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DOLORI E GIOIE – ritorno nei Campi Flegrei – LUX IN FABULA (prima parte)

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DOLORI E GIOIE

Era stata una scusa anche abbastanza evidente, quella di chiedere il permesso di pubblicare sul mio Blog alcuni video. Nelle settimane precedenti già in almeno due post avevo utilizzato quel materiale; ma avevo in animo già da qualche mese, da quando ero ritornato sui miei antichi passi, sulle orme giovanili, e si potrebbe dire “per le antiche scale” scomodando Tobino, che tuttavia trattava argomenti un tantinello più seri, di incontrare i responsabili di “Lux in Fabula”, associazione che ha sede proprio lungo le scale delle Rampe dei Cappuccini a Pozzuoli. Di “Lux in Fabula” avevo sentito, dopo le mie prime re-incursioni in terra flegrea, parlare molto bene (e lo avevano confermato i materiali abbondanti e significativi che avevo compulsato ininterrottamente scrivendo su Pozzuoli e la sua storia contemporanea) ma, allo stesso tempo, sentivo dire da amici che, per mancanza di fondi (la sede in cui l’Associazione risiede è in affitto), il rischio di chiusura era incombente. Questa ipotesi mi sollecitava ancor più a prendere contatto con chi in questi anni si è adoperato per costruire e far crescere “Lux in Fabula”. Sono naturalmente curioso ma, in questo caso, avvertivo la profonda necessità intellettuale di incontrare Claudio Correale; un messaggio un po’ ipocrita sulla chat di Facebook “posso utilizzare le immagini del documentario da voi realizzato sul bradisismo del 1970”? E da qui il contatto si è aperto; è arrivata l’”autorizzazione”, ho chiesto di incontrarli e nel giro di poche ore ho anche fissato. Estate 2014, non troppo calda, anzi davvero “irregolare” come tante delle vicende che si accavallano ai nostri tempi; stavolta vengo giù con mia moglie Mariella e ci raggiungeranno poi i figli Lavinia e Daniele. L’estate è quasi sempre avara di contatti umani: di solito le amiche e gli amici rincorrono le loro attività programmate per le vacanze – il mare, la barca, i viaggi. Ma i tempi stanno cambiando e la crisi ci permette di mantenere o riprendere antiche amicizie. E non è un caso che, arrivati sotto il portone freschi di un viaggio che ha avuto i momenti più difficili proprio sulle strade campane e flegree. abbiamo incrociato un amico “storico”, Enzo Aulitto, ed abbiamo cominciato a progettare, come spesso ci è capitati di fare in passato senza entusiasmi da parte mia, consapevole delle distanze e dell’asincronia che costringeva a non impegnarmi. Ma ora abbiamo ritrovato una sintonia diversa; gli parlo di “Lux in Fabula” e dell’appuntamento già preso e lui come al solito rilancia e mi parla di suoi progetti per i quali chiede la mia collaborazione. Ne parleremo. Intanto si fissa per andare da Claudio Correale due pomeriggi dopo…… L’appuntamento con Enzo è nella campagna della casa materna; la presenza della madre è palpabile pur nella sua corporea assenza, ne vedo sul figlio chinato a raccogliere ed ordinare sterpaglie l’ombra eterna, diafana, incorporea ma comunque presente e viva. Filmo le immagini con la mia piccola agile Toshiba sia nel campo disordinato ma fertile (non è dal “caos” che è iniziata la “Vita”?), che per un attimo mi viene da paragonare alla manzoniana “vigna di Renzo” cap.XXXIII dei Promessi Sposi, sia nelle stanze del “Sancta Sanctorum” della produzione artistica nel suo atelier al primo piano. Da lì ci spostiamo a piedi – saranno cinquecento metri tutti in discesa – verso la sede di “Lux in Fabula”. Negli anni precedenti c’ero passato tante volte ed avevo sempre riflettuto su cosa significasse quella scritta su una tavoletta di legno sospesa sul braccio portante di un lampione in una delle curve pianeggianti delle Rampe Cappuccini, presupponendo si trattasse dell’opera di un burlone, non più di questo. Ora sapevo, invece! Si arriva alla porta e si scopre che non esiste un campanello come in tutte le nostre case ma, un po’ all’antica, occorre utilizzare le nocche per annunciarsi. Ci apre una giovane sorridente che sa del nostro appuntamento e ci invita ad entrare. La sede, già dall’ingresso è angusta e vetusta ed è resa ancor più stretta dalla presenza di oggetti vari al di fuori dei mobili già colmi (lo scopriremo dopo) di scatole metalliche contenenti pellicole, oggetti vari utili per lavorare sulle pellicole, strumenti che ricostruiscono i percorsi del pre-cinema. Nella sala principale (presumibilmente un soggiorno), la più luminosa, sedie e tavoli ricolmi di strumenti e di libri con cui i giovani, che poi sapremo impegnati nel “servizio civile”, operano, utilizzando tecnologie moderne per digitalizzare documenti e libri rari mettendoli a disposizione della collettività. Ci accolgono con grande cordialità e ci annunciano a Claudio che dopo pochi secondi è lì con noi. E’ chiaro – almeno per noi – che vogliamo sentire lui, che ci parli dell’Associazione, che ci illustri le attività, dalle più lontane alle più recenti e, soprattutto, ci spieghi quali sono le difficoltà e le prospettive. Claudio è, come tante altre persone e forse più, un fiume in piena nel raccontarci i progetti realizzati e quelli da realizzare ma è anche una persona provata dall’insensibilità (vi prego, cari Amministratori, di credere che vorrei essere smentito!) degli Enti pubblici locali nei confronti del lavoro suo e di tanti giovani cooperanti nel provvisorio “servizio civile”. Il lavoro di “Lux in Fabula” è utilmente sussidiario a quello di un Ente pubblico come un Archivio, una Biblioteca e va difeso e tutelato, soprattutto poi quando alla fin fine ha costi molto limitati. E Claudio, che trovo giustamente “depresso” e demotivato a continuare la sua battaglia in questa realtà, annuncia che quasi certamente si sposterà a Napoli, se la richiesta di essere ospitato in qualche locale dell’ex Albergo dei Poveri andrà a buon fine. Con Napoli ha attivato iniziative in particolare sul “Pre-Cinema” in ambienti prestigiosi come il PAN e “Città della Scienza” e “Lux in Fabula”  è quindi ampiamente accreditata e titolata. Ma a Pozzuoli e nei Campi Flegrei ha costruito un ricco Archivio Audiovisivo e Documentale soprattutto – ma non solo – sugli anni del bradisismo. Gli chiedo di rivederci a breve; Claudio vuole farmi vedere alcune produzioni importanti su Etienne Jules Marey, antesignano del pre-Cinema,  e sui Campi Flegrei ripresi con il supporto di tecniche che utilizzano i droni. Ne parlerò prossimamente.

 
Ho inserito questa riflessione nella serie di “Gioie e dolori” nel far ritorno alla mia terra perché trovo sconvolgente che una classe dirigente sia così miope dal non impegnarsi a valorizzare il lavoro di persone e di Associazioni che si occupano della “memoria” dei nostri territori e costituiscono l’asse portante della Cultura moderna riuscendo ad interessare e coinvolgere realtà anche lontane, ma sensibili e curiose verso la Conoscenza. Bisognerebbe essere in grado di superare le invidie e le gelosie ed osservare senza questi vincoli le diverse realtà operanti; e, per farlo, occorrerebbe guardare questo mondo con occhi primitivi, ingenui e scevri da quelle sovrastrutture che pesano enormemente per consentire a chi si occupa del “bene pubblico” di poter bene operare.

