ANNIVERSARIO (triste) di straordinaria insolita allegria: FRANCO CASAGLIERI

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ANNIVERSARIO (triste) di straordinaria insolita allegria: CASAGLIERI e MONNI

Sì, certamente la mia esperienza amministrativa in una Circoscrizione che era grande quanto la mia città d’origine è stata entusiasmante e ne sono stato arricchito immensamente. Il lavoro in Circoscrizione è gratuito; solo i Presidenti del Consiglio Circoscrizionale percepivano un compenso che era basato su quello degli Assessori. A tutti gli altri eletti veniva corrisposto un gettone di presenza ad ogni partecipazione in Consiglio o in Commissione. Ma personalmente quel lavoro l’avrei fatto anche gratis ed a pensarci ora lo rifarei ancora di più gratis. In quegli anni ho avuto modo di conoscere tantissima gente di Cultura e di Spettacolo perché mi occupavo di questi temi come Presidente della Commissione Scuola e Cultura. E sin dai primi giorni prima nella sede di via Firenze e poi in quella di via De Gasperi ho lavorato per dare un contributo anche personale (qualcuno ha rilevato nel tempo che fosse “troppo personale”) alla gestione del programma culturale del territorio di mia competenza. Indubbiamente alla fine dei miei due mandati potevo dire di avere costruito dei contenitori che sarebbero andati avanti quasi da soli ma non avevo fatto il conto con il cambiamento di maggioranza che si verificò nel 2009, sia in Circoscrizione che in città.
Fu in quegli anni che ebbi modo di conoscere Franco Casaglieri, che peraltro abitava anche nel territorio circoscrizionale, quando mi fu presentato da Gianfranco Ravenni, che si occupava negli uffici non solo delle mie materie ma che per le questioni culturali ha sempre avuto una grande cura ed attenzione. Franco, non appena lo incontravi metteva in moto quella sua verve straordinaria che oltre a mettere a proprio agio gli interlocutori non ti consentiva di capire se stava a prenderti in giro o faceva sul serio. Io, ad esempio, non l’ho mai capito. Ma alla fin fine non era questo quel che importava: lui arrivava, ti presentava un’idea, la discuteva con te, ti faceva sentire importante perché tu la condividessi , stabiliva con il funzionario il budget, e via! E poi qualche settimana prima ti faceva sapere bene chi sarebbero stati i suoi compagni di viaggio. Franco aveva una capacità di coinvolgimento ampio e con lui vedevi arrivare Carlo Monni, Logli Altamante, Bobo Rondelli e ti poteva capitare che nel pubblico si affacciassero anche Ceccherini, Paci, Ettore il Grezzo, un tale Roberto Benigni e su di lì. Una volta si esibirono al Cantiere e gli abitanti del quartiere vuoi per timidezza vuoi per maleducazione (che a volte si confondono in un tutt’uno) non si decidevano a schierarsi sul davanti del palco e continuavano, mentre il Monni si impegnava con i suoi monologhi un po’ scollacciati inframezzati a canzoni come “L’amore è come l’ellera…”, a rimanere di lato e dietro, mentre davanti c’era un minuscolo drappello di “autorità” e qualche loro amico e parente.
Dopo un quarto d’ora di quella solfa, Monni si rifiutò di continuare la sua esibizione, anche perché nessuno dei “cantierini” ne voleva sapere di mettersi davanti.
In un’altra occasione con la Circoscrizione, affidandoci sempre a Franco, pensammo bene di organizzare un Concerto di Bobo Rondelli nella frazione di Gonfienti. A quell’evento avrebbe partecipato anche Carlo Monni. L’iniziativa era collegata alla festa paesana che si svolgeva in collaborazione con la Parrocchia: nessuno di noi aveva previsto che tra il cantante e la gente per bene, timorata di Dio, religiosa non poteva correre buon sangue. Ed infatti fu un vero disastro con polemiche che durarono alcuni giorni sulla stampa locale.
Di occasioni di incontri con Franco ve ne sono stati tanti anche fuori dai contesti pubblici; l’ultima volta che l’ho visto è stata la presentazione del libro di Maurizio Giardi e Marco Mannori, “Il fratello di Marta” alla Libreria Mondadori a Prato (oggi non c’è più “anche” quella libreria), ma non capii che stava male: era fatto così, scherzava come sempre, ti prendeva (o no?) per il culo. Poi arrivò la notizia della sua morte il 31 dicembre del 2015. Due anni fa, proprio il 2 gennaio, ci furono i funerali nel Duomo. Funerali solenni, anche allegri come lui avrebbe voluto che fossero se vi avesse potuto partecipare da vivo. Solenni anche perché ufficiati da due vescovi, l’emerito Gastone Simoni e quello in carica Franco Agostinelli oltre che dall’esperto di arte e spettacolo don Giuseppe Billi.
Uno dei suoi amici pratesi più cari, un artista dell’ottava rima come Gabriele Ara in quell’occasione ebbe a chiedergli proprio di salutare Carlo Monni non appena lo avesse incrociato lassù nei pascoli del cielo.

Joshua Madalon

In giornata ripubblicherò anche quel che scrissi il 2 gennaio del 2016

http://www.maddaluno.eu/?p=4009

ANNIVERSARI 2017-2018 – DANILO DOLCI, PIERO CALAMANDREI E LA COSTITUZIONE ITALIANA UNA ESEMPLARE DENUNCIA parte 2

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ANNIVERSARI 2017-2018 – DANILO DOLCI, PIERO CALAMANDREI E LA COSTITUZIONE ITALIANA UNA ESEMPLARE DENUNCIA parte 2


Come preannunciato giorni fa, in ricordo della figura di Danilo Dolci a venti anni dalla sua morte e di Piero Calamandrei, uno dei più illustri tra i “padri costituenti”, a 70 anni dalla approvazione, promulgazione ed entrata in vigore della Costituzione italiana ho pensato di fare cosa gradita nel pubblicare l’arringa in difesa di Danilo Dolci pronunciata il 30 marzo del 1956 nel Tribunale penale di Palermo. Tale discorso è indirettamente una denuncia esemplare dell’incapacità del Governo di allora (ma molto poco è cambiato se non peggiorato in termine di rispetto dei valori fondanti della Carta) di applicare gli elementi fondamentali della Costituzione e di rispettare e far rispettare le regole della convivenza civile. Danilo Dolci era stato arrestato il 2 febbraio 1956 per aver promosso e capeggiato, insieme con alcuni suoi compagni, una manifestazione di protesta contro le autorità che non avevano provveduto a dar lavoro ai disoccupati della zona: la manifestazione era consistita nell’indurre un certo numero di questi disoccupati a iniziare lavori di sterramento e di assestamento in una vecchia strada comunale abbandonata, detta “trazzera vecchia”, nei pressi di Trappeto (provincia di Palermo), allo scopo di dimostrare che non mancavano né la volontà di lavorare né opere socialmente utili da intraprendere in beneficio della comunità. I principali capi di accusa riguardavano la violazione degli articoli 341 (oltraggio a pubblico ufficiale), 415 (istigazione a disobbedire alle leggi), 633 (invasione di terreni) del Codice penale.)
In quegli anni tra l’altro i pescatori di Trappeto si vedevano depauperati della possibilità di svolgere efficacemente il proprio lavoro a causa della presenza di grandi pescherecci collegati a potentati locali che portavano via dal mare antistante la maggior parte delle materie prime di cui legalmente avrebbero potuto usufruire le povere famiglie del posto.

