Non abbiamo bisogno di foglie di fico…che celino le nudità del sovrano di turno.

Non abbiamo bisogno di foglie di fico…che celino le nudità del sovrano di turno.

Da che mondo è mondo ci provano ed alla fine dei conti una parte ci casca: per canalizzare gli scontenti, per normalizzare i dissidenti, si inventano “alternative” per drenare una parte delle acque ribelli e riportarle nell’alveo, imprigionandole con blandizie e promesse al solo scopo di neutralizzare quella che il potere considera un pericolo per il mantenimento dei suoi benefici.
Le chiamo “foglie di fico” come quelle che al tempo della post-Controriforma venivano apposte alle divinità ed ai personaggi scolpiti o dipinti così come “mamma” li aveva confezionati.
Ovviamente molti ci cascano e credono che davvero si possa produrre un cambiamento nel corpo vile delle forze politiche. Non me ne intendo di quelle di Destra ma sono abbastanza esperto di quelle della Sinistra, che non ha ancora imparato a rispettare le persone”libere”, anzi si diverte a dileggiarle, riservando loro a volte ipocriti “coccodrilli” positivi in loro morte. Che pena mi fece quel consesso comunale allorquando, fresco di nomina elettiva al Consiglio, fui partecipe dell’orazione funebre per uno dei Sindaci della città di Prato più galantuomo che essa ricordi. Ma, lo si sa, così va il mondo: molto male, infatti, esso continua ada andare!

Ieri pomeriggio davanti ad un importante Supermercato di Montemurlo ho incontrato due rappresentanti del Comitato pro-Orlando impegnati a portare acqua al mulino del proprio candidato alle Primarie del Partito Democratico che si svolgeranno il prossimo 30 aprile. Saluto cordiale come di norma si fa in un contesto civile di rapporti umani, ma declino l’invito a partecipare alle Primarie, in quanto non-elettore del Partito Democratico. Mi invitano a mettere da parte il dissenso e a dare un contributo con il mio voto ad una “minoranza”; “con il cuore spezzato” dico io “non posso partecipare, in quanto “non posso” dichiararmi “elettore” di quel Partito. “…che hai fondato…” mi si dice; e questo rende ancora più seria e grave la mia scelta.
Il fatto è che io considero completamente conclusa la storia di quel Partito che ho contribuito a fondare; e ritengo che soprattutto la figura di Orlando sia una delle “foglie di fico” per ricondurre a più miti consigli i recalcitranti “di bocca buona”, quelli che appartengono al classico “buonismo caciottesco” all’italiana. Mi viene ricordata la figura di Fabrizio Barca, come mio amico, sostenitore di Orlando in questa fase ed a me sovviene che lo stesso Barca sia a conti fatti stato al tempo in cui sembrava poter incarnare un vero rinnovamento (ci eravamo “cascati”, forse?) un’altra classica “foglia di fico” visto la parabola della sua azione politica.
E poi, a proposito di “foglie di fico”, andate a vedere chi c’è tra i sostenitori eccellenti di Orlando: figure “grigie” da quando erano giovani!
Non c’è vita su Marte! e non c’è vita nel PD: solo ectoplasmi plaudenti ad un gruppo di potere che continuerà il suo viaggio verso il baratro.

My name is Joshua

reloaded RITORNO A CASA per ricominciare….

reloaded RITORNO A CASA per ricominciare….

Il viaggio è stato molto tranquillo. I fiumi ai lati della strada quasi la lambivano, avevano già ampiamente colmato i campi destinati a casse di espansione. Il ricordo dell’alluvione del 1966 era molto vivo e presente dopo cinquanta anni e gli uomini in quei territori avevano in parte compreso come rimediare agli errori che allora avevano creato immensi disastri.
Continuava a piovere ma il viaggio proseguiva sereno. Si ritornava a casa dopo più di un anno, la casa e la terra dei nostri “padri”, anche se a dire il vero non ci si ricordava più dell’ultima volta, che per noi due non era però stata la stessa.
La pioggia nervosa ci accompagnava a tratti, ma non creava problemi al traffico. Si ritornava utilizzando una delle “buone finestre” delle terapie, segrete per tutti.