DICEARCHIA 2008 – LA GENESI (dedicato a Tina SANTINI) )

 

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Perchè nacque Dicearchia 2008

Eravamo alla fine del  2008 (se volete,  un’era preistorica, rispetto ad oggi) ed il PD era nato da un anno (dal 14 ottobre 2007). A Prato ci si avvicinava alle Amministrative dopo la sconfitta alle Politiche dell’aprile del 2008. Il gruppo dirigente del PD (molto – ma molto – simile a quello attuale) si impegnava a mettere in discussione con l’aiuto di fantomatici sondaggi le Amministrazioni comunali e provinciali di Prato (Romagnoli Sindaco e Logli Presidente della Provincia di Prato al loro primo mandato) per sostituirli con altre figure. Le minoranze all’interno non venivano nemmeno lontanamente prese in considerazione; ma, in quell’occasione, non avevano fatto i conti con la cosiddetta “sbrigativamente” società civile. Davanti a questo “muro” ad alcuni di noi, dopo aver lavorato in primo piano per la costruzione di un Partito Democratico (Prato Democratica)  ed aver aderito ai Cittadini per l’Ulivo ed alla lista Bindi venne l’idea di costituire un’Associazione e di fare Politica e Cultura attraverso di essa. Il nome dell’Associazione richiama fatti storici lontanissimi a me personalmente cari, essendo originario di Pozzuoli.

Vi allego in copiaincolla due mail che chiariscono le motivazioni che ci spingevano, “allora”, ma che “ora”, a circa sei anni di distanza, sono quanto mai attuali e spiegano i motivi per cui io personalmente ho fatto resistenza al “renzismo” e mi rifiuto di appartenere ad un Partito che abbia i suoi “fondamentali”  in quegli ambienti.

Gentilissimei
la scelta di costituire un’Associazione di Politica e Cultura Democratica, da noi portata avanti subito dopo la nascita del Partito Democratico alla quale ciascuno di noi ha potuto contribuire con i propri limiti oggettivi o imposti dalle leadeship consolidate, è più che mai da me ritenuta l’unica
possibile via d’uscita dall’asfittica atmosfera che si respira all’interno (e della quale all’esterno si percepiscono i valori) dell’attuale “contenitore” detto PD.
Ho ascoltato quel che diceva Pietro Scoppola alla fine del 2006 (a quell’intervento erano presenti in rappresentanza dei CpU Tina Santini e Manlio Altimati): ritengo anche per questo in modo del tutto personale di poter dire che a settembre è necessario riprendere il percorso avviato da Prato Democratica (amo le provocazioni: rimettere in piedi il Comitato di Prato per il PD vale a dire che questo PD non è quello per il quale abbiamo lavorato); annuncio che non entrerò nel PD (o meglio non entrerò in questo PD) e mi impegnerò dall’esterno – per ora – a farne emergere le acute contraddizioni. Ritengo infatti che questo PD sia fortemente nocivo per la DEMOCRAZIA e che sia pericoloso continuare a sostenerlo.
La scommessa del PD era soprattutto incentrata aul “rinnovamento”: rinnovare la Politica puntando su segnali inequivocabili di cambiamento sollecitando la passione dei giovani e dei delusi dalla “vecchia” Politica, rinnovando in modo copernicano i percorsi “formativi” dei nuovi Dirigenti includendo soprattutto i meritevoli e non gli acquiescenti servitori “sciocchi” dei potenti di turno; facendo diventare la Politica un servizio per tutti – senza escludere il giusto equo riconoscimento economico a chi se ne occupi temporaneamente – e sottolineerò più e più volte “equo” perchè non si possa correre per la “carriera” politica per ottenere emolumenti di gran lunga superiori a quelli di un operaio specializzato.
Noi – i vecchi di Prato Democratica – lo abbiamo detto (e abbiamo detto altro) più volte ed è accaduto che per questo siamo stati visti come dei veri e propri nemici. Ebbene – sia chiaro ancora una volta – se non si cambia davvero e se non si darà maggior credito a coloro che “criticano” in modo disinteressato saranno i cittadini a dare il loro giudizio. Accadrà come è già avvenuto altrove che prevarrà il centro Destra e noi come sta accadendo oggi a livello nazionale balbetteremo, ci affanneremo e ci rinchiuderemo nuovamente nel nostro fortino assediato. E allora?
A settembre forse sarà importante recuperare i Cittadini per l’Ulivo, Prato Democratica e vederci come Dicearchia2008 per riflettere su questo PD, su quello che poteva essere e su quello che è.
Giuseppe Maddaluno

Ciminiere

Il secondo documento inizia con un riferimento “storico” relativo alla fondazione di DICEARCHIA nel 531 a.C ed alle motivazioni che la resero necessaria.

Si può accettare perciò che proprio i Sami abbiano dato alla località il nome di Dicearchia (<<La città del giusto governo>>), per ricordare le circostanze del loro stanziamento, motivato dall’affermarsi dell'<<ingiusto governo>> tirannico in patria.

Questa nuova Associazione nasce dalla esigenza primaria, espressa da alcuni anni, di operare nella realtà territoriale per rinnovare le modalità di accesso alla Politica ed alla sua gestione, per promuovere un effettivo e reale pluralismo all’interno delle forze politiche, per favorire e chiedere con forza la massima trasparenza in tutti i percorsi amministrativi, perché si costruisca la più ampia condivisione dei vari processi attraverso regole democratiche certe ed attuate concretamente.

Molti di noi hanno interpretato in questo modo la fase di gestazione del PD e si sono impegnati direttamente con un ruolo critico e propositivo, si sono sforzati di convincere la maggior parte possibile delle cittadine e dei cittadini che sono statei contattatei a perseguire tali obiettivi. Avevamo messo in conto che questo non si sarebbe realizzato, ma ritenevamo con palese ottimismo della volontà e, confidando soprattutto sull’intelligenza della gente e sulla capacità critica di tanti “amici e compagni di base”, che ci sarebbero stati almeno dei segnali di un incamminarsi verso un partito veramente nuovo, ebbene ci sembra che alcuni timidi segnali ci siano.

Il PD reale, purtroppo, si è mostrato finora un Partito ancora teso a mantenere intatti gli equilibri delle forze fondatrici e a difendersi da presenze più autonome e libere, venendo così meno a quell’obiettivo che mirava, a costruire un Partito nuovo realmente aperto ai contributi critici che avrebbero garantito un effettivo rinnovamento del modo di accedere alla Politica e di fare Politica. In ogni caso il lavoro che avevamo svolto è stato quello tipico di un’agenzia formativa e culturale che ha proposto alcuni momenti di approfondimento pubblici, intorno a varie tematiche. Ed è allora in quella direzione che intendiamo proseguire.
Un’associazione, dunque, questa nostra, che non si proponga di accompagnare il PD ma di formare coscienze libere, criticamente aperte. La nostra società ha bisogno di costruire vera Cultura, quella fondata sul razionalismo puro e fatta crescere nel dibattito e nel confronto libero.

Non si intende assolutamente costituire nemmeno una contrapposizione al PD, si intende costruire soprattutto sul piano culturale un effettivo reale dibattito sul necessario rinnovamento attraverso la riflessione ed il coinvolgimento in essa di persone nuove, fresche che abbiano passione ed ideali intatti.

Vorremmo che la nuova Associazione avesse compiti di Laboratorio per la Democrazia partecipata che possa servire a tutti, e non solo ad una parte. Dobbiamo fare in modo che si privilegi la via dell’ascolto e del confronto basato su regole precise condivise ed applicate.