Piero Calamandrei morì pochi mesi dopo aver difeso Danilo Dolci, il 27 settembre del 1956 a Firenze.

Ho già pubblicato lo scorso 31 dicembre la prima parte dell’intervento di Piero Calamandrei In difesa di Danilo Dolci – qui di seguito troverete la seconda parte. Confrontate il tutto con quanto scritto da Norberto Bobbio nella prefazione a “Banditi a Partinico” (vedi post di ieri 1 gennaio 2018) e, se non ancora conoscete Danilo Dolci e siete stimolati ad approfondirne le qualità e le caratteristiche che lo hanno fatto definire “Gandhi italiano” (insieme ad un altro grande come Aldo Capitini), andate in Biblioteca – o in libreria – e cercate le sue opere. Ancora, BUON ANNO 2018! L’anno della Rivoluzione del “68 (a 50 anni)
Joshua Madalon

2.
Ma allora vuol dire che siamo tutti qui per lo stesso scopo: quale è il punto del nostro dissidio, quale è il tema del nostro dibattito? Perché noi avvocati stiamo a questo banco degli imputati dietro a noi e i giudici nei loro seggi più alti? di che stiamo noi discutendo?
In verità io non riesco a riconoscere su queste facce di imputati, così tranquille e serene, le tristi impronte della delinquenza; né riesco a scoprire nelle umane facce dei carabinieri che stanno accanto a loro la fredda insensibilità dell’aguzzino. Io so che essi, quando mettono le manette a questi imputati, si sentono in fondo al cuore umiliati e addolorati di questo crudo cerimoniale, che pure hanno il dovere di compiere: quando la mattina gli imputati entrano in quest’aula incatenati, come prescrive il regolamento di polizia, non sono essi che provano rammarico e vergogna per quelle catene. Ho visto con i miei occhi che, nonostante quei polsi serrati nelle manette, le loro facce rimangono serene e sorridenti; ma un’ombra di mestizia traspare sui volti di chi li accompagna.
No no, il dissidio non è qui, in questa aula: il dissidio è più lontano e più alto. Sarebbe follia pensare che Danilo abbia potuto indirizzare agli agenti che lo arrestarono, fatti della stessa carne di questi che oggi lo accompagnano, l’epiteto di ” assassini “. Danilo non parlava e non parla a loro. Gli assassini ci sono, ma sono fuori di qui, sono altrove: si tratta di crudeltà più inveterate, di tirannie secolari, più radicate e più potenti; e più irraggiungibili.
Di quello che è avvenuto, signori del Tribunale, non si deve dare colpa alla polizia, la quale è
soltanto una esecutrice di ordini che vengono dall’alto. In quanto a me, vi dirò anzi che ho sentito dire che io dovrei essere debitore, verso qualcuno degli agenti che hanno deposto in questo processo, di speciali ragioni di gratitudine. Dai resoconti dati dalla stampa su una delle prime udienze, alla quale io non ho potuto partecipare, ho appreso che io dovrei ringraziare quel funzionario di polizia che oggi è commissario a Partinico, il dottore Lo Corte, del trattamento di favore che egli mi avrebbe usato a Firenze, nel periodo in cui egli apparteneva alla polizia della Repubblica di Salò: pare che nella sua deposizione egli abbia detto che mi trattò con speciale riguardo perché, quando venne al mio studio per arrestarmi, arrivò un quarto d’ora dopo che io ero uscito e così lasciò ineseguito il suo mandato. In verità io non mi ricordo di lui: e non so se devo essere grato a lui per essere arrivato un quarto d’ora dopo o a me stesso per essere uscito un quarto d’ora prima. Ma in ogni modo sono anche disposto ad essergli riconoscente: non sono queste vicende personali le cose che contano in questo processo. Quello che conta è un’altra cosa: conoscere il perché umano e sociale di questo processo, collocarlo nel nostro tempo; vederlo, come tu ben dicevi, o amico Sorgi, storicamente, in questo periodo di vita sociale e in questo paese.

….fine parte 2…..continua

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BUON 2018 – Danilo Dolci e Norberto Bobbio – pagine esemplari