…….
Nell’approssimarsi della città il traffico divenne man mano più intenso, caotico, isterico e schizofrenico, il rischio di un crash – come sempre – era elevato. Non è una sorpresa per noi: e sono migliaia di persone che si sono abituate a questo “inferno”!
C’è chi si sposta da un lato all’altro senza segnalarlo e chi corre disegnando rotte zigzagate tra le vetture incurante dei rilevatori che forse non funzionano da queste parti e forse anche se funzionano chissenefrega!
E poi si esce dalla strada principale e si arriva dove la segnaletica è un optional quasi sempre ingannevole e trovi indicazioni che sono di difficile lettura per chi non è abituato o non è di quelle terre. Ti puoi trovare davanti ad un segnale orizzontale diverso da quello verticale e non sai quale dei due rispettare. Quelli che vi risiedono non hanno bisogno di arrovellarsi sul significato di quei segnali; vanno a memoria, ma potrebbero trovarsi di fronte a chi, ignaro delle “tradizioni”, avesse deciso di rispettare la segnaletica “orizzontale” e non quella “verticale” – o viceversa.

…E si è raggiunta casa in questo finale d’autunno ancora tiepido, da queste parti. Ci siamo lasciati indietro il maltempo anche se le prospettive – meteorologiche – per la settimana che si apre non sono del tutto positive. Umido fuori per le piogge notturne, calda ed asciutta dentro la casa ci è apparsa madre accoglienti dalle braccia ancora forti, ricolma di ricordi d’amore e di passioni giovanili. Gli aromi degli aranceti che la circondano e l’odore intenso di zolfo che ne permea le terre ed i cieli ci ha accolti come sempre ed ogni volta immancabilmente ci sorprendono come se fosse la prima volta. In questa terra siamo nati e siamo vissuti; la nostra infanzia, la nostra adolescenza e parte consistente della giovinezza è trascorsa qui.
La serenità del viaggio si accompagna a quella dell’accoglienza calda e silenziosa.
E ci dimentichiamo di tutto il resto come naufraghi che approdino ad un’isola ricca di vegetazioni e di misteri.
Non vi è più stanchezza nè dolore in noi, mentre riordiniamo i numerosi bagagli scaricati alla rinfusa così come erano stati caricati perché riempissero tutti i varchi vuoti dell’auto. E si disseminano disordinatamente nell’ingresso e nel primo corridoio. Accendo la caldaia: funziona a meraviglia come se non fosse stata mai abbandonata e gli uccellini dagli alberi vicini festeggiano il nostro arrivo, pregustando le briciole, generose lasciate sul terrazzino.
La presenza umana, l’unica che ci accompagna realmente ogni qualvolta torniamo, è quella della signora del piano di sopra, l’ultimo piano del palazzo. Le altre presenze non si sono palesate, anche se noi sappiamo che ci scrutano dalle tendine che lentamente si spostano, quando arriviamo nel parcheggio. E quindi sappiamo che il nostro arrivo è stato già oggetto di conoscenza per tutto il vicinato.
La signora di sopra abituata come è a non avere “ingombri” particolari nell’appartamento di sotto, cioè il nostro, sposta mobili o chissà cosa trascicandoli a qualsiasi ora del giorno e…della notte, quando peraltro “tacchettea” impunemente e si impegna in attività casalinghe varie come se fosse pieno giorno.