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LA PRIMA COSA BELLA 21 MARZO A POZZUOLI – i preparativi dell’incontro con Giuseppe Mario GAUDINO

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Voglio ringraziare l’Associazione LUX in FABULA per gli splendidi video realizzati!
Avendo ricevuto anche delle indicazioni dall’Associazione Lux in Fabula allego il link di un sito sul bradisismo flegreo: http://www.bradisismoflegreo.it/

E’ stato naturale che, nell’organizzare “La prima cosa bella- Esordi d’autore” a Pozzuoli io abbia pensato a Giuseppe. Non è stato così semplice rintracciarlo. Ero invece convinto che lo fosse perché avevo dei punti di riferimento che consideravo “sicuri”(dei parenti che erano anche amici miei – vedi link http://www.maddaluno.eu/?p=406ed alcune altre persone che abitavano al Rione “Olivetti”); invece dopo una serie di verifiche a vuoto ero al punto di prima, cioè quasi “zero”. Tornando, però, a casa una sera (credo fosse il 29 dicembre dello scorso anno), incontro Enzo Aulitto, con il quale ho un’antica e solida amicizia: gli dissi che ero alla ricerca di Gaudino e lui mi fornì un numero di cellulare, pur non essendo certo che fosse ancora attivo ed appartenesse a Giuseppe. Non volevo essere invasivo ed inviai a quel numero un messaggio chiedendo di poterlo contattare. “Ciao sono Beppe Gaudino aspetto una tua chiamata” 30/12/2013 09.16.22 – una risposta sollecita e piena di evidente disponibilità. Nel giro di pochi minuti abbiamo poi affrontato i temi che ci interessavano (gli esordi, le passioni, le prospettive) e fermato la data dell’evento nel primo giorno di primavera, il 21 marzo, come sempre un venerdì, alle ore 17.30. e, poi, con gli auguri per il nuovo anno che stava arrivando ci siamo detti che non c’era furia per i “particolari” e che ci saremmo presto risentiti. Lo abbiamo fatto un paio di volte per telefono e con Skype per affinare le tematiche da trattare; mi ha inviato ampi materiali ed in particolare un curriculum molto articolato ed alcuni filmati. Poiché l’iniziativa tratta degli esordi nei dialoghi telfonici ci siamo voluti soffermare su questi, sapendo peraltro che il percorso produttivo e realizzativo del suo primo lungometraggio (“Giro di lune…”) è stato lungo e faticoso. Molta parte della produzione iniziale è stata intimamente legata alla terra flegrea da cui entrambi originiamo ed in essa si inseriscono le ragioni della scelta di temi classici e storici e quelli del “mito” mescolata alla profonda volontà che si eviti l’oblio sia di vicende arcaiche sia della storia più recente soprattutto quella relativa alla “diaspora” del Rione Terra dopo gli eventi del 1970 ( vedi articoli sullo stesso tema – corredati da video – e da me scritti il 9 giugno http://www.politicsblog.it/?p=350 ed il 10 giugno u.s. http://www.politicsblog.it/?p=361) . Oltre a “Giro di lune…” di cui abbiamo parlato (http://www.maddaluno.eu/?p=406) il 22 luglio, grande successo è arriso al film “Calcinacci” premiato in vari Festival e vincitore di un premio di prima grandezza a Cinema Giovani di Torino nel 1990; “Calcinacci” recupera altre storie del “dopo bradisisma” del “dopo diaspora” dell’”abbandono” cui il Rione Terra è stato fatto segno per oltre venti anni. A Pozzuoli questi due film (insieme ad altri suoi che trattano questi temi) sono stati spesso proiettati, anche se Beppe comunque – e giustamente – rileva che non sono molti, al di fuori delle cerchie “colte” , i puteolani ad averli realmente visti. I temi trattati partono da una visione locale ma vanno a “pescare” nelle fondamenta archetipiche della Storia di Dicearchia (il nome che i profughi da Samo diedero più di due millenni e mezzo fa alla terra che poi i Romani chiamarono Puteoli e che oggi si chiama Pozzuoli) e si collegano alle “diaspore” antiche e recenti cui la Storia non ci ha mai purtroppo negato di dover assistere. “Giro di lune…” è un film ricchissimo di rimandi mitologici e storici; c’è la Sibilla Cumana, Agrippina e Nerone, Artema e Gennaro, protomartiri, Maria puteolana, guerriera citata da Petrarca, detta anche “la Pazza”. E c’è la storia di una famiglia di pescatori, i Gioia, che ci ricorda lontanamente i Malavoglia (soprattutto il ruolo e la funzione delle donne), che si trovano a subire il dramma del bradisismo sia sulla terra che sul mare all’inizio degli anni Settanta, poco prima e durante la fase dello sgombero “forzato” di cui parla anche Enzo Neri nell’articolo sul Duomo di Pozzuoli pubblicato il 25 luglio u.s. (http://www.maddaluno.eu/?p=433).
Ad ogni modo mi dispiacerebbe dover ripresentare gli stessi film ad un pubblico che forse li ha già veduti. E con Beppe condividiamo questa perplessità, anche se lui mi chiede di organizzare una sua personale più in là dove far vedere tutto quanto possibile. Lui intanto mi ha inviato anche un film più recente del quale parlerò diffusamente in altro post, “Per questi stretti morire” del 2010, e decidiamo di puntare esclusivamente su questo per il 21 marzo. Nei colloqui telefonici intanto ci soffermiamo sui nostri “amori”, sulle passioni che ci hanno fatto crescere e Beppe accenna a Rossellini, a Pasolini e ad Amelio con cui ha più volte lavorato ed al quale ha dedicato nel 1992 anche un documentarioritratto dal titolo “Joannis Amelii animula vagula blandula” girato sul set del film “Il ladro di bambini” dove Gaudino ha agito da scenografo (“La scenografia – dice Beppe – è una forma di narrazione diretta” ed è uno dei suoi principali ed irrinunciabili punti fermi per il suo lavoro). A questi autori italiani egli si ispira in particolare per lo “sguardo etico” che rivolgono verso la realtà. Fra gli autori stranieri aggiunge Elia Kazan e John Cassavetes, oltre ad Andrei Tarkovskij ed il suo “Andrei Rublev” che a me ricorda peraltro le origini culturali di Gaudino, legate sommamente al mondo dell’Arte (il Diploma all’Accademia di Belle Arti e la predilezione per la Scenografia, di cui si diceva appena più sopra). Guardando il film di cui parlerò nel prossimo post ho aggiunto anche altri grandi autori contemporanei che sono, a mio parere, riferibili allo stile di Giuseppe Mario Gaudino.

