Commento su quel che è accaduto pochi giorni fa sulla tratta ferroviaria Milano – Verona

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Commento su quel che è accaduto pochi giorni fa sulla tratta ferroviaria Milano – Verona

Ieri ho pubblicato un mio vecchio post del 31 maggio scorso, annunciando contestualmente che avrei scritto ancora sul tema dei rom, dei sinti e dei caminanti in Italia, alla luce di eventi e di esperienze generali ed individuali. Già nel post di ieri facevo riferimento al fatto che per ciascuno di noi, al di là di quanto possiamo interpretare i fatti con la nostra personale sensibilità e preparazione culturale, contino le esperienze.

Poiché ne stiamo riparlando anche in relazione al caso della capotreno che, in una corsa del convoglio Milano-Mantova, ha fatto mostra del suo pensiero in modo evidente, utilizzando – volontariamente o meno non importa molto – il canale di comunicazione pubblico interno inveendo in modo peraltro violento e scomposto contro mendicanti e “zingari”, vorrei esporre ulteriormente il mio giudizio politico.

Tra le mie esperienze dirette ho assistito ad un caso esemplare di gestione soft di un evento pressoché simile. Attendevo la partenza del treno metropolitano che da Pozzuoli conduce a Napoli. Abitualmente prima di partire si attende l’incrocio con il treno che da Napoli giunge nella città flegrea. A volte è un treno che poi prosegue verso Villa Literno. Già nell’attesa sul binario mia moglie ed io eravamo stati infastiditi da un gruppo di “nomadi”; la loro presenza di per sé non dovrebbe creare disagio ma già l’attesa di poter essere importunati non è piacevole: è un pregiudizio? Lo sarebbe ancor più se  poi non fosse reale il loro comportamento.   Intanto si erano aperte le porte del nostro convoglio e ci siamo affrettati a salire. Dal nostro “punto di veduta” abbiamo però assistito al trattamento fermo e deciso  di capotreno e conduttore del treno per Villa Literno nei confronti di quel gruppo che intendeva utilizzarlo senza avere il titolo di viaggio. Non un atteggiamento violento, a parte il fatto che, a farne le spese sono stati gli altri viaggiatori, costretti a dover utilizzare una sola porta, essendo state bloccate tutte le altre: non c’è stata forma repressiva indistinta e “razzista” in quanto alcuni componenti del gruppo dei nomadi in possesso regolare del titolo di viaggio sono stati fatti salire.

Molto diverso è stato il caso da cui siamo partiti: la capotreno nell’adempiere alle sue funzioni deve mantenere pur nella fermezza della richiesta del rispetto delle regole un tono basso moderato.  Non può essere tollerato il suo gesto.

Allo stesso tempo chiedere alla popolazione nomade nel suo complesso il rispetto delle regole civili non può in alcun modo significare attacco xenofobo alla storia di quel popolo in particolare riferita alle continue persecuzioni subite.      Né tuttavia quella “storia” può autorizzare quel popolo ad avere trattamenti diversi rispetto al resto della popolazione civile.  Anzi: il perpetuarsi di trattamenti “speciali” nei confronti della popolazione nomade non fa che creare intorno ad essa un senso di impotenza da parte della popolazione stanziale ed una richiesta sempre più esplicita di giustizia sociale, acuendo i toni del rifiuto di tener conto delle ragioni “storiche” che hanno prodotto tale differenziazione.

Parlo soprattutto alla Sinistra: la difesa ad oltranza della “libera attività” del popolo nomade (Rom e Sinti) non può essere assunta a valore. La mendicità ed alri comportamenti “libertari” non possono  essere considerati  “valori”.   Vi sono norme inderogabili: l’igiene, l’istruzione, il lavoro. Lo Stato deve garantire e pretendere.

 

 

Non rendersi conto che, proseguendo nella difesa di comportamenti del tutto alieni dall’essere “civili”, si finisce per fare il gioco delle Destre. Avanzando tali critiche non avverto su di me l’ombra della xenofobia: rinchiudersi a riccio non porta ad alcun risultato positivo e si finisce per non fare gli interessi delle stesse comunità nomadi che rischiano di finire sul banco degli accusati e dei perseguitati, anche per nostra responsabilità.

Tra l’altro occorrerebbe considerare che diventa ancor più difficile far comprendere alla gente che si chiede alle etnie migranti, provenienti da paesi martoriati dalle miserie e dalle guerre,  uno sforzo di integrazione mentre vi sono categorie che da questo punto di vista sono restie da sempre ad integrarsi nel contesto civile all’interno del quale pure permangono.

 

Joshua Madalon

 

 

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reloaded PRE-GIUDIZI E GIUDIZI in attesa di un commento ai fatti accaduti sulla tratta Milano-Mantova

 

 

reloaded PRE-GIUDIZI E GIUDIZI in attesa di un commento ai fatti accaduti sulla tratta Milano-Mantova

 

PRE-GIUDIZI E GIUDIZI

Non ho la vocazione ad imitare Monsignor Myriel, il Vescovo, ex aristocratico sopravvissuto alla Rivoluzione francese, che caritatevolmente perdonò Jean Valjean.

