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VENERDI’ 27 ORE 21.00 – CIRCOLO ARCI SAN PAOLO – VIA CILEA A PRATO – IL DOMINO LETTERARIO primo incontro con MANUELE MARIGOLLI, autore di “FRA L’ARNO E LA STRADA” – LA TANATOFOBIA uno dei temi sviluppati dall’autore

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VENERDI’ 27 ORE 21.00 – CIRCOLO ARCI SAN PAOLO – VIA CILEA A PRATO – IL DOMINO LETTERARIO primo incontro con MANUELE MARIGOLLI, autore di “FRA L’ARNO E LA STRADA” – LA TANATOFOBIA uno dei temi sviluppati dall’autore

Nella prima parte del commento che ieri ho pubblicato parlavo di “una sorta di flusso di coscienza”; “una sorta”, perché non si tratta di sequenze di termini “apparentemente” alla rinfusa ma di blocchi interi di memoria in un insieme di ricordi appiattiti dal tempo, il quale viene segnato esclusivamente dagli eventi “storici” sia quelli che Libero non ha vissuto direttamente ma li ha conosciuti come se fossero suoi dalle narrazioni dei suoi nonni e degli zii, sia quelli che riguardano la Vita di Libero e che rappresentano la sua crescita civile. Nello scrivere “Fra l’Arno e la strada” Manuele Marigolli ha voluto- e questo identifica questo romanzo come “opera prima” di ottimo livello – fare i conti con la storia della sua gente, recuperandone sprazzi di esistenza quotidiana partendo dagli anni più crudi della barbarie fascista e dell’insensatezza della guerra portandosi fino ai giorni nostri. La scrittura di “Fra l’Arno e la strada” funziona per Manuele anche come antidoto nei confronti di un tema terribile che condiziona l’esistenza degli umani: la tanatofobia, la paura della morte; nel libro troviamo questa ricerca frequente di esorcizzare tale timore, sin dalle primissime pagine

“L’angoscia era originata dalla convinzione che solo la morte avrebbe cancellato lo stato di felicità. La coscienza dello stato di grazia ritrovato (n.d.r. l’amore per Teresa, la compagna di tutta una vita) sarebbe finito in “una fossa di nebbia appena fonda” gli risvegliò l’antico terrore. L’esaltazione dell’amore gli faceva credere che solo la morte avrebbe potuto impedire a quel sentimento di essere eterno. La certezza che di quell’emozione non sarebbe rimasto assolutamente nulla, persa in un lago di niente, risvegliò la paura che lo aveva accompagnato per tutta l’infanzia e l’adolescenza.”

E via via così fino alla fine del romanzo, attraverso la morte dei suoi cari anziani, i nonni prima e poi i genitori, “vissute come un fatto che andava nell’ordine naturale delle cose…elaborate triturando il dolore nel fondo del suo animo, non rispondendo con la rimozione ma con il ricordo”, sino alla morte considerata ingiusta “un non senso, un fatto contro natura, un fiume che torna indietro dal mare”, quella della cara Teresa, colpita da un male non curabile che la spense in meno di un mese.

…continua….

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IL DOMINO LETTERARIO – primo incontro – MANUELE MARIGOLLI e “Fra l’Arno e la strada” – VENERDI’ 27 MARZO ORE 21.00 al Circolo ARCI San Paolo di via Cilea a PRATO – prima parte del commento

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IL DOMINO LETTERARIO – primo incontro – MANUELE MARIGOLLI e “Fra l’Arno e la strada” – VENERDI’ 27 MARZO ORE 21.00 al Circolo ARCI San Paolo di via Cilea a PRATO

Libero “era cresciuto fra l’Arno e la strada, lì aveva imparato a valutare avversari e pericoli, ad adottare comportamenti e strategie conseguenti, pesare le forze in campo. Capire anche quando era il caso di voltarsi e andare, prima che l’andare fosse una fuga. Mantenere intatto il proprio prestigio, perché sarebbe stato utile una prossima volta….Non era e non diventò mai un competitivo, ma se era costretto a competere allora voleva essere quello che rimaneva in piedi. Vincere e giocar bene è privilegio di pochi, il destino dei campioni. Libero campione non lo era.”

