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VALORI E PRINCIPI NON NEGOZIABILI

VALORI E PRINCIPI NON NEGOZIABILI

E’ davvero molto scomoda la posizione di chi, in questo spazio di tempo nel primo quarto del secolo ventunesimo si ritrova ad avere uno spirito critico autonomo da appartenenze partitiche, pur mantenendo ben fermi gli ideali collegati ai valori progressisti, democratici, solidali, egualitari e libertari: semplicemente “di Sinistra”. Da molto tempo, ma in modo particolare dall’inizio di questo nuovo millennio, non ci convincono le scelte di quella Sinistra di Governo che si è troppe volte lasciata sedurre da progetti riformistici disponibili ad una serie di accordi con il mondo della Finanza e dell’Impresa, contrabbandati come necessari alla creazione di nuove ed importanti opportunità lavorative ma troppe volte rivelatisi tranelli allestiti per far crescere a dismisura le differenze sociali; una sedicente Sinistra che con inganno e simulazione sventola una sua presunta anima verde ma non rinuncia ad inquinare con tantissimi piccoli medi grandi e devastanti interventi infrastrutturali quali la nuova Pista aeroportuale di Firenze.
Quest’ultimo sciagurato proponimento in questa terra di Toscana sarà più che simbolicamente l’emblema del distacco ulteriore tra me ed il Partito Democratico. E’ in assoluto il discrimine poichè in quella scelta si coglie proprio l’elemento di contraddizione che si evince dall’uso di termini ecologici che si dicono essenziali e le attività imprenditoriali che si vogliono intraprendere in una realtà territoriale comunque delicata e fragile come la Piana fiorentina. Il candidato alla Presidenza della Regione Toscana non ha mai fatto mistero sulle sue idee in proposito e non ha mai fatto un passo indietro nè ha mai fatto esprimere su questi temi coloro che maggiormente vi saranno coinvolti. Questa sua “insensibilità” tradisce che per lui gli interessi delle imprese coinvolte in questo progetto sono più importanti dei cittadini che in quei luoghi vivono o che hanno inteso difendere tout court gli ecosistemi sotto scatto.
Questa candidatura, emersa al di fuori di qualsiasi normale condivisione anche interna, è l’espressione di gruppi di potere economico finanziario molto più forti rispetto alla stessa massa – sempre più esigua ma abbastanza consistente – degli stessi militanti attivisti, molti dei quali condividono il mio disappunto, anche se avvertono forte il ricatto insito nella possibilità che a vincere non sia il Centrosinistra ma i suoi avversari più temuti, rappresentati in questo caso dalla Lega, sempre più un Partito di Destra. Verso di loro, intendo i militanti di base, ci sarà una grande provvisoria interessata convergenza da parte dei dirigenti e dei loro accoliti portaborse e cortigiani senza colore che si impegneranno a portare acqua a quel mulino sfasciato cercando di dimostrare l’inverosimile pur di poter avere un piccolo momentaneo consenso.
Noi non siamo più dei giovani virgulti rampanti con tanta prospettiva davanti. Ed è anche questo uno dei motivi per cui “tertium non datur”, non c’è alternativa: o il sedicente centro(Sinistra) si chiarisce al suo interno in relazione al “modello di sviluppo” che intende scegliere (per ora, quello prospettato, non è adatto ad una Sinistra che voglia davvero essere ambientalista) e parlo di un complesso di scelte ineludibili come la gestione dei rifiuti, la Sanità eminentemente “pubblica”, la legalità economica ed il rispetto rigoroso delle regole nel mercato del Lavoro, un modello di servizi sociali che sia per tutti a partire dagli “ultimi”, un blocco strategico del consumo di suolo e di spazi (c’è un surplus di appartamenti nuovi non affittati e non venduti mentre si continuano a costruire “mostri” di cemento) a vantaggio del restauro e risanamento conservativo dei vecchi edifici, adeguandoli alle norme antisismiche e semmai riconvertendoli ad usi pubblici o privati “nuovi”, collegati anche ai bisogni insorti dopo gli eventi pandemici.

Joshua Madalon

FACCIAMO FINTA CHE TUTTO VA BEN TUTTO VA BEN

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Facciamo finta che “tutto va ben – tutto va ben!” 

