Verso il 25 settembre

Nel corso della vita, occorre saper leggere le vicende e trarne delle conseguenze: non nasciamo già con l’etichetta di Destra o di Sinistra e come esseri pensanti abbiamo anche la possibilità di rivedere “on the road” alcune nostre posizioni. La Natura ci dovrebbe aiutare a comprendere come sia logico tutto questo, in contrasto proprio con chi non riconosce la mutabilità come effetto di eventi che sovrastano le nostre limitate potenzialità individuali. Non trovo affatto disdicevole che un elettore “comune”, ovverossia colui che non ha interessi particolari sia di carattere economico o puramente etico modifichi nel corso degli anni la sua scelta. D’altra parte, per  esplicitare meglio quanto dico, generalmente donne e uomini impegnati direttamente in Politica non si preoccupano più di tanto di dover giustificare le loro scelte, quando – come è ampiamente accaduto di recente – passeggiano con nonchalance da una sigla all’altra e non di rado da uno schieramento all’altro.

IN RICORDO DEL “POETA” PIER PAOLO PASOLINI – parte 33 – atti di un Convegno del 2006 IN RICORDO DI PIER PAOLO PASOLINI per la parte 32 vedi 30 AGOSTO

IN RICORDO DEL “POETA” PIER PAOLO PASOLINI – parte 33 – atti di un Convegno del 2006 IN RICORDO DI PIER PAOLO PASOLINI per la parte 32 vedi 30 AGOSTO

Parte 33 – Parla voce non identificata:

<< Dunque, le cose sarebbero tante cerco di andare per suggestioni rapide. Allora comincio da quella che mi pare decisiva: Gadda. Sicuramente Gadda è un modello di scrittura per Pasolini e soprattutto per il primo Pasolini. L’espressionismo pasoliniano, parlo proprio di livello dello stile è una sorta di commistione tra Gadda e (parola non comprensibile) ed in particolare il gaddismo significa come dire sta dal lato della stratificazione dello stile. Per cui Pasolini che scrive sempre avendo l’idea che lo stile e la realtà a sua volta siano strati di senso e di forme, questa cosa gli viene sicuramente da Gadda.

Però segue un po’ meno il ragionamento quando si mette a confronto Petrolio o quale altro testo di Pasolini che sia con la commissione del (parola non comprensibile). Con la (parola non comprensibile) l’avrei capito, con il Pasticciaccio un po’ meno Perché lì parliamo di due copioni diversi. Cioè il Pasticciaccio è un’opera perfettamente compiuta, stilisticamente definita che non ha nessuna, come dire, zona d’ombra formale o stilistica e in cui va beh non è un giallo non si capisce chi è l’assassino. Ma stiamo parlando di una cosa diversa però, anche i romanzi, i gialli di Sciascia in teoria sono senza colpevole, ma qui parliamo di un tipo di compiutezza diversa. Poi è vero, certo, che anche Gadda in qualche modo si riconnetta ad una tradizione che banalmente potrei definire di ampio romanzo molto novecentesca, molto moderna e Pasolini la stessa cosa fa, però non parlerei di una affiliazione dell’idea, di opera aperta nel senso che dicevo prima da Pasolini a Gadda. Gadda agisce su altri versanti.

Quindi qui vado rapidamente provo a dire altre due cose. Carla Benedetti e Zigaina. Su Zigaina non mi convince affatto la tesi finale della morte di Pasolini come la spiega Zigaina e questo scritto che non mi convince rimando per forza di cose.

Su Carla Benedetti, sì è vero, è chiaro che ci sono suggestioni da Carla Benedetti, però attenzione io cerco di fare una cosa che lei sceglie

di non fare. Cioè per lei gli ultimi 15 anni di Pasolini sono anni in cui l’autore in qualche modo rinuncia completamente a quella che definivo prima una cifra manieristica per darci solo opere più (parola non comprensibile). No, secondo me non sta così. Pasolini fino in ultimo, anche nell’opera più recalcitrante ad essere opera che ci sia, ha una quota fortissima di manierismo Perché in qualche modo l’equilibrio miracoloso tra gestualità e manierismo anche nell’opera meno formalmente risolta di Pasolini rimane. Quindi, l’idea di una forma progetto come la chiama Carla Benedetti che sia sempre soltanto quello a me non convince. Pasolini è tanto manierista quanto autore gestuale. Quindi per il resto è vero che ci sono (parola non comprensibile) dai suoi libri, però con questa…Semmai, in fondo non ho fatto altro, che mettere a frutto le cose che da tempo Walter Sini sta dicendo.