I CARE – GLI ESAMI (di Stato) NON FINISCONO MAI…DI SORPRENDERE

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Gli Esami (di Stato) non finiscono mai…di sorprendere. L’ho già scritto; mi mancherebbe di scriverlo sui muri. Eh già! a proposito di “scrivere sui muri” voglio raccontarvi una Storia che, mettendo da parte una mia lieve punta d’orgoglio come docente, vale la pena divulgare. Alcuni anni fa, circa otto (non sono preciso e me ne dolgo ma l’exemplum è ugualmente utile come tale), al ritorno dalle vacanze estive entrando nel cortile della mia scuola (l’Istituto Tecnico Commerciale “Paolo Dagomari” di Prato) non posso non notare che sul pilastro dell’arcata destra vi è un’ampia scritta in corsivo fatta con uno spray, “I care – mi interessa”. Non so quanti l’abbiano notata perché, intanto, non ci sono ancora gli studenti (siamo alla fine di agosto e dobbiamo preparare gli “esamini” di recupero); sono sorpreso negativamente dalla imbrattatura della parete ma positivamente dalla scelta del tema trattato che è fondamentalmente pedagogico ed attinente al ruolo educativo che l’Istituzione deve proporsi di rappresentare. Ci si trova di fronte, dunque ad un “paradosso”: andrebbe ricercato il colpevole per redarguirlo e subito dopo lodarlo. Ne parlo con il Preside (a quei tempi era il prof. Stefano Papini) e concordiamo di “sopravvalutare” l’azione che consideriamo comunque negativa dato che per poterla realizzare chi l’ha prodotta ha dovuto scavalcare nel periodo estivo il cancello compiendo un’azione riprovevole e pericolosa (in quel periodo non erano ancora state installate le telecamere esterne per la sorveglianza). Perché “sopravvalutare”? Il Preside propone di incrementare la scritta con una nuvoletta che la contenga ed un’aggiunta in fondo con il riferimento di don Lorenzo Milani. Trovo la soluzione ottimale e condivisibile perfettamente in linea con lo stile di educatore che Stefano rappresenta e collegata anche alle mie personali idee inclusive ed aperte alla “multimedialità” artistica (in fondo quella scritta è davvero un’”opera d’arte” ed un’ammissione civica di altissimo livello!). Mi rimane una curiosità immensa: chi ne è stato l’autore?
Quell’anno avevo portato agli Esami di stato una classe fra quelle che ricordo con maggiore piacere. Avevano lavorato con me nell’elaborazione delle tesine ed una delle allieve che mi aveva dato maggiore soddisfazione aveva voluto lavorare su don Milani. Quando sono arrivato a Prato nel 1982 conoscevo già don Milani da uno dei libri che era stato “guida” dei giovani degli anni Settanta dopo il Sessantotto, soprattutto dei giovani che si avviavano come me ad un impegno “civile” nella Scuola come docenti innovatori. Parlo di “Lettera ad una professoressa” con le cui idee espresse dai “ragazzi di Barbiana” ci eravamo confrontati negli anni di Feltre (dal 1975 al 1982 ero stato ad insegnare all’Istituto “Rizzarda” di quella cittadina) con le 150 ore (da me praticate come “esterno” in una Scuola Media – “Rocca” se non sbaglio!) e nella pratica politica del PCI e del Sindacato CGIL Scuola. Era una sorta di Vangelo o di “libretto rosso” (mi scuso per la blasfemia del tutto volontaria) dal quale attingevamo idee non solo per accoglierle ma anche per confutarle e discuterle animatamente come abitualmente facevamo con le Tesi dei vari Congressi politici e sindacali. A Prato quindi non ero digiuno ed ho fatto subito amicizia con alcuni dei protagonisti diretti ed indiretti di quegli anni: andando e tornando fra Prato ed Empoli avevo incontrato Franco Neri, che è stato allievo al “Cicognini” di Prato del prof. Agostino Ammannati (uno degli amici più cari di don Lorenzo sin dai tempi della sua presenza a Calenzano) e che è adesso il Direttore della grande Biblioteca Comunale di Prato. Avevo avuto modo di parlare in seguito con Edoardo Martinelli, uno degli ultimi allievi di don Lorenzo; avevo conosciuto più tardi ancora Michele Gesualdi che era stato uno dei punti di riferimento soprattutto nell’ultimo anno di vita di don Lorenzo, il 1967. E mi ero recato sia a Calenzano a trovare i compagni di don Milani nella sua prima esperienza di coadiutore a San Donato dove elaborò le sue “Esperienze pastorali” ed avviò una scuola per operai sia a Barbiana, dove era stato relegato come prete pericoloso dalla Curia di Firenze, e dove egli istituì la “Scuola” che è stata punto di riferimento di tanti di noi educatori. Con tutto questo “bagaglio” acquisito potevo dunque accompagnare la mia allieva su alcune delle strade che avevo percorso. Lo feci ed i risultati furono sorprendenti. Eh sì, anche perché, incontrandola qualche mese dopo la “sorpresa” della scritta, gliene accennai. Diventò paonazza per la vergogna anche se l’accenno non aveva alcun elemento di rimbrotto verso chicchessia…e mi rivelò di esserne l’autrice.

In conclusione intendo rilevare che la scritta sulla parete destra esterna della copertura nell’ingresso del “Dagomari” è stata fatta coprire dall’attuale Dirigente!

reloaded – PRATO UN CASO DI “ANALFABETISMO” INDUSTRIALE DI RITORNO

prato

Ciminiere

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PRATO UN CASO DI “ANALFABETISMO” INDUSTRIALE DI RITORNO?
Posted on 31 maggio 2014 by Giuseppe Maddaluno

Prato e le ciminiere

“Un blog non può neanche lontanamente risolvere i problemi ma può denunciarli annunciarli ed avviare una ricognizione, suscitando attenzione e dibattito”

Fra le conseguenze negative della globalizzazione dei “mercati” e delle persone vi è stato di certo in contemporanea un degrado del livello di alfabetizzazione e di preparazione professionale, di acculturamento parallelo rispetto alle trasformazioni economiche e sociali che il mondo, soprattutto quello finanziario globale, stava subendo. A Prato l’imprenditoria piccola e media (ma in qualche caso anche quella medio-grande) non era stata costruita su una solida preparazione culturale ma piuttosto su una “praticità” istintiva che pure aveva prodotto eccellenze, destinate tuttavia a non reggere il passo sia per il susseguirsi di generazioni non sempre ben disposte ad una vita fatta soprattutto di sacrifici sia per il sopraggiungere di tecnologie innovative e mutamenti epocali nelle abitudini e nei consumi. Di fronte al tempo che scorre il mondo cambia e noi non sempre ce ne rendiamo conto.
La crisi del “tessile” a Prato è stata più volte annunciata ma poi in più occasioni con formule provvisorie è stata considerata come superata; ma non si è voluto riconoscere che il problema più importante era di tipo “culturale”, intendendo con questo termine la capacità complessiva di conoscere le trasformazioni ampie in atto. Ed è anche per questo che non si è percepita, forse non si è voluto, forse non si è riusciti a, percepire la cosiddetta “invasione” cinese nei suoi connotati “positivi”. Questa sottovalutazione dal punto di vista “politico” è stata “generale”, con qualche limitata eccezione, generando sia una forma di accoglienza umanitaria di tipo “cristiano” sia – dall’altra parte – un rifiuto categorico di stampo razzistico con in mezzo un atteggiamento ambiguo del tipo “non sono razzista, ma….” che si collocava in ogni caso in un’area culturalmente e socialmente assai modesta.
Se non si comprende questo punto di partenza non si è in grado di fornire alcuna soluzione al fenomeno che da un paio di decenni sta travagliando la società pratese e mettendo in crisi profonda la parte imprenditoriale “tessile”, non di certo quella immobiliarista, né quella commerciale che, grazie alla comunità cinese, ha visto, se non elevare, reggere i propri guadagni: se il mercato immobiliare è crollato meno che altrove lo si deve alla presenza straniera; se alcuni supermercati (vedi la PAM di via Pistoiese) reggono è per lo stesso motivo; se alcune concessionarie non hanno chiuso i battenti è perché hanno i migliori clienti fra la comunità cinese. Ad ogni modo il ”degrado” del territorio è direttamente collegato al degrado che la società “pratese” (quella fatta da “pratesi” doc o non doc poco importa) ha evidenziato negli ultimi ventitrenta anni e di ciò è indubbiamente colpevole la classe politica così come quella imprenditoriale e così anche l’intellighentia che non ha saputo interpretare i mutamenti e, laddove li ha riscontrati, poco ha fatto per divulgarli e chiedere alle diverse istituzioni azioni precise e decise per affrontarne le conseguenze. Ognuno ha pensato a rincorrere i propri vantaggi, le proprie rendite di posizione: politici, imprenditori, intellettuali, quelli che avrebbero potuto e non hanno agito, tanti di quelli che oggi ancora sopravvivono a se stessi, complice il vento di rinnovamento ipocrita che sta investendo la nostra società. Non sarà facile modificare quello che oggi vediamo, per cui ne traggono vantaggio “politico” – in netta e chiara malafede – coloro che spingono a scelte estreme come i blitz hollywoodiani con grande utilizzo di mezzi e di uomini, coloro che urlano in modo insensato che “devono andare tutti via” o che “ci hanno portato e ci portano via il lavoro”, coloro che parlano più alla pancia che alle menti. Ed allora mi vengono in mente due film particolarmente significativi anche se non si tratta di “capolavori”; il primo è già chiaro dal titolo: “Un giorno senza messicani”. Eh già, meno male che si tratta di un solo “giorno”, anche perché i poveri americani non ne saprebbero fare a meno, visto che i messicani svolgono in quella città al confine fra gli States ed il Messico lavori molto umili ma altrettanto utili; eppure di questi messicani si dicono le cose peggiori fin quando non ci si rende conto della loro “utilità” fino ad allora mai riconosciuta. L’altro film è “La macchina ammazzacattivi” (1959) di Roberto Rossellini, una sorta di “favola dark nostrana” e lo utilizzo semplicemente per suggerire un sistema risolutivo per eliminare tutti quelli che non ci piacciono, quelli che anche temporaneamente ci disturbano, che sono colpevoli di qualcosa che non riusciamo nemmeno a spiegarci: lo hanno fatto anche in passato, ad esempio, con gli Ebrei, con i disabili, con i rom, con gli omosessuali, con gli oppositori. Che dite? Ci si vuole provare ancora una volta? Forse una sparizione “temporanea” – ma non di un solo giorno – potrebbe servire a togliere il velo che copre il preesistente “degrado” di cui non si vuole essere consapevoli per non assumersene in quota parte le profonde e fondamentali responsabilità.
Noi non pensiamo tuttavia di poter proporre soluzioni ma non vogliamo rinunciare a leggere, studiare, approfondire la realtà che ci circonda sapendo anche che lo facciamo in modo parziale e gravato da forme di ideologismi che si sono andati accumulando nel tempo e che difficilmente potremmo superare senza un “reset” impossibile per ora nel cervello umano. Ad ogni modo è del tutto evidente che il nostro Paese, e con esso la città di cui abbiamo parlato, evidenzia un’arretratezza “culturale” che la sua Storia non merita, anche se tale “gap” è inscritto nella sua Storia. Ne sono prove certe le difficoltà del settore dell’istruzione che ormai non forma più adeguati “quadri” dirigenti e professionisti: i migliori studenti, al termine del loro percorso formativo, frustrati da una costante sottovalutazione del “merito” e da una sopravvalutazione di ben altre doti non sempre significative dal punto di vista delle relative competenze, trovano il loro spazio vitale in altri Paesi, dai quali difficilmente tornano: è questo da anni il vero drammatico “spread” che inficia l’ingente impiego di risorse a fondo perduto. I dati sono di un’evidenza assoluta anche per il settore del Turismo nel quale il nostro Paese potrebbe eccellere, “dovrebbe” eccellere. Ne parleremo ancora in uno dei prossimi interventi.