C’erano una volta dei Sindaci che, mentre ancora la pandemia era in corso (si era a fine aprile) volevano riaprire le scuole; lo dicevano con molta energia, come per convincere coloro che li tiravano per la giacchetta: intanto facevano lunghe passeggiate in bici per lanciare occhiate severe; molte dirette per rispondere alle domande della popolazione; dichiaravano una grande disponibilità ad occuparsi delle angustie della gente. Tuttavia, “anche” grazie ad una legge che concentra nelle loro mani – e nella loro testa – molti poteri alla conta dei “fatti” hanno soltanto utilizzato gli spazi a loro disposizione per farsi propaganda: non importa se poi l’applicazione pratica di quei “poteri” non permette, per mancanza di materia grigia e di capacità organizzative “manageriali”, di affrontare i veri problemi quotidiani che come nodi irrisolti incancreniti da anni di profonda incuria e sottovalutazione (ambiente, scuola, traffico, sanità, cura del territorio a partire dalle periferie), finiscono per accumularsi e rendere peggiore il livello qualitativo della vita della gente comune.
Accade in molte parti. Quasi dappertutto. Accade anche a Prato. In una città, che ha retto nel periodo dell’emergenza grazie al senso civico di “responsabilità” della cittadinanza, ma che ai suoi vertici (non solo amministrativi ma anche imprenditoriali) non ha costruito un nuovo inizio per il “dopo” emergenza. Come e più che altrove i suoi amministratori e le sue classi dirigenti non sono in grado di rispondere ai bisogni e non può essere una giustificazione che “è così dappertutto” oppure che “il Governo non è in grado di…”.
Parlo spesso dei problemi della Scuola. Anche l’altro giorno in un post che cercava di spiegare il senso di quei “conti che non tornano” ponevo in evidenza l’incapacità dei governi di ieri e dell’altroieri – non supportati diversamente da quelli di “oggi” – nell’affrontare i problemi della Scuola, non “un” problema ma i “mille” problemi irrisolti che da diversi anni condizionano il livello di Istruzione e di Cultura “generale” (a partire da quella “civica”) nel nostro Paese.
Sin dal primo momento dell’emergenza Covid19 con la chiusura delle strutture scolastiche una classe dirigente con gli attributi avrebbe dovuto luogo per luogo, in piena ed assoluta autonomia mettere in piedi una “task force” (che bello, questo termine, di cui i governanti piccoli, medi e grandi, si sono riempiti la bocca!) per affrontare le urgenze di una emergenza che viene da lontano.
Io, da parte mia, mi riempio la bocca di un altro macrotermine, “Memoria”. E lo faccio per segnalare che ciò che oggi ha difficoltà a funzionare non è che funzionasse prima del marzo 2020: non è stato certo il Covid19 ad evidenziare le carenze strutturali degli edifici scolastici; la mancanza di aule era male cronico, così grave da condizionare gli avvii di ogni anno scolastico e costringere gruppi numerosi di studenti a frequentare le loro lezioni in spazi “inventati”, adattati all’uso didattico ma non a tale scopo vocati nella loro genesi. E neanche si può pensare che una didattica moderna, semmai digitale ma non a distanza, si possa praticare in aule costruite per una didattica ottocentesca, eminentemente umanistica; ed ancor più ciò può avvenire in strutture che non erano destinate a scopi didattici. E dunque bisognava, bisogna, bisognerà preparare una progettazione che guardi davvero verso il futuro, verso il quale naturalmente si rivolge il mondo dell’Istruzione, della ricerca, dell’apprendimento, della Cultura.
In questo stesso periodo, ma c’è chi osserva giudica ed esprime sue opinioni in merito da tempo, si mette in evidenza l’esistenza di un surplus insopportabile di strutture abitative “nuove” ma invendute (colpa ovviamente dei costi, della crisi di prima e di quella che andiamo vivendo ora, ma non solo: anche qui c’è una profonda incapacità progettuale. Che rasenta l’irresponsabilità e l’illegalità). Ci si giustifica – nei “piani alti” – che, così facendo (cioè permettendo a ditte edili di lavorare e far lavorare) – si svolga anche un ruolo ed una funzione sociale. Molto bene: allora se è così dirottiamo sull’edilizia pubblica di riconversione, ristrutturazione o anche semplice manutenzione del patrimonio esistente delle scuole e degli edfici pubblici generici.
Ne riparleremo. Non si può tacere.

Joshua Madalon

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I CONTI NON TORNANO – 10 (per la parte 9 vedi 6 giugno)

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I CONTI NON TORNANO – 10 (per la parte 9 vedi 6 giugno)

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Questi dati che riporto invece qui in calce sono afferenti alla presenza di nuovi residenti cinesi fino a tutto il 2005. Molto spesso sono ricongiungimenti familiari, sono nuove famiglie con figli provenienti non solo dalla madrepatria ma anche da realtà nazionali europee o altre città italiane (Milano, Napoli in particolare). Gli “esperti” non intercettarono nelle loro previsioni questa “nouvelle vague” proveniente dalla Cina che aveva bisogno anche di “istruzione” (molto spesso condizionata dalla necessità di avere “traduttori” abili in casa da parte dei genitori). Ed ovviamente gli edifici scolastici non bastavano a contenerli.

Il commento in corsivo sui dati non è mio!

http://www.comune.prato.it/immigra/cinesi/anagrafe/annuali/htm/cmigra.htm
Residenti cinesi per anno di immigrazione
Dati al 31/12/2005

Anno V.A. V.%

1973 2 0,02
1978 1 0,01
1984 2 0,02
1988 1 0,01
1989 9 0,10
1990 154 1,78
1991 111 1,29
1992 82 0,95
1993 58 0,67
1994 32 0,37
1995 39 0,45
1996 182 2,11
1997 327 3,79
1998 241 2,79
1999 249 2,88
2000 330 3,82
2001 506 5,86
2002 633 7,33
2003 1.172 13,57
2004 1.494 17,30
2005 1.832 21,21
a Prato dalla nascita 1.123 13,00
Dato mancante 56 0,65

