una serie di nuovi post – ASCOLTO – Riflessioni “quasi in diretta” – Un viatico per proseguire il cammino fuori dalla pandemìa – 4
Avevo scritto lo scorso 15 settembre: Ho detto prima che avrei fatto una digressione per poi parlare di selezione e ascolto. Lo farò nel prossimo post.
La selezione non può essere contrabbandata come “democratica”
se poi viene imposta comunque “dall’alto”; e qui ritorniamo a parlare di quali
fossero i pregi dell’esperienza delle Circoscrizioni – o Quartieri, per
intenderci – e della ferita che è stata inferta alla città di Prato con la loro
chiusura. Per comprenderci meglio, la “chiusura” è stata giustificata con il
riferimento a precise indicazioni legislative, ma non si è voluto tener conto
della specificità della città di Prato, i cui abitanti (non solo “residenti”)
fluttuano costantemente nel loro numero, la presenza di più di 100 diverse
etnie, un tasso di abbandono e dispersione scolastica, la funzione – pur nelle
diverse fasi di crisi – di un distretto industriale riconosciuto a livello
internazionale. Nell’accesso alle funzioni amministrative periferiche venivano
chiamate tutte le realtà sociali insistenti sul territorio di pertinenza e
quasi sempre erano i giovani ad essere chiamati a concorrere e partecipare a
quegli appuntamenti elettorali. La partecipazione, anche su base volontaria
(nelle Commissioni venivano inseriti anche una quota di non eletti), garantiva
la crescita politica, amministrativa, culturale in senso ampio e alla fine era
quello il banco di prova. Non di rado concorrevano anche gruppi civici, ma ad
ogni buon conto l’attività delle Circoscrizioni era un’ottima palestra per
addestrare alla Buona Politica.
Il riferimento della mia prima frase è alla modalità
proposta da Fabrizio Barca per il reclutamento all’interno del progetto che ha
chiamato “Ti candido”. Non intendo avere dubbi sulla buona fede nel procedere a
tale scelta, ma non corrisponde alla mia sensibilità, che non ha predilezioni
elitarie, di accesso ad un rango di superiorità.
Quanto al tema dell’”Ascolto” che è prioritario in questa
serie di post, noi continuiamo a camminare verso la fondazione di questo nuovo
soggetto anche se con qualche lentezza incomprensibile, perchè non esplicitata
motivatamente.
In una serie di post a questo successiva (mantenendo
tuttavia lo stesso titolo) farò una digressione a mo’ di flashback su quel che
ha preceduto questa fase dal maggio ad oggi (siamo nel settembre 2021) per
conseguire l’obiettivo di costituire una Associazione che sia in grado di
funzionare come stimolo in un territorio complesso come quello di San Paolo.
Riporterò qui anche una documentazione sul dibattito svolto più o meno “in
chiaro” tra noi, con pochi commenti, se non quelli utili a capirci qualcosa di
più: perché se c’è un limite su cui potremmo impegnarci a superare, c’è quello
della dietrologia (ovvero il dubbio che “dietro” ogni azione si possa nascondere
qualche progetto segreto).
LA
“SCUOLA” E’ UNA COSA SERIA – NON SI PUÒ PERDERE ALTRO TEMPO
E’ una riproposizione, spero utile per ricordare e per impegnarsi a “riparare” i danni di cui siamo in gran parte responsabili chi più (i “soloni” della Politica) chi meno (tutti gli altri e in quota parte).
Negli ultimi giorni c’è un silenzio da parte del
Ministro della Pubblica Istruzione; spero si stia rendendo conto che il suo
Dicastero non è dei più semplici e che, anche per questo motivo, non può essere
condotto attraverso annunci nei vari programmi televisivi, La7 in prima fila,
all’interno dei quali giggionare con una sicumera intollerabile. So di essere
molto severo, forse sfrontato, so di poter essere confuso con quei tanti
misogini detrattori delle figure femminili o un sessista: ma non posso
farmi da parte nel proseguire in una critica che vorrei fosse avvertita come
“costruttiva”, come la segnalazione di un pericoloso errore soprattutto per un
Governo che in questo tempo di “crisi” non può essere messo “in toto” in
discussione. Tra le altre cose non avrei mai pensato di dover ricordare ad un
Ministro che fa riferimento al M5S la necessità di un ritorno alle “origini”,
quando dall’Opposizione e soprattutto dai palchi del Movimento si levava forte
la critica ai decenni di Governi passati che hanno progressivamente smantellato
la Scuola pubblica. E invece mi tocca di doverlo fare: insieme ad un rilievo
collegato ad uno sgradevole comportamento verso il collega di Governo che lo ha
preceduto, la cui colpa massima è stata proprio quella di aver denunciato le
profonde critiche condizioni della Scuola pubblica. Fioramonti cui va ancora
“ad honorem” la mia stima (non avendo certamente alcuna riprova a lui
favorevole al fatto che avrebbe avuto migliori esiti la conduzione del suo
Dicastero in questi tempi) non meritava di essere trattato così come ha fatto
in più occasioni la Ministra.
Di sicuro, poichè mi sto ripetendo, rischio di
diventare ossessivo.
Pur tuttavia molti degli “allarmi” che in tanti già
dai mesi estivi avevamo sollevato si stanno rivelando in tutto e per tutto come
serie preoccupazioni. La Scuola che già non stava tanto bene, rischia di
tracollare a causa di una pandemìa “rivelatrice”, oltre ogni possibile
previsione, delle criticità, ben al di là di quanto fino ad ora delineato.
Quest’ultimo rilievo potrebbe apparire elemento di giustificazione per le
inadempienze; però, non era imprevedibile un netto peggioramento delle
condizioni precarie davanti ad un quadro che era pienamente (ben oltre di
quanto la maggior parte degli italiani potessero “sapere”) a conoscenza di chi
governa; e le denunce, e i gridi di allarme sollevati, avrebbero dovuto far
attivare percorsi maggiormente virtuosi. Invece c’è stata la passerella della
Ministra, quella del Comitato Tecnico Scientifico che vantavano strategie
vincenti con i “nuovi banchi” vuoi quelli “singoli a rotelle” vuoi quegli altri
“singoli senza rotelle” con i quali risolvere il problema del “distanziamento”.
Fino ad oggi la stragrande maggioranza delle scuole o ha fatto da sè oppure sta
facendo a meno delle preziose suppellettili.
Rimangono “in piedi” (si fa per ironizzare, ovvio!) i
problemi strutturali delle scuole, le “classi pollaio” e, dulcis in fundo
(altra ironica sottolineatura), la mancanza di “personale scolastico”
quasi ad un mese dall’inizio ufficiale delle lezioni. Qualcuno potrà dire che è
sempre stato così e lo fa semplicemente per una difesa acritica degli attuali
responsabili governativi, che – in questa occasione – hanno avuto molto tempo a
disposizione e sono stati molto meno “oberati” dal dover mantenere rapporti con
il pubblico. Tutti gli aspetti critici avrebbero potuto essere avviati – pur
lentamente – a soluzione. E questo non è accaduto. Anzi, come già scritto, si
rischia il “tracollo”.
una serie di nuovi post – ASCOLTO – Riflessioni “quasi in diretta” – Un viatico per proseguire il cammino fuori dalla pandemìa – 2
Il mio tipo di approccio alle “realtà” è quello di un’ educazione permanente piena che corrisponde a quel che riporta il “Lessico del XXI secolo” nell’Enciclopedia “Treccani” e cioè “Qualsiasi attività avviata in qualunque momento della vita, al fine di migliorare conoscenze, capacità e competenze in una prospettiva personale, civica, sociale oppure occupazionale.” Non smetto mai di voler imparare e comunicare quel che acquisisco all’interno di un moto perpetuo. Ed è così che, mentre meditavo sulle scelte da intraprendere all’interno di un contesto così limitato come lo può essere una porzione di città e, addirittura, una porzione di una parte di città, mi è sopraggiunta la triste notizia della fine fisica di una delle figure più importanti dell’arte musicale popolare di levatura internazionale anche se relegata da decenni in quell’angolo di mondo che è Scandicci, piccolo comune di provincia. Mi riferisco a Giulia Lorimer, che ha prodotto nel corso della sua esistenza decine e decine di appassionati esecutori e cultori, soprattutto della tradizione celtica. Leader insieme a Stefano Corsi dei “Whisky Trail”, ha lasciato numerose tracce tangibili della sua arte.