Fin quando non assumono lo status di “giudizi” si può sempre parlare di pre-giudizi. E tenendo conto della relatività degli eventi ciascuno di noi può sempre dire che non è vero che in alcune parti di Napoli devi fare attenzione ai borsaioli o ai venditori di “pacchi” fino a quando uno non ci capita. Ho menzionato Napoli ma tutto il mondo è paese e le stesse fregature le puoi avere in altri luoghi del mondo. E così puoi essere contrariato quando senti parlare di rom, sinti e caminanti con toni razzistici e discriminanti fin quando però poi non ti capita di incrociare il destino. Certamente applicare un generico marchio negativo alla totalità di una qualsiasi etnia o regionalizzazione non può essere accettato, perché tra le tante cose abbiamo compreso sulla nostra pelle quelle generalizzazioni per le quali il veneto è alcolista, il napoletano camorrista ed il siciliano mafioso oppure il calabrese è “capatosta”, l’albanese e il romeno sono violenti, per non parlare dei nigeriani e via dicendo.

Nella mia esperienza amministrativa ho incontrato sinti che vivevano del proprio lavoro dipendente ed erano stimati e benvoluti nel contesto territoriale. Nella Commissione circoscrizionale non avevi difficoltà a riconoscere il rappresentante di quella comunità: era il più elegante, pulito e profumato; molto diverso dallo stereotipo diffuso. E devo dire che ancora adesso, quindici anni dopo, quando lo incrocio lo riconosco proprio per quelle caratteristiche. Anche se, poi, quando vedo un rom o un sinti sono portato ad essere guardingo, mentre mi aspetto che venga a richiedere la “limosina” con le solite forme di insistenza.

Conosco molto bene quelle che sono gli appelli alla ricerca di una maggiore e migliore integrazione, e sono estremamente convinto che occorrerebbe andare in quella direzione, ma….  Ma per raggiungere un risultato simile occorre essere in due, l’istituzione proponente e la comunità specifica accogliente. In linea di massima non è possibile agire in modo repressivo. Ancor più nei confronti di comunità protette da accordi intenazionali, “anacronistici”. Trovo infatti assurdo che per intervenire intorno a queste problematiche ci si debba sentire  razzisti e/o reazionari. All’interno di diritti e doveri occorre essere uguali: garantire le pari opportunità in tempi in cui il lavoro è un bene prezioso ed a volte raro (quello buono e dignitoso) ha un profondo senso se si accettano le regole della reciprocità.

Non penso che la popolazione “nomade” (utilizzo il termine generico) debba diventare “stanziale” non desiderandolo, ma che ci debbano essere regole condivise da rispettare come l’accettazione di percorsi di integrazione scolastica per i figli in età dell’obbligo e la disponibilità ad accettare o a svolgere liberamente un lavoro, sviluppando le proprie potenzialità. Compito delle istituzioni ovviamente sarebbe quello di sviluppare un’azione sociale atta alla integrazione di queste comunità.

MENDICITà

La mendicità non può essere – e non lo è – un reato, ma non c’è dubbio che di fronte a persone oggettivamente in grado di svolgere un’attività lavorativa l’opinione pubblica sarà sempre meno disponibile a sentirsi solidale. Ancor più se poi queste “persone” che mendicano lo fanno con insistenza ed ancor più laddove come è accaduto a me e mia moglie l’altro giorno, quando davanti alla sede di Emmaus in via Pistoiese a Narnali alle ore 11.00 di un martedì un signore accompagnato da un ragazzino di circa 8 anni prima mi ha tagliato pericolosamente la strada con la sua auto e poi ha cercato di strappare dalle mani di mia moglie un pacco di indumenti in buono stato che nei cambi di stagione portiamo alla signora Graziella perché, rimettendoli, decida poi liberamente se regalarli o venderli. La prontezza di mia moglie ha evitato questo strano “scippo”.  Che sia stato un “nomade” o meno, ma l’idea che mi sono fatto – forse pre-giudizialmente – era che lo fosse, sono a chiedermi cosa ci facesse un ragazzino a quell’ora e se quel gesto fosse soprattutto per lui un buon esempio!

Io mi pongo delle domande, alle quali però non desidero avere risposte generiche, vaghe, che si riferiscano a trattati nazionali ed internazionali, senza scendere poi nello specifico di valutazioni dei fatti obiettivi, che potrebbero essere riconosciuti anche come reati (lo scippo, il non ottemperamento dell’obbligo scolastico nella scuola primaria, il furto spesso commesso da minorenni). La Sinistra troppo spesso assume una posizione “ideologica” lasciando varchi immensi alle Destre.

Quando ho avviato questa riflessione mi sono ricordato quel che diceva un vecchio senatore della Repubblica, democristiano, pratese, uomo di alta cultura, cristiano credente e praticante: “Fino a quando non ti colpiscono in modo diretto non ne hai un giudizio negativo. Un pre-giudizio può trasformarsi in “giudizio” o rimanere tale ma la realtà non cambia!” e si riferiva al fatto che fino a quando non capitò alla moglie di essere scippata con violenza di una catenina d’oro da una “nomade” non aveva mai provato imbarazzo a considerare quelle etnie in senso “cristiano”.

Joshua Madalon

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IL BUONISMO e le sue interpretazioni

 

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IL BUONISMO e le sue interpretazioni

“Basta con il buonismo” urlano le Destre e i destrorsi, accusando la Sinistra di essere troppo disponibili all’accoglienza “senza se e senza ma”.

Indubbiamente c’è un “buonismo” che caratterizza l’intera società italiana e che forse proviene antropologicamente dall’essere stata da secoli la terra della cristianità e del cattolicesimo imperante.

Partendo da esperienze personali, dirette ed indirette, potrei elencare a migliaia i casi in cui di fronte a trasgressioni lievi ma allo stesso tempo significative in deroga a regole precise da rispettare in una pacifica e civile convivenza queste ultime siano state violate con la nostra complicità.