Totale 8.636 100,00

Fonte: Anagrafe comunale di Prato
Elaborazione: Banca Dati Centro Ricerche e Servizi per l’Immigrazione del Comune di Prato
Residenti cinesi per area e luogo di nascita. Dati al 31/12/05

L. nascita V.A. V.%
R.P.C. 6.910 80,01
Altri stati esteri 18 0,21
Italia 1.708 19,78
Totale 8.636 100,00

R.P.C. V.A. V.%
Zhejiang 6.413 92,81
Fujian 297 4,30
Liaoning 53 0,77
Shanghai 44 0,64
Jiangxi 22 0,32
Heilongjiang 13 0,19
Xinjiang 9 0,13
Sichuan 9 0,13
Beijing 8 0,12
Hunan 6 0,09
Tianjin 5 0,07
Hebei 4 0,06
Henan 4 0,06
Jiangsu 4 0,06
Shandong 3 0,04
Anhui 2 0,03
Chongqing 2 0,03
Guangxi 2 0,03
Jilin 2 0,03
altre 8 0,12

Altri stati esteri V.A. V.%
Taiwan 1 5,56
Francia 13 72,22
Belgio 1 5,56
Paesi Bassi 1 5,56
Germania 1 5,56
Gran Bretagna 1 5,56

Italia V.A. V.%
Prato 1.507 88,23
Montemurlo 2 0,12
Firenze 44 2,58
Firenze (prov.) 23 1,35
Pistoia e prov. 8 0,47
Lucca 2 0,12
Siena 1 0,06
Arezzo 2 0,12
Grosseto 1 0,06
Torino 7 0,41
Milano e prov. 20 1,17
Reggio Emilia e prov 9 0,53
Roma 18 1,05
Napoli e prov. 7 0,41
Salerno e prov. 13 0,76
Altre province 44 2,58

Fonte: Anagrafe comunale di Prato

Popolazione cinese residente a Prato
La comunità cinese si è formata a Prato nel corso del biennio 1990-1991: Durante tale periodo il numero dei residenti cinesi è salito dai 38 del 1989 a un totale di 1009 che è continuato ad aumentare, poi, con ritmo più lento, negli anni successivi, e ha raggiunto dimensioni sempre più rilevanti a partire dalla seconda metà del decennio (malgrado il perdurare di un contemporaneo movimento di emigrazione verso altri comuni italiani). Pochi sono, dunque, quelli che vi risiedono da lungo tempo ma numerosi sono, in compenso, coloro che vi vivono dalla nascita. Essi hanno contribuito, in misura sempre più consistente, allo sviluppo della comunità cinese a Prato che in certe fasi è cresciuta quasi esclusivamente proprio per effetto delle nascite.
I dati del 2005 rilevano una forte crescita della popolazione cinese che passa dai 6.831 residenti del 2004 agli attuali 8.636, grazie all’acquisizione della residenza da parte dei nuovi arrivati e al perdurante incremento di nati nel comune di Prato.
La distribuzione per anno d’immigrazione mostra che oltre il 21% dei cinesi hanno acquisito la residenza nel 2005 ma l’esistenza di una scarsa anzianità migratoria è una caratteristica che accomuna anche molti altri membri della comunità. Quasi la metà di essi risultano, infatti, immigrati tra il 2000 e il 2004 (2.666, pari al 30,87%, nel biennio 2003-2004 e 1.469, pari al 17,01%, nel triennio 2000-2002), circa il 12% tra il 1995 e il 1999 e meno del 6% tra il 1990 e il 1994, mentre solo una quindicina sono coloro che vi risiedono stabilmente da anni antecedenti.
Molti, in compenso, sono i cinesi che vivono a Prato dalla nascita (1.123, pari al 13% dei residenti) e ad essi si affianca, inoltre, un consistente numero di persone che vi sono nate e successivamente immigrate dopo un provvisorio periodo di allontanamento (in Cina o in altri comuni italiani).

…10…segue

L’IMPORTANZA DELLA MEMORIA (perché non si differiscono le competizioni elettorali al prossimo anno?)

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L’IMPORTANZA DELLA MEMORIA (perché non si differiscono le competizioni elettorali al prossimo anno?)

La smania per gli appuntamenti elettorali sta ad evidenziare la scarsissima considerazione dei veri problemi del Paese da parte della classe politica italiana. Sarebbe oltremodo opportuno il differimento di un anno degli appuntamenti elettorali. Sarebbero molteplici le motivazioni favorevoli a questo “gesto”, in primo luogo il rispetto per la grave situazione che si è creata e che va verso un aggravamento ulteriore. Le campagne elettorali sono sostanzialmente fatte di enunciati positivi e propositivi “da realizzare in un quinquennio”; il Paese ha bisogno invece di fatti concreti “ad horas”.
In questi rilievi non c’è alcuna differenza tra chi “governa” e chi fa “opposizione”. Appaiono tutti ben disponibili a dimenticare le traversie e tuffarsi in una “intensa(?!?) calda campagna elettorale “estiva”, con il risultato certo (non valgono rassicurazioni in merito: gli “interessi” particulari prevarranno alla grande, ricoperti da un ipocrita riferimento ad interessi “collettivi”. Molti dei “protagonisti” delle prossime contese, previste in Campania, Liguria, Marche, Puglia, Toscana e Veneto, scalpitano da tempo ed allo stesso modo alcuni leader nazionali di Centrosinistra, di Centrodestra e Destra insistono addirittura di poter votare prima possibile, il che avrebbe in un primo tempo potuto significare nei mesi estivi, poi sembrano accontentarsi di settembre, noncuranti non solo delle problematiche connesse alla conduzione di una campagna elettorale sotto gli ombrelloni e, si intende, nel rispetto delle regole anti Covid, ma anche delle tante urgenze collegate alla ripresa del nuovo anno scolastico con annessi e connessi già oggetto di accese discussioni.