E’ stata Facebook a lanciare la notizia attraverso i suoi utenti. Una di questi, Cristina Trinci, ha postato un suo video del gennaio 2014 dove ella fa una lunga intervista all’artista. Il titolo del programma è “La strada” e sui titoli di testa che scorrono è inserita una parte della canzone di Giorgio Gaber, quella che ho riportato all’interno del post di ieri. Quei versi erano per me evocativi rispetto a quel che – qui a Prato in una periferia semi stordita dai postumi della virulenza patita – si ambisce a ricostruire pezzo su pezzo, mattoncino su mattoncino una socialità che risorga dalle macerie. Non è certamente fuori luogo il ricorso al “dopoguerra” che tanti osservatori – forse partendo da una visione “dal basso” – svolgono in questo periodo. In quei versi si respira questo anelito alla pratica della “strada”, il luogo dove entrare in contatto con gli occhi della gente, con le loro voci, le loro attese. Quella pratica dell’”ascolto” che è sventolata come espressione virtuosa da parte della Politica professionistica; ma è in definitiva strumentale e ipocrita, perchè viene posta al servizio di quelli che sono gli interessi particolaristici poco più che personali dei vari gruppi di Potere economici imprenditoriali immobiliari. Si dà spazio all’ascolto per concedere le briciole al popolo e grandi guadagni ai faccendieri di vario livello.
L’ “Ascolto” deve essere attento, discreto al limite dell’invisibilità
e deve preparare al soddisfacimento delle minute esigenze che si evidenziano
sul territorio e che possono essere risolte con piccoli e significativi
interventi pubblici.
In questi mesi ancor più che prima si è avvertita la
mancanza di punti di riferimento “di vicinanza”. Non è fuori luogo chiedersi le
ragioni per cui sono state smantellate completamente le strutture periferiche,
a partire dalle Circoscrizioni; e ragionare su a chi è convenuto, il classico “Cui
prodest?”. Intorno a questi temi già da molto tempo prima che si scatenasse il
Covid19 avevo denunciato questa mancanza. Bisognerà riprendere anche in mano
questi temi.
Riflessioni “quasi in diretta” – Un viatico per proseguire il cammino dopo la pandemìa
“I vecchi e i giovani”
Non credo di essere il solo ad avvertire un profondo bisogno di socialità. Questi mesi di pandemìa hanno costretto la stragrande maggioranza di noi a diradare i rapporti diretti. A soffrirne siamo stati tutti anche se in modo diversificato. I giovani hanno visto bloccati i loro naturali progetti di crescita; molti, tra gli adulti, hanno dovuto ridurre il loro tenore di vita in assenza di una retribuzione corrente. Gli anziani di diversa età, temendo maggiormente l’aggressione del virus, si sono tenuti distanti dalla vita attiva, cui potevano dedicarsi, rinunciando anche alla cura dei loro congiunti più giovani. Mentre il tempo scorreva, si annunciavano le difficoltà successive, collegate a contraccolpi psicologici. I più giovani, quelli che avranno davanti a loro oltre mezzo secolo di vita, potranno auspicare per se stessi un recupero felice e narreranno questi tempi ai loro figli e nipoti; i meno giovani, quelli che quel mezzo secolo ed oltre ce l’hanno alle spalle, nei prossimi anni stenteranno a riprendere un ritmo pari a quello precedente alla pandemia, anche perché avranno “naturalmente” meno energie da mettere in campo.
In tutto questo periodo abbiamo assistito all’appannamento dell’attività politica periferica, cui è corrisposto un attivismo frenetico da parte delle strutture centralistiche politiche ed amministrative, che hanno avuto mano libera in un campo sterminato di progetti. D’altra parte era inimmaginabile che la cittadinanza (quella che era stata “attiva” fino al febbraio 2019) potesse intralciare gli obiettivi poco, assai poco, collettivi e molto, assai molto, personali (pur condivisi con gruppi di interesse, che da sempre si aggirano nei pressi delle attività amministrative).
Ciononostante uno di questi “anziani” (chi scrive) si è proposto, con l’aiuto di un gruppo di giovani e di altri più o meno coetanei, di rimettere in moto le energie sopite e, partendo dal proprio territorio, che diventa fulcro centrale dell’attività sociale, proverà a costruire nuove opportunità con l’esperienza degli anziani e le passioni di tutti, a partire dalle giovani generazioni.
Sarà necessario aprirsi all’ascolto. E su questo ho delle
idee, che svilupperò in nuovo post.
Ora voglio anticipare il tema riportando una parte della canzone di Giorgio Gaber – il testo qui sotto riportato ha inizio al minuto 2 e 50″
…C’è solo la strada su cui puoi contare La strada è l’unica salvezza C’è solo la voglia e il bisogno di uscire Di esporsi nella strada e nella piazza Perché il giudizio universale Non passa per le case Le case dove noi ci nascondiamo Bisogna ritornare nella strada Nella strada per conoscere chi siamo.
C’è solo la strada su cui puoi contare La strada è l’unica salvezza C’è solo la voglia e il bisogno di uscire Di esporsi nella strada, nella piazza Perché il giudizio universale Non passa per le case E gli angeli non danno appuntamenti E anche nelle case più spaziose Non c’è spazio per verifiche e confronti….
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SETTEMBRE LA SCUOLA AL TEMPO DI BERLUSCONI UN MIO INTERVENTO SUI TEMI DELLA
SCUOLA 1994 (ERO RESPONSABILE DELLA COMMISSIONE SCUOLA E CULTURA DEL PDS A
PRATO) IN 11 POST A PARTIRE DAL 30 APRILE FINO AL 27 AGOSTO 2020 – QUI NELLA
SUA INTEREZZA
LA SCUOLA AL TEMPO DI
BERLUSCONI Un mio intervento sui temi della scuola 1994 (ero responsabile della
Commissione Scuola e Cultura del PDS a Prato) in 11 post a partire dal 30
aprile 2020 – qui nella sua interezza
Un mio intervento sui
temi della scuola 1994 (ero responsabile della Commissione Scuola e Cultura del
PDS a Prato) E’ un tempo questo, di cui tratto nell’intervento, in cui è in
atto una vera e propria trasformazione del quadro politico nazionale –abbiamo
governi “quadripartiti” (Giuliano Amato dal 28 giugno 92 al 29 aprile 93) e di
unità nazionale (Carlo Azeglio Ciampi 29 aprile 93 – 11 maggio 1994) seguito
dal primo Governo Berlusconi che durerà 9 mesi fino al 17 gennaio 1995
Nell’ultimo anno abbiamo dedicato alla scuola
un’attenzione particolare attivando anche alcuni momenti specifici come la
costituzione di un Forum sui problemi scolastici ed alcuni incontri con
parlamentari, come la senatrice Alberici, ai quali hanno partecipato esponenti
di forze sociali ed operatori del settore, protando il loro contributo.
Va ricordato che nell’a.s. 1993/1994 fu realizzato nella scuola un intervento
parecchio contestato come il decreto IERVOLINO che portò all’aumento del numero
di allievi per classe; nello stesso anno si andava profilando la positiva
soluzione di tantissimi problemi della scuola con l’approvazione, in uno dei
rami del Parlamento, della Riforma della scuola media superiore” con tutto
quello che ciò significava.
Ricordiamo anche come in preparazione della campagna elettorale delle
“Politiche” il gruppo Progressista ha stilato un documento sulla scuola che
conteneva per intero il “progetto scuola” del nostro Polo. Purtroppo sappiamo
tutti come è andata! (il riferimento è alla vittoria inattesa delle Destre con
Berlusconi).
La proposta del Polo che, in maniera disorganica ma in defintiva pur sempre del
tutto funzionale alla creazione di un primo blocco di destra, veniva fatta
nella campagna elettorale in particolare proprio da Berlusconi si
caratterizzava per il “leit-motiv” del “buono scuola” e della “parità fra
scuola pubblica e privata”.
La vittoria di Berlusconi e compagnia “bella” ha fatto sì che si profilasse la
realizzazionendi questa ipotesi, di volta in volta accantonata (solo) per
ragioni finanziarie.
Nel giugno ’94 il nuovo Ministro Pubblica Istruzione Francesco D’Onofrio ha dato
il via ad una serie di proclami disarticolati che si riferivano ad alcune parti
della “Riforma”:
a) Abolizione esami di riparazione;
b) Esami di maturità;
c) Autonomia degli Istituti;
d) Riforma vera e propria.
Andiamo punto per punto:
a) In modo demagogico, al di là della giustezza dell’intervento, il Ministro
D’Onofrio ha annunciato l’abolizione degli esami di riparazione: ha quindi
presentato prima un disegno di legge ed avviato poi la discussione su questo in
Commissione alla Camera. Poi, all’improvviso, in un raptus di decisionismo, ha
presentato un Decreto Legge che gli consentisse di apparire davanti
all’opinione pubblica come l’unico vero salvatore delle famiglie italiane,
sapendo bene che le critiche, anche dell’opposizione, non sarebbero state avanzate
nei confronti dell’abolizione ma certamente sulla sua realizzazione pratica e
sullo sganciamento da una riforma complessiva vera e propria.
