CASE – RELOAD PARTE 1, 2, 3

Mentre preparo la parte 4 vi posto il reload delle prime tre

CASE
La mia prima abitazione affacciava su un’arteria principale che da Quarto portava a Pozzuoli, via Campana 25 (mi pare). Era un appartamento modesto al secondo piano di una palazzina che era stata costruita a ridosso di una piccola altura che probabilmente nascondeva parte di una necropoli romana, i cui resti affioravano qua e là, attirando la mia curiosità di bambino. Vi si accedeva attraverso un piccolo angusto buio ingresso che si illuminava di giorno con la luce che proveniva dal grande atrio a cielo aperto cui si arrivava salendo pochi scalini. Su questo atrio si affacciavano due abitazioni altrettanto modeste, in una delle quali abitava una famiglia di pescatori con i cui figlioli mi accostai colpevolmente alla lettura di alcuni fumetti avventurosi (Il Grande Blek e Capitan Miki): colpevolmente perché – in quegli anni – pedagogicamente era proibito a chi volesse essere un bravo studente la lettura dei fumetti; in particolare quelli di cui ho accennato. Poteva essere tollerato Topolino e ad ogni modo veniva consigliato – non potendo farne a meno – Il Giornalino che si trovava in Parrocchia. A me però piacevano i fumetti di quei monellacci destinati già da bambini al mondo del lavoro e spesso mi recavo da loro per poterli leggere. La loro era una casa più piccola della mia, più angusta e buia ma io vi scendevo volentieri tutte le volte che potevo. Mia madre d’altronde non ricambiava l’invito ed io non ero titolato ad estenderlo ad estranei. Alla mia casa si accedeva attraverso delle scale che passavano lungo un muro che divideva il complesso da un’altra palazzina. Si passava poi girando a destra sotto la finestra della cucina di casa mia prima di arrivare ad un ballatoio sul quale vi era la porta di ingresso. Oltre questo ballatoio vi era un altro appartamento ben separato dal resto che era poi un solaio ampio con fioriere sempre curate che portavano all’appartamento dei proprietari dell’intero stabile. La mia prima abitazione era composta da un ingresso abbastanza ampio nel quale spiccavano alcuni mobili costruiti da mio nonno, che conservo ancora nella mia casa attuale a Prato, dopo che per anni erano rimasti in soffitta nell’altra mia abitazione a Pozzuoli in via Girone 29. Sono mobili del primo Novecento fatti a mano in modo artigianale che non hanno mai subito l’affronto dei tarli nella parte in legno e non si sono modificati nella parte imbottita ricoperta di pelle. Reggono ancora noi tutti grandi grossi e grassi senza sgangherarsi. Su un secretaire alto in fondo alla stanza di ingresso troneggiava una radio marca Geloso dalla quale ho ascoltato soprattutto musica, compreso qualche edizione del festival di San Remo che se non sbaglio ha preso il via nel 1951. Dall’ingresso andando a sinistra vi era una porticina che accedeva alla cucina, una vecchia cucina a carbonella costruita in muratura. Vi si trovava un tavolo e poche sedie; a quei tempi i miei non avevano un frigorifero. La credenza era minuscola, dovendo contenere pochi oggetti. La cucina era illuminata naturalmente dalla finestra che dava sul cortile interno, quello con la scalinata di accesso di cui dicevo prima……

Parlavo delle mie “case” in un post di apertura su questo tema pochi giorni fa. E descrivevo la mia prima abitazione in via Campana 25, a Pozzuoli nel cuore dei miei Campi Flegrei. Una abitazione modesta ma dignitosa in un tempo nel quale ancora tanta gente abitava in vere e proprie topaie, bassi e sottoscala. Ricordo in particolare una vecchia zia di mia madre che abitava sui Quartieri Spagnoli al Conte di Mola in uno di questi “bassi” che ho poi ritrovato nella letteratura eduardiana; mentre altri miei parenti abitarono per un breve periodo in un sottoscala di un palazzone signorile a via Napoli a Pozzuoli. Mio padre poteva permettersi qualcosa di meglio, avendo acquisito grande credito sul piano lavorativo e così a noi non è mai mancato nulla; anche se, usciti dalle ristrettezze della seconda guerra mondiale, quel che riuscivamo ad avere era tantissimo e ci faceva sentire “ricchi”. Quella che è stata la mia prima casa è stata anche la prima dei miei genitori. La modestia della casa era segnalata – come già accennavo – da una cucina a carbonella e da un bagno che consisteva esclusivamente nel water, essendo collocato in un vano stretto e mal aerato (oggi si direbbe “ad aerazione forzata”) tra la cucina e la camera da letto. Questa era la più ampia delle stanze e conteneva agevolmente tutti i mobili necessari: un letto matrimoniale, un lettino che all’inizio era stata la mia culla, due comodini, due cassettoni/comò, un grande armadio. Erano mobili costruiti in un legno marroncino da un grande artigiano che noi tutti conoscevamo benissimo: mio nonno. Ho già scritto che una parte dei suoi mobili, che erano poi appartenuti ai miei genitori fanno bella mostra nell’ingresso della mia abitazione pratese. Dalla camera da letto si accedeva ad un balcone che affacciava su via Campana, una delle strade più intensamente trafficate già allora, a parte il fatto che la maggior parte dei passaggi erano quelli di carretti e calessi (‘o trerrote”), i primi che trasportavano frutta e verdure dalle campagne al mercato già nel buio delle prime ore del giorno, i secondi che – soprattutto la domenica – portavano avanti ed indietro signori e contadini allo “struscio” nella parte bassa del porto o nelle zone “turistiche” quando era il tempo della bella stagione. Non c’erano molti rumori per gran parte della giornata, tranne le campane della vicina Chiesa dell’Annunziata ed i vicini di casa, i dirimpettai e quelli che fossero passati avrebbero potuto sentire il canto di mia madre che in tal modo si teneva compagnia mentre svolgeva i “servizi” di casa aspettando il ritorno di mio padre. Incredibilmente, ed a conferma di quanto scrivo, il suo ritorno era annunciato da un fischiettare suo tipico mentre si avvicinava a casa. E noi tutti lo sentivamo.