“Fra l’Arno e la strada” di Manuele Marigolli è un romanzo nel vero senso del termine con una struttura moderna, dove la “memoria” viene di continuo interrotta da una sorta di “flusso di coscienza” che implica frequenti “flash-back”; è un “romanzo di formazione” che segue la crescita e la maturazione del protagonista, Libero, per l’appunto come descritto sopra dall’autore “uomo libero”; è un romanzo dall’andamento classicheggiante in molte delle sue parti dove si respira una poetica elegiaca nel recupero di raffinati spazi nascosti dalla quotidianità che tutto tende ad obnubilare e che attraverso sprazzi preziosi emergono grazie alla sorprendente capacità stilistica dell’autore, che sin dalle prime pagine si rivela accanto a riflessioni esistenziali eterne: “Vola. Vola con le ali del sogno oltre i monti e le colline. Vola sui boschi di querce e di castagni. Sale fino ai faggi e agli alberi dei crinali. Scende per valli e fiumi, e vola. Vola fino al primo ricordo che la sua mente sappia rievocare”. Ce n’est qu’un début….” direbbero i sessantottini. Ed è così, non è che l’inizio: siamo soltanto a pag.25 (la 15° del romanzo).

…continua…

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reloaded da “POLITICSBLOG” 1 maggio 2014 – “I TEMPI ERANO OSCURI PERCHÉ LORO HANNO TACIUTO”

I TEMPI ERANO OSCURI PERCHÉ LORO HANNO TACIUTO
Posted on 1 maggio 2014
Giuseppe Maddaluno“I tempi erano oscuri perché loro hanno taciuto” (G.E.)

Tutto fu molto rapido. Avevamo subìto scacchi difficilmente sopportabili per chi non fosse da tempo avvezzo alla pratica politica (la vittoriasconfitta di febbraio 2013, la carica dei 101, il nuovo Governo con la Destra): eravamo sbeffeggiati ed umiliati da gente che non sempre avevamo stimato ma che incontravamo abitualmente nei nostri luoghi. Eravamo partiti da meno di un anno con documenti chiari e progetti innovativi all’interno dei quali la critica non era connotata nè da ipocrisia nè da piaggeria; il nostro Circolo si presentava non per le cose da fare ma per quelle che aveva già praticate e intendeva continuare a farle.

In tali contesti la lettura della “Memoria politica” che Fabrizio Barca aveva stilato nell’aprile 2013 a conclusione della sua breve esperienza di Governo e ad inizio della sua (ri)militanza politica ha costituito per noi un invito a riprendere il cammino ed un rinnovo delle “passioni” temporaneamente sopite.

Fu, da quel momento, tutto molto rapido. Contattammo il Circolo PD di via dei Giubbonari a Roma dove Fabrizio si era iscritto ed, attraverso la Giulia, riuscimmo ad avere con immediatezza il contatto di Silvia. Dal 30 aprile al 1° Maggio fissammo la data del 5, appena quattro giorni dopo, per quella che sarebbe stata la prima delle tappe “extra moenia romanae” del “Viaggio in Italia”, che abbiamo poi seguito con attenzione e speranze, passioni ideali e pratiche reali.

Abbiamo da sempre sostenuto che il Rinnovamento dovesse avere un profondo radicamento nella Cultura e nella Conoscenza, costruito mattone su mattone attraverso un lavoro costante e quotidiano basato su una profonda coerenza fra idea e prassi; in poche parole proprio quello che Fabrizio Barca chiama “sperimentalismo democratico”. E la stessa idea che l’azione politica debba muoversi dalle periferie, dai Circoli, dall’Associazionismo diffuso (come lo è dalle nostre parti) per andare verso i “centri” e non viceversa, ci convinceva e ci stimolava ad andare avanti, a fare di più, molto di più.

E, dunque, con lo strumento de “La Palestra delle Idee”, che richiamava in sé il “Partito palestra” di confronto di idee apertissimo ai contatti, ai rapporti che arricchiscono le “sintesi” provvisorie e finali, abbiamo lavorato su alcuni temi che coinvolgono il nostro territorio di appartenenza, un’area ad Ovest del Centro storico di Prato fra le due arterie parallele (Via Filzi e via Pistoiese) della cosiddetta “Chinatown”, la Declassata Firenze Prato Pistoia e la Tangenziale Sud-Nord: il Quartiere di San Paolo.