Spinto dalle richieste che provenivano dal mondo degli operatori scolastici, il
Ministro senza troppa fretta ha inviato delle generiche e vagle disposizioni,
una circolare applicativa che finiva per confondere le idee sotto una parvenza
di grande autonomia didattica degli istituti.
Un mese fa, poi, dinanzi ad una serie di proposte di
disegni di legge (Lega Nord – PDS –PPI) sullo stesso tema ma con visioni, anche
se non in modo molto accentuato, diversificate, in Commissione al Senato si è
arrivati alla decisione di far accompagnare il decreto da un disegno di legge
che fa propri alcuni passaggi dei diversi disegni di legge presentati dalle
forza politiche.
Qualche giorno fa, poi il Ministero ha inviato alle scuole una “ordinanza” che
regola, in attesa dell’approvazione del disegno di legge, tutta la materia per
l’anno scolastico in corso. Notevoli saranno i problemi organizzativi, a
partire dalla necessità di stipulare convenzioni con gli Enti locali per
l’accesso alle mense e con le ditte di trasporti per consentire agli allievi
rientri articolati; per andare poi alle questioni relative all’orario da
organizzare, sia di mattina che di pomeriggio, in quanto una parte delle ore a
disposizione di mattina potrebbero essere utilizzate di pomeriggio, e nella
strutturazione degli orari pomeridiani occorrerà tener conto degli allievi che
non avranno da recuperare tutti le stesse materie e lo stesso numero di
materie. Viene inoltre meno anche il progetto di eliminare le lezioni private,
in quanto c’è sempre la possibilità di ricorrere, per evitare i disagi di cui
sopra, ad esse. Un’ulteriore “spada di Damocle” pende sulla testa degli
allievi: infatti in quasi tutte le scuole l’ora di lezione attualmente è di 50
minuti. Sembra che per risparmiare si vogliano utilizzare i minuti, che il
docente praticamente risparmia, per i corsi di recupero. Con il risultato quasi
certo che, poiché la scelta di portare l’ora di lezione a 50 minuti è stata
ritenuta praticamente “necessaria”, i docenti chiederanno, piuttosto che essere
impiegati gratuitamente nei corsi di recupero, di ricondurre l’ora di lezione a
60 minuti. Cosa accadrà? Gli allievi finiranno spesso le lezioni antimeridiane
intorno alle 15.00 e, se necessario, frequenteranno corsi di recupero fino alle
18.00; senza parlare dei corsi serali che potrebbero andare anche oltre le
24.00. per ora questa ipotesi è solo ventilata, ma non è impossibile che venga
concretizzata!
Nella proposta di abolizione degli esami di riparazione e di sostituzione dei
corsi integrativi non si tiene inoltre conto della situazione scolastica di
vaste aree del Paese con aule e strutture fatiscenti e con doppi e tripli
turni: insomma, come al solito, si parte dalla vetta senza aver costruito le
basi!
Passiamo al secondo punto, quello relativo agli esami
di maturità
b) Quanto agli esami di maturità, non si tratta per adesso di una loro
“riforma”. C’è soltanto un articolo della Finanziaria che prevede per questo
anno scolastico la nomina di Presidenti e Commissari a livello strettamente
locale, stabilendone diarie ed indennità di missione. Non c’è nulla che
riguardi lo svolgimento tecnico dell’Esame, per cui sotto questo aspetto sarà
più o meno come negli ultimi venticinque anni. Su questo, se c’è da protestare,
è proprio per l’assenza di una vera e propria proposta di Riforma.
Punto c – Il progetto di “autonomia” è
fondamentalmente necessario e legato ad esigenze reali: proviene già dalla
Finanziaria 94 del Governo Ciampi che aveva poi rinviata l’attuazione con una
delega. Si parla di autonomia finanziaria, amministrativa, didattica. La delega
è scaduta ed ovviamente non poteva essere rinnovata da un Governo diverso,
cosicché è stata riscritta ogni cosa ed è di nuovo in discussione in
Commissione al Senato. Sulla questione dell’autonomia vanno dette alcune cose:
1) molti sono stati gli equivoci, molta la
disinformazione, per lo più voluta e strumentale; è stato creato un
collegamento forzato fra “autonomia” e “privatizzazione”, senza il necessario
approfondimento e senza avvertire la necessità, in particolare da parte dei
giovani, di avanzare “controproposte”, in cui fossero evidenti e chiare e
precise le regole da rispettare, specialmente nella parte finanziaria,
collegata ai contributi “esterni”;
2) nell’autonomia amministrativa politica appare troppo pesante il ruolo dei
Capi di Istituto, i cosiddetti “presidi-manager” e non è chiaro il loro sistema
di reclutamento e di aggiornamento: affidare una scuola nelle mani di alcuni
Presidi (penso a figure concrete in carne ed ossa) con questi compiti, con
questi poteri è veramente un fatto pericolosissimo; c’è da aggiungere che
alcuni Presidi, avveduti e scrupolosi, sono molto critici ed hanno notevoli
problemi a vedere amplificare il loro ruolo e le loro responsabilità; 3)
appare, proprio per questo strapotere dei presidi, non a caso chiamati “Capi di
Istituto”, sempre più evidente il ruolo progressivamente più ridotto degli
Organi collegiali, con particolare rilevanza della scarsa presenza degli
studenti, che invece farebbero bene a richiedere una maggiore attenzione su
questo aspetto, senza ostinarsi a cobattere l’ “autonomia” per quello che non
è, ovverosia per la privatizzazione. Non intendo dire che non vi sia questo
rischio, ma certamente se il ruolo e la presenza degli studenti negli Organi
collegiali (ed il potere, già ridotto, di questi ultimi) venisse ulteriormente
a diminuire, la situazione sarebbe davvero molto grave ed irreparabile. Una
questione a parte è collegata al mancato decentramento dei poteri.
d) Da qualche giorno c’è sul tavolo della Commissione Cultura e Pubblica Istruzione
del Senato anche il progetto di “Riforma”. Noi non possiamo che vedere con
piacere che si parla di “innalzamento dell’obbligo” fino ai 16 anni, ma
dobbiamo puntare concretamente ad un ulteriore innalzamento fino ai 18 anni.
Pur tuttavia dobbiamo rilevare con una certa preoccupazione e sconcerto che al
comma 7 dell’art.1 sia consentito l’assolvimento dell’obbligo nell’ambito dei
corsi biennali di formazione professionale regionale. Al di là di quelle che
possono apparire delle assicurazioni (“rispetto di standard di qualità…”), si
deve sottolineare la volontà di questo Governo di distinguere una scuola di
serie “A” da una scuola di serie “B”, dove si entra in possesso di una cultura
e di una formazione di serie “A” e “B”, relegando i meno abbienti e dotati in
un eterno “Limbo”.
La scuola al tempo del Governo Berlusconi – quarta parte (per
terza parte vedi 18 maggio)
Questa scelta è inoltre, a mio parere, un incentivo forte ad un ulteriore
abbassamento del livello culturale, un invito a chi “sente” di essere meno
dotato, a chi è indotto alla pigrizia mentale a dirottare il proprio impegno
quasi “obbligato” verso la formazione professionale con il rischio comunque di
a) dare forze a strutture spesso inefficienti e squalificate (vedi molte realtà
del Centro-Sud); b) erogare un servizio che non forma cittadinanza e non
fornisce nemmeno cultura di base; c) distogliere la Formazione Professionale
dal suo specifico compito che in alcune realtà molto operose dal punto di vista
artigianale e industriale, come le nostre, è stato di grande rilevanza. Anche
su questo argomento poco si dice e si discute fra i giovani.
Cosa è accaduto nella Scuola?
Parliamo innanzitutto di docenti. C’è stato da parte loro un atteggiamento di
sconcerto di fronte alla vittoria delle Destre: un pessimismo più accentuato di
quello che ho visto trapelare dal malumore di alcuni compagni qui in
Federazione, una sensazione che non vi fosse più spazio per la rivincita e
questo pessimismo, questa sensazione viene trasmessa da chi dovrebbe essere in
possesso di maggiore carisma anche agli altri colleghi ed in modo meno diretto
agli allievi più sensibili all’impegno civico. Se avessimo aspettato che si
muovessero i docenti, almeno quelli che conosco io, anche i più bravi ed
impiegati, avremmo ancora oggi una “calma piatta”. Invece si sono mossi gli
studenti: sono più sensibili ma anche meno condizionati, più liberi! I docenti
sono fondamentalmente timorosi: chi avrebbe potuto impedire ad un operaio di
dimostrare la propria contrarietà al Governo nel suo specifico luogo di lavoro?