Verso il 25 settembre: repetita iuvant con un post dello scorso 10 settembre – Il voto utile e la voglia di contarsi

Verso il 25 settembre – repetita iuvant con un post dello scorso 10 settembre Il voto utile e la voglia di contarsi

Domani 25 settembre 2022 – si vota – – sento il dovere di sollecitare al voto gli indecisi – quanto al mio voto esplicito una piena condivisione con quanto espresso dal prof. Tomaso Montanari e da tanti altri a favore del Movimento 5 Stelle

https://www.la7.it/otto-e-mezzo/video/elezioni-il-prof-tomaso-montanari-esibito-odio-per-i-poveri-allora-votero-per-22-09-2022-452839

Sarò breve. La richiesta pressante, angosciosa di un voto “utile” da parte principalmente del Partito Democratico è patetica. “Utile” per chi? Per cosa? Sarebbe stato bene che tali angosciosi dilemmi e tali preoccupazioni fossero state espresse nel corso di questi anni, soprattutto coinvolgendo quella parte della Sinistra – e non solo – praticamente esclusa dalla partecipazione in quanto considerata non funzionale alla “vita” politica degli apparati (a tutti i livelli). Infatti, a prescindere dal “merito” (c’è una parte di persone la cui preparazione politica ed amministrativa è indubbia) vi è la tendenza esclusiva e pretenziosa a mantenere le posizioni acquisite soprattutto nel sottobosco politico amministrativo. Ancor più in questa occasione non seguirò la “sirena” della paura né tuttavia mi convince il desiderio di contarsi nella gabbia dell’ultra Sinistra, quella dogmatica incapace di comprendere la complessità della vita umana e che ha bisogno di sventolare bandiere obsolete. C’è stata pure – a livello locale (Prato) – l’occasione di costruire un raccordo solido tra le diverse anime della Sinistra in occasione dell’appuntamento elettorale cittadino del 2019. Quel tentativo nobile e coraggioso ricercato da cittadine e cittadini interessati al “Bene Comune” (“Prato in Comune”) fu portato al fallimento proprio da chi voleva “contarsi”. Quel “lavoro” vorrei fosse ripreso con uno spirito costruttivo; ma rivediamoci dopo la vostra “conta” care e cari compagni, la “vostra”.

Verso il 25 settembre 2022 – Un mio post del marzo 2021 dopo l’elezione di Enrico Letta come segretario del PD a seguito delle dimissioni di Nicola Zingaretti

UNA DOMANDA DA PORSI (tra le tante, con urgenza)

UNA DOMANDA DA PORSI (tra le tante, con urgenza)

Agli inizi di questo mese, al termine di un percorso molto irto di ostacoli, il Segretario del Partito Democratico si è dimesso da quel ruolo. Lo ha fatto in modo inedito, inusuale nel mondo della Politica, lanciando un atto di accusa all’intero Partito. Ha detto: “Lo stillicidio non finisce. Mi vergogno che nel Pd, partito di cui sono segretario, da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie, quando in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid, c’è il problema del lavoro, degli investimenti e la necessità di ricostruire una speranza soprattutto per le nuove generazioni”.

Di fatto, che le cose nel Partito Democratico non funzionassero più di qualcuno se ne era accorto. Anche Zingaretti. ed è chiaro che, quando sei in un meccanismo che stenta a procedere inceppato da mille convenzioni e convenienze, hai milioni di difficoltà ad uscirne in modo elegante. Anche per questo motivo, non sarebbe stato comprensibile, ed accettabile, un passo indietro (sarebbe apparso come una resa per debolezza, e Zingaretti non può essere attaccato su quel versante): era necessario esprimersi con una formula di “attacco” agli stessi organigrammi e apparati da lui coordinati, quelle “correnti” litigiose ed ipocrite, molto più avvezze a mantenere le loro posizioni in equilibrio.