Quel che io sto scrivendo qui non mi sembra essere argomento in cima ai pensieri di molti altri cittadini nè tanto meno dei diversi – a diverso titolo – partecipanti alle prossime contese elettorali. E’ indubbio che la preoccupazione maggiore della stragrande maggioranza del Paese siano le scelte di politica economica per fronteggiare la crisi e che la preoccupazione maggiore della stragrande maggioranza – oserei pensare la “totalità” – dei sostenitori delle forze politiche sia collegata strettamente alla messa a reddito dei loro presunti (o reali, non intendo discutere su questo: non ne ho oggettiva contezza) meriti, su cui preparerebbero una campagna elettorale paradossale, una campagna ancor più davvero insensata, nel malaugurato caso di ritrovarsi di fronte ad una epidemia di ritorno.

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Ci sarebbe davvero tanto da fare, al di là delle vaghe promesse elettorali, in ogni Regione. La pandemia ha messo in primissimo piano molti problemi che “prima” erano snobbati dalla stragrande maggioranza dei politici; in primo luogo, non ci stancheremo di ripeterlo, la delega ai privati di vasti settori della Sanità; la sottovalutazione dei temi ambientali e la cura delle infrastrutture più utili, in primo luogo quelle scolastiche, da troppi anni abbandonate nella loro progressiva obsolescenza ed insufficienza. Allo stesso tempo, però, ci si preoccupava di mettere in piedi “mostri” come il Ponte sullo Stretto o una nuova Pista aeroportuale a Firenze, i cui impatti sia ambientali che eco-umani sarebbero devastanti ed i cui costi rischierebbero di vanificare quel Piano di verifica statica su tutta la rete extraurbana nazionale resa necessaria dal suo invecchiamento.
Le urgenze non possono essere procrastinate ad una nuova stagione politica là da venire. Occorre occuparsene ora, subito.

Joshua Madalon

L’UOMO E’ CIO’ CHE MANGIA – LA CULTURA E’ IL NUTRIMENTO DELL’ANIMA per cui SE SIAMO COSI’ ( MESSI MALE ) E’ PERCHE’ NON ABBIAMO NUTRITO LA NOSTRA ANIMA

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(l’illustrazione è di Roberta Oriano, Illustratrice di altissima sensibilità)

L’UOMO E’ CIO’ CHE MANGIA – LA CULTURA E’ IL NUTRIMENTO DELL’ANIMA per cui SE SIAMO COSI’ ( MESSI MALE ) E’ PERCHE’ NON ABBIAMO NUTRITO LA NOSTRA ANIMA

Parlavo di “complessità” l’altro giorno e d’altra parte è una sorta di “uovo di Colombo” un inno al Lapalisse doversi rendere conto che siamo di fronte ad un marasma, una confusione indescrivibile, un vero e proprio “caos” dopo mesi di profonde “turbative” reali, frutto di ricerche serie, o indotte attraverso le fin troppe fake fatte circolare su basi di credibilità. Abbiamo straparlato di diritti violati, ma forse dobbiamo ringraziare, noi che non siamo stati per ora colpiti dal virus, la responsabilità di tanti che hanno saputo rinunciare ad un pezzo di libertà per il bene collettivo. Abbiamo dovuto ascoltare elucubrazioni politiche insensate che non hanno avuto il merito di contribuire realmente a migliorare la nostra situazione economica: questo è accaduto a livello nazionale dove la scelta da parte delle opposizioni di Destra è stata quella di frapporre un vero e proprio muro. Questa è la dimostrazione del livello culturale del nostro quadro politico, in primis quello conservatore e reazionario, falsamente democratico. Aggiungevo nell’altro post che quel livello culturale è purtroppo la cartina di tornasole di una gran parte della nostra società, ripiegata su se stessa non solo per colpa della crisi pandemica ma soprattutto per una carenza di conoscenza ed istruzione, tout court di “Cultura”. E’ ovvio che non sia facile auto-riconoscersi come bisognosi non solo di aiuti e sostegni economici ma anche di una rialfabetizzazione democratica, capace di affrontare i disagi in modo solidale e cooperante.
Occorrerebbe però mettere a confronto con altri, semmai esperti di Antropologia, quel che io affermo sulla base di una conoscenza pluriennnale dei livelli scolastici sempre più attaccati da evasione ed abbandono scolastico, quella “mortalità” scolastica di cui il nostro Paese, dopo un periodo di ripresa negli anni Settanta con i corsi delle 150 ore e dell’Educazione degli Adulti diffusi su tutto il territorio, ha sempre più sofferto, perchè c’è un dato strano che riguarda uno dei Paesi europei che in tema di “Accesso e partecipazione alla Cultura” sta peggio di noi ma esprime – a livello governativo – dal punto di vista della solidarietà e dell’apertura mentale – un vero e proprio “faro nella notte buia e tempestosa”. Si tratta del Portogallo, dove, all’apertura della pandemia ci si è impegnati ad “Assicurare l’accesso ai cittadini migranti alla salute, alla sicurezza sociale e alla stabilità occupazionale e abitativa” riconoscendo che questo fosse “ un dovere di una società solidale in tempi di crisi”. Sono state queste le parole espresse lo scorso 28 marzo da Eduardo Cabrita, ministro dell’Interno del Portogallo.
Ma non è finita qui; pochi giorni or sono il leader dell’opposizione lusitano, Rui Rio, è intervenuto in un dibattito parlamentare che aveva come tema la ricerca di affrontare al meglio la crisi economica indotta dalla pandemia ed ha profferito le seguenti parole: “Abbiamo una minaccia da combattere e questo esige unità. In questa lotta il Governo non è un avversario, è il Governo del Portogallo e tutti dobbiamo aiutarci in questo momento.”