Nella scuola non si può teoricamente farlo! Ci sono delle eccezioni, ma servono
quasi esclusivamente a confermare la regola! Lo studente può farlo! E’
importante tuttavia che anche lo studente sappia calibrare adeguatamente le
proprie lotte, gestendole ma arricchendole con la sua freschezza naturale anche
con delle regole che tendano a non vanificarne gli effetti. L’impegno degli
studenti in questo scorcio di anno è stato, a Prato ma non solo, collegato a
questioni specifiche e dirette: la scuola e solo la scuola, piattamente la
scuola. Se si leggono i diversi volantini con le piattaforme si fatica a
trovare un riferimento al problema previdenziale (eppure sono i giovani ad
essere i maggiori colpiti dall’attuale Finanziaria), alle questioni
fondamentali dell’informazione e della cultura, ai problemi acuti del contrasto
fra i diversi poteri dello Stato.
Sembra che questi argomenti non facciano parte
dell’universo-scuola, dell’universo-giovani. Gli allievi, cioè, appaiono ormai
sempre più vittime del distacco che in questi anni si è andato formando fra la
scuola e la realtà ad essa immediatamente esterna ed inoltre è evidente sempre
più il venir meno dell’apporto educativo della famiglia e del ruolo dei
docenti.
C’è un elemento positivo, quest’anno, che è dato da un fattore negativo: si
tratta di una consapevolezza da parte degli studenti dei propri limiti, temperata
lievemente da una richiesta giusta di autonomia, importante, a mio parere, per
la loro crescita e maturazione. A Prato c’è stato un movimento, nella seconda
parte del mese di ottobre, che io giudico molto positivamente. Rispetto agli
altri anni c’è stato meno folklore e più concretezza, e questo già da solo
basterebbe a giustificare un giudizio positivo. Ci sono stati degli incontri
con forze politiche e sindacali; gli studenti hanno cercato di sapere, di
capire, di imparare, hanno discusso con gli altri studenti e fra di loro, sono
nati dei coordinamenti, potrebbero profilarsi anche dei soggetti politici nuovi
da prendere in considerazione. Qualcuno si sofferma a prendere troppo in
considerazione solo quel che sta accadendo nel resto d’Italia, a partire dalla
stessa vicina Firenze: se sarà necessario, gli studenti scenderanno in piazza,
come già hanno deciso di fare con la fiaccolata del 24 novembre. Non si può
misurare il grado di sensibilità degli studenti dalle loro proteste plateali,
pittoresche: è molto importante ricordare a tutti noi come il voto giovanile a
Prato per i Progressisti nelle ultime elezioni Politiche sia stato del 50 %
circa, lo dico anche per confermare gli apprezzamenti positivi che ho già
rivolto loro.
Un problema gravissimo che non avevo tuttavia dimenticato è quello della parità
fra scuola pubblica e privata. Un documento sottoscritto da molte personalità,
fra le quali spicca Vittorio Campione, responsabile per la scuola del PDS
nazionale, ha posto l’accento su questo problema in maniera insolitamente
tempestiva (era ora!), scatenando un dibattito non sempre civile. Su questo
tema occorre un supplemento di approfondimento: mi limito a dire che ritengo
necessario discuterne per evitare che le scelte, pur fossero esse a favore di una
parità, non prevedano la configurazione di standard non solo formativi (dal
reclutamento alle garanzie di rispetto del pluralismo e della democrazia nella
circolazione delle idee), che possano garantire in ogni caso una formazione non
diversificata.
Quel che sta accadendo negli ultimi mesi mette in
evidenza anche un grosso rischio: alcuni settori, meno appetibili all’interno
dell’opinione pubblica corrente, come la scuola primaria e la scuola media
inferiore finiscono per essere sacrificati ed emarginati nelle scelte, mentre
avrebbero bisogno di corposi interventi fondamentali per la loro crescita.
A Prato va ripreso il lavoro del Forum, anche perché sono convinto che i
problemi della dispersione e dell’abbandono non saranno suerati con
l’abolizione degli esami di riparazione.
Nella nostra città si assiste, negli ultimi anni, ad un notevole (non so se
progressivo ed esponenziale abbassamento del livello culturale generale. I dati
esposti dai compagni che lavorano nella Formazione Professionale erano a me già
noti, ed è bene però che di tanto in tanto qualcuno ce li ricordi.
Non condivido per niente l’atteggiamento trionfalistico di chi considera Prato
come il posto migliore di questo mondo: se c’è qualcosa di buono (ed anche io
dico che non è poco!) manteniamolo e miglioriamolo ma procediamo in avanti in
modo critico. E’ comunque assente un progetto culturale-educativo che coinvolga
la città, partendo non dal suo centro, ma dalle sue periferie. Occorre pensare
ai giovani, stimolarli ad essere sempre più soggetto politico collettivo pur
mantenendo una loro autonomia e produrre per loro e con loro progetti che li
coinvolgano e li vedano protagonisti. Occorre pensare ai meno giovani per un
ampliamento ed una diffusione di una educazione permanente che non sia solo
ricreativa e poco più che ludica. Occorre realizzare, o contribuire a farlo con
gli organismi competenti, un orientamento che consenta di operare al meglio non
solo nel passaggio dalla fascia dell’obbligo alle superiori ma anche
successivamente.
Occorre costruire un saldo – e franco – rapporto con il mondo delle imprese e
dell’industria che non si appiattisca sul settore della formazione
professionale così come essa è attualmente, ma che preveda l’istituzione di
nuovi percorsi formativi.
A livello generale direi che occorrerebbe 1) innescare un trend positivo che
porti alla soluzione complessiva del problema asilo nido-materne, utilizzando,
anche se con la necessaria cautela, le strutture private; 2) proseguire ed
ampliare il progetto continuità, affrontando e risolvendo i problemi che
sorgono; 3) razionalizzare e distribuire equamente le strutture sul territorio,
dando loro un respiro largamente provinciale; 4) utilizzare a pieno le
strutture ed il personale per diffondere cultura e conoscenza sul territorio.
Fine del documento
Un annuncio: nel rovistare tra le carte di quel periodo ho trovato dei dati
sulla dispersione scolastica, un articolo de “Il Tirreno” ed alcune lettere tra
noi di Prato ed i vertici nazionali del PDS tra il febbraio del 1993 e l’agosto
del 1994. In uno dei prossimi post ne parlerò.
Come avevo annunciato, c’è un “extra” a quelle
riflessioni che puntavano una certa attenzione sui temi della “dispersione e
dell’abbandono” scolastico.
Protocollato 26.3 del 28.01.1993 un Comunicato Stampa del Partito Democratico
della Sinistra Federazione di Prato – Dipartimento Scuola e Cultura analizza i
dati allarmanti che subito dopo riporterò in modo analitico intorno
all’abbandono ed alla dispersione scolastica nelle scuole superiodi di secondo
grado della città. Per fare questo utilizzerò “in parte” un articolo che uscì
il giorno dopo, 29 gennaio 1993, su “Il Tirreno” Cronaca di Prato a firma di
Fabio Barni.
COMUNICATO STAMPA
Il Ministero della Pubblica Istruzione, guidato dalla signora Rosa Russo Iervolino
si sta caratterizzando per l’ottica bigotta e codina, impedendo la diffusione
nelle scuole di un manuale di prevenzione dell’AIDS per l’uso che ivi viene
fatto della parola “profilattico” (come se i bambini ed i ragazzi, le bambine e
le ragazze non dovessero conoscere quell’oggetto a forma di palloncino
cilindrico che molto spesso vedono, oltre che in televisione, nei cassetti dei
loro genitori!); si è altresì caratterizzato di fronte alla crisi economica,
con scelte contraddittorie ma parimenti miranti a rendere più squilibratoe
difficoltoso il percorso formativo nell’ambito della scuola italiana: ci si
riferisce in particolare al blocco del contratto per il personale della scuola
(che impedisce di fatto ogni possibile rinnovamento) , all’evidente volontà di
far fallire ogni ipotesi di reale riforma della scuola, ed in particolare della
scuola media superiore (con il proliferare di sperimentazioni, per le quali si
parla di entrata prossima in ordinamento!), all’incapacità di affrontare gli
enormi sprechi (esami di maturità, esami di riparazione, corsi di aggiornamento
speciali, convenzioni costose ed improduttive, ecc…). il Ministero della P.I.
non interviene invece su quelli che sono i problemi più acuti del percorso
formativo dei giovani: l’abbandono e la dispersione, legati soprattutto al
settore della scuola media superiore. Il Dipartimento Scuola del PDS di Prato
ha analizzato alcuni dati provenienti dall’Assessorato alla P.I. del Comune di
Prato ed intende lanciare un primo allarme sulla situazione cittadina, in
materia particolarmente di dispersione, che si attesta su livelli superiori
(anche di molto) alle percentuali nazionali. Nei prossimi giorni il
Dipartimento attiverà una seria riflessione per ricercare le possibili
soluzioni e culturali per far sì che nei futuri anni scolastici sia
sensibilmente ridotto il tasso di dispersione.