Il Segretario con la sua scelta non aveva alcuna intenzione di farsi pregare per ritornare in quella posizione ed ha contribuito forse proprio per questo motivo ad indicare la via di uscita, che possiede in gran parte anche il senso della figura che è stata chiamata a subentrare. In realtà il Partito Democratico stava vivendo una contraddizione strutturale sin dalla sua costituzione. Va ricordato che nelle prime consultazioni “primarie”, quelle costituenti di domenica 14 dicembre 2007, tra i candidati c’era anche il “nuovo” Segretario, Enrico Letta. Le “speranze e le aspettative” per un “cambio di passo metodologico” con le quali tanti avevano accolto questo nuovo Partito furono presto deluse (su questo Blog ne ho trattato e continuo a farlo pubblicando testi “storici” dell’esperienza personale locale). Il clou di questa tendenza, che portava sempre più lontano il Partito dalle masse più deboli e da quella parte che ne avrebbe voluto privilegiare le ragioni, è stato l’ingresso veemente di Renzi e di coloro che, oltre Matteo Renzi, anche loro fondamentalmente estranei a quegli obiettivi, lontani anni luce da essi, oltre che da una consistente parte già “interna” ne sollecitavano l’avvento per costruirsi fortune poco più che personali. E’ nato così il “renzismo” che non ha nulla da spartire con le idee “democratiche” (non necessariamente rivoluzionarie) che erano alla base dei programmi preparatori del nuovo Partito. Ho scritto – e detto – in più occasioni che per riaprire nuovi “cantieri” non vi è il bisogno di inventare nuove formule progettuali: basterebbe andare a ripescare ciò che si “scriveva e diceva” nella fase costituente.

Nella seconda parte mi porrò la “domanda” che è indubbiamente molto – ma davvero molto – retorica e la cui risposta è proprio per questo motivo unica. Senza questa “unicità” non c’è futuro, non c’è via d’uscita da questo “cul de sac” o “tunnel buio” nel quale ci siamo inoltrati.


C’è consapevolezza o un nuovo tatticismo deleterio?

L’Assemblea nazionale del Partito Democratico del 14 marzo 2021 ha espresso praticamente all’unanimità (860 favorevoli 2 contrari e 4 astenuti) l’assunzione alla carica di Segretario di quel Partito da parte di Enrico Letta, chiamato a gran voce a sostenere quel ruolo da più parti, dopo le irrevocabili scelte di Nicola Zingaretti. Non illuda l’unanimismo, se dietro di esso si nasconda l’urgenza di trovare una sorta di “re Travicello”, un semplice simulacro per tacitare gli animi veementi ed inclini all’indisciplina. Per quanto io sappia, Enrico Letta non sorreggerà tali inclinazioni. Pur tuttavia bisogna avviarsi a trovare una pur minima risposta a quella domanda che ho inserito nel sottotitolo.

Subito dopo il discorso “programmatico” del nuovo Segretario si è aperto il confronto intorno ai temi che egli ha proposto e che sono stati annunciati come un “vademecum” che da lì a poco avrebbe fatto pervenire ai Circoli. Il titolo è “CONSULTAZIONE” il sottotitolo “Progressisti nei contenuti, riformisti nei metodi, radicali nei comportamenti” e poi 21 punti estremamente sintetici su cui dibattere.

Uno dei rischi che si corre quando c’è un “nuovo” leader è che, intuito il cambiamento del “vento”, ci si lasci trasportare in quella direzione. E forti dubbi ci sono in tal senso ed in queste ore: il dibattito sta evidenziando una sfilza infinita di pentimenti. Sembrano, in tanti, forse troppi, riconoscere gli errori, la presunzione di autosufficienza, la sottovalutazione delle critiche “pragmatiche non ideologiche” e la scarsa capacità espressa nell’aprirsi alle contaminazioni.

La resipiscenza “a chiamata” indotta da eventi non governati non è un buon segno. Significa che non si è stati in grado di esprimere al tempo debito il proprio dissenso, moderato o radicale che fosse. Questo atteggiamento significa, per me, che sono un eretico, che si privilegiano le posizioni acquisite e si opzionano miglioramenti. Non è un buon segno quando ci si appresta a seguire una nuova scia, affermando di condividerla senza che sia stata precedentemente affermata in modo chiaro e deciso.