Non c’è Destra o Sinistra che possa ergersi a giudice inflessibile senza cadere nella contraddizione personale.                                                                                                                                                                           Gli “italiani” per regola antropologica sono fatti così.

E lo sono ancora di più, perlomeno così a me è sembrato, le donne e gli uomini del Centro Sud rispetto a quelli che hanno invece conosciuto in modo più diretto forme di regime  asburgiche e calviniste-luterane, che hanno imposto regole molto più dirette e precise insite pienamente in quella “religione” che non concede spazio alla redenzione attraverso le opere buone e le assoluzioni tramite la confessione.

Ovviamente, però, il rimescolamento avvenuto tra Sud Centro e Nord con il fenomeno dell’emigrazione “interna” ha fornito ai sociologi argomenti utili al riconoscimento di una peculiarità  quasi unica in tutta Italia.

Siamo buoni! Tutti.

Sarebbe anche opportuno parlare di coerenza e sottolinearne  gli aspetti ambigui.  L’ho già fatto in altre occasioni ed a quelle rimando i miei lettori. Negli ultimi casi, quello di  Moncalieri e quello di Vicofaro,  gli autori di un gesto violento preceduto da epiteti la cui chiarezza non può essere equivocata, riconosciuti e scoperti hanno affermato di aver voluto compiere un gesto “goliardico” disconoscendo l’accusa di “razzismo”. Ho intanto in modo più che netto il convincimento che sia i giovani tredicenni  di Vicofaro sia quelli lievemente più attempati di Moncalieri non sappiano neanche lontanamente cosa significhi “goliardia”. E’ – questo – un termine utilizzato in modo surrettizio dagli avvocati difensori per allontanare dai loro assistiti l’aggravante relativa al “razzismo”. Inoltre rabbrividisco nell’apprendere che quei tredicenni abbiano saputo utilizzare termini netti e chiari “razzistici” insieme ad armi che pur sparando colpi a salve non dovrebbero in assoluto essere nelle loro mani: tutto ciò richiama alla responsabilità genitoriale e della società intera, incapace ad educare i suoi figli ai profondi principi della convivenza e del rispetto della persona, qualsiasi sia il suo colore, la sua religione, la sua nazionalità, la sua fede politica.

In tutto questo, cosa è questa volontà di sottovalutare il gesto dei giovani di Moncalieri e di Vicofaro (prendo ad esempio nuovamente loro: ma non solo loro sono il punto di riferimento di quel che scrivo) se non un’altra forma di “buonismo”, che sotto questo aspetto è  molto conveniente per la Destra?

Rispetto don Massimo Biancalani, parroco di Vicofaro, fatto segno di attenzioni da xenofobi e razzisti già nei mesi scorsi, ma non condivido il suo “buonismo”. Prima di essere un prete egli è un cittadino e non è certamente educativo mostrare disponibilità al perdono. Occorre una severità, non durezza, ma ragione e conoscenza.

 

Joshua Madalon

 

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del PD e delle SINISTRE….

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del PD e delle SINISTRE….

Uno degli aspetti più “(non)sorprendenti” della Politica praticata è l’incapacità da parte dei leader e dei suoi sostenitori di assumersi le proprie responsabilità di fronte ad eventi “catastrofici” dal punto di vista del consenso. La colpa è sempre degli “altri”, in primo luogo dei propri avversari interni, poi di qualche altro “esterno” che in qualche modo avrebbe “tradito” e poi ancora degli elettori che non “hanno compreso”. Come è ovvio sto scrivendo del Partito Democratico e di Renzi  & compagnia bella. Indubbiamente ed a conti fatti come disse il Segretario del PD di Prato non condivido più nulla con quel Partito. Detto questo, non intendo esimermi dall’avanzare critiche nei confronti di quella forza politica, perché riconosco che tra i suoi elettori vi sono ancora alcuni, vaghi rappresentanti della Sinistra, resistenti cocciuti creduloni. Ed inoltre c’è anche una parte esterna al PD che considera indispensabile mantenere e rafforzare un rapporto con quel Partito, issando la bandiera dell’antifascismo e della crociata contro le Destre.

Con le mie note mi rivolgo a ciascuno di loro, rigettando le accuse e i vituperi che mi vengono diretti: il Paese ha bisogno di una profonda chiarezza e qualsiasi compromissione sarebbe una sciagura, incompresa dagli elettori. Sono stati questi alcuni, forse i più importanti,  limiti nell’esperienza fallimentare di “Liberi e Uguali” affidata ad una figura poco “radical” ma molto “chic” come quella di Pietro Grasso e caratterizzata da una profonda ambiguità di prospettive.

Quella esperienza è nata sull’onda della “necessità” spaccando tuttavia il fronte della Sinistra ed infliggendo un vulnus ferale al futuro di quella parte politica. Non sto qui a rammentare il “cursus” ma a segnalare che non si può rinnovarlo nel prossimo futuro; anzi, da quella vicenda pessima dobbiamo trarre il necessario insegnamento.

Accennavo nella prima parte proprio all’incapacità della Politica di approfondire le cause delle sconfitte; ed è anche alla Sinistra, quella più vicina al mio sentire, che lancio le mie critiche in relazione a quel che emerge nelle ultime ore:  abbandonate le perenni attese, contornate da una fiducia immeritata verso il PD, e sciogliete le vele verso un nuovo orizzonte. Non soggiacete a rapporti patetici con chi non intende mettere in discussione scelte sciagurate, che hanno mortificato in modo costante il mondo del lavoro subordinato a vantaggio della plutocrazia imprenditoriale ed affaristico-finanziaria, che hanno umiliato denigrandoli e mortificandoli i bisogni della gente, concedendo loro poco più che le “brioches” di Maria Antonietta. Non dimenticate tutto ciò, cosa sperate di poter avere in cambio? Forse qualche piccolo vantaggio personale? Qualche riconoscimento tra le virgole, i punti ed i punti e virgole del Programma? Non vi basta aver compreso quali siano stati i punti di riferimento in questi ultimi anni sia sui territori locali che in quelli nazionali? Non di certo risposte a domande precise della gente semplice.

