STORIE DELLA MIA GENTE – un racconto YURI E I MURI – versione intera

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STORIE DELLA MIA GENTE – un racconto
YURI E I MURI – versione intera

Yuri aveva da poco compiuto vent’anni, quando il Muro venne sgretolato mattone per mattone manco fosse stato quello della casetta della Strega di Pollicino fatto di biscotti alla cioccolata e marzapane.
Quella sera guardando il TG pensò a lungo a quel Muro e cercò di capire il motivo di tanto entusiasmo di fronte a quelle scene di distruzione; e sì che ne aveva sentito talvolta parlare in casa ma gli era sempre parso che non dessero tanta importanza a quella divisione tra mondo occidentale e mondo comunista.
Non per nulla lui era stato chiamato come il mitico astronauta dei primi voli al di là dell’atmosfera terrestre effettuati dall’Unione Sovietica; in casa erano tutti comunisti, ortodossamente, e non si discuteva, non si dava peso a quel che accadeva in quella parte del mondo. Anzi, erano tutti fermamente convinti della cattiveria dei padroni e dei capitalisti, essendo essenzialmente e sentendosi partecipi delle problematiche di quella “classe”, la mitica classe operaia, “proletaria”.
Il Muro di Berlino era per tutti loro un affare internazionale che non avvertivano come elemento storico di cui discutere. Solitamente si evitava di parlarne, ma quella sera una parte del mondo che non se ne era mai pre-occupata ebbe a prenderne consapevolezza: anche Yuri ne avvertì il bisogno. Ma, come accadeva spesso, i maschi della famiglia (alle donne non veniva concesso molto spazio, anche se accedevano al titolo “onorifico” di compagne), il padre, gli zii, il fratello glissarono sulle domande curiose del più giovane tra loro, che nella sua testa in modo sorprendentemente “autonomo” riandò indietro nella memoria agli anni della sua infanzia e della prima adolescenza quando tutta la famiglia Berselli già abitava nel cuore del quartiere San Paolo in quel di Prato.
Venivano dalle colline pistoiesi dove per decenni avevano tirato la cinghia occupandosi di lavori agricoli stagionali, attratti dalla certezza di poter trovare un posto di lavoro nell’industria tessile che stava conoscendo un vigoroso sviluppo.

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Yuri allora al tempo dell’arrivo a Prato aveva cinque anni e, come poteva accadere in una famiglia numerosa e “matriarcale”, non andava ancora a scuola; anche i suoi fratelli e ancor più le sorelle non vi erano mai stati, a scuola. Loro poi tutti più grandi di lui si erano cercato e lo avevano trovato un lavoro: a quel tempo e particolarmente in una realtà civile come quella toscana non vi erano più difficoltà e limitazioni di genere soprattutto se possedevi un po’ – ne bastava davvero poca – di manualità e di voglia di lavorare. E le ristrettezze economiche di una famiglia numerosa e priva di risorse sollecitavano a mantenere alta la voglia di trovare e conservare un posto di lavoro.
Erano gli anni della crescita economica del Paese e a Prato arrivarono tanti altri, oltre i Berselli, in massa per lavorare.
Yuri, anche prima di cominciare a frequentare la scuola elementare, aveva avuto modo qualche volta di accompagnare suo padre al luogo di lavoro non lontano da casa, quando era necessario, a macchine ferme, fare un po’ di manutenzione; e là si divertiva a collezionare fusi di varie forme e colore ed a seguire il percorso del filo tra gli ingranaggi dei macchinari tessili. E poi c’erano balle enormi, variopinte e polverose ancora integre accatastate dentro gli spazi dei capannoni e mucchi di panni omogeneamente dislocati per qualità e colori ed accanto a questi scatole piene di bottoni e di cerniere lampo. E qualche volta, mentre suo padre era a controllare e lubrificare gli ingranaggi, con un filo si era messo a inanellare bottoni di varie forme e colore da portare a casa come collane per la mamma, la nonna e le zie, le sorelle…ed in segreto per la ragazzina, Cettina, figlia di meridionali che erano arrivati da poco ad abitare al terzo piano.
Aveva anche conosciuto il proprietario della fabbrica, il signor Gori, un omino piccolo piccolo che gli era parso tanto triste e riservato con lui, ma deciso e severo con gli operai.