Questo è ovviamente uno degli elementi di riflessione su cui avviare la ricostruzione di “un partito più aperto, inclusivo e partecipato”, per far sì che vi siano più “volti” veri che “maschere”; che sia possibile andare alla formazione di un partito che come “modello democratico” sia “capace di sfruttare le grandi opportunità offerte dall’innovazione digitale”; che abbia come obiettivo primario “il rapporto con i territori” e possa essere identificabile come “partito della prossimità”; che proprio per questo sia in grado di attivare una “economia della condivisione” con “il rafforzamento dei corpi intermedi”; che sia in grado di produrre un moto virtuoso nella società rendendola sempre “più inclusiva”.

Tutto questo…e altro sarà possibile soprattutto se quella “resipiscenza” non sia in possesso di un valore occasionale e strumentale, come in quel mio sospetto. A tale proposito, aprirsi dovrà significare essere capaci di produrre attrazione, e per far questo bisognerà essere in grado di dover fare non solo come segno simbolico dei passi indietro per consentire a chi entra o rientra di poter avvertire sincero interesse, ma anche non limitarsi ad un semplice strumentale consenso paternalistico.

I CONTI NON TORNA(VA)NO extra

Ogni volta che pubblico parte della documentazione relativa alla vicenda che coinvolse gran parte della comunità pratese verso la fine dello scorso millennio, non posso non notare che sia davvero molto difficile esprimere posizioni oggettive; anzi, ad emergere sono riflessioni parziali a volte anche molto personali. Venne, anche in quell’occasione, a mancare la capacità politica di portare a sintesi una serie di valutazioni, tutte collegate a reali esigenze, in modo particolare espresse dal Liceo “Copernico” e dall’ITC “Paolo Dagomari”. Le amministrazioni di quel tempo sbagliando previsioni, evidentemente costruite in modo artato per condurre alle scelte precostituite, commisero madornali errori, dei quali non hanno mai voluto fare ammenda. Ci si fidò della dirigenza del Liceo, cui si chiese di non far crescere il numero delle iscrizioni e si vaticinò il decremento di iscritti al “Dagomari”. Con tali scenari il Liceo avrebbe avuto spazi sufficienti e l’Istituto Tecnico avrebbe potuto accontentarsi di spazi molto più ridotti rispetto a quelli che avrebbe dovuto cedere. Né l’una né l’altra previsione si verificò. Infatti negli anni successivi il “Copernico” continuò ad iscrivere studenti, rendendo progressivamente sempre più ridotti gli spazi didattici e il “Dagomari” contemporaneamente accrebbe la sua offerta formativa fino ad avere sempre più bisogno di altri spazi, che già in partenza non erano sufficienti.

Ovviamente, la responsabilità di tale situazione è stata soprattutto di coloro che gestivano la cosa pubblica alla fine del secolo scorso. Sarebbe stato molto più logico, come peraltro proposto dal sottoscritto, procedere ad una programmazione urbanistica ex novo, costruendo nuove strutture, non utilizzando quelle esistenti e non idonee per diversi e svariati motivi. Ci sarebbe voluto del tempo, ma occorre ricordare che le strutture dove era ospitato il “Copernico” erano state considerate sufficienti per più di un decennio, benché in attesa di soluzioni definitive. E – lo dico chiaramente – non avremmo avuto il disastro strutturale dei giorni nostri con scuole, come il “Livi”, gli stessi “Copernico” e “Dagomari”, che non hanno spazi sufficienti nelle loro sedi ufficiali.

Ecco perché i conti non tornavano e non tornano!

I CONTI NON TORNA(VA)NO – parte 36 – (per la parte 35 vedi 8 giugno) con una nuova “intro” e un nuovo annuncio

Leggere commenti alla parte 35 – Segue documento inviato “à tout le monde” dagli “studenti del Liceo Copernico” datato 21.12.1998

COPERNICO STUDENTI

Dall’assemblea dei rappresentanti del Liceo Copernico, che si è riunita per discutere del cambiamento di sede, è emersa la necessità che l’istituto mantenga la sua unità per i seguenti motivi:

  • Riteniamo che in questi trent’anni di vita, nonostante le pessime condizioni dell’edificio, l’istituto abbia sempre dimostrato di essere una scuola oltreché molto efficiente, anche viva, creativa e all’avanguardia (basti pensare al numero di scambi culturali con l’estero e alla nostra sperimentazione linguistica, poi imitata da tante altre scuole di Prato) mettendo a disposizione degli alunni un gran numero di servizi ed anche un’ottima preparazione che non sarebbe più possibile nel caso in cui il Liceo venisse smembrato.
  • In caso del dislocamento su due o più sedi dell’Istituto, un considerevole gruppo di docenti andrebbe incontro a notevoli difficoltà nel gestire cattedre separate, anche se la divisione avvenisse tra scientifico e linguistico, che comunque è una maxi sperimentazione e non un liceo a sé, visto che alcuni insegnano in entrambi gli indirizzi. Ciò comporterebbe seri disagi agli studenti, costretti a cambiare professori.
  • Un’eventuale scissione implicherebbe anche difficoltà nel gestire l’uso dei laboratori, indispensabili per lo svolgimento del programma in alcune materie, i quali sarebbero divisi sui due plessi.
  • L’accorpamento di parte dell’Istituto ad un’altra scuola comporterebbe la perdita dell’identità e del prestigio conseguito nel corso degli anni dal Liceo. E’ da considerare, inoltre, che se il divario numerico fra la nostra popolazione studentesca e le altre è così netto, vi è evidentemente una ragione. Un così alto numero di famiglie di Prato e dintorni preferisce la nostra scuola e la soluzione dell’accorpamento annullerebbe il loro diritto alla libera scelta.

Concludiamo chiedendo che ci sia concessa una sede unica, adeguata ed efficiente che possa ospitare l’intero Istituto, dal momento che tale sede esiste e non è completamente utilizzata non vediamo la necessità di dividere il Liceo. Ricordiamo che i contenitori scolastici – cioè gli edifici – non appartengono agli istituti, ma alla comunità e la Provincia deve gestirli nell’interesse collettivo. Vi invitiamo, pertanto, a prendere una decisione equa tenendo conto delle reali necessità di tutte le parti in causa.

Gli studenti del Liceo Copernico

Nel prossimo blocco esplicherò nuovamente il “senso” della pubblicazione di questi “documenti” oggi quasi ad un quarto di secolo dopo che essi furono prodotti.

La scacchiera e “la vigna di Renzo”

Sarà stata la fretta, ma – come ho già scritto – la caduta del Governo è stata ben accolta da tutti i protagonisti della scena politica, e certamente questa grande difficoltà del Centro Sinistra a trovare unità non può essere giustificata, a meno che…dietro tutto questo “sfascio” non vi sia una vera e propria strategia. Mi affido alla Fantapolitica, immaginandomi un quadro di “responsabilità” che fino a questo momento è pura utopia. Di fronte alla impossibilità di mettere in piedi un Governo con una maggioranza di parte, netta, del CentroDestra, il cosiddetto “campo largo” si ricompatti.

Per ora, siamo di fronte ad un vero e proprio guazzabuglio inestricabile che a me ricorda “la vigna di Renzo” (XXXIII capitolo de “I Promessi sposi”):