Giuseppe Maddaluno

DOPO GLI “ESAMI DI STATO” – “MORTE AGLI ITALIANI – IL MASSACRO DI AIGUES-MORTES”

 

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Morte agli italiani 2

 

“MORTE AGLI ITALIANI – IL MASSACRO DI AIGUES MORTES” di Enzo Barnabà

In quel falso “reloaded” de “Gli Esami (di Stato) non finiscono mai” che ho pubblicato qualche giorno fa annunciavo nuovi post nei quali sottolineare alcuni elementi che hanno agito da stimolo, durante l’ultima sessione di Esami, riportando alla mia attenzione alcune passioni ed alcuni temi che ho avuto modo di trattare sia come docente che come organizzatore di eventi in tutti questi anni. Accennerò oggi all’incontro con uno degli allievi del Liceo Classico “Cicognini” di via Baldanzi ed in particolare con alcuni aspetti che appartengono alla sua Storia ed all’elaborazione che, ispirata anche da questa, ha prodotto la sua ricerca presentata al colloquio d’Esame. Niccolò Lair ha voluto evidenziare le sue radici “provenzali” in un lavoro sui temi dell’immigrazione (nel caso in esame,  dell’”emigrazione” italiana in Francia) recuperando un episodio drammatico che coinvolse alcuni italiani nella Provenza tirrenica, la “Camargue”, dove si trovano ancora oggi (ed è possibile visitarle anche da turisti) le saline di Aigues Mortes. La vicenda è narrata con ampiezza di documentazione da un docente di Lingua e Letteratura Francese, originario di Valguarnera Caropepe in provincia di Enna, ma anche inguaribile giramondo (ha svolto compiti di Addetto culturale in varie ambasciate), Enzo Barnabà. Enzo è mio personale amico dai tempi (anni Settanta) in cui ero a Feltre (operavamo entrambi nel Sindacato Scuola della CGIL, lui da Segretario Provinciale io da delegato locale) ed è tornato a trovarmi a Prato dopo poco meno di trenta anni proprio in occasione della presentazione del libro “Morte agli italiani – Il massacro di Aigues-Mortes”. Aveva già scritto altri libri in questi anni ed avevo avuto modo di seguirlo (in particolare ricordo quello relativo a “I Fasci siciliani a Valguarnera” del 1981 e l’altro più recente “Dietro il Sahara. Africa nera tra mondo magico e modernità (I giardini di Pogo)” che riporta la sua esperienza di insegnante addetto culturale in Costa d’Avorio. L’edizione di “Morte agli italiani” che posseggo è quella del 2001 e porta la prefazione del prof. Alessandro Natta “illuminista, giacobino e comunista” (pen)ultimo segretario del PCI: è stata poi preparata una ulteriore edizione nel 2009 con la prefazione di Gian Antonio Stella, mantenendo il contributo di Natta sotto forma di Introduzione. La vicenda narrata (che si riferisce ad eventi storici ed è corredata da ampie documentazioni) è emblematica se posta in riferimento ad alcune particolari situazioni contemporanee (penso ai fatti recenti di Castelvolturno ed a quelli di Rosarno del 2010). Il culmine di questi eventi fu il massacro che si compì il 17 agosto 1893 nel quale furono uccisi da una folla inferocita nove operai italiani. Ad Aigues-Mortes veniva lavorato il sale e soltanto nel mese di agosto occorrevano lavoratori temporanei per le ultime fasi, dette di battage e di levage, che debbono essere svolte velocemente per evitare che la pioggia vanifichi tutto il lavoro pregresso. Nella zona le attività produttive principali erano la pesca e la viticoltura, che in quegli ultimi anni per diversi motivi erano in forte crisi e la consuetudine di ricorrere per la frantumazione (battage) ed il trasporto finale (levage) del sale a manodopera straniera, in particolar modo italiana, anche in quel 1893 veniva confermata. Come troppe volte accade anche ai nostri giorni sembra che ad alcuni lavoratori locali che si erano presentati per chiedere lavoro fosse stato risposto che non potevano essere assunti perché si aspettavano degli italiani; inoltre c’erano rancori sopiti relativi ad una rivalità costante che risiedeva nella convinzione che i lavoratori italiani fossero più produttivi di quelli francesi e, quindi, volavano insulti e rimproveri da una parte e dall’altra che trovarono il culmine in quelle giornate d’agosto del 1893. Il libro di Barnabà, a partire dalla Prefazione di Natta, documenta in modo storico impeccabile tutta la vicenda con un ampio corollario di testi distribuiti e riportati nelle Note finali ma anche a piè di pagina sotto ai vari capitoli. La Bibliografia in modo innovativo è anticipata rispetto alla stessa Prefazione ed è suddivisa fra testi in italiano e testi in francese. Barnabà analizza poi i fatti di Aigues-Mortes partendo dal contesto storico in Francia ed in Italia analizzando le varie posizioni politiche. Interessante è l’analisi che svolge sulla “psicosi dell’invasione” che ci richiama all’attualità. Il libro si sofferma poi sulle cause degli eventi dell’agosto 1893 e sulle conseguenze (le reazioni della stampa francese – gli stereotipi sull’Italia e gli italiani – le ripercussioni sulla politica interna italiana e sulle relazioni tra i due paesi) analizzando in conclusione anche la posizione che ebbero i partiti socialisti italiano e francese.
In conclusione, oltre a sollecitare i lettori del Blog alla lettura del libro di Enzo Barnabà voglio riportare parte della Prefazione di Gian Antonio Stella all’Edizione del 2009 “Il libro… è una boccata d’ossigeno. Perché solo ricordando che siamo stati un popolo di emigranti vittime di odio razzista…si può evitare che oggi, domani o dopodomani si ripetano altre cacce all’uomo. Mai più Aigues-Mortes. Mai più”. Purtroppo sappiamo, vivendo nel 2014, che non è stato così!
Qui termina questo “post” ma nel prossimo parlerò di un altro argomento “culturale” che l’allievo Niccolò Lair mi ha sollecitato a trattare.
Guardate il video e ditemi se non provate, come il sottoscritto, invidia per Enzo Barnabà che vive a Grimaldi di Ventimiglia a pochissime centinaia di metri dal confine con la Francia, uno dei luoghi più incantevoli del mondo.