Forse la volontà di superare la fatica dell’elaborazione programmatica ed avere “’O cocco ammunnato e bbuono” conduce a tutto questo?

Il bisogno estremo di “unità” delle Sinistre non può comprendere accordi con chi della Sinistra non ha mai voluto tener conto. Non sono bastate le “fregature” inflitte ad alcuni di voi nel corso delle esperienze del recente passato?

Tra l’altro il richiamo all’unità antifascista da parte del PD oggi suona come sirena interessata al mantenimento dei poteri e non è espressione sincera.

 

 

Joshua Madalon

 

 

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reloaded de “UNA PROFONDA MANCANZA DI CULTURA” del 7 agosto 2017

 

reloaded de “UNA PROFONDA MANCANZA DI CULTURA” del 7 agosto 2017

Ripropongo un mio intervento dello scorso anno.

C’è in esso il profondo convincimento che la forma di “razzismo” di cui è ormai caratterizzata una larga parte della nostra gente è riferibile ad un livello culturale infimo, del quale però sono colpevoli le classi politiche che si sono arrogate di appartenere alla Sinistra e quelle altre non di Sinistra, che hanno lucrato per ottenere “potere” . So bene che il mio giudizio, espresso così, risulterà irritante e tranchant. Occorre tuttavia ribadire che se da una parte gesti simili come quelli di cui si parla nel post riproposto sono inaccettabili, dall’altra parte occorre aggiungere che una Amministrazione politica di Centrosinistra ( che si dice tale! ) non può limitarsi ad avanzare proposte in modo semplicistico senza aver preparato nei mesi precedenti un progetto di accoglienza. Noi sappiamo, oggi, agosto 2018, cosa è avvenuto in questo Paese e cosa sta accadendo giorno dopo giorno. Dobbiamo riprendere in mano la situazione, partendo dalle criticità, assumendosi in parte le responsabilità. Mi spiegherò meglio nelle prossime ore.

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UNA PROFONDA MANCANZA DI CULTURA

Quel che avviene a Prato in questi ultimi giorni in relazione allo spostamento in via del Cilianuzzo della sede della Croce Rossa portandosi dietro anche un gruppo di migranti attiene al dibattito estivo in un contesto intriso da un provincialismo becero incapace di approfondire le tematiche della migrazione in tutte le sue possibili variabili collegate al livello culturale che esprimono gli strenui difensori dell’integrità nazionale e dal rifiuto di riconoscere gli elementi fondamentali di razzismo che caratterizzano queste persone che non perdono occasione per mostrare quanto valgono. Da sempre uomini e donne di qualsiasi provenienza etnica o religiosa hanno potuto esprimere la loro umanità dialogando, a volte anche solo con i segni del volto, con un sorriso e con un gesto di amore e di amicizia.
Diverse sarebbero le responsabilità cui addebitare le difficoltà connesse all’ospitalità di queste donne ed uomini di altri paesi lontani che arrivano fino a noi sospinti dall’avidità di popolazioni dalla pelle bianca che per secoli hanno dilapidato i beni delle terre africane e del vicino Oriente; troppo facile continuare a dire “aiutiamoli in casa loro” mentre la comunità internazionale, quella di cui siamo parte integrante, non è in grado di fermare gli interventi delle multinazionali, degli Stati Uniti e della Cina, che stanno progressivamente colonizzando parti considerevoli dell’Africa, continuando a produrre la lenta progressiva espulsione ”naturale” da quelle lande verso le rive meridionali dell’Europa.
Ma non solo questo accade; riferendomi al severo monito con cui ho descritto il livello culturale delle buone donne e dei saggi uomini pratesi che in questi giorni protestano per la presenza di circa 25 migranti sul loro territorio, equiparando prima di tutto se stessi a cani e gatti che allo stesso modo difendono il loro spazio “vitale” dagli intrusi, sarebbe bene rilevare che vi è una parte mancante in tutto il percorso ed è quella relativa alla Cultura, ad un necessario approfondimento delle conoscenze reciproche che da sole possono contribuire ad arricchire e rassicurare tutti. Questo ruolo dovrebbe essere svolto dall’Amministrazione comunale, ancor più se – come si dice – quella di Prato è di Sinistra o perlomeno di Centrosinistra. A questo scopo dovrebbe essere impegnata la Prefettura, organismo che non può occuparsi soltanto di controllo burocratico e poliziesco. Invece, purtroppo, finora accade proprio che a prevalere siano le urla ed i berci di persone che non sono in grado di guardare al di là di un solo centimetro dal proprio naso. Sia detto con chiarezza e con la massima onestà, considero molto più grave le inadempienze delle istituzioni, perché composte da persone che dovrebbero esprimere un livello culturale superiore, a fronte delle sguaiate e pretestuose proteste della gente comune, spesso strumentalizzate da vecchi volponi della Politica d’accatto che si accapigliano per conquistare qualche ruolo nelle future competizioni.
Un consiglio a queste ultime persone; cercate di urlare meno e cominciate a dialogare con queste altre persone meno fortunate che vengono da lontano; fatelo da sole, senza l’ausilio delle istituzioni assenti: forse riuscirete anche ad apprezzarne la Cultura, quella che deriva dai loro viaggi, dalle loro storie, dalle loro tragedie, le loro passioni. Scoprirete che “insieme” riuscireste anche a cambiare la loro e la vostra storia, ad isolare qualche elemento tra loro meno incline a mettersi in gioco all’interno di un percorso positivo, riportandolo semmai su una strada comune che consenta di poter anche ritornare nel loro Paese, avendo però conosciuto una realtà ospitale, accogliente, costruita su regole certe e rispettate da tutti, un Paese civile come dovrebbe essere il nostro.