Viti, gelsi, frutti d’ogni sorte, tutto era stato strappato alla peggio, o tagliato al piede. Si vedevano però ancora i vestigi dell’antica coltura: giovani tralci, in righe spezzate, ma che pure segnavano la traccia de’ filari desolati; qua e là, rimessiticci o getti di gelsi, di fichi, di peschi, di ciliegi, di susini; gramigne, di farinelli, d’avene selvatiche, d’amaranti verdi, di radicchielle, d’acetoselle, di panicastrelle ma anche questo si vedeva sparso, soffogato, in mezzo a una nuova, varia e fitta generazione, nata e cresciuta senza l’aiuto della man dell’uomo. Era una marmaglia d’ortiche, di felci, di logli, di e d’altrettali piante; di quelle, voglio dire, di cui il contadino d’ogni paese ha fatto una gran classe a modo suo, denominandole erbacce, o qualcosa di simile. Era un guazzabuglio di steli che facevano a soverchiarsi l’uno con l’altro nell’aria, o a passarsi avanti, strisciando sul terreno, a rubarsi insomma il posto per ogni verso; una confusione di foglie, di frutti, di cento colori, di cento forme, di cento grandezze: spighette, pannocchiette, ciocche, mazzetti, capolini bianchi, rossi, gialli, azzurri. Tra questa marmaglia di piante ce n’era alcune di più rilevate e vistose, non però migliori, almeno la più parte: l’uva turca, più alta di tutte, co’ suoi rami allargati, rosseggianti, co’ suoi pomposi foglioni verdecupi, alcuni già orlati di porpora, co’ suoi grappoli ripiegati, guarniti di bacche paonazze al basso, più su di porporine, poi di verdi, e in cima di fiorellini biancastri; il tasso barbasso, con le sue gran foglie lanose a terra, e lo stelo diritto all’aria, e le lunghe spighe sparse sparse e come stellate di vivi fiori gialli: cardi, ispidi ne’ rami, nelle foglie, ne’ calici, donde uscivano ciuffetti di fiori bianchi e porporini, ovvero si staccavano, portati via dal vento, pennacchioli argentei e leggieri. Qui una quantità di vilucchioni arrampicati e avvoltati a’ nuovi rampolli d’un gelso, gli avevan tutti ricoperti delle loro foglie ciondoloni, e spenzolavano dalla cima di quelli le lor campanelle candide e molli; là una zucca selvatica, co’ suoi chicchi vermigli, s’era avvitacchiata ai nuovi tralci d’una vite; la quale, cercato invano un più saldo sostegno, aveva attaccati a vicenda i suoi viticci a quella; e, mescolando i loro deboli steli e le loro foglie poco diverse, si tiravano giù, pure a vicenda, come accade spesso ai deboli che si prendono l’uno con l’altro per appoggio. Il rovo era per tutto; andava da una pianta all’altra, saliva, scendeva, ripiegava i rami o gli stendeva, secondo gli riuscisse; e, attraversato davanti al limitare stesso, pareva che fosse lì per contrastare il passo, anche al padrone.

parte 11 – POESIA SOSTANTIVO FEMMINILE – un recupero dei testi di presentazione, introduzioni e Saluti; e questa è la “Presentazione” della VI edizione, del 2006) (per la parte 10 vedi 26 agosto)

“Siamo arrivati alla sesta Edizione di “Poesia sostantivo femminile”, idea nata nel 2001 a cavallo fra i due secoli e dovuta fondamentalmente al diffuso bisogno di esprimersi che da tanta parte ci veniva sollecitato di fronte alle innumerevoli incognite che percorrono proprio i periodi intermedi. L’iniziativa è cresciuta e le collaborazioni con gruppi diversi, con associazioni varie, con singoli, con scuole non solo del territorio hanno permesso di far diventare questo un appuntamento importante nell’arco della programmazione annuale, non solo nella nostra Circoscrizione, ma anche in tutta la città, nella Provincia, che ci concede, crediamo anche per questo, molto volentieri il Patrocinio, nella Regione attraverso quello che è il consueto tam-tam dei poeti, che travalicano tutti i confini con la loro parola. Questa iniziativa dunque è stata subito un successo e continua ad esserlo, tanto che siamo tentati anche di farla diventare qualcosa di più rilevante. Tuttavia la semplicità con la quale viene costruita e proprio la caratteristica dell’essere un “premio – non premio” ne hanno fatto la fortuna.

Bisogna ancora una volta ringraziare le donne che negli ultimi decenni hanno superato molte delle difficoltà che le condizionavano anche espressivamente: sempre più donne scrivono, sempre più donne coltivano la poesia, accettando confronti e scavalcando tutti i pregiudizi che tarpavano le loro ali. E la poesia è libertà, è la voglia prorompente di affermare i propri sogni, le aspirazioni, di esorcizzare le paure, le angosce esistenziali, tutto quello che altri preferiscono mantenere dentro, comprimendolo e inaridendosi. Coltivare la poesia, sia per le donne sia per gli uomini, significa saper sapientemente innaffiare questa tenera pianticella e farla crescere lentamente dentro di sé fin quando non arriva il momento di metterla a disposizione degli altri, del mondo. Un mondo che se fosse senza poesia sarebbe un deserto invivibile. Questa iniziativa “Poesia sostantivo femminile” è ormai un appuntamento consolidato nel settore della Cultura in questa Circoscrizione, in questa città, in questa Provincia.