BUON 2018 Danilo Dolci e Norberto Bobbio – pagine esemplari

Su “Paese Sera” del 19 dicembre e sul mio blog del 23 dicembre u.s. accennavo alla Prefazione che Norberto Bobbio scrisse per “Banditi a Partinico” di Danilo Dolci.
Accanto al testo di Piero Calamandrei anche questo dell’illustre filosofo torinese andrebbe fatto studiare ai giovani (ed ai meno giovani, bisognosi di essere incoraggiati alla partecipazione attiva, civile, civica, politica). Sono passati più di sessanta anni e le parole di Norberto Bobbio, così come quelle altre cui accenno e che ho avviato a pubblicare perché siano viatico esemplare per chiunque voglia impegnarsi socialmente ed abbandonare il pessimismo risuonano ancora come fossero a noi contemporanee.
Qui di seguito riporto solo alcune parti ma vi consiglio di impadronirvi dell’intero testo non appena ne avvertirete il bisogno.
Dice Bobbio: “…..Vorrei quasi considerare queste pagine come una salutare iniziazione allo studio della vita politica in Italia, salutare per tutti coloro che son venuti prendendo coscienza della impossibilità di separare ciò che si è come uomini e ciò che si è come membri di una società storicamente determinata, intesa la politica nel senso più proprio come complesso dei rapporti tra individui e Stato, tra privati cittadini e pubblici poteri…..vorrei che si leggessero queste pagine come un commento, amaro e talora crudele, sempre spietatamente smascheratore delle belle frasi di cui la classe dirigente, politica e sacerdotale, riempie e decora i propri discorsi.
Crediamo di sapere, a sentir quei discorsi, che democrazia significa uno Stato in cui il cittadino è sovrano e gli organi della pubblica amministrazione sono al suo servizio, e più ancora che l’Italia attualmente è una vera democrazia…..Crediamo di sapere che diritto significa regola che impedisce l’esplodere della forza incontrollata delle passioni e degli interessi, e che il nostro Stato è uno Stato di diritto….E la giustizia dello Stato non è la forza superiore alle parti dalla quale ci attendiamo che la violenza privata non rimanga impunita?….E perché mai esistono una legge e uno Stato, questa imponente e costosa macchina di funzionari (i “fedeli servitori” della pubblica retorica) se non per impedire che il potente spadroneggi e il debole sia annientato?…..
…Si esce dalla lettura di queste pagine perseguitati dal fetore di quelle stanze e di quelle strade, dall’immagine di quegli interni desolati e confusi, di quei volti stanchi o torbidi o malati…col senso di una società più che pervertita guasta, più che corrotta disfatta, che vive sotto il segno della precarietà e del disvalore – disarmonia contro armonia, miseria contro ricchezza, malattia contro sanità, ignoranza contro conoscenza, superstizione contro religiosità, morte contro vita -, di una società dove l’avvilimento quotidiano di cui si discorre senza stupore e angoscia come del tempo che fa, è la morte……
….Per molti di noi il crollo del fascismo e la guerra di liberazione sono stati l’occasione per la scoperta di un’Italia segreta e nascosta, dell’Italia non ufficiale, di cui la cultura dominante, tutta affaccendata in polemiche filosofiche o ideologiche o di scuola (contro il positivismo, contro il pragmatismo, contro l’attivismo e via con mille altri nomi astratti) ci aveva poco o nulla parlato, e di cui la politica dei politici aveva spudoratamente negato l’esistenza. Si cominciò a guardare l’Italia non più dall’alto in basso, ma di sotto in su, dal punto di vista dei poveri, dei diseredati, degli oppressi, di coloro che non erano mai stati protagonisti…..”

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Norberto Bobbio ci ha lasciato pagine esemplari come queste che precedono la descrizione quotidiana, meticolosa, scientifica delle condizioni di coloro che avevano smarrito la loro identità di uomini, donne, cittadine e cittadini per assumere nomi collettivi come plebe, massa, banditi.
Guardiamolo oggi questo nostro Paese a sessanta anni e più dal tempo di “Banditi a Partinico” e confrontiamo quelle descrizioni con il mondo attuale, provando ad affrontare le problematicità con nuovo vigore ed uno sguardo attento alle esigenze ed ai bisogni dei più deboli.

Joshua Madalon

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UN AUGURIO – UN AUSPICIO PER IL 2018 e il 2019

UN AUGURIO – UN AUSPICIO PER IL 2018 e il 2019

Manca davvero poco alla fine del 2017 ed avverto l’esigenza personale di fare chiarezza rispetto a ciò che abbiamo ed a ciò che ci manca, che per me consistono in un medesimo obiettivo: attuare una Politica di Sinistra di Governo del nostro Paese.
Infatti abbiamo l’esigenza di costruire un soggetto forte che sia in grado di dare le giuste risposte al bisogno di giustizia sociale senza intaccare i diritti ma garantendo questi ultimi nel pieno rispetto dei doveri, delle regole e della legalità.
Negli ultimi tempi, dopo un periodo di conquiste sociali, le abbiamo progressivamente perdute mettendo seriamente a rischio la convivenza civile.
Per Sinistra di Governo intendo parlare di un tentativo di costruire un equilibrio tra chi ha fino ad ora partecipato (o assistito, appoggiandola, senza parteciparvi) alla costruzione di una forza politica moderata progressista e democratica e chi ha privilegiato una forma di testimonianza nuda e cruda, pura, dei fondamentali valori della Sinistra radicale, dogmatica, intransigente. La perpetuazione della separatezza tra chi ha uno sguardo critico ma moderato nelle forme e chi invece ha privilegiato una forma di perenne protesta e contestazione spesso sterile e tendente a forme improduttive dal punto di vista pragmatico non può che condurre ad una vittoria delle Destre e di quella pseudo-Sinistra che si è catalizzata intorno al Partito Democratico e ad una nuova sconfitta della Sinistra.
Le ultime vicende relative alla costituzione da una parte della lista “Liberi e Uguali” e dall’altra della formazione di un’altra variegata e multiforme struttura che prende il nome di “Potere al popolo” confermano i miei timori rispetto al prossimo futuro.
Gli insegnamenti si sprecano, non essendo in grado di cogliere gli aspetti positivi ed accantonare quelli che appaiono da una parte e dall’altra negativi. Non si perdonano ad esponenti di “Liberi e Uguali” l’aver fatto parte di un progetto fallimentari, manco fossero stati dei “neofascisti”, e l’aver sostenuto leggi contestate come Job’s Act, la Buona scuola e l’abolizione dell’art.18; non si perdona alla parte radicale l’intransigenza: nessuno dei due però fa un passo avanti e questo è deplorevole politicamente e civilmente.
Fra poche ore entreremo nel 2018. A inizio marzo avremo le elezioni politiche, che probabilmente ci forniranno utili indicazioni per il futuro. Nel 2019 voteremo a Prato. Mi permetto di sollecitare una riflessione che parta in anticipo su quello che sarebbe utile fare. Il mio impegno già dichiarato è a favore di un contenitore unico della Sinistra, che riesca ad aggregare le forze democratiche, progressiste ed innovatrici del territorio per costruire un Programma ampio di Governo della città dopo dieci anni di malgoverno prima del Centrodestra e poi del Centrosinistra.