AMORI…E ALTRO – LEZIONI DI CINEMA (1992)

AMORI… E ALTRO – LEZIONI DI CINEMA (1992)
Estate del 1992. Sono a Forlì in un caldo giugno impegnato in Esami di Maturità come Commissario esterno di Italiano e Storia. Campionato di calcio europeo senza l’Italia. La famiglia è a Riccione in una residenza che chiamiamo “casetta Ariosa”. Di mattina mi sveglio presto e prendo il treno; con me ho una borsa capiente per i documenti ed un piccolo registratore portatile con alcuni nastri musicali. Ho stretto un impegno, con il Comune di Prato, che ho chiamato “Laboratorio dell’Immagine” e da alcuni anni ho prodotto materiali audiovisivi coinvolgendo gli studenti di alcuni Istituti medi superiori nell’ideazione, scrittura e realizzazione di video; ne abbiamo prodotti già tre: “Capelli”, “L’ultimo sigaro” e “I giorni e le notti – parte prima”. Con gli studenti abbiamo discusso anche quest’anno, dopo una parte teorica, ma non sono venute idee particolarmente brillanti; tuttavia da parte dell’Assessorato alla Cultura, che si occupa anche dell’Educazione per gli Adulti, è venuta una sollecitazione a collegare l’impegno produttivo del Laboratorio a quel settore. A maggio mi è stato dunque chiesto di lavorare su dei prodotti che pubblicizzino i Corsi di Educazione degli Adulti che il Comune sta attivando per l’anno scolastico 9293 ed è logico che debbano essere preparati ed approntati per settembre. Ma non c’è nulla di pronto e, dunque, devo pensare a cosa proporre. Ho in mente qualcosa che si colleghi ai miei amori…cinematografici; penso in particolare a Francois Truffaut e ad uno dei suoi film, “L’uomo che amava le donne”.

 

Truffaut

 

 

E’ un film del 1977, nel quale un ingegnere di Montpellier è attratto dalle donne, in particolar modo dalle loro gambe. “Le gambe delle donne sono dei compassi che misurano il globo terrestre in tutte le direzioni, donandogli il suo equilibrio e la sua armonia.” dice e poi: “Per me non vi è nulla di più bello che guardare una donna mentre cammina purché sia vestita con un abito o con una gonna che si muova al ritmo del suo passo”. Ecco: il ritmo! Immaginavo infatti due giovani, seduti sugli scalini del Duomo di Prato mentre fumano e bevono qualcosa che loro aggrada, nell’atto di osservare seguendole, accompagnati da una musica che arrivi a loro attraverso un auricolare, gambe di donne che circolano davanti ai loro occhi. Una battuta potrebbe suonare così chiudendo lo spot: “Voi, non fate come loro, non indugiate: iscrivetevi ai Corsi di Educazione degli Adulti organizzati dal Comune di Prato”. L’idea c’è, un invito a non perdere tempo, a non bighellonare; manca la musica adatta. Sono sempre stato maniacalmente portato a scegliere musiche “speciali” per i video che ho prodotto. E non è affatto il caso di smentirmi: e dunque ascolto di continuo musiche, le ascolto e le riascolto, soprattutto nei tempi morti; soprattutto quando mi tocca attendere i treni, notoriamente non sempre puntuali. Ed allora, mentre osservo varie gambe femminili nel loro movimento inserisco “varie” colonne sonore che aspirano a diventare “la colonna sonora” di quello spot che ho immaginato. “It’s a jungle out there” cantata da Bonnie Tyler è la prescelta. Provate anche voi ad ascoltarla mentre osservate gambe di donne che si muovono davanti ai vostri occhi e fatemi sapere se siete d’accordo. Il video funziona; così come funzionano gli altri spot per i quali penso di utilizzare musiche meno ricercate. In uno coinvolgerò alcuni studenti del corso serale dell’Istituto “Dagomari” (a quel tempo era ancora in viale Borgovalsugana 63); in questo caso il messaggio partirà da una realtà positiva: i protagonisti hanno già scelto e bisogna fare “come loro”! In un altro spot protagonista è una casalinga annoiata che trascorre il suo tempo bevendo alcoolici mentre in poltrona con un telecomando nervosamente fà zapping fra programmi televisivi di scarso valore: in questo caso siamo tornati ad un punto di partenza “negativo” e ad un invito in “positivo” a non ingaglioffirsi davanti alla tv. Il quarto spot si svolge in una realtà bucolica un po’ paradossale; i protagonisti sono galline e pulcini cui sovrintende un gallo sotto l’occhio stanco di un cane da caccia affacciato alla sua cuccia. Il tutto avviene in un vecchio cascinale storico ed il messaggio parte dalla consapevolezza che “loro” (gli animali) non potranno iscriversi ai corsi ma, ed ecco il gallo che “canta”, è il momento di darsi una mossa per tutti gli altri. Gli spot sono dunque pronti nella loro ideazione; occorre realizzarli. Lo farò fra luglio, al ritorno dagli Esami, e agosto con i pochi allievi disponibili. Ma spero che siano un successo. Era l’estate del 1992.