Joshua Madalon

 

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PASSEGGIATE FLEGREE giugno 2018 – parte 7

 

 

 

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PASSEGGIATE FLEGREE giugno 2018 – parte 7

 

Tornare a casa dalla zona Mercato-Porto di Pozzuoli a quella collinare della Solfatara significava dover salire di quattrocento metri  e qualche centimetro ad una distanza di  poco più di cinquecento metri.  Avevamo rinunciato a prendere in considerazione i mezzi “pubblici” del tutto inaffidabili; peraltro in un impeto di fiducia avevamo anche acquistato i titoli di viaggio, incuranti in quel momento di poter essere sbeffeggiati dai compagni di avventura che ci avrebbero degnati di commiserazione osservando il nostro tentativo di obliterarli in macchinette quasi sempre in tilt.

“Saglite, saglite, signo’” aveva detto il conducente del bus a Marietta, quando in uno dei suoi viaggi di ritorno nella sua terra aveva mostrato  che non aveva i biglietti e “Cosa ha detto il signore?” le aveva controbattuto l’amica Angela, incredula, avendo ben compreso l’invito alla trasgressione civile. Ed allo stesso modo insieme alla delegazione di un’Amministrazione in visita al territorio gemellato avevo fatto io sulla linea della Cumana nel tratto “Terme puteolane – Bagnoli”. Ricordi di annata, ormai. Oggi, maturi ultrasessantenni, ci apprestavamo a pagare il fio delle birbonate, scegliendo di far ritorno a piedi, con una differenza sostanziale nella forza fisica e nella sopportazione di una umidità elevata.

La più agevole tra le salite ci sembrò quella dei Cappuccini e così ci avviammo, scegliendo tra l’altro di percorrere un tunnel  che attraversa la collina della Terra murata. Fino a più di settanta anni fa (io non l’ho mai visto in funzione) c’era la linea del tram che arrivava da Napoli lungo la litoranea.

Il percorso ci consentiva di ridurre il cammino e di avere una discreta ombra, anche se mista a qualche scarico di motorette rombanti.

Passammo a fianco della vecchia struttura del Cinema Mediterraneo, chiuso ormai da trenta anni, del quale però si vedeva ancora l’Uscita di Sicurezza e poi cominciammo lentamente a salire sulle comode larghe scale.

Attraversata la sede ferroviaria della Cumana cominciò la nostra ascesa e  “Village of Hope & Justice Ministry (onlus)” vedemmo scritto al termine della prima rampa.   Curioso ma il caldo, l’ora e il desiderio di “elevarci” prima possibile ci sconsigliò l’approfondimento.  Anche perché, girato l’angolo, fummo attratti da voci giovanili e da uno strano lampione sotto il quale c’era  una scritta amena ma molto attraente, “Lux in Fabula”, accompagnata dall’immagine della “lampada di Aladino”, così come trasmessa dalla nostra infanzia di visionari. Sarà stata pure la stanchezza ma quei due curiosi che siamo rimasti si spinsero a chiedere qualche informazione in più. I ragazzi furono molto contenti di accontentare il nostro desiderio di sapere. “Claudio, ci sono questi due signori che vogliono sapere di cosa ci occupiamo” uno dei giovani si era rivolto a qualcuno che era dentro, in uno spazio apparentemente angusto e colmo di oggetti e libri. Marietta ed io con il peso delle nostre “provviste”  e la leggerezza  della curiosità avevamo allungato il collo per capire chi fosse Claudio, mentre il parlottare dei giovani si era acquietato, forse anche in attesa di sapere chi fossimo noi, così curiosi ed interessati sia alla sosta in un ambiente più fresco sia alla possibile nuova scoperta di mondi a noi ignoti.

 

…fine parte 8….continua

 

Joshua Madalon

 

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L’UOMO NEL FOSSO

 

L’UOMO NEL FOSSO

 

Oggi voglio dedicarvi due lettere di Antonio Gramsci collegate tra loro ed all’interno delle quali troverete un apologo: provate ad interpretarne il senso e incoraggiate voi stessi ed i vostri vicini (amiche ed amici, compagne e compagni) ad avere più fiducia nell’Intelligenza e nella Cultura contro i falsi “profeti”.

 
1° agosto 1932

Carissima Iulca,
ho ricevuto la tua lettera del 15 luglio. Ti ringrazio per il tuo scrivere frequente. Ho ricevuto le fotografie dei bambini e tua ed esse mi aiutano ad immaginare un po’ piú concretamente la vostra vita e a fantasticare meno. La tua ultima lettera mi ha dato anche una prova che le tue condizioni di salute sono migliorate; ho voluto rileggerla proprio come «referto»… medico e ho constatato che non c’è neanche un errore di ortografia e di lingua in generale. Ciò vuol dire che il tuo italiano è ancora solido e che il tuo processo di ideazione è ridiventato limpido e chiaro, senza dubbi, pentimenti, irrisolutezze, come non appariva essere precedentemente, almeno qualche volta. – Ricordi ancora quando ti ho raccontato la storiella dei rospi che si posano sul cuore degli addormentati in campagna? Sono appunto circa 10 anni: quante fanfaluche ti ho raccontato in quel mese trascorso al sanatorio! Nello scrivere la novellina dell’uomo nel fosso mi è ritornato alla memoria improvvisamente, e mi sono ricordato che allora ti era rimasto impresso con un accompagnamento di sensazioni comiche. – Anche ciò che scrivi di Delio e Giuliano e delle loro inclinazioni, mi ha fatto ricordare che qualche anno fa credevi che Delio avesse molta inclinazione per l’ingegneria costruttiva mentre pare che oggi questa sia l’inclinazione di Giulianoe Delio invece sia piuttosto portato alla letteratura e alla costruzione.

