NEBBIA CHE SCENDE NEBBIA CHE SALE Parte 8
Sul porto di Pozzuoli i genitori erano ad attendere la nave sin dalle sette di quella sera, ma solo quando cominciarono a calare le luci del giorno e ad accendersi quelle della notte riuscirono semplicemente a sapere che la nave si era fermata a causa della nebbia nel porto di Ventotene, in attesa che si alzasse, permettendo una navigazione più sicura.
La Capitaneria in verità non ne aveva notizie, anche se dalle coste ed in particolare dai pescatori più esperti era venuta questa idea, avendo rilevato, al ritorno di altri loro compagni che quel pomeriggio erano usciti, la massa anomala di nebbia. Nè tantomeno erano riusciti a contattare la nave, che – ma tacquero per non creare allarmismi – era completamente isolata. Ventotene tra l’altro a quel tempo non aveva una sede della Guardia costiera che invece si trovava a Ponza, dove però la nebbia non era arrivata.
I genitori non si tranquillizzarono anche perché non capivano il motivo del silenzio dei loro figli, pensando al fatto che, fossero scesi a terra, avrebbero comunque potuto telefonare alla Capitaneria e farsi sentire. Non sapevano, loro, ma i militari della Marina ben lo sapevano, che a Ventotene i passeggeri venivano fatti scendere dai vaporetti attraverso una “navetta” di barche e che dunque nella rada di quell’isola non avrebbero avuto l’opportunità di scendere a terra e sulla nave le condizioni per un contatto non c’erano. Il buio scese ed i genitori fecero il turno, mentre alcuni di loro ritornavano a casa e poi si scambiavano nell’attesa. Fu quella una serata lunga per loro ed anche per gli esercizi commerciali che mantennero aperti i loro servizi, compreso gettoni telefonici e panini vari.
Non era la stessa cosa sulla nave, anche perché non era attrezzata per la preparazione di consumi alimentari elaborati: le merendine erano peraltro finite ed allo stesso modo le bibite, di cui i giovani avevano fatto incetta. Non mancava l’acqua e nemmeno la possibilità di preparare un caffè. D’altronde era un’imbarcazione una parte del cui personale, la sera, ritornava alle proprie case, che non sempre però corrispondevano con le loro famiglie e solo pochi, compreso il cambusiere, si tratteneva a preparare quei due, tre pasti in uno spazio minimo, che non avrebbe potuto supplire alle necessità quella sera di maggio del 1973.
Il buio era sceso lentamente anche sul mare e la nave procedeva, inviando ad intervalli regolari ma ravvicinati i suoi segnali sonori. I motori non si sentivano come di solito accade; il loro sferragliare era comunque coperto dal vocio della comitiva. Ad un certo punto parve a noi di avvertire come un suono di campane, disordinato e confuso; ma non erano campane di campanili di chiese, piuttosto sembravano campanacci di campagna, quelli che si appendono solitamente al collo di buoi o di caprette. Ed insieme a quelle, sentimmo delle voci: in un primo momento pensammo fossero altre navi, ma poi: “State lontani, fermatevi! Siete al limite di una secca! Fate attenzione”. Le voci si accavallavano e si capì che venivano dall’alto. Il capitano diede l’ordine di fermare del tutto i motori; chiese il silenzio ed utilizzando un megafono domandò dove si fosse e di che entità fosse il rischio che si stava correndo.
– PARTE 8 continua….. –
Il racconto, pur riferendosi a fatti realmente avvenuti, li elabora narrativamente senza alcuna presunzione di verità. In modo particolare non presume di avere alcun valore storico e scientifico.