La Cultura è davvero poi uno dei punti di riferimento più forti ed importanti del lavoro, quello lento, regolare, metodico che sul territorio viene svolto da una piccola Istituzione come la nostra. Il Decentramento ha curato questa funzione, ponendo a disposizione donne ed uomini sensibili e risorse scarse ma sufficienti a realizzare momenti così rilevanti e così coinvolgenti. Chi opera in questa città sul piano amministrativo e politico guardi con maggiore attenzione a questo patrimonio così ricco che rischia per scarsa attenzione ed un tantino di insipienza di essere disperso. E’ inevitabile che, allorquando qualcuno opera per pura passione e si adopera per il bene comune, contento di raccogliere le soddisfazioni che solo la Cultura può rendere, la sua felicità finisca per essere oggetto di invidie. Credo che sia indispensabile rivedere le strategie culturali in questa città non come elemento di appartenenza ad un settore specifico, ma come linea di riferimento globale. Anche le ultime vicende che hanno caratterizzato in modo diverso il nostro mondo sotto il segno dell’intolleranza religiosa hanno un punto di riferimento certo nel progressivo deterioramento del livello culturale generale e nell’incapacità di comprendere l’importanza della Cultura come asse portante della Politica, sempre più caratterizzata da un pragmatismo vuoto di ideali e di contenuto. Occorre porre rimedio a questa carenza, ascoltando di più anche le voci della poesia.

Prato 8 marzo 2006

Giuseppe Maddaluno

(Presidente Commissione Cultura Circoscrizione Prato Est)

LE STORIE altre (il Circolo San Paolo di via Cilea) 2009 seguenti – dopo una breve introduzione parte 6 (per la parte 5 vedi 26 agosto)

Riprendo a trattare temi di memoria storica locale. Con documenti “originali” dai quali questa volta non espungo alcun nome (fanno parte della Storia) proprio perché si spesero per costruire punti di aggregazione e di partecipazione intorno al Partito Democratico in quel di Prato San Paolo poco più di dieci anni orsono – Questa documentazione attesta la grande difficoltà con la quale si è costruito un progetto “democratico” aperto, che non poteva essere ben accolto in una forza politica ancora tributaria di vecchi ed obsoleti schematismi.

DOCUMENTO URGENTE SULLA PROPOSTA DI APERTURA DEL CIRCOLO PD A SAN PAOLO

Intendiamo fare il punto della situazione in relazione alla richiesta di riaprire nella sede del circolo Arci di San Paolo in via Cilea un Circolo del Partito Democratico nuovo, così come espresso nei precedenti documenti.

Già da circa un anno alcuni iscritti ed alcuni simpatizzanti hanno rivolto in modo corretto la richiesta al Segretario Provinciale (Bruno Ferranti) al Coordinatore del Circolo Borgonuovo-san Paolo (Fabio Razzi) ed al coordinatore Circ.le Ovest del PD (Fabio Colzi). Una discussione, presenti i suddetti al Comitato Direttivo di Borgonuovo-San Paolo appositamente convocato, è avvenuta prima delle Primarie per le Elezioni Regionali dello scorso anno.

Gentilissima Coordinatrice, tu conosci le nostre intenzioni e conosci anche le motivazioni che ci spingono. Fra i molti simpatizzanti che si sono avvicinati all’idea di aprire un Circolo nuovo sta sopravvenendo una certa disillusione.

Entriamo però nel vivo:

Mercoledì scorso vi è stato il primo incontro del Comitato Direttivo del circolo Borgonuovo-San Paolo nel quale alcuni di noi sono presenti (l’altra sera eravamo anche in maggioranza come san paolini) ed il Coordinatore Matteo Nesi ha proposto di parlare della nostra richiesta in uno dei prossimi incontri, anche perché nel Congresso avevamo presentato un documento ad hoc. Nel dibattito si sono avuti interventi tuttavia che lasciavano presupporre l’ipotesi di procrastinare alle “calende greche” questa decisione, chiedendo riflessioni, approfondimenti, condivisioni etc… Ho fatto presente che è per noi urgente a questo punto affrontare la materia e decidere.