 

 

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Lettera del 27 giugno 1932, a Iulca

Carissima Iulca,

ho ricevuto i tuoi foglietti, datati mesi e giorni diversi. Le tue lettere mi hanno fatto ricordare una novellina di uno scrittore francese poco noto, Lucien Jean, credo, che era un piccolo impiegato in una amministrazione municipale di Parigi. La novella si intitolava In uomo in un fosso. Cerco di ricordarmela.

Un uomo fortemente vissuto, una sera: forse aveva bevuto troppo, forse la vista continua di belle donne lo aveva un po’ allucinato. Uscito dal ritrovo, dopo aver camminato un po’ a zig-zag per la strada, cadde in un fosso. Era molto buio, il corpo gli si incastrò tra rupi e cespugli; era un po’ spaventato e non si mosse, per timore di precipitare ancora più in fondo. I cespugli si ricomposero su di lui, i lumaconi gli strisciarono addosso inargentandolo (forse un rospo gli si posò sul cuore, per sentirne il palpito, e in realtà perché lo considerava ancor vivo). Passarono le ore; si avvicinò il mattino e i primi bagliori dell’alba, incominciò a passare gente.

L’uomo si mise a gridare aiuto. Si avvicinò un signore occhialuto; era uno scienziato che ritornava a casa, dopo aver lavorato nel suo gabinetto sperimentale. Che c’è? Domandò. – Vorrei uscire dal fosso, rispose l’uomo. – Ah, ah! Vorresti uscire dal fosso! E che ne sai tu della volontà, del libero arbitrio, del servo arbitrio! Vorresti, vorresti! Sempre così l’ignoranza. Tu sai una cosa sola: che stavi in piedi per le leggi della statica, e sei caduto per le leggi della cinematica. Che ignoranza, che ignoranza! – E si allontanò scrollando la testa tutto sdegnato.

Si sentono altri passi. Nuove invocazioni dell’uomo. Si avvicina un contadino, che portava al guinzaglio un maiale da vendere, e fumava la pipa: ah, ah! Sei caduto nel fosso, eh! Ti sei ubriacato, ti sei divertito e sei caduto nel fosso. E perché non sei andato a dormire come ho fatto io? – E si allontanò, col passo ritmato dal grugnito del maiale.

E poi passò un artista, che gemette perché l’uomo voleva uscire dal fosso: era così bello, tutto argentato dai lumaconi, con un nimbo di erbe e fiori selvatici sotto il capo, era così patetico! E passò un ministro di Dio, che si mise a imprecare contro la depravazione della città che si divertiva o dormiva mentre un fratello era caduto nel fosso, si esaltò e corse via per fare una terribile predica alla prossima messa.

Così l’uomo rimaneva nel fosso, finché non si guardò intorno, vide con esattezza dove era caduto, si divincolò, si inarcò, fece leva con le braccia e le gambe, si rizzò in piedi, e uscì dal fosso con le sole sue forze. – Non so se ti ho dato il gusto della novella, e se essa sia molto appropriata. Ma almeno in parte credo di sì: tu stessa mi scrivi che non dai ragione a nessuno dei due medici che hai consultato recentemente, e che se finora lasciavi decidere agli altri ora vuoi essere più forte.

Non credo che ci sia neanche un po’ di disperazione in questi sentimenti: credo che siano molto assennati. Occorre bruciare tutto il passato, e ricostruire tutta una vita nuova: non bisogna lasciarci schiacciare dalla vita vissuta finora, o almeno bisogna conservarne solo ciò che fu costruttivo e anche bello. Bisogna uscire dal fosso e buttar via il rospo dal cuore.

Cara Iulca, ti abbraccio teneramente.

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…a cura di Joshua Madalon

PASSEGGIATE FLEGREE Giugno 2018 – parte 6

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PASSEGGIATE FLEGREE Giugno 2018 – parte 6