Abbiamo iniziato ad affrontare tematiche come l’Educazione Multiculturale, lo Sviluppo e la Cura del Territorio, le condizioni socio-ambientali, le questioni della Famiglia, l’esigenza di operare su Sviluppo, Cultura e Conoscenza, le problematiche della Partecipazione e del Decentramento, avendo tuttavia una profonda difficoltà di confronto proprio nel Partito cui apparteniamo, le cui esigenze primarie (ricordando un antico “primum vivere”) si sono sempre più collegate alla necessità di mantenere saldo il rapporto con il Potere lasciando molto meno spazio ai ragionamenti culturali, accusati di eccessivo ideologismo. Hanno cercato di neutralizzarci sin dal primo momento attraverso una sorta di “normalizzazione” sotto forma di riconoscimento chiamandoci a partecipare, unici non referenti di aree o correnti specifiche o di capi-bastone locali, ad un sedicente “tavolo unitario”, alla fine del quale, dopo discussioni chiaramente inutili ed oziose, strumentali, alcuni – pochissimi (trequattro) – personaggi anche esterni al Tavolo (deus ex-machina ???) sono giunti alle scelte finali salomoniche (questo a me, questo a te, questo al figlio del re).

Da lì in poi una lunga progressiva inarrestabile deriva, contrassegnata da un lato da una “marcia trionfale” di un “carro” sempre più colmo di gente dalla disparata provenienza “storica”, non solo giovani già esperti di fallimenti e sconfitte ma anche vecchie volpi affamate e tanti assertori di un’era post-ideologica dove tutto sarebbe concesso in nome del populismo e della demagogia, dove non sia più distinguibile l’appartenenza ma prevalga del POTERE fine a se stesso.

Noi, non ci stiamo! e, sembri strano a chi non ha voglia di capire in nome di una “sua” pur legittima coerenza, ribadiamo i principi ai quali ci siamo ispirati che sono ideologici solo per la profonda appartenenza alla Sinistra, quella davvero moderata, quella progressista, quella davvero riformista.

Ecco; noi lavoriamo in questa direzione. Non ci interessano, lo abbiamo ribadito e dimostrato pienamente, non sedendoci al momento “giusto” ad ipocriti ed ambigui banchetti, i posti né le medagliette ricordo.

Anche il Progetto che abbiamo presentato a Fabrizio Barca per i suoi “Luoghi idea(li)” ha la caratteristica di un Laboratorio per il futuro, basato sull’utopia che, attraverso la Cultura e la Conoscenza, si possa costruire progressivamente un microcosmo migliore.

La rapidità è una delle caratteristiche della Politica moderna; ma, attenti alle facili ubriacature, si rischia di andare a sbattere.

COSA E’ “IL DOMINO LETTERARIO”? AL CIRCOLO SAN PAOLO DI VIA CILEA 3 PRATO VENERDI’ 27 MARZO ORE 21.00 – ANTICIPAZIONE COMMENTO “Fra l’Arno e la strada” di Manuele Marigolli

il commento al libro verrà pubblicato nei prossimi giorni

Tra l'Arno

Marigolli

COSA E’ “IL DOMINO LETTERARIO”?

AL CIRCOLO SAN PAOLO DI VIA CILEA 3 PRATO VENERDI’ 27 MARZO ORE 21.00 – ANTICIPAZIONE COMMENTO “Fra l’Arno e la strada” di Manuele Marigolli

IL CIRCOLO DELLE IDEE all’interno delle attività culturali propone una serie di incontri con scrittori – non solo locali – con il meccanismo del “DOMINO”. In pratica il primo di essi e da questo “a catena” indicherà il libro e l’autore di cui vuole parlare nell’incontro successivo.
Sarà dunque Manuele Marigolli nel corso della presentazione del suo libro “Fra l’Arno e la strada” VENERDI’ 27 ORE 21.00 presso il Circolo ARCI di via Cilea 3 a svelarci il nome dell’autore di cui curerà la presentazione il prossimo 10 aprile…

La cittadinanza è invitata.