Il tasso di dispersione è dato dal rapporto fra allievi iscritti e promossi
nell’arco di un anno scolastico o di un quinquennio. Risulta evidente che il
dato reale è da considerare in ogni caso ben superiore a quello espresso, in
quanto fra i promossi ed i maturati non vengono conteggiati i ripetenti la cui
condizione è da annoverare già fra i “dispersi” di un anno precedente o di un
quinquennio appena precedente. Allo stesso modo non vengono espressi gli
“abbandoni” che si sommano dunque al numero dei dispersi. Ad una prima
riflessione occorre dire che ci si trova di fronte ad un sistema di
orientamento che non funziona; ad una scuola ancora troppo “squilibrata” nei suoi
comparti; ad un’organizzazione scolastica complessivamente fallimentare.
Si allega prospetto sui dati finora pervenuti
Quale responsabile della Commissione Scuola e Cultura del PDS (Partito
Democratico della Sinistra) Federazione di Prato scrissi al compagno Vincenzo
Magni che nella Direzione Nazionale si occupava dei temi scolastici. La lettera
è del 1 febbraio 1993 protocollata 29/3
“Caro Vincenzo, ti spedisco alcuni dati sulla dispersione scolastica nelle
scuole medie superiori della città di Prato. Sono riferiti ad un quinquennio
(1987/88 – 1991/1992) e ad un anno (1991/92) per quel che riguarda la prima
classe (numero iscritti – numero promossi alle due sessioni). A prima vista,
siamo molto al di sopra delle percentuali nazionali. Nei prossimi giorni ci
incontreremo per una riflessione più appropriata. Ti terremo al corrente. Ciao.
Giuseppe Maddaluno
Il tabulato che avevamo approntato cui si fa riferimento fu pubblicato da “Il
Tirreno” Cronaca di Prato da Fabio Barni in data 29 gennaio 1993 e qui sotto ne
riporto il riquadro generale dell’articolo e quello particolare con alcune
correzioni (mie) a mano perchè evidentemente non erano pervenute alla
redazione.
Manca nella foto dei tabulati riportata dall’articolo il raffronto tra la media
nazionale della dispersione (38,75) e quella pratese (51,75) relativamente al
quinquennio.
I dati più preoccupanti erano riferiti agli Istituti tecnici professionali come
l’IPSIA “Marconi” (52,69%), e l’ITG “Gramsci” (42,2%); al terzo posto della non
lusinghiera classifica c’era l’ITIS “Buzzi” (38,59%). Ad ogni modo i dati li
potete leggere in modo diretto.
Tuttavia riporto il testo dell’articolo menzionato a firma di Fabio Barni:
“Il PDS fa scattare l’allarme. I dati sulla dispersione scolastica a Prato,
superano di gran lunga la media nazionale. Oltre la metà degli studenti degli
istituti medi superiori pratesi non conclude il ciclo di studi in cinque anni,
mentre nel resto d’Italia, considerate le aree geografiche in cui il fenomeno è
allarmante, la media è del 38 per cento. In città, insomma, c’è il tredici per
cento di possibilità in più che altrove di vedersi respinti o di abbandonare la
scuola. Un dato davvero preoccupante, che spinge il partito della Quercia ad
aprire una discussione tesa ad approfondire aspetti e motivi del fenomeno. Le
cifre, fornite dall’Assessorato alla pubblica istruzione, appaiono ancora più
gravi in relazione agli istituti tecnici o professionali. Basti pensare che al
“Marconi” soltanto un allievo su cinque porta a compimento il proprio ciclo di
studi entro il quinquennio. Pur considerando chi opta per oncludere nel
triennio, il dato è davvero allarmante. E non va meglio presso gli istituti
tecnici commerciali o la scuola per geometri. Al “Dagomari” chi giunge senza
problemi al quinto anno, fa parte di un ristretto 34 per cento, mentre al
“Gramsci” la cifra si aggira sul 43% e al Buzzi si attesta intorno al 50%.. Non
disponibili i dati relativi al “Keynes”* e al Liceo Classico “Cicognini**, la
situazione appare migliore nelle due scuole superiori ad indirizzo
scientifico…..
*Nota del redattore 2020: alcuni dati sono presenti redatti a mano per la parte
di dispersione relativamente al pimo anno 1991/92 con un 23% significativo
ricavato dagli iscritti nelle classi prime raffrontati ai promossi alle seconde
**come sopra: gli alunni iscritti alle prime classi 1987/88 erano 112 – gli
alunni maturati nel 1991/92 erano 77 ed il tasso di dispersione è del 31,25
Al “Livi” i maturati nel quinquennio superano l’80% e
al “Copernico” il 76%. Inciampa, invece, circa la metà degli iscritti
all’Istituto Magistrale. La media pratese degli abbandoni e delle bocciature si
aggira invece sul 52 per cento contro il 39 per cento circa su scala nazionale.
Preoccupanti anche i dati relativi alle promozioni degli alunni iscritti alle
prime classi. Considerando anche in questo caso sia i promossi di giugno che
quelli di settembre, in alcuni istituti si sfiorano livelli davvero allarmanti.
Al “Marconi” sono 97 su 205 gli iscritti alle prime che accedono al secondo
anno, al “Buzzi” 113 su 184, al “Rodari” 273 su 347, al “Gramsci” 121 su 213, e
così via. I dati presentati ieri si prestano subito a tre osservazioni. Occorre
in primo luogo riflettere su una scuola che appare squilibratissima, con
l’assenza di una vera connessione fra medie e superiori. E sembra mancare anche
un vero orientamento dello studente che si appresta ad entrare in un istituto
superiore, così come un periodo di ambientamento, nel quale verificare con test
la predisposizione, le conoscenze di base e gli handicap di ogni singolo
allievo. Appare inoltre evidente che chi sceglie il liceo ha già formata una
sua caratteristica di base, mentre non sempre chi opta per un istituto
professionale o tecnico sa bene a che va incontro o come affrontare il ciclo
quinquennale. Appare inoltre evidente che chi sceglie il liceo ha già formata
una sua caratteristica di base, mentre non sempre chi opta per un istituto
professionale o tecnico sa bene a che cosa va incontro o come affrontare il
ciclo quinquennale. Con la diffusione dei dati sulla dispersione scolastica,
all’interno dei quali i movimenti trasversali, da e per altre città o altre
scuole, si compensano, il PDS spera di aprire il dibattito sui problemi della
scuola pratese. Certo è, infatti, che rispetto all’intero paese, Prato si pone
come uno dei casi peggiori per dispersione e difficoltà scolastiche.
Fabio Barni Il Tirreno Cronaca di Prato pag. IV del venerdì 29 gennaio 1993
In contemporanea anche “La Nazione” su pagina regionale lanciò l’allarme con un
articolo di Sandro Bennucci il cui sommario era “Studenti toscani, metà non
arriva al diploma” il sottotitolo recitava “Deludente radiografia nella
regione: grande fuga nei primi due anni di media superiore”.
Bennucci, accanto al tema della dispersione e dell’abbandono, tocca anche un
altro argomento che è da sempre “fondamentale”: le strutture scolastiche.
FIRENZE – Uno studente su due non arriva al diploma di scuola media superiore.