https://www.facebook.com/watch/?v=1037295706669588

In Italia però non è che manchi soltanto all’Opposizione (che in questo momento è la Destra) la capacità di comprendere la “complessità”. Lo stesso Governo, che avrebbe bisogno di essere sostenuto – in questo periodo – dagli altri, non è in grado di procedere in modo adeguato. E non solo il Governo del Paese ha questo “gap”; sono anche le Regioni e le città in preda all’ansia di primeggiare con scelte assurde e non meditate, frutto di “isteria” congenita. Ne ri-parleremo. Necessariamente.

Joshua Madalon

UN MIO AMPIO INTERVENTO ALLA COMMISSIONE CULTURA DEL PDS DI PRATO 20 OTTOBRE 1995 – seconda parte (vedi 21 aprile)

UN MIO AMPIO INTERVENTO ALLA COMMISSIONE CULTURA DEL PDS DI PRATO 20 OTTOBRE 1995 – seconda parte (vedi 21 aprile)

20 OTTOBRE 1995 (nell’aprile del 1995 ero entrato a far parte del Consiglio Comunale di Prato ed ero membro della Commissione Cultura e coordinatore della Commissione Scuola e Cultura del PDS provinciale; la legislatura in corso era la prima con la quale applicavamo la legge 142. 8 giugno 1990, quella intitolata Ordinamento delle autonomie locali che rivedeva nel profondo le prerogative del Consiglio e del Sindaco).

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Bisogna che io faccia delle precisazioni “a monte” per poter meglio comprendere il senso di quel che poi dirò. C’è la sensazione che questa legislatura sia partita con una forte sottovalutazione delle problematiche culturali e con una sottovalutazione altrettanto seria delle idee che venivano esprimendo donne ed uomini che si occupano da anni di problematiche culturali in questo Partito: questo è apparso e appare frutto di presunzione che non ha ragion d’essere; o se ne ha, allora occorre capirne le motivazioni. Intanto, l’evento straordinario in questi primi di governo nel campo culturale in questa città è stato il riconoscimento e la valorizzazione istituzionale dell’opposizione: una cosa assurda, inutile e profondamente dannosa; che non porterà vantaggi né politici né istituzionali a nessuno né al nostro Partito né alla coalizione della quale facciamo parte: un dono “istituzionale” incomprensibile e scellerato che, se fosse il risultato di un accordo, sarebbe un vero e proprio scandalo, una vera e propria offesa al ruolo della cultura in questa città ed ai suoi cittadini che hanno scelto chi doveva governare e chi stare all’opposizione.
Appare allo stesso modo incomprensibile, almeno a prima vista, il motivo che ha spinto una parte del nostro Gruppo a scegliere questo percorso della quale cosa io spero ci si penta al più presto.
L’altra questione che occorre precisare è legata al taglio complessivo dell’intervento: non mi interessa in alcun modo costruire un progetto culturale che abbia come punti di riferimento soltanto le due megastrutture e poco altro.
Queste devono essere, come tante altre, gli strumenti, i mezzi attraverso i quali mettere in pratica un progetto complessivo di politica culturale, esse devono porsi quale obiettivo l’assunzione di un preciso ruolo di guida culturale in questa città.
Allo stesso tempo non mi galvanizza affatto l’uso di un metodo che molto spesso è stato adottato nel procedere alle nomine nel settore culturale e non solo, che è consistito nello scegliere prima i menbri nominati e poi gli orientamenti di fondo.
Mi sembra opportuno e corretto procedere all’inverso: prima si discute ampiamente sulle prioritarie scelte di politica culturale e poi si reperiscono le figure giuste da collocare all’interno delle diverse strutture perché possano adeguatamente funzionare.
Proprio per questo è necessario guardare la nostra città con occhi impietosi ed obiettivi.

…2….

da giovane: la sensibilità ambientalista, storica e culturale….quella politica e cinematografica – ottava parte – 12 (vedi post 17 aprile 2020)

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da giovane: la sensibilità ambientalista, storica e culturale….quella politica e cinematografica – ottava parte – 12 (vedi post 17 aprile 2020)

un mio intervento sulla rivista “SegnoCinema” riservato al Cineclub Spazio Uno di Firenze
Sul numero 17 del marzo 1985 di “SegnoCinema” fu inserita una Sezione Speciale dedicata ai Cineclub.