Il libro di Marigolli verrà presentato da Giuseppe Maddaluno

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Chi vorrà potrà già prima dell’incontro partecipare ad un Aperitivo….

MEDIATECA DELLA MEMORIA – PERCHE’ GIRAI UN DOCUMENTARIO SUL FILM “GIOVANNA” DI GILLO PONTECORVO – extra – INCONTRO CON LEDA ANTONINI parte 2

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MEDIATECA DELLA MEMORIA – PERCHE’ GIRAI UN DOCUMENTARIO SUL FILM “GIOVANNA” DI GILLO PONTECORVO – extra –
INCONTRO CON LEDA ANTONINI parte 2

…Quando dicevano “passa il tale, bisogna andare a battere le mani” io gli dicevo ad Ottorino, a Pietro, a Mario, a tutti “io non ci vo, perché sono uguale al mi’ babbo” gli dicevo, e un giorno volevano che si andasse sulla strada a Via Roma, dove passava un pezzo grosso; io, allora, scappai, buttandomi giù dal cancello; mi cercarono in fabbrica (“o dov’è la socera?” mi chiamavano così proprio per il carattere) e poi quando mi trovarono mi chiesero “perché non vieni?” ed io risposi “O Ottorino, Mario, Diego ricordatevi chi sono io, uguale a mi’ babbo, io non cambio giubba, se voi volete andare, mandate chi vi pare, me no.” E tornavo a casa: questo è l’insegnamento che il mi’ babbo ha dato a cinque figlioli; non ha avuto bisogno d’andare a chiedere mille lire a nessuno, ci ha insegnato l’educazione, benché l’era analfabeta; però lui non voleva sapere del “nero”, però gli hanno voluto sempre bene e un giorno, non mi ricordo bene, ma il mi’ babbo si lamentò con Ottorino “dove l’ho messa la mi’ figliola, a lavorare col Fascio o con Luconi Gino?” sempre però io non volevo andare alle solite manifestazioni anche con i vestiti da “piccole italiane”. Mi’ babbo diceva “Le bambine le vesto da me, riportatevi il vestito indietro” E a noi quelli del Fascio chiedevano “Perché vu siete tornate indietro?” “Perché mi’ babbo ci veste da sé, non ha bisogno”. Sapeste quanto ho sofferto in quegli anni. Io troppe cose mi ricordo di quel tempo del Fascio. Ho avuto la mi’ mamma quasi in fin di vita. La mi’ mamma la fu aggredita da una donna che si chiamava Liberata. La mi’ mamma la gli disse “Guarda, devo fare un bambino (mio fratello che è del ’30, mia mamma aveva 38 anni) rendimi i soldi che t’ho prestato” Io quella scena me la ricordo sempre: vedere la mi’ mamma presa per i capelli e picchiata; la portarono all’ospedale, così fu operata e il dottore disse “io la ricucio per dovere” e la ricucì e dopo le riavviò a battere il polso (era bell’e morta!). Questa qui (la Liberata) la fecero andare via per due anni che, se il mi’ babbo la pigliava, e se moriva la mi’ mamma, l’avrebbe ammazzata. Io ho sempre ricordato questa Liberata ed ogni volta che la incontravo “Liberata, gobbaccia, la mi’ mamma la moriva per colpa tua, la mi’ mamma la moriva per colpa tua!”.
Sichhè noi si è sempre sofferto, e in fabbrica io mi sono sempre fatta intendere, poi una volta mi sono licenziata per le angherie di altre persone che lavoravano con me; poi Ottorino venne a casa “Rimanda la tua figliola, Callisto, la ripiglio, ho mandato via quelli lì”. Mi voleva riprendere in fabbrica. Io invece andai dal Dini Donatello a lavorare.
Fine intervista a Leda Antonini –

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MEDIATECA DELLA MEMORIA – PERCHE’ GIRAI UN DOCUMENTARIO SUL FILM “GIOVANNA” DI GILLO PONTECORVO – extra – INCONTRO CON LEDA ANTONINI

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MEDIATECA DELLA MEMORIA – PERCHE’ GIRAI UN DOCUMENTARIO SUL FILM “GIOVANNA” DI GILLO PONTECORVO – extra –
INCONTRO CON LEDA ANTONINI