reloaded – MA COSA E’ QUESTO AMORE

Federica NeriniPoveri in riva al mare

“L’AMORE AI TEMPI DELLA GENERAZIONE 2.0”
di Federica Nerini

“Poveri in riva al mare” è uno dei quadri più comunicativi ed immediati, riguardante il periodo “blu” del pittore catalano: Pablo Picasso. L’incomunicabilità e la staticità dei componenti della famiglia sono l’emblema dell’incomprensione, che sta attraversando la nostra Società odierna. Solo una parola bisogna annotare in fretta, dopo averla dipinta sopra i muri e i tetti delle case: “immobilismo”. Solitudine, chiusura, melanconia, dolore, disperazione, angoscia, terrore, paura e inettitudine: questo è lo spettro inquietante, che si proietta verso il nostro futuro. Insicuri difronte ai giorni venturi; indifesi nei confronti di un presente cupo, spento, senza sogno, fantasia e aspettativa. Noi siamo tutti inermi come foglie semi-morte, che saranno gettate al suolo, aspettando il primo maestrale.
Tra tutti i sentimenti, quello che deve essere difeso con la stessa foga del cavaliere, che salva la principessa su una torre infuocata è: l’ “amore”. L’amore non è un’arte, ma è una condizione intensa di perdizione dell’apparato sensoriale, una destabilizzazione del sistema razionale, un’estasi mistica generata da situazioni non-programmate, uno stato di incoscienza psichico, una migrazione dell’anima personale, una totale donazione estranea, e un piacere infinitamente desiderato in tutto l’arco della vita. L’”a-mors” è ciò che ci fa sentire “vivi”, ma anche “morti” allo stesso tempo; è ciò che ci fa disperare come i bambini piangenti, quando non vengono più coccolati e adorati, perché ogni uomo ha il bisogno e il diritto di essere amato, almeno una volta nella propria esistenza.
L’essere umano è consapevole di se stesso, della propria persona, della brevità della vita, del senso di vuotezza del nulla, del vivere senza averlo voluto, e sa che prima o poi, come in un sogno tutto questo finirà. Quindi la “brevitas” temporale è troppo incessante per vivere la vita da soli, così cerchiamo l’altro per pura necessità e mero istinto narcisistico. Siamo reattivi solo per sconfiggere la solitudine, una delle condizioni più brutte ed imperdonabili che l’anima deve sopportare. “Solo un Dio ci può salvare”, non abbiamo più forza per sopravvivere ormai. Ci lasciamo sopraffare dal vento, che diventerà freddo e ci distruggerà pian piano. Quest’ è l’amore: lasciarsi attraversare incondizionatamente, perché noi siamo deboli di fronte all’immensità della sua vastezza.
“Il conoscersi” è alla base del sentimento umano dell’amore: noi pensiamo di essere liberi, di vivere svolgendo azioni che appartengono alla nostra persona, mentre agiamo secondo cuore, inconscio e irrazionalità. Dobbiamo quindi sovrastare le barriere invalicabili dell’isolamento e fonderci simbioticamente con l’altra istanza appartenente alla coppia amorosa, solo per l’illusione di gioire affogando nel piacere di un attimo fugace. Ma allora se l’amore genera felicità e piacere, perché la maggior parte delle coppie combatte contro l’infelicità e la menzogna? Perché poche storie d’amore si basano sulla fedeltà e il rispetto? E perché si parla sempre di sogno d’amore e mai di realtà? Sfido chiunque a rispondere senza sfiorare la paranoia.
L’amore è uno dei più alti sentimenti cristiani, e alla base di tutto c’è un verbo: “dare”. Cosa significa dare? Lo psicanalista Erich Fromm, nel suo libro “L’Arte di Amare” a tal riguardo scrive: “La risposta sembra semplice, ma in realtà è piena di ambiguità e di complicazioni. Il malinteso più comune è che dare significhi «cedere» qualcosa, essere privati, sacrificare […] Dare è la più alta espressione di potenza. Nello stesso atto del dare, io provo la mia forza, la mia ricchezza, il mio potere. Questa sensazione di vitalità e di potenza mi dà gioia. Mi sento traboccante di vita e di felicità. Dare dà più gioia che ricevere, non perché è privazione, ma perché in quell’atto io mi sento vivo”.
“Amare” per sentirsi “vivi”, questo è il terreno fertile su cui costruire il futuro, magari dando tutto ciò che di vivo si ha in corpo, solo così possiamo raggiungere la splendente felicità. Ma allora c’è speranza di ristabilire e di ricostruire il sentimento amoroso, cercando di crederci come abbiamo fatto in passato? Spero di sì, perché gli uomini solitari devono gioire prima o poi. Tutti, in un modo o nell’altro, aspettano insistentemente di essere abbracciati ed amati. D’altronde, parafrasando Lucio Dalla: “A modo mio avrei bisogno di carezze anch’io”…

LEZIONI DI CINEMA 6

Famiglia Ruocco Retaggio Maddaluno
Cosa significa “lezioni” nel titolo di questa raccolta di momenti diversi che in questi anni si sono susseguiti davanti a me e che hanno contribuito a farmi essere quello che sono, con tutti i limiti che posseggo e che spesso caratterizzano il mio lavoro più di quanto non lo riescano a fare i pregi?
Con il termine “lezioni” ho voluto asserire il mio ruolo di acquisitore più che quello di venditore di cultura; le “lezioni” di cui parlerò sono infatti quelle che mi hanno formato nel corso degli anni anche quando ero io a proporre, ad organizzare momenti diversi nella società, nella cultura, nella politica, nel sindacato. Le “lezioni” dunque non sono quelle che ho impartito nel corso di questi anni ai miei allievi oppure ai cittadini, quando ho dovuto svolgere il ruolo, con grande fatica, di relatore o di professore, ma sono quelle che mi hanno regalato i grandi autori del cinema attraverso i loro capolavori oppure i grandi esperti e critici dell’arte cinematografica oppure gli artisti, i grandi interpreti del cinema, oppure ancora alcuni giovani che appassionandosi al cinema mi stimolavano ad operare insieme a loro su alcuni argomenti, oppure ancora altri giovani che mi hanno insegnato a realizzare cinema pensando di poterlo imparare da me.

LEZIONI DI CINEMA 6

Nel buio della sera si attraversavano alcuni stretti sentieri fra i campi per raggiungere una casa che si trovava proprio al di sopra del cimitero, l’unico cimitero di Procida, che affaccia sulla spiaggia detta del Pozzo Vecchio, la spiaggia che è poi stata “location” de “Il Postino” ultimo film di Massimo Troisi. Se devo parlare di un vero e proprio primo amore o forse di un primo vero e proprio capriccio d’amore è lì infatti che è nato, si è evoluto ed è finito. Nelle “controre” accaldate da ragazzini nel tentativo di dormire a terra nella sala da pranzo, sopra delle lenzuola e dei cuscini appoggiati si parlava e si scherzava, ma difficilmente si riusciva a dormire. Ed in una di queste occasioni, oltre a raccontarci le solite inutili banalità, avevo provato un profondo duraturo eccitamento assolutamente irrisolto e per me in quel momento incomprensibile. “Tardivo” come molti maschi e forse del tutto sorpreso da quanto stava accadendo (ma l’ho capito soltanto qualche giorno dopo) non fui in grado di aggiungere nulla.
Quando la televisione non c’era, nei pomeriggi assolati delle caldi estati, si dormiva sul mezzanino al quale si accedeva attraverso una scala di legno con pioli molto larghi ed in questo luogo assolutamente magico ed unico nella storia della mia infanzia e della mia adolescenza a volte si svolgevano anche lavori particolari ai quali eravamo invitati a partecipare, come allargare la lana dei materassi e dei cuscini. Se nel mio ricordo sono indelebili i tuffi dall’alto dei letti nei morbidi ciuffetti di lana già lavorata vuol dire che il mio peso era minimo e che anche l’età era giovanissima. Ma quello che più ricordo è la narrazione della storia di “Pinocchio” fatta da mia zia, un racconto avvincente che serviva a tenere in quel piccolo spazio tutti i nipoti non di certo per farci lavorare, perché più che altro con i nostri giochi, i nostri scherzi, i nostri tuffi non facevamo altro che intralciare il lavoro dei grandi.
Quando non c’erano lavori quasi sempre si riposava e si sognava e si preparava il nostro futuro, quello immediato e quello lontano ma eravamo tutti ancora veri e propri bambini. Una delle cose che mi piaceva era aprire la porticina del mezzanino e verso sera guardare il mare solcato da qualche nave, con la scia che permaneva e la mia immaginazione che andava alle onde di risacca che sarebbero arrivate al Pozzo Vecchio oppure a Ciraccio. A volte riuscivo a scappare e correvo correvo fra i sentieri per andare verso il mare: la conoscevo a memoria, non avevo bisogno di guardare dove mettevo i piedi nudi, fra i sassi, la polvere ed i ciottoli del basolato, attraversando i campi e correndo sulla stradina “principale”, passando poi davanti all’ingresso del cimitero ed imboccando l’ultima discesa verso il mare, ed era un piacere arrivare sulla piccola e corta spiaggia del Pozzo Vecchio dove di sera prima che scendesse il buio non c’era più nessuno. Bagnarsi i piedi e tuffarsi per un breve bagno e sentirsi al centro della vita e del mondo ascoltando solo il mare e lo stridio dei gabbiani e delle rondini marine sempre particolarmente attive in quella fase dell’anno: era questo il mio piacere di allora. E non comprendevo i più grandi che si affacciavano dall’alto della rupe a picco sulla spiaggia, lontani dalle onde del mare ad osservare inosservati gli innamorati che a volte si appartavano forse convinti anche di godere di una privacy assoluta in qualche angolo della spiaggia in un inconsapevole quasi sempre esibizionismo: a volte c’era anche chi praticava il nudo integrale per una completa abbronzatura ed allora si radunava dall’alto una folla di morbosi curiosi.
Ed in alcuni pomeriggi c’erano anche le “partite” di calcetto: sulla sabbia, lo si sa, ci vogliono tecniche speciali – occorre giocare “di prima” – ed io le avevo acquisite, mentre avevo difficoltà a giocare sui prati normali dei campi da gioco. In una di queste occasioni per l’appunto pomeridiane (al mattino la spiaggia, un po’ corta nella sua profondità, era facilmente affollata dappertutto) nel ripulirmi dalla sabbia dopo una giocata mi feci un taglio, non ho mai capito con che cosa, al piede destro e fui costretto ad andare da solo sanguinante a piedi al “pronto soccorso” che era rappresentato negli anni Sessanta da un piccolo presidio subito dopo la chiesa di San Giacomo in via Vittorio Emanuele. A piedi perdendo sangue per circa cinquecento metri su una strada polverosa dalla quale in quel tardo pomeriggio non transitò anima viva e poi – fosse passato qualcuno – sarebbe andato in direzione opposta alla mia. Al Pronto Soccorso trovai solo alcune infermiere (c’erano due cugine di mia madre) che ripulirono il piede, mi fecero l’antitetanica e, senza anestesia, mi cucirono la ferita con quattrocinque punti. Fu, quella, una prova da “grande” stoico; il dolore era lancinante, ma alla fine, saltellando, tornai a casa di una delle mie zie, quella più vicina, zia Nunziatina, che abitava alla Madonna della Libera…