“Tanto” lei pensa “non c’è nessuno di sotto!”
Ma, a quell’ora, di giorno non disturba davvero nessuno ma ci preannuncia allo stesso tempo il supplizio notturno con le sue “tacchettiate” ritmiche in un anda e rianda senza senso intorno alle tre, a volte alle quattro, del mattino, facendoci sobbalzare dal sonno.
Cosa farà mai, la benedetta? a quell’ora? Rumoreggiando lava i panni a mano (si sente lo sciabordio ed il risciacquo “accurato”), carica la lavatrice che non deve proprio essere una Whirlpool, avendo una centrifuga rumorosissima (lei di certo è una brava massaia, dal momento che utilizza questi elettrodomestici che consumano minore energia nelle ore notturne) e poi con un’ultima tacchettiata di anda e rianda stende il bucato, cosicchè noi la mattina troviamo lenzuola ed altra biancheria stesa sui fili del balcone, non solo sui suoi ma anche sui nostri, perché nel buio frequentemente lascia cadere qualcosa, che si appoggia sui nostri fili; a quel punto immagina che attenda un colpo di vento che lo sospinga giù o forse in periodi poco ventosi – poiché da quelle parti di pratica la pesca al polpo – utilizzerà la caratteristica lenza con ami multipli per ripescare il capo di biancheria “perduto”.
Ma quando come in questo caso noi ci siamo, abbiamo un grande piacere in questo inaspettato “cadeau”, perchè lo utilizziamo come merce di scambio a scopo pubblicitario. Infatti ci diciamo “Molto bene! più tardi si andrà a salutare la signora, così si renderà conto che siamo tornati!” Tocca di solito a me, l’uomo di casa, andare a rappresentare il nostro arrivo, attraverso la consegna dell’ostaggio. Con la speranza che per qualche giorno limiti il suo attivismo notturno.
E, poi, ci viene da sorridere pensando a come la descrisse nostra figlia, in modo ingenuo tipicamente infantile. poichè utilizzava scarpe rumorose, simili a zoccoli, le venne spontanea (absit iniuria verbis) linguisticamente la parola “zoccolona”. Di certo impropria nell’accezione campana ma concreta e coerente per gli effetti che ci faceva.

“Zoccolona” giù dalle nostre parti significa anche “donna dai facili costumi” ma nostra figlia intendeva ben altro, equiparando il rumore dei tacchi con cui agitava le nostre notti insonni (“ma perchè non se li toglieva quando tornava a casa ed inforcava le più comode silenziose pantofole?” era la frequente domanda che ci ponevamo) agli “zoccoli” che particolarmente d’estate il popolo dei marinari e dei vacanzieri in località di mare, nei nostri plendidi borghi era solito calzare.
E così, a proposito di “zoccole” che, oltre ad indentificare le signore meretrici dei bassi napoletani, che negli ultimi tempi si sono sempre più dedicate ad altre attività meno impegnative e più remunerative, si riferivano anche – equiparandole per il lerciume morale – a quelle di sopra, ai più classici topi di fogna che in realtà degradate come alcune località del nostro Sud saettavano tra cumuli di immondizia maleodorante in quegli angusti vicoletti, trovammo assai curiosa la narrazione che ci venne proposta da un docente universitario del ramo scientifico dell’ateneo partenopeo, il quale utilizzava le “cavie” per studiare la loro resistenza alla fatica ed allo stress. Lo scopo era scientifico e l’intento era ovviamente quello di tarare le difficoltà delle povere “cavie” trasponendole solo idealmente sul genere umano.
E’ un ingrato lavoro, che non riuscirei a portare avanti: infatti la sola descrizione di esso (“ma come si fa ad investire quattrini pubblici con riscontri non certamente definiti facendo soffrire delle innocue bestioline?” la domanda l’abbiamo posta ma la risposta non c’è stata data) è cruda, orribile: i poveri topi, fatti nascere e crescere a tale scopo (c’è un commercio in tal senso), venivano immersi in un contenitore di acqua, una vasca tipo quella dei nostri bagni, e costretti a nuotare fino all’ultimo spasimo con degli elettrodi che ne controllavano il battito cardiaco. I giovani ricercatori avevano il compito, tipicamente da aguzzini, di non consentire mai ai topi la possibilità di appoggiarsi a qualche appiglio per poter “tirare il fiato”.
Di tanto in tanto, forse avvertiti da qualche anima pia, alcuni operatori dell’ Ente Nazionale Protezione Animali si affacciavano in questi stanzoni e procedevano ai relativi rilievi, alle segnalazioni, agli ammonimenti ed alle sanzioni e denunce, se le altre forme di controllo erano state vane.

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