Incontro Leda Antonini, come d’accordo, in Camera del Lavoro; è il gennaio 1992. Leda è una piccola signora di circa settanta anni dai capelli naturalmente bianchi e dagli occhi corvini molto attenti e vivaci. Nel 1955 anche lei fece parte del cast del film “Giovanna”; anche lei aveva, a quel tempo già vissuto tutta un’esperienza di operaia tessile ed aveva avuto nel periodo fascista innumerevoli difficoltà. Ho riportato le parole della signora Antonini, così come ella le ha espresse in Camera del Lavoro nel corso dell’intervista. Il tono è dunque colloquiale e la forma risente inevitabilmente del “parlato” con l’uso costante della sintassi dialettale toscana (quella pratese, si intende). Sul film “Giovanna” Leda Antonini, pur avendo parlato a lungo, non ha aggiunto particolari, diverse e personali indicazioni: il suo ruolo fu quello di una “comparsa” nelle scene collettive esterne alla fabbrica. Importante è invece la sua storia personale che si inserisce all’interno di quel “recupero della memoria” che è uno dei nostri obiettivi principali nel lavoro che svolgiamo dal punto di vista storico e culturale (sociologico, antropologico).
Maddaluno (di poi M.)
Siamo con Leda Antonini, classe 1922, una delle testimoni degli anni in cui fu girato il film “Giovanna”. Cominciamo, anche per questo, a ricordare gli anni in cui ella si avviò a lavorare in fabbrica.
Leda (di poi L.)
Sì, sono entrata come operaia nel 1935 da Luconi. Ero ancora una bambina; sono sviluppata in fabbrica, sicché avevo le codine ed avevo bisogno di lavorare; il babbo ci portava a casa il pezzetto del fuso con il quale egli lavorava e, quasi in un gioco, ci insegnava a fare il nodo. Quando io sono entrata in fabbrica sapevo di già fare il nodo, e allora entrai dietro l’orditoio: da dopo dietro l’orditoio passai all’orditoio; poi, quando c’era bisogno, per non perder giornat, ala macchinetta, alla rifinizione, persino alla lupa, ad allargare la lana sul piazzale, pur di non perdere giornate; io sapevo fare proprio tutto ed ero benvoluta soprattutto dal vecchio Luconi, da Gino, che voleva esser chiamato signor Gino e lui mi chiamava “socera” perché diceva “i figli dei gatti pigliano i topi”, perché il mi’ babbo che aveva lavorato il telaio a mano, allora al Fascio non mi volevano prendere, volevano prendere un’altra e metterla al mio posto; allora il mi’ babbo gli disse…
M.
Perché dici “il Fascio”?
L.
Al tempo del Fascio, mio padre era un perseguitato politico; vollero prendere una che era la fidanzata di questo fascista; allora il sor Gino telefonò al Fascio e gli disse: “io ho bisogno di pigliare la figliola dell’Antonini Callisto, perché lui è stato un uomo onesto: ho fatto la busta per pagare e lui l’ha ricevuta, ed eran contati doppi; siccome è un uomo onesto, mi ha riportato tutti i soldi e, gli disse persino il Gino, grazie Antonini, io di te me ne ricorderò sempre, un giorno che tu avrai bisogno di me per una figliola o un figliolo a lavorare vieni pure da me”. Allora il Fascio e al signor Gino gli toccò prendere me e la fidanzata di quel fascista; allora disse “io non voglio rinunciare alla figliola di Callisto perché” disse “sono gente che merita e a quella maniera a me mi hanno sempre voluta bene; però io mi sono sempre fatta intendere, forse il carattere forte che aveva il mi’ babbo io l’ho preso da lui; mi sono sempre fatta intendere.