La città di Pozzuoli è adagiata in una conca vulcanica che parte dalla periferia di Bagnoli, frazione nota nell’antichità come luogo di turismo termale (da “balneis”) e poi dall’inizio del Novecento sede di attività industriali (c’era l’ILVA fino agli anni ’90 di quel secolo), per poi comprendere, dopo l’insediamento cittadino, la frazione di Arco Felice – Lucrino, Baia, luogo anch’esso che rimanda alla cultura romana e Bacoli, fino al capo Miseno. La città si è strutturata nei secoli e soprattutto nell’ultimo con insediamenti collinari che arrivano a toccare quasi 500 m. sul livello del mare.
Marietta ed io abitavamo alle pendici della Solfatara (458 m slm) e da lì quella mattina, con il fresco, eravamo scesi giù prima verso il cimitero e poi al porto. Ora ci toccava rifare il percorso in salita con un clima che, nel frattempo era diventato insostenibile: oltretutto eravamo partiti leggeri ed ora dovevamo far ritorno con un carico di qualche chilo in più.
I mezzi pubblici sono tra le note dolenti di una realtà così ricca di stimoli culturali ma così povera e sprovveduta dal punto di vista imprenditoriale. “Sopportare” cristianamente o meno e “tirare a campare” sembrano imperativi categorici negativi persistenti in questa porzione di mondo.
Scartata l’idea di aspettare lì altri quaranta minuti nell’incertezza che ciò fosse vero, dovevamo scegliere a quale albero impiccarci; ovvero quale percorso in salita privilegiare. Ci fermammo un po’ nella “villa”. Altro aspetto dolente di questo luogo è la quasi assenza di spazi verdi. In verità le colline, ancorchè punteggiate da manufatti abusivi “di necessità”, erano abbastanza verdi; ma la città è stata costruita riempiendo tutti i vuoti e la “villa comunale” è un appezzamento di cemento di circa 500 metri quadrati con qualche panchina, una fontana centrale contesa da bambini e cani e alcune aiuole con pochi alberi. Nella città medio-alta c’è un altro parco giardino acquisito alla fruizione pubblica negli anni Ottanta ma non c’è molto altro. Anche quella che chiamavamo da ragazzetti “la selva” è stata riempita dalla Tangenziale.
Dal mercato alla villa sono trecento metri: decidemmo che nella sosta avremmo vagliato le ipotesi per la salita.
Mentre eravamo seduti a goderci il traffico che era intenso, visto la concomitanza di arrivi e partenze dei traghetti per le isole ed il contemporaneo spostamento degli acquirenti che dal mercato si dirigevano nella parte superiore della città per l’elaborazione dei cibi, si palesò uno dei miei amici teatranti che non vedevo da anni.
“Non sei proprio cambiato, diamine!” “E tu, hai fatto il patto col diavolo?” battute più o meno simili per segnalare l’esatto contrario. Il tempo passa e i segni si vedono. Lo spirito però, quello sì, non è cambiato e probabilmente anche la sveltezza intellettiva, visto che entrambi non ci siamo adagiati: io un docente impegnato nella scuola superiore lui un piccolo imprenditore attivo nella politica.
Non palesammo la nostra stanchezza ed orgogliosamente – ahimè – salutammo l’amico e declinammo l’invito ad utilizzare un passaggio, essendo del tutto convinti delle nostre forze e della capacità di adeguarle all’impresa.

fine parte 6….continua

Joshua Madalon

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ANCORA SULLE FAKE NEWS a scopo propagandistico veicolate dalla LEGA

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ANCORA SULLE FAKE NEWS a scopo propagandistico veicolate dalla LEGA

Sempre da
https://openmigration.org/analisi/cosa-ci-raccontano-i-dati-sui-detenuti-stranieri-in-italia/

La narrazione che la Destra in questo Paese fa della presenza di persone straniere – non solo africane o orientali ma anche ed in misura notevole “comunitarie” (Romania) o assimilabili (Albania) che arrivano al 26,5% sul totale – è in assoluto deficitaria dal punto di vista sociologico-culturale. Alla Destra non mancano le intelligenze: dunque è del tutto evidente che costruiscono in modo falso e tendenzioso per l’appunto una narrazione perniciosa per la tenuta degli equilibri sociali, atta a costituire forme di vantaggio elettorale sulla pelle degli stranieri e su quella in modo indiretto della massa di persone incolte o bassamente acculturate, che negli ultimi anni sono numericamente in aumento, anche a causa di politiche scolastiche e culturali inefficaci.
Questi i dati numerici da cui poi far partire analisi profonde (quelle che mancano): è l’Amministrazione penitenziaria, non un Partito o Associazione o Organizzazione di Sinistra, a fornirle alla data del 30/06/2017 – poco più di un anno fa.

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Altro capitolo che andrebbe tenuto in considerazione nello studio della riforma è quello sul tipo di reati commessi dagli stranieri e sulle pene loro inflitte. I numeri ci mostrano una situazione che non giustifica gli allarmismi diffusi nell’opinione pubblica. La retorica dell’invasione degli stranieri pericolosi che vengono nel nostro paese per delinquere non è supportata dai dati reali che provengono dalle nostre carceri.

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“La sovrarappresentazione degli stranieri nel nostro sistema carcerario non si può imputare a una loro presunta maggiore propensione al crimine, ma è invece influenzata da fattori normativi e sociali, specialmente per chi è in Italia come irregolare. Secondo gli esperti della materia, infatti, l’insieme dei dati sociali e criminali relativi alla popolazione detenuta immigrata dimostra senza equivoci che il sistema della giustizia penale è al servizio di un’idea fortemente selettiva su base etnica e sociale. Il presidente dell’associazione Antigone, Patrizio Gonnella, sottolinea che il “tasso di fiducia penitenziario” – misurato calcolando il rapporto fra il totale delle persone in esecuzione penale e quelle che sono in misura alternativa, e drasticamente diverso per italiani e stranieri – è misura eloquente di un sistema penale selettivo, che ripropone meccanismi discriminatori già presenti nella società libera.
Altro aspetto discriminatorio “a prescindere” è sottolineato dall’articolo che vi suggerisco di leggere per intero.
Si correrebbe inoltre il rischio di generalizzare se si considerassero i detenuti stranieri come se fossero un unicum. Non è così. Si tratta di poco meno di 20.000 persone: tutte non italiane, ma con ben poco in comune oltre al fatto di essere straniere e recluse in Italia.”

