I questuanti che fanno a gara a mettersi in fila per non perdere la priorità acquisita

I questuanti che fanno a gara a mettersi in fila per non perdere la priorità acquisita

Quel che penso dell’attuale “condizione” del Partito Democratico (non “del Partito Democratico” ma del suo “stato”, le cui risultanze sono da addebitare al progressivo allontanamento dai “fondamentali” scritti e mai praticati) è inscritto a chiare lettere in quel che ho espresso, e non da unico e solo,  in tutti questi anni, sin dalla fondazione nel 2007.

Il PD ha avuto una genesi controversa con una maggioranza che mirava sin da allora a mantenere le diverse rendite di posizione ed una minoranza che si poneva l’obiettivo di essere punto di riferimento del mondo del lavoro e della produzione con un’ottica sociale e democratica, privilegiando gli interessi dei più deboli e bisognosi di dignità. In questa linea pedissequamente “democratica” (di facciata) si è proceduto, mantenendo la rotta essenzialmente (anche se molte “parole” lasciavano supporre il contrario)  sempre più a favore dei ceti più forti della società, e abbandonando ai margini tutti coloro che denunciavano questa forma maligna che stava man mano corrompendo il Partito.

Era inevitabile, ovviamente, che la deriva portasse ad una profonda disaffezione: il ceto politico che vantava la sua “diversità” non si distingueva da quello delle altre forze politiche, anche quelle della cosiddetta, vituperata in modo ipocrita, Prima Repubblica. C’è infatti una grande “questione morale” che non ha prodotto – per ora – caratteristiche evidenti di illegalità: è quella profonda sensazione che si miri prioritariamente a valorizzare i punti di forza personali e quelli della propria “corrente” (nel PD è un concetto, quello delle correnti, molto fluido ed anche per questo molto insidioso) piuttosto che aiutare la società, anche e soprattutto quella che sopravvive nelle periferie (nel senso più ampio di tale termine) ad affrancarsi dalle angustie che sono diventate in modo drammaticamente progressivo più crude e stringenti.

Questa forma di critica ha avuto sempre un intento benevolo, propositivo; ma era ovviamente rigettata se non “falsamente ignorata” o aspramente criticata come inaccettabilmente emessa da chi – pur sempre potenziale elettore –non era più da tempo iscritto.

Negli ultimi tempi con la scelta di procedere ad una “revisione” congressuale si erano aperte le speranze (in particolare da parte degli inguaribili ottimisti “candidiani”) ma molto ben presto si è compreso che c’è molta “fuffa” e poca concretezza nelle enunciazioni. Ne è prova certa la pletora di “questuanti” che si sono già iscritti alla corte del primo candidato: occorreva far presto per essere della partita “vincente” a pieno titolo.

Da questi segnali si comprende che la deriva potrà anche essere provvisoriamente bloccata ma la sorte del Partito Democratico è segnata: non basteranno cinque anni per riprendere in mano le sorti del nostro Paese, se non si comprenderà che occorra riunire le forze della Sinistra, riconoscendo i limiti del Partito che si è arrogato il ruolo di capofila di un Centrosinistra sempre più rivolto ad ottenere riconoscimenti da parte del Centro Destra.

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