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A COSTANTINO SGAMATO: BUON COMPLEANNO – LA PRIMA COSA BELLA A POZZUOLI 28 FEBBRAIO 2014

Facebook è prezioso. Oggi, 10 luglio, è il compleanno di Costantino Sgamato. E così insieme agli auguri di rito in questa occasione scriverò ancora una volta de “La prima cosa bella – Esordi d’autore” del 28 febbraio in Palazzo Toledo – Polo Culturale della città di Pozzuoli. Fin dal 22 giugno avevo anticipato, in una prima generale presentazione degli eventi realizzati quest’anno insieme a Mariateresa Moccia Di Fraia ed a Giuseppe Borrone, che avrei parlato in modo più specifico e diretto di Costantino Sgamato e della sua famiglia, interamente impegnata nella produzione di immagini e di eventi nella loro factory, la BrainHeart. Nelle tappe conoscitive di avvicinamento all’evento del 28 febbraio avevo concordato con Costantino di vederci nel pomeriggio del 26 a casa mia; per arrivarci mi è stato sempre difficile spiegarlo perché occorre conoscere la zona a ridosso della stazione del Metrò e, dunque, gli do appuntamento proprio sulla Piazza della Metropolitana. Arriva – con qualche minuto di ritardo – insieme ad una ragazza che poi saprò essere la sua sorella, Marina, giovanissima ma già molto esperta di Arte fotografica. Ho detto che la famiglia Sgamato è una delle espressioni culturali ed artistiche più straordinarie nel contesto flegreo partenopeo e l’ho già mostrato nei precedenti articoli, soprattutto quello dedicato ad Emma Cianchi (25 giugno) ed a Maria Di Razza (26 giugno), evidenziando come la realizzazione di “dOVesOnonata” della prima e di “Forbici” della seconda sia fortemente collegata alle intuizioni ed all’ingegno tecnologico-artistico di Costantino. A piedi ci rechiamo a casa mia dove fra un convenevole e l’altro di primo approccio preparo un tè alla meglio con dei cioccolattini e dei biscotti; ed è poi così che mentre sorseggiamo il tè Costantino mi parla della sua scuola e scopro che è stato anche allievo, al Liceo Classico, di uno fra i miei amici più cari di gioventù, un personaggio del quale forse dovrei più diffusamente trattare in uno dei prossimi miei post, Raffaele Adinolfi, docente di Latino e Greco, archeologo, poeta, scrittore ma soprattutto maestro di vita, purtroppo prematuramente scomparso circa sei anni fa. Mi parla della sua passione per la poesia, il suo primo vero amore (ed infatti se andate a curiosare in fondo all’articolo del 22 giugno ci troverete il suo primo video, “Mani”, ed ascolterete leggendoli, i versi di una delle sue poesie) e poi, insieme alla pittura, parla della scoperta della tecnologia digitale, della grafica e dell’animazione 2D e 3D. Da autodidatta, aiutato da alcuni corsi ai quali si iscrive ma di cui effettivamente non ha bisogno, si avvia a realizzare, all’interno di un autonomo percorso di sperimentazione visiva, produzioni varie che valorizzano la sua capacità di esprimersi attraverso le immagini e le colonne sonore. Gli amori e le passioni ideali e culturali che caratterizzano la sua produzione sono immediatamente percepibili già nella sua prima opera, “Mani”(siamo nel 2003 e Costantino ha da poco compiuto 20 anni, essendo nato nel 1982), di cui abbiamo prima accennato. Parliamo con lui della genesi della sua vocazione affrontando tematiche filosofiche e psicoanalitiche evidenziando, come ricerca di elementi universali, la necessità dell’Altro da Sé e l’impulso a riconoscere se stessi attraverso gli altri. Parliamo con lui dei suoi modelli e mi cita Kubrick (si chiede cosa abbia spinto Kubrick a cominciare il suo percorso creativo), Chaplin, Buster Keaton, ed anche Hitchcock, Bergman, Woody Allen e Fellini. Accenniamo ad alcune delle sue produzioni, soprattutto quelle che presenteremo il 28 febbraio. “Sanacolor”, un video curioso ritmato da una colonna sonora variopinta con immagini che richiamano a tratti le ambientazioni di una “Metropolis” partenopea (siamo a “Città della Scienza” nel 2011 prima dell’incendio che la devastò su un paesaggio lunare postindustriale con i relitti dell’ILVA di Bagnoli) con uno scienziato ( Caligari, Stranamore, Frankenstein, dottor K o Mabuse?) che ri-genera colori e corpi umano danzanti non minacciosi ma per l’appunto ri-generanti. Il gruppo che lo realizza è già il segno dell’ensemble che continuerà ad operare. Marco Sgamato interpreta lo scienziato, Marina è la fotografa di scena, Maria Di Razza fa la segretaria di edizione, le musiche di Stefano Tedesco, soggetto sceneggiatura montaggio ed effettistica sono di Costantino. Il video è uno spot per il concerto reunion di Almanegretta, Raiz, Lydrica e Foja il 4 giugno 2011. Un altro video è “Intervallo Malazè” che è riferito ad una delle iniziative più interessanti fra quelle che da alcuni anni (quest’anno dovrebbe svolgersi la VIII edizione) si tengono nell’area flegrea allo scopo di “utilizzare l’enogastronomia tipica locale come veicolo per richiamare visitatori nei Campi Flegrei e valorizzare il settore della gastronomia, della pesca e dei vini che affondano le loro radici nella storia del territorio”. Costantino Sgamato dal 2009 è regista e promotore ufficiale di questa manifestazione. Nel video egli riesce ad alternare sotto la colonna sonora degli intervalli della RAI una serie di immagini tipiche “flegree” modificandole graficamente all’insegna dell’enogastronomia per cui, solo per fare un esempio, il cratere della Solfatara diventa un uovo al tegamino. L’altro video che vedremo e di cui parliamo con lui è fra i più premiati, “Scala cromatica”, un sintetico simbolico invito a difendere l’armonia delle diverse apparenze in un’umanità sempre più complessa e sempre meno diversa; il tutto posto in evidenza dall’unione necessario dei tasti bianchi e di quelli neri in un pianoforte. “Scala cromatica” ha ottenuto numerosi premi. Discorrendo tranquillamente con Costantino emerge la sua centralità nel settore della produzione audiovisiva e della comunicazione in questa parte del mondo. Marina che ci segue, con un sorriso dal quale emerge la curiosità e l’intelligenza creativa che le permette di cogliere nella loro significazione molti attimi con la sua strumentazione, è lì ad ascoltare me e Costantino. Anche per lui avrei preferito che gli fosse dedicato un esclusivo evento de “La prima cosa bella”. Vedrò, gliel’ho promesso, di organizzarlo fuori Pozzuoli. Per ora, questo mio articolo serva a fargli gli AUGURI DI BUON COMPLEANNO ed IN BOCCA AL LUPO per tutto.