Commento a “LA SOFFITTA INVISIBILE” di Rossella Fabbri, un libro delizioso che avvicina al mondo misterioso delle nostre eterne fantasie ed a quello straordinario della MUSICA (con una mia introduzione ad hoc)

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Commento a “LA SOFFITTA INVISIBILE” di Rossella Fabbri, un libro delizioso che avvicina al mondo misterioso delle nostre eterne fantasie ed a quello straordinario della MUSICA (con una mia introduzione ad hoc)

Una settimana fa, arrampicato su una scala per raggiungere le parti più alte di una delle mie librerie, cercavo non so più che cosa: ogni tanto mi prende il ghiribizzo di vedere cosa ci sia lassù, anche perché sottilmente desidero smentire l’assunto che mia moglie di tanto in tanto pontificando esprime secondo cui “quel che dimentichi di avere puoi anche perderlo”. Devo dirlo? Non sono per niente d’accordo; e lo sono per prassi pluriennale acquisita. Sarò infantile: lo ammetto, ma divento euforico, quando, mettendo le mani fra libri ed incartamenti vari in recessi complicati da raggiungere normalmente, ritrovo qualche oggetto prezioso dimenticato lì dietro, lì sopra, lì sotto da anni. Gli esempi si sprecano: la mia prima Enciclopedia, varia, colorata, ricolma di curiosità che mi si scioglievano nella tarda infanzia. Ci sono poi decine di libri collegati alla mia attività di studente universitario…e poi in fondo in fondo proprio in quest’ultima occasione ho ritrovato due libretti consumati dall’uso con una bellissima dedica del mio maestro di scuola elementare. Che gran bel ricordo ne ho; si chiamava Federico Lamberti.
E questa attività che di tanto in tanto svolgo tra librerie alte ed inaccessibili e garage ricolmo di scatoloni mi ha riportato alla memoria una delle mie “imprese” cinematografiche: la trasposizione in immagini di una novella di Maupassant, “Capelli”, nella quale si parla di un signore maturo e schivo, tendente ad un isolamento aristocratico, che, appassionato di antiquariato, tende ad identificare negli oggetti che acquista le storie degli uomini – ma soprattutto delle donne – che li hanno posseduti.
Ho ritrovato la stessa spinta ideale di me, maturo signore quasi settantenne, nella protagonista del libro di cui vi parlerò. E mi piace essere considerato ancora un ragazzo pieno di curiosità non ancora soddisfatte.
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Tratterò di un libro delizioso, “La soffitta invisibile”, che Rossella Fabbri ha scritto e che mi è stato consegnato ai margini di un Save Art della Giunti qualche settimana fa da sua sorella Fabiana. Avevo annunciato un commento già quattro giorni dopo; lo avevo letto di getto, durante le mie notti insonni, e ne ero rimasto affascinato. Il libro si rivolge essenzialmente a donne ed uomini dagli otto anni in su; ho interpretato così quel che viene indicato nel risvolto di copertina sotto la sinossi anche perché trovo che sia estremamente significativo – anche per i cosiddetti adulti – il messaggio che ne promana: non dimenticate mai che siete state/i “bambine/i” e che in quel periodo siete andate/i alla scoperta del mondo. Così come accade a Tea, la protagonista del racconto, che afferma di essere “l’unica…a pensare che certe creature possano davvero esistere”, riferendosi alle “fate e folletti”. Già dall’inizio, nel rapporto con Sara, la sua migliore amica, si evidenzia la peculiarità di Tea che, con tenacia, persegue il suo obiettivo di addentrarsi nei “segreti” di un antico palazzo gentilizio nel cuore di Roma, al quale accede perché vi abita il nonno Tancredi. Sara è una bambina che mantiene i piedi per terra, non sogna, non accetta le fantasie di Tea, che tuttavia in una delle sue segrete incursioni nelle soffitte di Palazzo Zuccari scopre un antico strumento musicale, “una specie di pianoforte…Doveva essere un clavicembalo!” e, suonandolo, crea la magia che la porterà a scoprire il mondo dei suoi sogni, delle sue fantasie. E questo rapporto con il mondo della “musica” è elemento centrale del libro che si propone anche come strumento di avvicinamento all’ascolto ed alla pratica di questa arte in maniera completa, soprattutto se rileviamo come nel nostro ordinamento scolastico questa materia, che si riferisce alla Storia del nostro Paese, sia stata bistrattata ed umiliata continuamente.
Ai genitori ed ai docenti consiglio vivamente la lettura di questo libro; all’autrice chiedo di proseguire in quest’ambito per realizzare altri lavori come questi. “La soffitta invisibile”, edizionicorsare, si avvale anche delle splendide illustrazioni di Maria Cristina Costa.