Joshua Madalon

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ANNIVERSARI 2017-2018 – DANILO DOLCI, PIERO CALAMANDREI E LA COSTITUZIONE ITALIANA UNA ESEMPLARE DENUNCIA parte 1

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ANNIVERSARI 2017-2018 – DANILO DOLCI, PIERO CALAMANDREI E LA COSTITUZIONE ITALIANA
UNA ESEMPLARE DENUNCIA

Come preannunciato ieri, in ricordo della figura di Danilo Dolci a venti anni dalla sua morte e di Piero Calamandrei, uno dei più illustri tra i “padri costituenti”, a 70 anni dalla approvazione, promulgazione ed entrata in vigore della Costituzione italiana ho pensato di fare cosa gradita nel pubblicare l’arringa in difesa di Danilo Dolci pronunciata il 30 marzo del 1956 nel Tribunale penale di Palermo. Tale discorso è indirettamente una denuncia esemplare dell’incapacità del Governo di allora (ma molto poco è cambiato se non peggiorato in termine di rispetto dei valori fondanti della Carta) di applicare gli elementi fondamentali della Costituzione e di rispettare e far rispettare le regole della convivenza civile. Danilo Dolci era stato arrestato il 2 febbraio 1956 per aver promosso e capeggiato, insieme con alcuni suoi compagni, una manifestazione di protesta contro le autorità che non avevano provveduto a dar lavoro ai disoccupati della zona: la manifestazione era consistita nell’indurre un certo numero di questi disoccupati a iniziare lavori di sterramento e di assestamento in una vecchia strada comunale abbandonata, detta “trazzera vecchia”, nei pressi di Trappeto (provincia di Palermo), allo scopo di dimostrare che non mancavano né la volontà di lavorare né opere socialmente utili da intraprendere in beneficio della comunità. I principali capi di accusa riguardavano la violazione degli articoli 341 (oltraggio a pubblico ufficiale), 415 (istigazione a disobbedire alle leggi), 633 (invasione di terreni) del Codice penale.)
In quegli anni tra l’altro i pescatori di Trappeto si vedevano depauperati della possibilità di svolgere efficacemente il proprio lavoro a causa della presenza di grandi pescherecci collegati a potentati locali che portavano via dal mare antistante la maggior parte delle materie prime di cui legalmente avrebbero potuto usufruire le povere famiglie del posto.

Piero Calamandrei morì pochi mesi dopo aver difeso Danilo Dolci, il 27 settembre del 1956 a Firenze.

Joshua Madalon

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1.

Signori Giudici.
Questo processo avrebbe potuto concludersi, meglio che con la parola mia, con la parola di un
giovane. Le parole dei giovani sono parole di speranza, preannunziatrici dell’avvenire: e questo è un processo che preannuncia l’avvenire.
Avrebbe dovuto parlare prima l’imputato, Danilo Dolci che è un giovane; e dopo di lui, non per
difenderlo ma per ringraziarlo, il più giovane dei suoi difensori, l’avvocato Antonino Sorgi.

Se si fosse fatto così questo processo sarebbe finito da cinque giorni; e da cinque giorni Danilo Dolci e gli altri imputati, i cosiddetti “imputati”, sarebbero tornati a Partinico, invece di tornarvi, come vi torneranno, soltanto stasera, dopo l’assoluzione, a far Pasqua con le loro famiglie.
Ma forse, per la risonanza nazionale e sociale di questo processo, è stato meglio che sia avvenuto così: che abbiano parlato anche i vecchi e meno giovani; e non brevemente.
E così l’onore e la responsabilità di chiudere la discussione e di rivolgervi, signori giudici, l’ultima preghiera che vi accompagnerà in camera di consiglio, sono toccati a me; non solo per la mia età, ma forse anche perché io sono qui, unico tra i difensori, soltanto un avvocato civilista, cioè un avvocato che non ha esperienza professionale di processi penali.
Questo, infatti, non è un processo penale: o almeno non è quello che i profani si immaginano,
quando parlano di un processo penale.
Nel processo penale il pubblico concentra i suoi sguardi sul banco degli imputati, perché crede di vedere in quell’uomo, anche se innocente, il reo, l’autore del delitto: l’uomo che ha ripudiato la società, che è una minaccia per la convivenza sociale.
L’imputato è solo, inconfondibile, diverso agli occhi del pubblico da tutti gli altri uomini, isolato
dentro la sua gabbia e, anche quando la gabbia non c’è, isolato dentro la sua colpa.
Ma questo non è un processo penale: dov’è il reo, il delinquente, il criminale? Dov’è il delitto, in che consiste il delitto, chi lo ha commesso?
Angosciose domande: alle quali forse neanche il P.M., nella sua misurata requisitoria che abbiamo ammirato non tanto per quello che ha detto quanto per quello che ha lasciato intendere senza dirlo, saprebbe in cuor suo dare una tranquillante risposta.
Non a caso qui il banco degli imputati e quello dei difensori sono così vicini, fino a parere un banco solo. Dove sono gli imputati e dove i difensori? Qui, in realtà, o siamo tutti difensori o siamo tutti imputati.
In questa aula, da qualunque parte ci volgiamo, nei vari seggi di essa, non ci sono altri che uomini che si trovano qui, perché hanno voluto e vogliono prestare ossequio alla legge: osservarla, servirla.
La sigla è quasi si direbbe il vertice magico di questo processo è in quella formula laconica
intarsiata con caratteri antichi sulla cattedra ove siedono i giudici. Non è la solita frase che in altre aule si legge scritta sul muro al disopra delle teste di giudici, quella frase che suscita tante speranze ma anche tante perplessità: “La legge uguale per tutti”. No: il motto di questa aula è molto più laconico, misterioso e conciso come la risposta di un oracolo: “La legge”.
Questo è l’imperativo categorico che ci tiene tutti qui incatenati dallo stesso dovere, appassionati dalla stessa passione: “de legibus”.
Il Tribunale che siede è per definizione l’organo che, amministrando giustizia, fa osservare la
legge. Il P.M., che siede al lato del collegio giudicante, è il rappresentante della legge. Noi avvocati siamo qui, al nostro posto, per difendere la legge. Dietro a noi, a fianco degli imputati e sulle porte, i commissari e gli agenti di polizia sono gli esecutori della legge.
E poi ci sono questi imputati: imputati di che? Mah… di nient’altro che di aver voluto anch’essi
servire la legge: di aver voluto soffrire la fame e lavorare gratuitamente allo scopo di ricordare agli immemorì il dovere di servire la legge.


…fine prima parte….