Il giorno dopo abbiamo anche riflettuto e facciamo una proposta su cui vogliamo il tuo parere:

penseremmo di chiedere che dal 1 gennaio 2011 il Circolo San Paolo faccia il “suo” tesseramento, pur rimanendo in piedi (onde evitare difficoltà al Partito) il coordinamento unico (arricchito da qualche altro nostro rappresentante – ad esempio Marzio Gruni che è anima del progetto non è presente nel Coordinamento attuale)  e  gruppi di lavoro comuni; inoltre tutte le iniziative dovrebbero essere concordate, quanto alle date, fra i due Coordinatore di Borgonuovo e quello temporaneamente espresso di San Paolo.  Il Congresso – eventualmente davanti ad un nostro auspicabile successo di adesioni nuove in cui fortemente crediamo  – dovrebbe svolgersi a fine 2011 – inizio 2012.

Chiediamo di essere resi autonomi rapidamente, anche perché vi potrebbero essere presto delle urgenze e vorremmo evitare di incorrere in emergenze varie che procrastinino ulteriormente questa scelta.

Ti chiediamo gentilmente di convocare il Coordinatore Nesi e fare sì che si svolga al più presto prima della fine di quest’anno il Comitato direttivo che si occupi in modo specifico e definitivo di questo argomento.

Grazie.

Marzio e Giuseppe

IL CORAGGIO CHE NON C’E’ – il commento di Luigi XXXX e le mie riflessioni

Un amico commenta il mio post del 27 agosto, nel Blog dove metto a disposizione tutto me stesso per evidenziare il profondo imbarazzo che da alcuni anni mi coglie quando devo scegliere (a proposito, quello slogan “lettiano” così netto non ha in me un impatto positivo; non è un dolce invito, è quasi un’imposizione, un comando imperioso, forse “disperato”).  Ancora una volta di una cosa sono certo: “non voterò per il Partito Democratico”. Ho davvero difficoltà ad esprimermi in modo netto e non per tattica su quella che sarà il mio “voto” il 25 settembre; ad oggi potrei essere anche tentato di non partecipare o astenermi nel momento della “scelta”. Ciò a causa dell’inadeguatezza dell’offerta “politica” molto più al di sotto di quelle precedenti, che lasciavano intravedere “speranze”. E non mi fa “paura” la Destra: chi continua a sventolare quel “bau bau” offende – forse consapevolmente – l’intelligenza degli stessi “potenziali” elettori cui intende rivolgere la sua offerta. E quel Centro sinistra (C maiuscola e s minuscola a decretare le reali misure) è intriso di “ipocrisie” anche quando finge di essere contrario al “presidenzialismo” ma inneggia al “metodo Draghi” che rappresenta un anticipo di “presidenzialismo” finanziario e non solo, di cui non abbiamo bisogno. Per quanto riguarda la Destra o il CentroDestra, cui afferisce anche parte del Centro indistinto, per capirci la Ditta Calenda & Renzi, propone soluzioni demagogiche per noi inapplicabili, a meno che non si voglia preparare una vera e propria catastrofe sociale, umana. Sono degli “irresponsabili”.

Riporto il commento con un preambolo breve: Caro Luigi, concordo anche io su quel che scrivi e proseguirò a riflettere su quel che è accaduto e ciò che accade. E mi batterò per riunire le parti Sinistre che siano disponibili al dialogo. Non c’è altra strada!

Sei stato chiarissimo e condivido tutto, ma non è solo questione di coraggio e di senso di responsabilità, ma anche e soprattutto di mancanza di un’identità. Un partito in cui le varie correnti pensano solo al loro orticello non la si può ricostruire. Si dovrebbe ripartire dal recupero della natura popolare del PCI e DC, per amalgamarla con lo spirito che animò per qualche tempo l’Ulivo e proiettare il tutto nella realtà di oggi. La vedo difficile, quasi impossibile, a maggior ragione quando sento evocare i fantasmi del fascismo e la battaglia contro le destre. Se il programma è questo, hanno poco da sperare quanti non potranno pagare le bollette del gas e dell’energia elettrica, quanti troveranno le fabbriche chiuse perché non possono affrontare i costi, quanti non potranno curarsi perché la scelta è tra il pasto o il farmaco, quanti investimenti verranno a mancare in l’Italia se invece di far calare il peso fiscale, si parla di patrimoniale e di tasse sulle successioni. L’Italia è ormai una mucca senza latte o come si dice dalle mie parti, a cui sei sempre legato, in Italia “è morta zia pagnotta”. Ora il Re è nudo e non lo vedono nudo solo i bambini. P.S.: Un abbraccione.