PERCHE’ GIRAI UN DOCUMENTARIO SUL FILM “GIOVANNA” DI GILLO PONTECORVO parla Franco Giraldi – penultima parte

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PERCHE’ GIRAI UN DOCUMENTARIO SUL FILM “GIOVANNA” DI GILLO PONTECORVO
parla Franco Giraldi

Franco Giraldi, regista

Sono stato aiuto regista di Gillo Pontecorvo quando nel 1955 venne realizzato a Prato il film Giovanna. Di quell’esperienza pratese mi è rimasta l’immagine, prima di tutto, di una cittadina molto diversa dalla città che è oggi, una cittadina più raccolta in cui erano presenti molti elementi architettonici ottocenteschi. Parlo soprattutto dell’ambiente in cui lavoravamo, che era la fabbrica di una famiglia che si chiamava Vannini, i cui membri erano gentilissimi con noi e ci favorirono in ogni modo. Era una vecchia fabbrica di quelle ‘mitiche’, che si vedono in certe illustrazioni del mondo del lavoro dell’800, con le finestre un po’ carcerarie, i muri grigi, cupi, il cortile che ricordo così desolato, le macchine da tessitura che facevano un frastuono terribile. La fabbrica era circondata da una roggia , da cui si entrava sotto una specie di portico dove c’era l’abitazione dei proprietari. Anche l’albergo Stella d’Italia, in cui io soggiornavo, in una stanzetta, mi ricordo che aveva un sapore ancora antico, molto diverso da oggi.
Pensando a Giovanna mi viene naturale pensare all’epoca in cui fu girato: eravamo nell’ottobre del 1955, non c’era stato ancora a Mosca il ventesimo congresso, Stalin era morto da meno di due anni, eravamo in un clima abbastanza chiuso, c’era la guerra fredda, questo film era fuori dei processi commerciali, in quanto era realizzato per l’organizzazione internazionale della donna. C’era insomma qualcosa di allegramente clandestino in quello che facevamo. Per quanto mi riguarda, avevo fatto il critico cinematografico, ero allora il vice di Tommaso Chiaretti all’Unità di Roma, e collaboravo assieme ad altri con l’intento di organizzare un’associazione di amici del cinema, un associazione di appassionati di cinema, che nei nostri intenti doveva creare il presupposto per avvicinare il pubblico al cinema migliore. Io vivevo in quegli anni a casa di Gillo Pontecorvo e c’era già in me l’idea di fare il cinema. Ma quasi me la nascondevo, per pudore, per modestia un po’ autoimposta.
Quando Gillo ha cominciato a preparare il film io ho assistito alla preparazione e gli ho dato una mano. Mi ricordo che andavamo in giro per le borgate a Roma a cercare le donne con le facce giuste per interpretare il film. Devo dire che già allora Gillo aveva una specie di culto dell’autenticità del volto umano. A lui più che un attore interessava una faccia che esprimesse una luce, un segreto. Questa è una cosa che ho subito imparato da lui nelle ricerche nei mercatini rionali e per strada. Il culto della magia che c’è nel volto umano, una magia che consiste nell’autenticità.
Quindi dopo una lunghissima preparazione, che è stata anche per me una grande scuola, siamo venuti a Prato. Io ero emozionatissimo perché era la prima volta che prendevo parte alla lavorazione di un film; avevo le titubanze di uno che comincia. Eravamo quasi tutti giovani. Pontecorvo era alla prima esperienza come regista, ed anche l’operatore Erico Menczer. Giuliano Montaldo faceva l’organizzatore, forse era il più pratico di noi, perché aveva fatto l’attore in Achtung banditi e Cronache di poveri amanti. Ricordo Mario Caiano ed Elena Mannini, giovanissima, alla sua prima esperienza come costumista. Vi era un grande calore ed entusiasmo e i miei ricordi sono vivissimi, anche se sono passati tanti anni. Ricordo il clima molto simpatico che si stabilì tra le donne che partecipavano al lavoro. Era la storia della fabbrica occupata, che coinvolgeva pertanto la loro esperienza personale. Ricordo la meticolosità con cui si giravano i primi piani delle donne, e l’attenzione di Pontecorvo nel rapire una sorpresa, un lampo in quei volti. E’ per me un ricordo straordinario, perché è stata l’esperienza forse più vicina ad un certo tipo di cinema che allora come oggi sogno di fare, cioè un cinema assolutamente autentico, senza compromessi, senza diaframmi.