E si fa lezione in edifici modesti, spesso costruiti per altri usi. Ecco la
“fotografia” della scuola toscana scattata dalla Regione. Un’istantanea
deludente, che mostra approssimazione in chi organizza gli studi e incertezze;
dispersioni e addirittura “fughe” da parte dei ragazzi. Ragazzi cresciuti in
una fetta d’Italia evoluta sul piano culturale, ma inclini a scoraggarsi e ad
abbandonare alla prima, o magari alla seconda difficoltà. Se quasi il cento per
cento dei bambini iscritti alla prima elementare arriva a superare l’esame di
quinta, la percentuale si contrae considerevolmente nella scuola media: solo
l’87 per cento ottiene la licenza e sono significative, a questo proposito,
anche le differenze fra le province tocane, con Arezzo che si attesta intorno
al 94 per cento e Pistoia che non supera l’81 per cento. Ma il problema si
ingigantisce nelle superiori. La media regionale di chi arriva in fondo è
regredita dal 67 per cento del 1986/87 al 63 per cento del 1988/89. E mentre i
licei(soprattutto il classico) assicurano la “sopravvivenza” di circa i tre
quarti dei loro iscritti, gli istituti tecnici e professionali registrano
un’autentica falcidia: solo il 50 per cento degli studenti iscritti al primo
anno termina con successo il corso di studi fino al consguimento del diploma. E
ciò dimostra come a quell’accesso sempre più generalizzato ai livelli di
istruzione superiore, non corrisponda neanche lontanamente una pari opportunità
di riuscita. La “fotografia” della Regione (che manifesta sensi di colpa solo
oggi, all’apertura della “conferenza toscana sull’Istruzione” in programma fino
a sabato all’Istituto degli Innocenti di Firenze) è accompagnata da una
considerazione: l’abbandono scolastico non sarebbe dovuto al disagio economico
delle famiglie, ma piuttosto al tessuto socio culturale nel quale sono inseriti
i ragazzi che lasciano precocemente la scuola. Ragazzi – dice la Regione – che
vivono in Comuni senza cinema, né teatri nè bibilioteche. Ma è una spiegazione
che lascia almeno perplessi nel caso dei fiorentini, dei livornesi, dei pisani,
dei pratesi e di tutti coloro che abitano in tanti altri evolutissimi comuni. E
lo stesso assessore regionale alla Cultura, Paolo Benesperi, cita un esempio
significativo: Castiglione della Pescaia è il comune con il reddito pro capite
più alto della Provincia di Grosseto, ma ha il tasso più alto di “mortalità”
scolastica. E le aule? Oltre la metà risultano di modeste dimensioni. La
maggiore incidenza di piccole strutture è rilevata a Massa Carrara e
Grosseto.”*
Trascorse più di un anno e di certo molti altri furono gli interventi a livello
locale dal Dipartimento Scuola e Cultura della Federazione pratese del PDS.
Ne riporto appunto uno del 31.08.1994 sotto forma di Comunicato Stampa da me
firmato.
“Questi, che stanno per iniziare, saranno dunque gli ultimi esami di
riparazione. Il PDS da anni si è battuto per la loro abolizione, inserendola
tuttavia in un contesto più ampio di riforma complessiva dell’intero comparto
della scuola media superiore. Questo Governo, che imposta il suo lavoro
prevalentemente sui sondaggi, ha preferito utilizzare la facile demagogia di un
decreto legge, partendo dall’aspetto conclusivo dell’attuale “iter” senza
indicare, ad esempio, i meccanismi di orientamento, che sono invece alla base
della maggior parte delle difficoltà riscontrate dagli studenti. Allo stesso
tempo non vi è stato accenno alcuno sui programmi, sull’aggiornamento e sulle
modalità di applicazione dello stesso decreto, che sono lasciate
discrezionalmente alla libera inventività del Consiglio di Classe e
dell’Istituto.
Un edificio senza fondamenta, una coda senza la testa, un incompiuto: questi
sono alcuni degli esempi che più spesso si sentono portare (al di là delle
soddisfazioni giuste di famiglie ed allievi ) sul decreto legge del Ministro
D’Onofrio.
Il PDS teme che a pagare queste sortite demagogiche siano poi sempre gli
stessi, i più deboli fra gli studenti, specialmente coloro che non possono
ricevere né culturalmente né materialmente un vero e proprio sostegno
nell’ambiente familiare e si batterà perché si vada al più presto a realizzare
una vera e propri riforma, che abbia come obiettivo primario la riduzione
progressiva dell’abbandono e della dispersione scolastica.”
Prato 31.08.1994 Dipartimento Scuola e Cultura PDS –Federazione Pratese –
Giuseppe Maddaluno
*Nota del Redattore 2020: I problemi sottolineati
all’inizio (si fa lezione in edifici modesti, spesso costruiti per altri usi) e
alla fine (Aule di modeste dimensioni) dell’articolo di Bennucci sono ancora
tremendamente attuali, ancor più “oggi” dopo la pandemia del Covid19.
LA SCUOLA AL TEMPO DI
BERLUSCONI – PARTE 11 25 anni dopo ”Le colpe dei padri ricadranno sulle spalle
dei figli”
Chi ci ha governato – e chi ci governa – in questi anni non ha modificato in meglio ciò che pure molto spesso ha criticato. Dopo Berlusconi, la Moratti e la Gelmini sul comparto Scuola (e Università) si è prodotto un progressivo incessante intervento mortificatorio delle competenze e vessatorio nei confronti di coloro che nella Scuola (e nell’Università) operano o ne sono fruitori diretti ed indiretti. Attualmente a causa delle difficoltà sopraggiunte con la crisi pandemica si procede a tentoni e il Governo Conte, che pur ha grandi meriti, mostrando una grande padronanza dei propri mezzi, che nasconde tuttavia una incapacità progettuale, che non produce effetti benefici nè a breve nè a medio termine, non è riuscito a rimettere in moto le energie positive che nella Scuola non sono mai mancate. In questi post (“La scuola….” e “I conti non tornano”) ho riportato quel che avveniva non solo per demerito delle Destre ma anche per quelli della Sinistra intorno agli anni Novanta del secolo scorso e nell’approccio non ho notato differenze “ideologiche” ma un’opera costante di smantellamento della libertà di coscienza perpetrata a danno delle future generazioni. Non c’è stata mai una seria presa in considerazione delle urgenze denunciate (l’abbandono scolastico, la inadeguatezza delle strutture scolastiche, un reclutamento per meriti a partire dal giusto riconoscimento delle competenze acquisite in modo diretto da parte del precariato “anziano”, sempre più anziano ed una retribuzione dignitosa) ed oggi, il “futuro” di ieri, se ne pagano le conseguenze, sia per i “morsi” della pandemia sia per l’abbassamento del livello culturale generale prodotto in questi anni di abbandono ed incuria. E’, se vogliamo essere buoni e concedere ai “contemporanei” la buona fede, il classico “piangere sul latte versato” ma, a ben vedere, neanche i “nostri” di oggi sembrano essere in grado (o fingono di voler cambiare le “cose” ma non ne hanno nemmeno tanta voglia!) di procedere verso un cambiamento. Ho scritto più volte sui temi della Scuola; a favore del Ministro posso dire che si sta trovando ad operare in un terreno molto difficoltoso, pieno zeppo di insidie: a suo sfavore – qui mi ripeto – sta il non aver compreso (almeno a me così sembra) che l’assunzione delle responsabilità pregresse non può essere addossata a questo Governo, poichè per la maggior parte non le appartengono. Di certo una parte di questo Esecutivo ha grosse colpe ma non sarà semplice fargliene riconoscere alcuna: le parole “pentimento” ed “autocritica” sono sconosciute nel ceto politico corrente. Mostrare una grande sicumèra come fa la Azzolina di fronte alla catastrofe, lasciando credere che “tutto andrà bene” (questo poteva servire come “placebo” durante il “lockdown” ma ora è il tempo delle scelte), e magicamente a settembre tutto funzionerà alla perfezione, è da “irresponsabili”. Occorre avere il coraggio di dire che la situazione è tragica a causa dell’incuria di decenni, della quale sono corresponsabili Governi di Centrodestra e di Centrosinistra. Il problema serio è che se non c’è “condivisione” nella compagine nel riconoscere tali trascuratezze ed inefficienze si rischia di rompere la maggioranza. Bene! Di fronte a tali possibili scenari preferirei la “chiarezza” e non la sopravvivenza in questa fetida palude dell’ignavia
Nota posteriore alla trascrizione del verbale del 18.12.1998: “Non è solo una mia forma velleitaria personale l’aver voluto riportare questa trascrizione dalla quale si evincono molte anomalie dovute ad ingerenze esterne al mondo della scuola, ma intendo contribuire a mettere in chiaro che l’attuale difficoltà nella quale versano le “strutture” scolastiche – in modo particolare quelle degli Istituti medi superiori di secondo grado – derivano dalla incapacità a programmare le scelte future in modo oculato da parte di una classe dirigente politica ed amministrativa che permane perlomeno dagli ultimi decenni del secolo scorso.” e dunque:
I CONTI NON TORNA(VA)NO parte 27
Interviene il Consigliere comunale Giuseppe Maddaluno, che esprime vivo apprezzamento per la folta presenza delle due Commissioni (Provinciale e Comunale), il che dimostra l’importanza e l’urgenza dell’argomento, ma rileva anche la grave insufficienza con la quale lo si affronta considerando che i colleghi della Provincia hanno discusso finora ignorando quei dati che solo oggi l’Assessore Cardillo fornisce alle commissioni. Ritiene scorretto questo modo di procedere e afferma che queste informazioni andavano fornite per tempo altrimenti non si capisce come gli eletti possano prendere decisioni tanto importanti. Continua dicendo che può anche accettare l’idea di fare prima il dimensionamento e poi l’ottimizzazione, ma afferma che il problema della sede del Liceo Copernico nulla ha a che vedere con tali questioni perché si sta risolvendo un problema, dovuto ad una esigenza sacrosanta del Copernico, creando disagi uguali e forse maggiori a centinaia di famiglie. Considera che il riequilibrio tra istituti analoghi non può risolversi con un taglio e che sul problema andavano sentiti tutti: Provveditore, presidi, insegnanti e genitori e le decisioni non andavano prese a tavoli ristretti in modo impositivo, malgrado l’assessore Cardillo abbia detto che sono tutti d’accordo, affermazione rispetto alla quale c’è da restare allibiti. Considera tutto ciò inaccettabile e annuncia che, come consigliere, non intende occuparsi solo della scuola ma dell’intera città, poiché il problema è cittadino, anzi provinciale. Considera che, se il piano dell’assessore Cardillo andasse in porto, tutti vedrebbero risolti i loro problemi, tutti meno il Dagomari per il quale si profila la peggiore delle soluzioni; non ci si deve meravigliare, quindi, se questa scuola prestigiosa che ha dato tanto alla nostra area, protesta vivacemente. Del resto, aggiunge, non si può parlare di scuola in modo crudo ed asettico, usando solo i numeri, ma bisogna tener conto del territorio, della storia, del coinvolgimento sociale e della realtà di ogni scuola per cui non si può accettare che la soluzione del problema del Liceo Copernico venga realizzata a scapito di altri. Fa presente che anche sul piano squisitamente tecnico vi sono carenze e incongruenze gravi e che, in definitiva, i conti non tornano.