Segnospeciale/Cineclub Addio a cura di Gianni Canova comprendeva una introduzione generale da parte del curatore con un occhiello “Fenomenologia di una crisi evidente”, con un Titolo “Le cineclub à mort” ed un sommario “Macerati dai tempi, dalle nuove tecnologie e dalle mutate abitudini di consumo, sono avviati a scomparire o a trasformarsi”.

Ovviamente si trattava di un “De profundis” relativo alla crisi dei Cineclub. Seguiva a pag. 19 e pag. 20 un ampio articolo di fondo che vantava le lodi del Cineclub, a cura di Alberto Farassino con un Titolo “Quindici anni di rivoluzione” un occhiello “E’ finita l’epoca della separatezza: conclusa un’esperienza storica” ed un sommario” “In una futura storia mediologica d’Italia il ruolo degli originari club-cinema merita attenzione e riconoscenza per alcune intuizioni fondamentali”.
Seguivano poi dei reportage sul Cineclub Lumière di Genova, sul Movie Club di Torino, sulla “Cappella Underground di Trieste, sull’ Obraz di Milano, su Cinema Altro di Napoli, su Circuito Cinema di Venezia, sulla rete di Cineclub in Emilia, su Filmstudio e su Officina filmclub di Roma, su Grauco-Cineclub e Novocine sempre di Roma. A me, che in Toscana mi occupavo proprio della rete dei Circoli Cinematografici dell’ARCI (UCCA) chiesero di scrivere un pezzo sul Cineclub Spaziouno di Firenze, che stava vivendo un momento di profonda crisi. Il Titolo prescelto fu “Il risultato di un lungo litigio” ed il sommario “Un’astiosa polemica condotta nei confronti di Andrea Vannini, direttore del Cineclub, da parte del gruppo dirigente del Circolo Enel ha prodotto come logica conseguenza la precarietà della programmazione e un clima di accesi contrasti”.
In un riquadro dell’articolo in alto a sinistra a pagina 26 la sintesi della diatriba. La vicenda polemica che ha condotto ad un serrato contenzioso tra Andrea Vannini, direttore della programmazione di “Spaziouno” e i dirigenti del circolo Enel affonda le sue radici ancora nel 1984, quando in aprile tutti i membri del comitato direttivo sonol stati avvicendati, ad eccezione del presidente ed è prevalsa una forma di orientamento gestionale del circolo che ha successivamente provocato, in settembre, l’inizio di una stagione di proiezioni priva della consueta programmazione, il licenziamento, in ottobre, di Andrea Vannini e la conseguente sospensione delle pubblicazioni della storica rivista “Cult Movie”.

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L’articolo vero e proprio

Di cineclub in Toscana ve ne è più di uno, ma a Firenze, quando si parla di cineclub, si dice (o, forse, si diceva?) soprattutto Spaziouno, anche se Firenze ne ha avuti e ne ha tuttor altri, qualcuno già chiuso, qualche altro legato ad Enti pubblici e culturali, come Le Cineclub e Le Cinematographe. Ma, nel qudro generale dei problemi legati alla vita dei cineclub, è estremamente importante conoscere la storia e gli esiti di Spaziouno, o meglio, come ci dice Andrea Vannini, che per 10 anni ne ha curato la gestione culturale, di Kinospazio (così si chiamava il cineclub di via del Sole dal 1974 al 1979).
Incontriamo Vannini, un po’ stanco, amareggiato ma per niente sfiduciato, all’interno del Nazionale, un vecchio teatro del ‘700 adattato a cinema, sul quale egli ed altri operatori hanno di recente puntata l’attenzione per continuare, con la professionalità consueta, quel discorso che il nuovo consiglio direttivo del Circolo Enel, dove ha sede Spaziouno, ha voluto drasticamente ed inopinatamente interrompere. In verità, la programmazione del cineclub continua anche senza di lui, ma obiettivamente oggi le manca quella garanzia di studio professionale e critico che la rendeva, pur nell’anomalia del tipo di gestione poltica, un modello da imitare.

…12….

Joshua Madalon

DA GIOVANE: LA SENSIBILITÀ AMBIENTALISTA, STORICA E CULTURALE – SETTIMA PARTE – 17

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DA GIOVANE: LA SENSIBILITÀ AMBIENTALISTA, STORICA E CULTURALE – SETTIMA PARTE – 17

…E’ necessario che si ricredano un po’ tutti sulle opinioni che si hanno su Pozzuoli paese poco pulito che, anche se vere fino ad oggi, da domani con la nostra volontà, con il nostro impegno dovranno naturalmente essere ritrattate. Bisogna costruire la nuova società e Pozzuoli, più di tutti gli altri paesi ne ha bisogno perché la sua dignità che deriva da una storia plurimillenaria non può permettere che i suoi abitanti non ne sentano completamente il peso, non ne avvertano l’eredità. Dobbiamo ulteriormente impegnarci, noi e voi, con l’esempio, con la persuasione, a fare della nostra Pozzuoli una città oltre che pulita anche civile, dove il turista che arriva non si debba sentire turlupinato o beffeggiato, ma si trovi come e, perché no, meglio che a casa propria.