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ANNIVERSARI 2017 – VERSO IL 2018

ANNIVERSARI 2017 – VERSO IL 2018

Dall’inizio di quest’anno abbiamo avviato un percorso intorno ai principali anniversari relativi a persone o a fatti della Storia; si è trattato di seguire le orme di don Lorenzo Milani, priore di Barbiana e del suo alto magistero pedagogico e morale che lo ha fatto accostare ad altre figure di cui quest’anno ricorreva l’anniversario dalla morte (don Lorenzo morì nel 1967 – il 26 di giugno – lasciando a tanti di noi molti messaggi che abbiamo tentato di raccogliere sin dalle albe del ’68; Antonio Gramsci era invece morto nel 1937 – il 27 aprile – e aveva accumulato migliaia di pagine nei suoi “Quaderni” che ancora oggi ci interrogano; Danilo Dolci scompare nel 1997 – il 30 dicembre – e con il suo esempio ci ha fornito un metodo che ricorda quello socratico) insieme ad eventi come la Rivoluzione d’Ottobre di cento anni fa.
C’era molto altro, a dire il vero, che non abbiamo seguito in modo diretto, non pretendendo di essere totalizzanti. E, poi, sono sincero, alcuni “miti” non mi appartengono e li considero distanti dalla mia complessione: mi riferisco a Che Guevara del quale distinguo tra gli “scritti” e le “azioni”. Sono complessivamente un pacifista e al Che preferisco il Danilo Dolci. Ed a chi non è d’accordo preferisco sottolineare che non è molto strano che un personaggio come il Che sia stato un mito per schieramenti del tutto contrapposti.
Danilo Dolci non potrebbe mai essere assunto come espressione di riferimento da parte di coloro che alle idee contrappongono le armi. Ne ho già scritto durante quest’anno e mi ero anche ripromesso di dedicare uno spazio più consistente – come è avvenuto per Gramsci e don Milani – ma non ce l’ho fatta. Tra le vicende che riguardano Danilo Dolci ve n’è una che ci consente di avvicinarci anche ad uno degli eventi di cui ricorre l’Anniversario “tondo”, qualcosa di fondamentale per la stragrande maggioranza degli italiani e cioè l’approvazione, la promulgazione e l’entrata in vigore (1° gennaio del 1948) della nostra Carta costituzionale.
Nel 1952 Danilo Dolci arriva in quella parte della Sicilia occidentale che ha conosciuto da bambino per la sua endemica povertà e per la presenza di una malavita diffusa e non combattuta dallo Stato che spesso ne appare complice. Le sue battaglie contro la mafia ed il sottosviluppo per il riconoscimento dei diritti, in primo luogo quello del lavoro, si caratterizzano per la forma di non violenza ritenuta del tutto assurda dagli stessi tutori dell’ordine, tanto che una delle motivazioni per contrastare il ricorso al “digiuno” fu quella di dire che “non è legale”.
Quando poi in un’altra occasione egli condurrà un centinaio di disoccupati per uno storico “sciopero alla rovescia” atto a riattivare un tratto di strada da tempo abbandonata perché dissestata.
Danilo Dolci in questa occasione viene arrestato, provocando reazioni in larga parte del mondo civile e sulla stampa. Al processo verrà difeso dal grande padre costituzionale Piero Calamandrei. La sua arringa è divenuta una pagina fondamentale per comprendere il vero senso, il vivo, che risiede nelle pagine della nostra Costituzione. Essa è allo stesso tempo un esempio di letteratura giuridica fondamentale.

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Domani ne pubblicherò alcune parti su questo Blog.

BUONE FESTE – Buon Anno 2018

da Joshua Madalon

2004-07 (lug)

MISERABILIA

MISERABILIA

Da un punto di vista umano, non da quello politico, preferirei che l’affermazione di Gentiloni che ieri mattina ho letto sui quotidiani sia una di quelle ventilate a proprio uso dall’area governativa come una “fake news”. Da “la Repubblica” giovedì 28 dicembre 2017 pagina 3 articolo di Goffredo De Marchis leggo e trascrivo l’incipit: “Gentiloni dice che lo ius soli, o meglio lo ius culturae”, è “un valore fondante della sinistra” e dunque è un “obbligo” per il Pd impegnarsi ad approvarlo nel nuovo Parlamento che sarà eletto il 4 marzo.”
Vi risparmio il resto contando che possiate recuperarlo se vi va smanettando sul web o recuperando la forma cartacea del giornale.
E basta per me quel che leggo per sottolineare uno dei più biechi miserabili marchingegni elettoralistici che non mi sarei mai aspettato da chi, come Gentiloni, al netto della devozione per chi lo ha lanciato al posto di Premier, ha una storia legata alla Sinistra, quella vera non quella trascritta con la “s” minuscola, che ha progressivamente tuttavia tradito. Intanto il Pd di cui parla non ha proprio niente da condividere con la Sinistra: non si illuda se è in buona fede e soprattutto non illuda elettrìci ed elettori che ancora credono alla esistenza di babbo Natale. Anzi, quel che è più grave è l’assioma che viene ventilato tra Pd e approvazione dello “ius soli” ad essere scarsamente credibile: laddove ciò fosse vero il Partito Democratico aveva il dovere di portare all’approvazione del parlamento quella proposta semmai concordandone alcuni aspetti con quella parte di forze politiche che aveva mostrato di condividerle.
Dire oggi, a poche ore dalla scadenza della legislatura che ci si impegnerà ad approvare quella proposta nel nuovo Parlamento dopo il 4 marzo è una delle “fake news” istituzionali che continua a caratterizzare questo Governo nelle forme di un paternalismo becero del quale davvero non abbiamo bisogno.
L’elettorato ha ovviamente nelle proprie mani il destino di quella legge. Perché affidarlo al Partito Democratico che ha avuto tantissimo tempo a disposizione per tentare una possibile mediazione e comunque metterla ai voti anche in assenza della certezza che potesse essere approvata. In ogni caso sarebbe stata infinitamente chiara la volontà dei parlamentari che si sarebbero potuti esprimere con il loro voto.
In un post precedente ho parlato di “coraggio” e di “responsabilità”: si è dato invece il via ad una vera e propria fuga e questo ha ingenerato ulteriore sfiducia nei confronti della Politica, dando ragione in fin dei conti a quelle frange populiste e demagogiche sempre più folte ed arroganti che cavalcano l’irrazionale paura delle differenze e delle Culture.
Non c’è più credibilità in chi, avendo potuto ha rinunciato ed oggi ci annuncia che – non essendoci più tempo – se ne riparlerà con certezza tra qualche mese.
Una soluzione sarebbe stata quella di un prolungamento della legislatura, ma a questo punto con il Presidente della Repubblica che – venendo meno a regole ben precise (la chiusura delle Camere sarebbe stata di regola nel prossimo febbraio) – ha però promesso che con l’arrivo delle feste Natalizie tutti sarebbero potuti tornare a casa con le prebende, i benefit ed i vitalizi intatti, appare inevitabile lo scioglimento delle Camere.
“Miserabilia” forse non esiste ma avete compreso tutti che è in netta contrapposizione con le cose mirabili e di valore (“Mirabilia”) che invece sono proprio mancate.