Spiega che i tecnici hanno affermato che il Dagomari, così come è, non entra nel Gramsci, ma che il problema si risolverebbe con qualche lavoro che, comunque, priverebbe quella Scuola della mensa e della biblioteca, strutture queste di cui essa attualmente è dotata.
….27… prosegue l’intervento del Consigliere Maddaluno
…e vi regalo un “racconto” in bozza, collegato in modo diretto a TRAMEDIQUARTIERE
STORYTELLING (digital) e METANARRAZIONE – proseguendo il lavoro in TRAMEDIQUARTIERE Scrivevamo l’altro giorno: “Stamattina piove. Le prime gocce tamburellando sulle tettoie mi hanno svegliato: che ore sono? Dieci alle sette; tra qualche minuto anche il telefono sussulterà, vibrerà e poi suonerà. Decido di staccare la “sveglia”, non ne ho più bisogno e non voglio disturbare gli altri che continuano tranquillamente a dormire; mi alzo e vado in cucina a prepararmi il solito caffè. C’è meno luce del solito. Eppure siamo già al 15 di maggio. Con la tazzina di caffè fumante vado davanti all’ampia vetrage del salone attraverso la quale osservo la vasta pianura che va verso il mare, al di là delle colline pistoiesi che nascondono la piana di Montecatini e tutto il resto verso occidente. Le nuvole sono basse e continua a piovere. Ieri mattina a quest’ora la luce era così intensa e sono riuscito a fare una serie di buone riprese ed ottime foto. Meno male, mi dico e continuo a dirlo mentre accedo al balcone esterno che guarda verso il Montalbano e si affaccia sul giardino e sulla vecchia Pieve. Sul balcone i fiori di cactus che ieri mattina erano aperti e turgidi si sono afflosciati, altri ne stanno nascendo e quando saranno pronti, come sempre faccio, li fotograferò. I colori della natura tendono in prevalenza al grigio, grigio-verdi, e la pioggia copre con il suo cadere a tratti i suoni ed i rumori della vita della gente che va a lavorare: è ancora presto per il “traffico” scolastico che tra poco si materializzerà. E continuo a pensare tra me e me: “Meno male che ieri mattina sono riuscito a fare le foto e le riprese di cui oggi avrò bisogno. Stamattina sarebbero state così cupe!”. Da martedì insieme a pochi altri seguo un corso intensivo di soli quattro giorni: lavoriamo su “temi e storia” di questo territorio. Siamo a Prato. Quartiere San Paolo, periferia Ovest della città post-industriale. E’ piacevole ed interessante, forse anche utile. Siamo soltanto in sei suddivisi equamente quanto a genere ed età anagrafica. Il primo appuntamento è in una delle scuole della città appena alla periferia del nostro territorio. Mi sono presentato come uno scolaretto per l’appello del primo giorno. Molte le facce a me già note: in definitiva ad occuparci di Cultura ci si conosce. Sento subito che ci divertiremo, insieme. Handicap assoluto è la mia profonda impreparazione linguistica con l’inglese. La docente anche se in possesso di un curriculum internazionale di primissimo livello dal suo canto non capisce un’acca della nostra lingua: e questo mi consola ma non giustifica entrambi. C’è grande attenzione in tutti ma il più indisciplinato è colui che dovrebbe , per età soprattutto e per la professione che ha svolto, essere da esempio, cioè io. Mi distraggo, chiacchiero, insomma disturbo come un giovane allievo disabituato alla disciplina. L’americana mi guarda con severità e con quel solo sguardo impone il silenzio. Ciascuno viene chiamato poi a confessare in una sorta di autoanalisi, della quale non parlerò, le origini del proprio nome e della propria storia familiare. Io scherzo sul significato del mio cognome che richiama atmosfere donchisciottesche e sulle attività “carpentieristiche e marinare” di mio nonno paterno.
Proseguo nella pubblicazione di alcuni documenti relativi al periodo 2009 e seguenti quando a Prato nella zona Ovest un gruppo di cittadine e cittadini molti dei quali avevano partecipato in modo attivo e propositivo alla fondazione del Partito Democratico si impegnarono a rimettere in moto una vecchia Sezione (PCI-PDS-DS) che era stata chiusa per alcuni anni, anche se la maggior parte dei suoi “potenziali” (ci si riferisce alla “territorialità”) aderenti avevano dimostrato di possedere, in forme a volte autonome e libere da condizionamenti centralistici, grandi capacità nel coinvolgimento di una gran parte di cittadine e cittadini interessati a partecipare.
Oggetto:
Apertura della ex sezione di San Paolo Via Cilea 3 PRATO come Circolo PD –circ. OVEST.
Già da tempo
diversi iscritti e simpatizzanti che hanno seguito l’evoluzione della politica
italiana, ed appartenenti alle varie anime che compongono oggi il Partito
Democratico, hanno compreso quanto sia importante il radicamento sul
territorio, tanto più in questa zona, ed hanno manifestato il desiderio di
aprire qui il Circolo del Partito
Democratico di San Paolo.
Questo desiderio si è fatto più consistente soprattutto in seguito alle passate
elezioni amministrative che hanno visto la destra avanzare, in una città
storicamente di sinistra, ed ottenere, addirittura, la guida del Comune. Oggi
con le elezioni regionali, sebbene si sia registrato un notevole recupero del
PD nelle nostre sezioni, preoccupa molto il raddoppio dei voti della Lega
rispetto alle passate amministrative.
Ciò che ci spinge a prendere in seria considerazione l’apertura del Circolo di
San Paolo è la consapevolezza che è fondamentale recuperare la capacità di
ascoltare ed interpretare le esigenze dei cittadini della nostra area, di
creare un dialogo allargato e di alimentare la credibilità e la voglia di
scommettere in questo nuovo partito.
Appare oramai innegabile la necessità di attivare una presenza più dinamica in
questa parte di territorio, caratterizzato da alcune di quelle problematiche
che hanno portato ad una forte crisi di rapporti con la gente. L’apertura di un
“nuovo” spazio (in questo caso la sua ri-apertura) potrebbe offrire la
possibilità di una partecipazione attiva a tutti coloro che vogliono occuparsi
in maniera più diretta della Politica, ma che non l’hanno mai fatto perché si
sentivano estranei a certe logiche di partito o perché riscontravano difficoltà
nell’inserirsi in circoli già strutturati.