Quest’anno Pozzuoli si prepara per festeggiare il suo 2500° compleanno. Perciò facciamo che quest’anno 2500 dalla fondazione passi alla storia come una svolta importante. Mostriamo a noi stessi, ai nostri insegnanti, ai nostri genitori, ai nostri colleghi, a tutti coloro che ci guarderanno realmente o soltanto con il pensiero, quale deve essere il comportamento civico di chi si senta erede di una tradizione che data già venticinque secoli.

Facciamo gli auguri a Pozzuoli e come nel giorno del compleanno di un nostro caro talvolta siamo soliti fare promesse di essere buoni ed ubbidienti, così facciamo per Pozzuoli, la nostra città. E ricordiamoci che essere buoni ed ubbidienti non significa essere lenti e pigri e stare senza far niente. Il nostro impegno costante sarà quello di rispettare e di far rispettare tutto quello che riguarda la salvaguardia della natura, del verde, del paesaggio, dei ritrovamenti archeologici, il rispetto verso il turista, la lotta contro i rumori, la pulizia delle strade e dei vicoli cittadini.
Ricordate che qui a Pozzuoli, così come in tutta la zona dei Campi Flegrei, ovunque si scavi si trova qualche reperto archeologico più o meno interessante. Talvolta quel che si trova è poco ed allora ci si rassegna, dopo le opportune verifiche e documentazioni, a perderlo. Molto più spesso quel che si perde, soprattutto per incuria, senza che nemmeno se ne conosca il valore, è molto. Dunque, stiamo attenti. Nella vostra campagna, nello scavo di fondamenta di nuove costruzioni, dovunque si scavi insomma può venir fuori anche un’opera d’arte d’inestimabile valore storico e culturale. Noi non vogliamo, non dobbiamo perderla ed essa deve essere ritrovata perché assolva la sua funzione di testimone.
Dopo un anno di grande impegno forse la nostra sensibilità sarà tale da fare di questo impegno un nostro modo di vita costante. Ed è questo il migliore augurio che formulo per tutti noi e massimamente per la nostra città: Pozzuoli.

Pozzuoli, novembre 1971

Il lavoro, pur attenendosi a nozioni elementari, non può fare a meno dell’uso di vocaboli leggermente più difficili, che in effetti sono quelli propri delle materie trattate.
Sarà quindi opera dei vostri insegnanti rendervi facile la comprensione del libretto, laddove dovesse risultare un po’ difficile.
Esso, per gli elementi più interessati curiosi e diligenti, può essere integrato attraverso la lettura degli opuscoli che l’Azienda Autonoma di Cura Soggiorno e Turismo di Pozzuoli ha edito in precedenza e che possono essere ritirati gratuitamente presso la sua attuale sede.
Alla buona volontà di maestri e professori è affidata la continuità pratica di questo libretto.

G.M.

VIGNE

…17…. prosegue con un ultimo blocco di “revisione” dopo circa 50 anni (poco meno ma “quasi”).

DA GIOVANE: LA SENSIBILITÀ AMBIENTALISTA, STORICA E CULTURALE – SETTIMA PARTE – 16

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DA GIOVANE: LA SENSIBILITÀ AMBIENTALISTA, STORICA E CULTURALE – SETTIMA PARTE – 16

…La presenza delle terme a Pozzuoli (ed esse erano numerosissime), importante fattore economico e culturale, trova nella penna appassionata di Pietro da Eboli la sua collocazione letteraria nel tempo. Pozzuoli viveva allora un’atmosfera allegra nel ricordo dei suoi più bei giorni, alloraquando sulle sue coste approdava gente appartenente ad ogni ceto, ad ogni nazione. Durante tutto questo tempo sappiamo che Pozzuoli, il cui significato etimologico del nome è ancora incerto, alternò periodi di benessere a quelli di crisi in massima parte dovuti proprio ai sopraccennati lenti movimenti del suolo (è questo il significato della parola “bradisisma” derivata dalla lingua greca dove bradys è “lento” e sismos “movimento, scossa, terremoto”). Non va dimenticato che anche noi viviamo uno di questi periodi di crisi.

Pozzuoli-Stemma

Nello stemma di Pozzuoli vi sono sette teste. Di aquile o di galli, questo è il problema. Qui diciamo che sono aquile, anche perché tra galli e aquile preferiamo che siano queste ultime in quanto rappresentano di certo una maggiore nobiltà e una più nobile virtù rispetto a quanto non faccia il simbolo dei galli. Ma in questo campo, data l’ambiguità dello stemma riguardo alla parte superiore delle teste dove c’è chi ha voluto vedere teste di galli e chi, al contrario, corone di aquile reali tutto viene lasciato all’immaginazione e, per dir così, all’intuizione. Ma “sette teste” cosa potrebbero significare? Poichè nei testi di storia leggiamo che sette furono i martiri cristiani, forse addirittura puteolani, condannati a morte e giustiziati ( essi sono: Sosio, Gennaro, Desiderio, Festo, Acuzio, Eutichete e Procolo, attuale protettore della città di Pozzuoli ), possiamo arguire che ad essi si riferisca lo stemma e che le teste siano dunque di aquile, capaci di volare a maggiori altezze dei galli. Ma la storia ed altre varie supposizioni parimenti credibili ci parlano delle sette famiglie nobili puteolane e forse, ad una lettura più laica, questa è la più valida tesi, in quanto molto probabilmente furono queste famiglie a voler riunire nello stemma le loro forze. Le due tesi ad ogni buon conto si fronteggiano parimenti.