Joshua Madalon

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Una strenna natalizia di grande valore – a 170 anni dal “Manifesto del Partito Comunista”

Una strenna natalizia di grande valore – a 170 anni dal “Manifesto del Partito Comunista”

“Galeotta fu la curiosità che mai mi abbandona!” ed è stato così che rincorrendo la presentazione di un libro del quale ho già scritto, “La banda della culla”, agli inizi di questo mese, insieme all’autrice Francesca Fornario ho rivisto un’altra giovane scrittrice, Simona Baldanzi, della quale circa un anno fa avevo trattato in relazione ad un suo libro, “Mal di fiume”, che mi aveva attratto in modo particolare.
“Cortesia ma non solo mi aveva spinto” a chiederle semmai avesse pubblicato altro dopo di quello; mi aveva sorpreso “Sì, una piccola cosa per un libro collettivo sul “Manifesto del Partito Comunista”.
“Ordinato, cotto e mangiato” per la curiosità che mi sopravventa. Piccolo – 12 x 19 e 0,5 di spessore – 88 pagine più la copertina rosso fiammante il libro di cui mi parlava Simona è un originale pamphlet dedicato alla Carta Costituzionale Comunista dei protocompagni Carlo Marx e Friedrich Engels. Oltre alla celebre ouverture in doppia veste, quella originale in quella lingua che l’esperienza nazista ci ha reso ostica, e quella tradotta in italiano nel 1947 da Palmiro Togliatti, il libro si caratterizza già dal titolo per un’operazione nazional-popolare tipicamente toscana. Operazione davvero ben riuscita, quella di mettere l’intro del “Manifesto” in ottava rima.
“Nazional-popolare mi sia concesso spiegarne il perché” a compagni ed amici che non conoscono la Toscana e che non hanno avuto la fortuna di incontrare veri e propri autori della letteratura che si dice “popolare” perché risiede in quelle parti dei territori dove la “Cultura” con la “C” maiuscola si tramandava di generazione in generazione nelle esperienze delle “veglie” dove a volte ci si sfidava in senso alto nei “contrasti”. In quelle occasioni si metteva a disposizione della piccola comunità un bagaglio di conoscenze acquisite miracolosamente e vi era chi oltre ad inventare recitava a memoria la “Divina Commedia”, l’Orlando Furioso”, la “Gerusalemme Liberata”.
“Logli Altamante, Roberto Benigni, Franco Casaglieri, Carlo Monni, Ettore detto “il Grezzo”, Gabriele Ara” sono soltanto alcune delle punte di diamante della tradizione popolare dell’ottava rima, persone in carne, ossa e mente fervida che ho conosciuto in modo diretto nelle iniziative culturali che ho prodotto sia quando sono stato coordinatore regionale dell’UCCA sia nella mia esperienza amministrativa tra Comune e Circoscrizione Est di Prato.

Non conoscevo (o forse sì ma l’Alzheimer – ahimè – incombe) Pilade Cantini, autore della trasposizione in ottava rima della celebre introduzione “Uno spettro si aggira per l’Europa” e della composizione della squadra di illustri cooperatori, alcuni già menzionati ed involontari come Marx ed Engels e Togliatti, altri consapevoli come la nostra Simona Baldanzi così come il sommo esperto di narrazione e tradizione popolare Carlo Lapucci, lo storico Guido Carpi, i musicisti Federico Maria Sardelli e Max Collini, il docente di Politica comparata Mario Caciagli. L’unica del gruppo, l’unica donna, Simona Baldanzi la conosco da poco, come detto sopra, anche se da qualche anno ne seguivo le impronte.
Con tutta questa bella compagnia non poteva che sortire un composto di alto livello, variegato e variopinto arricchito da un disegno, opera del Sardelli, dedicato a Pilade Cantini che “canta il comunismo”. Lo stesso Cantini interviene con un’esegesi sul lavoro svolto per spiegare come mai il primo verso non poteva essere “Uno spettro si aggira per l’Europa”.

Sul brano di Simona, “Fame, freddo e fumo” tratterò in un nuovo post. E tratterò di un altro libro di Pilade Cantini dedicato al Monni, nel ricordare i quattro anni dalla sua scomparsa e i due esatti da quella del Casaglieri.

Il libro “Il Manifesto del Partito Comunista in ottava rima” di Pilade Cantini e autori vari è edito da Clichy – Firenze.

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Manifesto

Joshua Madalon

BUON COMPLEANNO COSTITUZIONE! a passi lenti ma decisi – 8 – LE DONNE COSTITUENTI parte 4

BUON COMPLEANNO COSTITUZIONE! a passi lenti ma decisi – 7 – LE DONNE COSTITUENTI parte 4

TERZO GRUPPO

Abbiamo presentato il 13 dicembre le prime cinque – in ordine alfabetico – delle 21 rappresentanti femminili nell’Assemblea Costituente – ed il 17 sempre di questo mese successive altre cinque; il 21 dicembre ne abbiamo aggiunte altrettante. Oggi, in occasione del 70° dalla promulgazione della Carta chiuderemo con le ultime sei figure femminili.

Come per le altre tre precedenti presentazioni introduco l’argomento in modo generico:

Avrei voluto intitolare questo post “Le “madri” costituenti” operando u n parallelo con quel generico “padri costituenti” con cui si indicano gli eletti (556) all’Assemblea costituente. Ma poi ho pensato che con quella dizione si operava un parallelo troppo marcato con il ventennio fascista allorquando la donna veniva ad essere considerata in modo esclusivo “madre esemplare”, animalescamente fattrice tout court. Nel percorso che ho voluto dedicare al settantesimo della nostra Carta costituzionale voglio oggi soffermare la mia attenzione sulle “donne”.
Il 2 giugno del 1946 fu una data importante anche per la partecipazione per la prima volta – con diritto di elettorato attivo e passivo – delle donne ad una elezione referendaria e politica. Si trattava di un evento eccezionale come quello della scelta tra Monarchia e Repubblica e la formazione dell’Assemblea costituente.
Le figure femminili elette furono 21 e, anche se rappresentavano solo il 4% dei deputati (556 il numero totale), la loro presenza fu fondamentale; esse avevano vissuto da protagoniste gli anni della Resistenza e della dittatura, molte di loro avevano pagato a caro prezzo il loro impegno politico che risultò essere decisivo per la liberazione del nostro Paese.
Diamo uno sguardo ai nomi di queste donne e tracciamone solo pochi – per brevità di un post – elementi identificativi così come reperiti dalla Rete.