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A volte, quando era più grandicello, Yuri era anche andata da solo a prendere il padre soprattutto di venerdì pomeriggio, d’estate, quando era in vacanza oppure nei giorni prefestivi o festivi, quando gli operai erano richiamati per lavori straordinari: e in quegli anni accadeva assai spesso. E mentre lo aspettava gironzolava a curiosare intorno alla fabbrica, che gli sembrava enorme: si affacciava su un grande appezzamento di terra coltivata in una parte a uliveto, un’altra a frutteto – peri e peschi – e una parte ancora più ampia riservata all’orto. E in mezzo ai campi vi erano ben due canalizzazioni – le gore – con le acque montane che venivano ampiamente utilizzate in alcune delle fasi produttive tessili e che acquisivano i colori di moda procedendo poi nella valle verso il fiume Arno ed il mare. Era per Yuri, questo, un mondo magico, che veniva limitato da una “muraglia” che correva dal corpo della struttura per alcune centinaia di metri con un’altezza di due metri e mezzo sino al limite dei campi che erano poi recintati con una rete metallica poco meno alta che lasciava intravedere altri campi e qualche casa colonica.
Al di là vi era la città con i suoi traffici, i suoi negozi, i suoi affari; era la città dei “signori” che si contrapponeva a quella dei “lavoratori”: così raccontava il padre a Yuri, al quale toccava fantasticare e limitarsi solo a questo, essendogli impedito l’attraversamento, fino a che non andò alle scuole dei “grandi”, quando si rese conto che suo padre aveva perfettamente ragione. I figli dei signori andavano ad alcune scuole e se ne vantavano, mentre i figli degli operai ne frequentavano altre ed avvertivano dentro di loro con rabbia questa distinzione.
C’era un “muro” che non era formato da sassi, malto e mattoni e che non poteva essere abbattuto con i soliti mezzi meccanici.
Ecco, Yuri nel 1989 a poco più di venti anni davanti a quelle immagini di Berlino dentro di sè voleva capire se e come sarebbe stato possibile abbattere anche a Prato le divisioni sociali, quelle di classe, per intendersi con i parametri che utilizzavano suo padre ed i suoi zii, che però non ne avevano ancora consapevolezza piena e non gli sapevano rispondere, se non in modo superificiale e genrico.
Yuri ha ora poco meno di 50 anni. Il “muro” anche nella città dove continua a vivere è stato formalmente abbattuto in uno dei varchi su cui passa una strada. Non ci sono più le stesse divisioni, sostituite però da altre più complesse e diffuse a macchia di leopardo, che coinvolgono diverse e multicolori etnie per nuove sfide nel campo dell’integrazione, sempre più ardue e difficili. Altri “muri” simbolici che Yuri ed i suoi amici si impegnano quotidianamente ad abbattere.

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STORIE DELLA MIA GENTE – (un racconto) – YURI E I MURI terza parte

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STORIE DELLA MIA GENTE – (un racconto) – YURI E I MURI terza parte

A volte, quando era più grandicello, Yuri era anche andata da solo a prendere il padre soprattutto di venerdì pomeriggio, d’estate, quando era in vacanza oppure nei giorni prefestivi o festivi, quando gli operai erano richiamati per lavori straordinari: e in quegli anni accadeva assai spesso. E mentre lo aspettava gironzolava a curiosare intorno alla fabbrica, che gli sembrava enorme: si affacciava su un grande appezzamento di terra coltivata in una parte a uliveto, un’altra a frutteto – peri e peschi – e una parte ancora più ampia riservata all’orto. E in mezzo ai campi vi erano ben due canalizzazioni – le gore – con le acque montane che venivano ampiamente utilizzate in alcune delle fasi produttive tessili e che acquisivano i colori di moda procedendo poi nella valle verso il fiume Arno ed il mare.
Era per Yuri, questo, un mondo magico, che veniva limitato da una “muraglia” che correva dal corpo della struttura per alcune centinaia di metri con un’altezza di due metri e mezzo sino al limite dei campi che erano poi recintati con una rete metallica poco meno alta che lasciava intravedere altri campi e qualche casa colonica.

Al di là vi era la città con i suoi traffici, i suoi negozi, i suoi affari; era la città dei “signori” che si contrapponeva a quella dei “lavoratori”: così raccontava il padre a Yuri, al quale toccava fantasticare e limitarsi solo a questo, essendogli impedito l’attraversamento, fino a che non andò alle scuole dei “grandi”, quando si rese conto che suo padre aveva perfettamente ragione. I figli dei signori andavano ad alcune scuole e se ne vantavano, mentre i figli degli operai ne frequentavano altre ed avvertivano dentro di loro con rabbia questa distinzione.

C’era un “muro” che non era formato da sassi, malto e mattoni e che non poteva essere abbattuto con i soliti mezzi meccanici.
Ecco, Yuri nel 1989 a poco più di venti anni davanti a quelle immagini di Berlino dentro di sè voleva capire se e come sarebbe stato possibile abbattere anche a Prato le divisioni sociali, quelle di classe, per intendersi con i parametri che utilizzavano suo padre ed i suoi zii, che però non ne avevano ancora consapevolezza piena e non gli sapevano rispondere, se non in modo superficiale e generico.

Yuri ha ora poco meno di 50 anni. Il “muro” anche nella città dove continua a vivere è stato formalmente abbattuto in uno dei varchi su cui passa una strada. Non ci sono più le stesse divisioni, sostituite però da altre più complesse e diffuse a macchia di leopardo, che coinvolgono diverse e multicolori etnie per nuove sfide nel campo dell’integrazione, sempre più ardue e difficili. Altri “muri” simbolici che Yuri ed i suoi amici si impegnano quotidianamente ad abbattere.

FINE