“GIOVANNA” DI GILLO PONTECORVO extra – un tentativo di metanarrazione ad uso personale etc. quarta parte

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“GIOVANNA” DI GILLO PONTECORVO extra – un tentativo di metanarrazione ad uso personale etc. quarta parte

Perla sottolinea gli aspetti organizzativi e detta l’agenda dei prossimi appuntamenti, ma non dimentica le riflessioni politiche sulla condizione della donna che, dopo un periodo di avanzamento, sta vivendo un poderoso regresso riportando le lancette della storia indietro di parecchi anni: i dati della crisi occupazionale mettono in rilievo l’aumento vertiginoso della disoccupazione femminile: la “donna” ritorna ad essere considerata da una società maschilista, che a livello politico si nasconde dietro i parametri delle “quote”, quella che era ritenuta “sposa e madre esemplare o angelo del focolare” dalla retorica del Ventennio famigerato della prima parte del secolo scorso. Dopo la Perla interviene la Rosanna che accentra la sua attenzione sulle conseguenze del cosiddetto “jobs act” (n.d.a. perché utilizzare la lingua inglese per contrassegnare una “riforma del lavoro”? forse vi è la necessità di ammorbidire l’impatto con una società ancora arretrata come la nostra e lanciare messaggi “positivi” di soggezione ai diktat europei) che sferra un attacco poderoso ai temi di equità e legalità che vengono messi in discussione all’interno di un apparato legislativo bizantino che finisce per annullare decenni di battaglie politiche nonché sindacali ricreando un rapporto ottocentesco tra padrone e lavoratore. E la Rosanna rifacendosi al film “Giovanna” rileva appunto come esso sia significativo ancor più oggi rispetto a venti anni prima per comprendere il nostro tempo e per capire cosa si stia correndo il rischio di perdere. Intervengono poi due compagne del Sindacato, Manuela Marigolli e Manuela Parigi soffermando la loro analisi sulla destrutturazione del welfare e sui tagli alla Sanità ed in genere a tutto il comparto sociale. Anche per loro il film “Giovanna” risulta essere elemento di riflessione sulla realtà attuale. Esso rappresenta uno “sguardo all’indietro” e serve per poter meglio capire dove e come abbiamo vissuto, dove e come stiamo vivendo e dove e come vogliamo che vivano i nostri figli ed i nostri nipoti. Prima di concludere parla Paola Baglini, Assessora di Cascina ricostruendo, attraverso la sua storia di donna che dalla società civile, associativa, è stata poi chiamata ad assolvere un ruolo istituzionale, un possibile percorso dell’emancipazione femminile nella nostra società, rilevando tuttavia come, dopo un ventennio berlusconiano nel quale la società italiana è stata in grado di fronteggiare – non senza difficoltà – gli attacchi della Destra, si stia andando verso una deriva di tipo plebiscitario pericolosissima senza riuscire a frapporre una visione alternativa capace di bloccarla.
Si va alle conclusioni della giornata: la Perla rivolge ringraziamenti e ricorda la figura di Anna Fondi con una frase che ella pronunciò poco tempo prima di lasciarci: “Dal lavoro si va in pensione, dalla lotta mai!”
Torniamo a casa; la giornata è stata caratterizzata da un clima positivo: non c’è rabbia, ma è forte la consapevolezza che occorra tenere alto il livello di attenzione nei confronti di un Governo che, al di là dell’aspetto bonario di alcuni suoi esponenti – in primis Renzi – va realizzando un modello di società non molto dissimile da quello progettato dalla Destra berlusconiana, che si ispirava chiaramente a parti considerevoli del Programma della P2 di Licio Gelli. I TEMPI CAMBIANO! Non c’è dubbio: ma lo fanno in peggio!
Ci diamo appuntamento a Napoli, il 14 marzo. Credo di poterci essere.

Anna