Joshua Madalon

Casalinga. Durante la guerra presta servizio come infermiera volontaria nella Croce Rossa e guadagna la medaglia d’oro. Eletta all’Assemblea Costituente per la Democrazia Cristiana a 33 anni. Porto Viro, 12 novembre 2008.
Casalinga. Durante la guerra presta servizio come infermiera volontaria nella Croce Rossa e guadagna la medaglia d’oro. Eletta all’Assemblea Costituente per la Democrazia Cristiana a 33 anni. Porto Viro, 12 novembre 2008.

NICOTRA VERZOTTO Maria (DC) – Collegio di Catania
Nata a Catania nel 1913 e morta nel 2007 fu una dirigente dell’Azione cattolica, della Acli e parlamentare italiana nelle fila della Democrazia cristiana.
Originaria di una famiglia aristocratica siciliana durante la guerra ottenne la medaglia d’oro come volontaria della Croce Rossa.

Operaia. Fin da giovanissima partecipa alle lotte del Partito socialista (e poi comunista). Attiva nella Resistenza, più volte arrestata e internata in diversi campi di concentramento in Francia, Germania (Ravensbrück) e Cecoslovacchia. Eletta all’Assemblea Costituente per il Partito Comunista a 45 anni, membro della III Sottocommissione. Porto Viro, 12 novembre 2008.
Operaia. Fin da giovanissima partecipa alle lotte del Partito socialista (e poi comunista). Attiva nella Resistenza, più volte arrestata e internata in diversi campi di concentramento in Francia, Germania (Ravensbrück) e Cecoslovacchia. Eletta all’Assemblea Costituente per il Partito Comunista a 45 anni, membro della III Sottocommissione. Porto Viro, 12 novembre 2008.

NOCE LONGO Teresa (PCI) – Collegio di Parma – Componente Commissione dei 75 (Terza Sottocommissione)
Nata a Torino nel 1900 e morta nel 1980 fu una partigiana, politica e antifascista italiana.

Di origini nobili, giovanissima si dedica insieme al padre ad opere di assistenza ai bisognosi della sua terra. Ostacolata fin dagli esordi della sua carriera politica, lotta contro la mentalità del tempo (in Sicilia!) per rivendicare la parità dei diritti delle donne. Eletta all’Assemblea Costituente per il Fronte dell’Uomo Qualunque (unica donna) a 39 anni. Prima ed unica donna candidata alle elezioni del Capo provvisorio dello Stato (risultando terza). Porto Viro, 12 novembre 2008.
Di origini nobili, giovanissima si dedica insieme al padre ad opere di assistenza ai bisognosi della sua terra. Ostacolata fin dagli esordi della sua carriera politica, lotta contro la mentalità del tempo (in Sicilia!) per rivendicare la parità dei diritti delle donne. Eletta all’Assemblea Costituente per il Fronte dell’Uomo Qualunque (unica donna) a 39 anni. Prima ed unica donna candidata alle elezioni del Capo provvisorio dello Stato (risultando terza). Porto Viro, 12 novembre 2008.

PENNA BUSCEMI Ottavia (Fronte Liberale Democratico dell’Uomo Qualunque) – Collegio di Catania -Componente Commissione dei 75
Nata a Caltagirone nel 1907 e morta nel 1986 fu una nota antifascista italiana.

Diplomata. Sindacalista. Nata da famiglia antifascista e iscritta al PC, nel 1934 è costretta ad emigrare in Francia. Partecipa alla guerra civile spagnola e nel 1934, tornata in Francia, è arrestata e rinchiusa prima in carcere, poi in un campo di concentramento. Eletta all’Assemblea Costituente per il Partito Comunista a 37 anni. Porto Viro, 12 novembre 2008.
Diplomata. Sindacalista. Nata da famiglia antifascista e iscritta al PC, nel 1934 è costretta ad emigrare in Francia. Partecipa alla guerra civile spagnola e nel 1934, tornata in Francia, è arrestata e rinchiusa prima in carcere, poi in un campo di concentramento. Eletta all’Assemblea Costituente per il Partito Comunista a 37 anni. Porto Viro, 12 novembre 2008.

POLLASTRINI Elettra (PCI) – Collegio di Perugia
Nata a Rieti nel 1916 e morta nel 1990 fu una antifascista e politica italiana.

Laureata in Chimica. Chimico. Attiva nella lotta antifascista con il PC, è arrestata nel 1942 e mandata al confino, da cui rientra nel 1944 (entra nella redazione de l’Unità, allora giornale clandestino). Eletta all’Assemblea Costituente per il Partito Comunista a 39 anni. Porto Viro, 12 novembre 2008.
Laureata in Chimica. Chimico. Attiva nella lotta antifascista con il PC, è arrestata nel 1942 e mandata al confino, da cui rientra nel 1944 (entra nella redazione de l’Unità, allora giornale clandestino). Eletta all’Assemblea Costituente per il Partito Comunista a 39 anni. Porto Viro, 12 novembre 2008.

ROSSI Maria Maddalena (PCI) – Collegio di Verona – Componente Commissione trattati internazionali
Nata in provincia di Pavia nel 1906 e morta nel 1995, chimica e pubblicista fu una politica italiana nelle fila del Partito comunista italiano.

Maestra elementare. Attiva nelle ACLI, si occupa sia di formazione che di assistenza alle operaie. Eletta all’Assemblea Costituente per la Democrazia Cristiana a 47 anni. Porto Viro, 12 novembre 2008.
Maestra elementare. Attiva nelle ACLI, si occupa sia di formazione che di assistenza alle operaie. Eletta all’Assemblea Costituente per la Democrazia Cristiana a 47 anni. Porto Viro, 12 novembre 2008.

TITOMANLIO Vittoria (DC) – Collegio di Napoli
Nata a Barletta nel 1899 e morta nel 1988 è stata una insegnante e politica italiana della Democrazia cristiana.