In quella mia prima modesta abitazione in via Campana 25 come dicevo non vi era un vero e proprio “bagno” attrezzato (in quel tempo nella maggior parte delle case era così!) ma l’acqua corrente ci permetteva utilizzando oggetti “volanti” di sopperire alle necessità igieniche. Avevamo bacinelle e tinozze di ogni forma e misura e mia madre riscaldando l’acqua sulla “fornacella” in ampi e capienti recipienti mi faceva il bagno almeno una volta alla settimana. Per fortuna c’era – all’esterno dell’appartamento – un vano ripostiglio per così dire “condominiale” dove questi materiali ingombranti venivano riposti dopo l’uso. Quella “casa” aveva anche un’altra stanza che di solito era un luogo proibito affinché l’ordine non venisse sconvolto da presenze umane; vi si accedeva andando appena oltre la stanza di ingresso-salotto e consisteva in un altro salotto più riservato sempre ordinato ed inaccessibile. In effetti tutta la casa era inaccessibile ai più: mia madre inorridiva al pensiero che qualcuno potesse dissacrare, profanare il suo “regno” e non gradiva nemmeno invitare miei amichetti, anche – e forse soprattutto – quelli che abitavano appena un piano sotto, ma con i quali di tanto in tanto giocavo. Non avevo molta compagnia e sono stati, quelli in via Campana, anni di solitudine e di incubazione della mia voglia di evadere e del desiderio di condividere con altri i miei progetti ed i miei sogni. Così è stato per i miei primi cinque anni; non si trattava di “reclusione” perché comunque si usciva, si scendeva giù verso la città bassa, si andava al Cinema, a volte veniva mia zia da Procida e mi portava con lei, in altre occasioni si andava in campagna a Toiano o al lago d’Averno dove vi erano dei parenti di mio padre. A Toiano vi era la famiglia di una “sposina” che abitava nel palazzo accanto: il marito era un operaio edile molto amico di mio padre, che lo stimava per le qualità professionali ed umane e la mattina di solito si incontravano sotto casa per recarsi insieme al lavoro. Fu proprio per questo motivo che una di quelle mattine quel giovane non si ritrovò al solito appuntamento e mio padre dopo aver fischiettato sotto il balcone per chiamarlo decise di andare su a bussare alla porta dell’appartamento. Questo gesto li salvò da morte certa: di notte il braciere che serviva per riscaldare gli ambienti aveva diffuso monossido di carbonio e quando il suo amico aprì la porta svenne e fu necessario l’intervento dei medici per lui e per la moglie, ma quell’episodio fortunatamente servì loro per essere più attenti da quel momento in avanti nell’uso della carbonella nelle notti fredde. L’amicizia si rinsaldò fortemente dopo quell’evento e la loro generosità si espresse per tutto l’arco della vita; spesso eravamo in campagna, venivano a prenderci con la carrozzella fin sotto casa e vi ci riportavano spesso a notte fonda nelle giornate di festa. Andavo anche dai nonni paterni che abitavano non molto lontano sulle Palazzine municipali, quelle che ora non ci sono più perché dopo gli eventi bradisismici e sismici degli anni settanta ed Ottanta vennero abbattute. Mio nonno aveva anche un sottoscala di sua competenza dove continuava a svolgere alcune attività hobbystiche di grande valore (ho già ricordato il suo estro di falegname mobiliere) carpentieristico; costruiva modellini di barche, di navi ed aveva messo su un grande presepe che era il suo vanto allorquando a Natale lo addobbava inserendovi tutti i personaggi ed i relativi meccanismi luminosi e automatici che lo rendevano “vivo”. In quelle occasioni consentiva a chi lo desiderava di poterlo visitare e spesso, partecipando a concorsi, vinse anche dei premi.

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