Anche questa scarsa capacità di apertura e accoglienza dei circoli rispetto a
persone non conosciute e troppo spesso viste con sospetto, anziché essere
considerate per ciò che erano, ovvero una risorsa per il partito, ha
contribuito alla delusione dei cittadini rispetto al nostro partito ed alla
perdita del loro appoggio politico.
La creazione di questa nuova “pagina bianca” in cui tutti iniziano insieme, ed
alla pari, un percorso comune di impegno condiviso potrebbe creare nuove
passioni ed entusiasmi, e questo consentirebbe una sostanziale ripresa del
confronto dialettico in questa parte della nostra città.
Per quanto riguarda la reggenza del Circolo, fino al congresso, ed all’elezione
del coordinatore, potrebbero essere possibili almeno due soluzioni: 1) Affidare
l’incarico pro-tempore al coordinatore del Circolo Borgonuovo; 2) Elezione
subito da parte degli iscritti, del coordinatore pro-tempore in attesa dei
tempi congressuali.
Fiduciosi nell’esito positivo
della richiesta, restiamo a disposizione per eventuali ed ulteriori
chiarimenti.
Allegato 1 elenco riepilogo sottoscrittori
Allegato 2 elenco firme
iscritti numero 2 fogli (pag.1 e pag.2)
Allegato 3 elenco firme
aderenti o sostenitori numero 3 fogli
(pag. 1, pag. 2 e pag. 3)
LE STORIE 2008/2009 e 2013/2014 – 5 (per la parte 4 vedi 26 luglio)
Proseguo nella pubblicazione di una serie di documenti collegati al tempo dei primi passi del Partito Democratico, per poter consentire a chi ne vorrà fare uso di comprendere quali fossero le difficoltà per far nascere e crescere un Partito realmente innovativo, così come previsto dai fondatori ed esposto nei progetti preparatori.
5 luglio 2008
Gentilissime\i
vi assicuro (soprattutto assicuro *******) che stanotte ho dormito bene. Tuttavia credo di avere pensato a quel che ci siamo detto ieri sera. Intanto vi ringrazio per essere venuti e spero di potervi avere con me tante altre volte. L’amicizia è forse uno dei punti fermi fondamentali da cui poter ripartire; personalmente avverto la necessità di riflettere su questo argomento.
Ho recepito gli input su “razzismo” e “salario
sociale”. Vorrei aggiungere a questi temi un altro che reputo
“interno” e dirompente, cioà un’altra buona occasione per litigare
“in silenzio” con le leadership del “sedicente” Partito
Democratico di Prato.
Penso ad un dibattito su “Partito Democratico – come doveva
essere\come è oggi” che raccolga parte rilevante di quei
“Democratici” che non riescono a riconoscersi “del tutto o in
parte” in questi pseudodirigenti a qualsiasi livello che ci ritroviamo.
Vi allego del materiale che trovo interessante inviatomi da ****** *****; mi sono chiesto e gli ho chiesto – per mail – chi siano i suoi interlocutori ai quali si rivolge alla fine del suo articolo. ***** è di certo un ragazzo in gamba; è uno dei pochi con il quale abbiamo avuto un rapporto chiaro – a volte anche un po’ conflittuale ma sempre limpido.
Leggete anche l’articolo su Lucca: se ciò che Fulvetti (!) dice corrisponde ad una vera azione di governo del PD la distanza con Prato è abissale.
Grazie. Ci sentiremo molto presto.
Giuseppe Maddaluno
Gentilissime\i
è da qualche tempo che non riesco ad incontrare persone che parlino
dell’attuale PD riconoscendolo come quello che era nei nostri pensieri fino a
pochissimi mesi fa. Non mancavano le preoccupazioni che ciò potesse accadere,
ma tutti riponevamo grande fiducia nella capacità dei leader piccoli e grandi
di comprendere che un rinnovamento complessivo della Politica andava costruito
attraverso il superamento dei vecchi strumenti e l’approdo verso nuove modalità
di accesso e di regolamentazione della vita partecipativa di tutti i cittadini.
Era evidente che questa scelta così coraggiosa avrebbe aggregato vecchi e
nuovi “aderenti” sollecitati dalla possibilità di partecipare
“davvero” alla costruzione di un Partito con l’abbattimento dei
vecchi steccati ideologici e pragmatici.
OGGI chi può dire che questo è avvenuto? Solo degli stupidi interessati
politicanti sia nuovi che vecchi (alla mente si affolla una congerie di volti)
possono andarlo a dire.
Se è vero quello che ho detto all’inizio dunque per fortuna rifuggo dal
frequentare simili individui e quando li incontro ne mantengo una rispettosa
distanza: odio – sì, odio – ed è da tempo che lo vado dicendo – gli ipocriti;
coloro che ritengono di essere più furbi sono gli elementi pericolosi che
andrebbero allontanati, ma la loro fortuna è nell’omologazione verso il peggio,
la capacità di dire niente di nuovo rimasticando elegantemente le affermazioni
dei vari “capi”, ora in questo giovane PD anche dei “capicorrente”.
10 agosto I CONTI NON TORNA(VA)NO parte 26 (per la parte 25 vedi 9 luglio)
Avevo principiato a trattare l’argomento della inadeguatezza politica locale (il termine è vago ed è estensibile a tutto il territorio nazionale, tranne pochissime rare eccezioni) riservata ai temi della Istruzione soprattutto relativamente all’edilizia scolastica. Il primo post dal titolo “I CONTI NON TORNANO” è del 10 settembre 2016. Sono riportate storie di vita sotto forma metanarrativa e documenti vari che attestano questa incapacità che, verificata ulteriormente oggi in epoca pandemica – si spera “post”, comporta straordinari sacrifici e la richiesta di un grande sforzo coraggioso che eviti di dover essere costretti ancora ad utilizzare la Didattica a distanza, per assenza di spazi adeguati. Il 26 giugno del 2020 riprendevo a trattare l’argomento con un post dal titolo “Perché i conti non torna(va)no(sulla “SCUOLA” di ieri e quella di oggi)” Detto questo, procedo.
…prosegue la trascrizione della seduta delle Commissioni n.5 congiunte di Comune e Provincia del 18 dicembre 1998
prosegue l’intervento dell’Assessore alla Pubblica Istruzione della Provincia di Prato
…Rileva che la differenza con la scuola dell’obbligo sta nella questione delle preiscrizioni poiché, per gli istituti superiori, oltre alle fasce d’età, occorre considerare anche il tasso di scolarità. Specifica, infatti, che nel fare le proposte si è considerato anche l’eventuale innalzamento dell’obbligo a 15 anni, aumentando di tre punti percentuali i valori del tasso di scolarità. Passa, quindi, ad illustrare dettagliatamente la situazione di ogni istituto superiore rilevando, alla fine dell’esposizione, che vi è analogia con la situazione nazionale per quanto riguarda i fenomeni di crescita o di calo dei vari istituti.
Ad una richiesta di fornire i dati relativi al Convitto Cicognini l’Assessore alla Pubblica Istruzione della Provincia risponde
Fornisce i dati richiesti. Aggiunge che molta attenzione è stata posta nel considerare gli indici fissati dal Ministero; ciò al fine di evitare di compiere operazioni sbagliate. Naturalmente, prosegue, occorre considerare anche i contenuti didattici, l’offerta formativa e la conseguente autonomia. Ribadisce che è importante che ogni scuola compia le scelte sulla propria offerta formativa non da sola, ma rapportandosi al territorio, agli Enti Locali, alle imprese, ecc.
Una rappresentante del Consiglio Regionale “chiede chiarimenti circa i parametri di dimensionamento”.
L’Assessore alla P.I. della Provincia nel rispondere “Ricorda quali sono gli indici fissati (500/900 alunni come minimo e massimo) facendo presente che per le zone ad alta densità demografica e per gli istituti dotati di laboratori specialistici si possono derogare questi indici. Poi, aggiunge, c’è anche il buon senso a consigliare che non è né utile né intelligente smembrare una scuola.
L’Assessore alla P.I. del Comune “aggiunge che, comunque, gli indici sono più rigidi per la scuola dell’obbligo e più elastici per quella superiore”. “Chiede poi di spiegare meglio le ragioni che portano ad un aumento del Buzzi e ad una diminuzione del Gramsci. Chiede, inoltre, di sapere in base a quali criteri sono state costruite le proiezioni”.
L’Assessore alla Pubblica Istruzione della Provincia “Spiega che la crescita del Buzzi è strettamente legata allo sviluppo dell’intera area, mentre per il Gramsci si può parlare di un processo che si colloca in un trend nazionale. Si dilunga, quindi ad illustrare i criteri adottati per effettuare le proiezioni statistiche”.
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