Nei prossimi giorni ci occuperemo di altri aspetti relativi alla nostra Carta costituzionale-

Buone feste

Joshua Madalon

reloaded L’ipocrisia e la raccolta “porta a porta” nel Macrolotto Zero di Prato

Pubblico nuovamente questo articolo di un anno fa con una bozza di lettera su casi molto recenti: tra l’altro ALIA dopo aver annunciato che l'”umido” in San Paolo sarebbe stato ritirato in occasione del Natale non la mattina del 25 (lunedì) ma la mattina prima (domenica) non ha mantenuto la promessa e l’umido rimarrà fuori nei contenitori fino a venerdì mattina 29 dicembre

Vorrei esporre alcune considerazioni in merito al deposito dei rifiuti. L’Azienda ci ha dato indicazioni precise circa “l’esposizione” e non circa “il deposito”.
Questa mancata normativa fa sì che che esistano piccole “discariche” disseminate un po’ ovunque in spazi condominiali non sempre preventivamente adeguati a tale scopo e questo elemento non sfugge ad un osservatore attento.
Bidoni condominiali, maleodoranti e fonte di problemi igienico-sanitari, si sono parcellizzati e sono diventati ancora più insidiosi. Data la rilevanza del problema, un intervento normativo da parte delle Istituzioni preposte sarebbe necessario e apprezzato da quei cittadini che vogliono contribuire attivamente al decoro urbano. Trovo singolare che si possano depositare i rifiuti “in qualsiasi momento salvo diverso regolamento interno del Condominio stesso”.
Questa affermazione è in contrasto con il principio di raccolta ecologica dei rifiuti che non dovrebbero ammassarsi in modo sconsiderato perché cittadini anarchici applicano lo stesso principio di deposito che si utilizzava con i cassonetti.
Ringrazio per la cortesia espressa dai referenti alle segnalazioni dei disguidi, ai quali ho telefonato, ma poco si ottiene o nulla con “la buona volontà”.
I principi devono essere normati se si vuole argomentare in modo tale da essere credibili. Suggerirei di precisare che i rifiuti devono essere “depositati” la sera prima della raccolta come da calendario.
Le controversie, in una città a vocazione europea, non possono dirimersi con “regolamenti di condomini” che darebbero adito ad opposizioni giuridicamente valide, se non c’è un Regolamento Generale che le detti.
Faccio inoltre notare che tutti gli appartamenti condominiali appena fuori dal Centro storico sono dotati di terrazzi, terrazzini o verande in cui il cittadino, rispettoso anche di regole igienico-sanitarie può contenere per due-tre giorni i propri rifiuti senza scaricarli in modo inopportuno nei bidoni che sono, allo stato attuale delle cose, la moltiplicazione dei vecchi cassonetti.
Spero che il mio scritto possa essere un elemento di riflessione per le autorità competenti e per i funzionari responsabili o devo pensare che, in contrasto con quanto avviene altrove, si possa agire affidandosi al solo buonsenso.
In analogia, mi chiedo se sia sufficiente appellarsi al buonsenso del cittadino per vaccinare i figli in buono stato di salute. E’ una riflessione che meriterebbe attenzione in quanto le istituzioni sono intervenute per stabilire norme a salvaguardia della salute generale.
Di molto minore impatto e onere di impegno sarebbe una normativa del Comune in merito alla gestione del “deposito dei rifiuti”.

lettera firmata in “bozza”

reloaded L’ipocrisia e la raccolta “porta a porta” nel Macrolotto Zero di Prato

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Nei giorni scorsi si è diffusa qui a Prato una polemica innescata dall’annuncio che l’Amministrazione comunale non avrebbe consentito la realizzazione della “Festa delle luci” che la comunità cinese intendeva riproporre nel Macrolotto Zero (San Paolo – Via Filzi- via Pistoiese e dintorni) dopo il successo dell’edizione del 2016. Contemporaneamente a questo annuncio vi era stata la presa di posizione del Comitato di via Pistoiese – Macrolotto Zero che si opponeva alla manifestazione. E subito dopo l’annuncio del Comune che collegava il diniego alla Festa con la difficoltà a realizzare pienamente e correttamente la raccolta dei rifiuti “porta a porta” si era levata la protesta della Sinistra che considerava tale scelta come reazionaria e diseducativa. In risposta a quest’ultima si riscontrava il commento di un membro della Giunta comunale che la etichettava come “ipocrisia”.
Ed è su questo termine che, come evidenzia il titolo del post, mi voglio produrre oggi.
Se “ipocrisia” vi è, questa è espressa dall’ Amministrazione comunale! Le principali ragioni per non consentire la realizzazione della “Festa delle luci” risiedono nel fatto che questa è stata finanziata nel 2016 dalla Regione Toscana e che per il 2017 tale finanziamento non vi è stato. Il Comune dunque avrebbe dovuto subentrare alla Regione ma non lo ha potuto fare per mancanza di fondi e, ipocritamente, trova la giustificazione collegando il niet alla raccolta porta a porta. Il fatto stesso che poi tale atteggiamento puramente repressivo e scarsamente educativo abbia avuto la sponda da una organizzazione “destrorsa” come quella del Comitato di via Pistoiese che guarda ai processi di integrazione in modo prettamente unilaterale è significativo della posizione che l’attuale maggioranza di Governo della città, che vorrebbe presentarsi come Sinistra o centrosinistra, va proponendo. Più “IPOCRISIA” di così cosa vorreste?
I rapporti con la comunità cinese e di questa con quella autoctona (ma già composta da un sostanzioso “melting pot” interno ed esterno) sono contrassegnati da una profonda differenza di cultura e di tradizioni e non bastano certamente gli interventi pur apprezzabili che si svolgono in pochi luoghi centralizzati, come può essere il Circolo Curiel, nè si può pensare che tutto si risolva con interventi urbanistici velleitari che finiscono per coinvolgere solo la parte culturalmente più elevata della comunità cinese.
Per la corretta realizzazione dl porta a porta occorrerebbe il coinvolgimento di rappresentanti di condominio che si responsabilizzino nel ruolo educativo. A questi ovviamente ci si potrebbe riferire per un primo essenziale controllo. Sugli oli esausti ritengo sia molto importante avere più punti di raccolta nella zona del Macrolotto Zero: a tutta evidenza non bastano quelli del Circolo di via Cilea e quello di via Lorenzo da Prato. Allo stesso tempo occorre creare soprattutto nei primi tempi del “porta a porta” una task force che controlli a tappeto il territorio e fornisca indicazioni e suggerimenti atti anche a migliorare i rapporti tra la comunità straniera predominante e gli abitanti del quartiere.
Poiché uno degli ostacoli a tutto questo è la lingua, sarebbe bene prevedere mediatori culturali sempre presenti.
Poiché parlavo di “IPOCRISIA” mi piace sottolineare che purtroppo questa è una delle anime fondamentali della pratica politica, che ci avrebbe fatto piacere superare nel nostro impegno. Ma tant’è: ci siamo ritrovati in piena prima Repubblica, infarcita di menzogne indorate da ottimismo. Speriamo nel nuovo anno, ma le prospettive non sono rosee. BUON 2017!!!

…e buon 2018 sperando che qualcosa possa cambiare!

Joshua Madalon

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