politica, il senso di responsabilità. Bisogna considerare gli interventi restrittivi come antidoto prioritario succedaneo a quelli preventivi che non sono stati appplicati. Sia chiaro che allorquando non sono stati previsti, a festeggiare senza rispettare i limiti minimi consigliati erano tanti tra quelli che oggi alzano il dito accusatorio verso gli interventi governativi che potrebbero apparire ancora una volta “limitativi delle libertà” ma ad ogni buon conto assolutamente necessari per il futuro della “libertà”, prima di tutto, dalla pandemìa. Le Regioni che contestano i dati e la loro appllicabilità (in primo luogo la Lombardia e la Calabria) appaiono partecipanti ad un “gioco di ruolo” che difficilmente può essere comprensibile in un consesso civile complessivo e nazionale. Non vi sono dubbi alcuni sul livello di pericolosità che l’epidemia va mostrando in terra lombarda (i dati sono impietosi); allo stesso tempo la Calabria pur non essendo ancora pervenuta ai parametri “rossi” non possiede per una forma di arretratezza congenita particolarmente evidente nel settore “sanitario” le necessarie garanzie di poter fronteggiare in modo adeguato un picco di contagi.

D’altra parte, se nelle prossime settimane si assistesse ad un decremento dei valori, molte delle attività che oggi sono costrette a chiudere, potrebbero essere riaperte.