Se Napoli è la città che vive nei vicoli e se questi, quasi da soli, bastano a darle un senso di vita, Pozzuoli che pur le è vicina è tutta nei paesaggi, nelle sue incantevoli bellezze, nel suo verde ancora tale. Ma allorquando ci spogliamo del vestito di turista e ritorniamo a guardare con occhi scanzonati questa nostra cara città, passeggiando per le sue strade e discorrendo con la sua gente, della quale anche noi facciamo parte, ci accorgiamo che non tutto è perfetto, che anzi tante cose vanno male.
Le nostre strade troppe volte sono sporche, e non bastano gli spazzini comunali. Ma la colpa, a badarci bene, non è del Comune, non è degli spazzini. Siamo noi, gente del posto, a non avere un adeguato senso civico, a non aver capito che Pozzuoli per la sua storia appartiene al mondo intero e che per questo deve essere rispettata e salvaguardata da tutti i possibili pericoli di speculazioni (i cui esempi oggi non mancano) che deturpano il paesaggio occultando, ogni volta che lo possono, preziosi documenti architettonici archeologici.

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DA GIOVANE: LA SENSIBILITÀ AMBIENTALISTA, STORICA E CULTURALE – SETTIMA PARTE – 14

Tempio di Augusto e Morghen

DA GIOVANE: LA SENSIBILITÀ AMBIENTALISTA, STORICA E CULTURALE – SETTIMA PARTE – 14

Vaso di Odemira

…Nascosto dal mare al di sotto del nuovo Molo puteolano si trova l’antico Molo Caligoliano che è dipinto sul famoso vaso di Odemira, reperto archeologico importantissimo per la conoscenza storica topografica della nostra città. Il molo caligoliano è riportato anche da una stampa del Morghen e per quel che si vede e che si sa doveva essere imponentissimo. Sul vaso di Odemira sono riportati tutti i più famosi monumenti puteolani, fra i quali anche il primo Anfiteatro, più piccolo di quello che oggi noi ammiriamo, e il teatro. Sull’ubicazione del teatro non abbiamo ancora notizie sicure, ma del primo Anfiteatro dove si tenevano solitamente spettacoli gladiatorii possiamo vedere i ruderi ai lati dei binari della Metropolitana subito dopo la stazione andando verso Napoli o facendo una passeggiata per via Vigna.

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Dopo l’incendio che distrusse la Cattedrale della nostra città nella notte tra il 16 e il 17 maggio 1964 vennero fuori colonne e capitelli di ordine corinzio facenti parte di un antico tempio, quello detto “di Augusto”. Oggi è impossibile accedere senza uno speciale permesso all’interno di questo tempio, dato che i lavori di restauro sono tuttora in corso. I ritrovamenti sono indubbiamente interessanti e non sono stati pochi. L’aspetto dell’antico tempio si può vedere da una delle stampe del ‘700 fatta da Raffaello Morghen anche se affidata alla libera immaginazione, non potendo più l’incisore in quel tempo controllare direttamente dalla realtà il tempio nascosto sotto uno stile diverso di costruzione.

Duomo Pozzuoli

Antro Cuma

Nelle vicinanze di Pozzuoli Cuma resta una delle più importanti città dell’antichità. I suoi resti sono ben più cospicui di quelli di Pozzuoli e non ancora è stata portata completamente alla luce. Ingresso alla città è il famoso “Arco Felice” (cosa ben diversa e più lontana dalla località che oggi porta lo stesso nome), denominazione data dagli antichi Romani anche alla fertile terra campana: “Campania Felix”.

Pozzuoli_Arco_Felice

L’Anfiteatro, fuori dalla cinta muraria, e l’Antro della Sibilla sono, accanto ai templi dell’Acropoli, le cose più interessanti da vedere. La fortuna di questa città fu grande e la ragione per cui essa decadde e finì è dovuta alla palude e all’aria malsana che infestò questa zona verso il 1200 d.C.. Da non molti anni il territorio di Cuma è stato liberato da questo gravoso incubo.

Cuma verso il litorele

Altra località da ricordare è Baia, così detta dalla forma che assume la sua costa, che rende ospitale la sosta alle navi con la sua rientranza naturale che la pone al di fuori del gioco dei venti più furiosi. Famosa nell’antichità per i suoi bagni termali, era qui che la parte più nobile ed intellettuale di Roma trascorreva le sue vacanze. Ci restano di quel tempo le Terme, grandiose per estensione e per tecnica, che danno una chiara visione di quel che poteva essere la Baia romana. Una strada ora sommersa dai movimenti bradisismici la collegava a Pozzuoli. Il mare ora la nasconde insieme ad una parte cospicua dell’antico centro abitato.

Baia terme

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