Pochi poi sono disposti a riflettere intorno al fatto che molti tra gli stranieri nordafricani in carcere sono responsabili di cessione di droga (pusher): ora basterebbe semplicemente fermarsi un attimo nella furia cieca per poter capire che la “roba” da spacciare viene loro fornita da criminali autoctoni, alcuni dei quali in giacca e cravatta, che se ne stanno al caldo, sicuri peraltro di non essere facilmente identificabili se la cessione avviene in modo riservato.
Parlo di “Fake news” ad uso politico, anche perché bisogna fare molta attenzione per evitare che il giro di vite avviato a scopo propagandistico elettorale non produca danni irreparabili nel corpo vivo della società. I fenomeni migratori che si sviluppano naturalmente nel corso delle “storie” non possono essere fermati con le menzogne: occorrono “politiche” che facciano dell’accoglienza, dell’integrazione e della legalità il punto di partenza e di arrivo della società multietnica del futuro.

Joshua Madalon

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I PRIMI CREATORI DI FAKE: la Destra e la Lega

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I PRIMI CREATORI DI FAKE

La valutazione della realtà deve essere fatta sulla base di due elementi fondamentali: la percezione che si ha di un determinato fenomeno e I dati reali riferibili a quello stesso fenomeno.
Ovviamente in modo ideologico a seconda della diversa posizione di chi deve poi valutare questo “stato delle cose” si hanno pareri concordi o discordi.
Negli ultimi giorni si è andata diffondendo la sensazione che il nostro Paese fosse abitato da una maggioranza di razzisti. Diverse le opinioni, proprio a seconda della posizione ideologica: la Sinistra va affermando che ci si trovi davanti ad una serie infinita di casi dai quali emerge a tutto tondo come la propaganda politica della Lega, in questo momento Partito di Governo, e del suo massimo rappresentante stia incidendo fortemente sul comportamento di persone che non sopportano più la presenza di extracomunitari sulle nostre strade. La Destra d’altra parte nega nettamente questa interpretazione, accusando la Sinistra di creare per motivi ideologici questa campagna denigratoria verso le politiche proposte dalla Lega e supportate dal Movimento 5 Stelle.
Proprio la Destra ha continuamente negli ultimi mesi attraverso letture parziali e soggettive dei dati diffuso l’idea che in Italia vi fosse un’invasione di stranieri e che la maggior parte di questi siano i responsabili di azioni criminali e vadano contribuendo ad affollare le carceri.
Ovviamente si tratta di una vera e propria fabbrica di “FAKE NEWS” ad uso politico. L’analisi, ad esempio in modo tendenzioso, manca di approfondimento qualitativo sulle ragioni per cui in carcere permangano molto a lungo, più a lungo degli “ospiti” autoctoni, gli stranieri.

Serve certamente consultare i dati approfonditi da “OpenMigration”

https://openmigration.org/analisi/cosa-ci-raccontano-i-dati-sui-detenuti-stranieri-in-italia/:

“….gli stranieri, più degli italiani, sono destinatari di misure cautelari di custodia in carcere, e questo si potrebbe spiegare, almeno in parte, con la difficoltà da parte dell’indagato e imputato straniero ad accedere a una tutela legale qualificata. Un altro elemento da tenere in considerazione nell’analisi di questi numeri è il fatto che per chi viene da un altro paese è più difficile contare su legami stabili con il mondo esterno. Il paese di origine (così come anche la presenza regolare o irregolare sul territorio italiano), sembra influire non solo sui frequenti trasferimenti degli stranieri da un istituto di pena all’altro, ma anche sulla valutazione del rischio di fuga (e quindi sul “tasso di fiducia” di cui parlavamo prima, che porta a un più facile ingresso in carcere e a una più difficile uscita tramite accesso alle misure alternative).”

Inoltre andrebbero approfondite le “differenze qualitative” di pena. Anche in questo ci aiuta “OPEN MIGRATION”:

Ad esempio “da un’analisi dei dati sulle pene inflitte agli stranieri e sulle tipologie di reati a costoro imputati, si deve evidenziare….come al crescere della gravità del reato diminuisca l’incidenza della componente straniera. All’aumentare della pena inflitta (e dunque della gravità del fatto commesso) corrisponde una diminuzione della percentuale degli stranieri in generale sulla popolazione carceraria totale; questi passano infatti dall’essere circa il 46 per cento dei detenuti condannati a meno di un anno a circa il 6 per cento del totale di quelli condannati all’ergastolo. Osservando i dati riferiti alle nazionalità straniere con più di 200 detenuti condannati (ossia, in ordine decrescente, Marocco, Romania, Albania, Tunisia e poi Nigeria, Egitto, Algeria e Senegal), le percentuali non differiscono molto tra le singole comunità, e confermano che gli stranieri sono quasi assenti tra i condannati a pene dai 20 anni di reclusione in su, e che per la maggior parte gli stranieri risultano condannati a una pena inferiore ai 5 anni: sono il 60 per cento dei detenuti stranieri, mentre sono il 40 per cento nel caso dei dei detenuti condannati italiani. Questa differenza tra pene inflitte a detenuti italiani e pene inflitte agli stranieri è meno cospicua per i detenuti di provenienza albanese, la cui percentuale di condannati a meno di 5 anni è il 46 per cento.”

I due motti sul sito di Open Migration

https://openmigration.org/analisi/cosa-ci-raccontano-i-dati-sui-detenuti-stranieri-in-italia/

– sono “CAPIRE CON I DATI” e “DIFENDERE LA DIGNITA’”

Ecco, sarebbe opportuno che, prima di parlare, si sappia leggere. Purtroppo siamo un Paese di analfabeti “di andata e di ritorno”.

Joshua Madalon
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