IL RITORNO DI JACQUES TATI – seconda parte

IL RITORNO DI JACQUES TATI – seconda parte

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“Rido molto di più se sto sulla terrazza del caffè ed ho a disposizione questa finestra aperta sulla strada. Ecco perché ho scelto il grande schermo, che è appunto la finestra…Volevo una finestra; non un piccolo lucernario, una vera, grande finestra…La comicità esiste già fuori di noi. Il problema è saperla cogliere. Credo, perciò, che osservando il mondo che ci sta intorno si possano trovare centinaia di personaggi comici”.
Il giovane Tati, prestante e pieno di energia vitale e creativa, dedica anche molto tempo all’attività sportiva. Pratica varie specialità: il calcio, la boxe, l’equitazione, il tennis, il rugby, conquistando dei buoni successi. Ma anche in questo settore egli non tralascerà di osservare, di annotare, di cogliere tutti quei particolari movimenti, quegli impercettibili e divertentissimi (proprio perché nostri e non riconosciuti) tic e difetti della progenie umana. Se nella sua arte, più propriamente di music-hall e di cabaret, egli adopererà queste annotazioni con grande intelligenza e sapienza nella loro rielaborazione e ripetizione, il massimo obiettivo lo raggiungerà nel cinema nel famoso “gag” della partita a tennis delle “Vacanze di M. Hulot” (1949).
Le prime esperienze artistiche per Tati sono legate ad occasionali momenti di relax nella vita militare, allorquando si diverte ad intrattenere i suoi commilitoni, ricreando la vita, la realtà, gli uomini e le loro storie dinanzi a loro. Poi la sua storia sarà sempre più un susseguirsi di interventi e di presenze nel campo artistico: nel music-hall, nel cabaret, nella rivista, nel cinema. Le sue iniziali apparizioni in quest’ultima arte (quella che a noi interessa in modo specifico) avvengono in sette cortometraggi: cinque prima della guerra e due nell’immediato dopoguerra. Il primo di essi, realizzato pienamente da Tati (sceneggiatura, regia ed interpretazione), risulta estremamente importante per comprendere meglio la provenienza dei personaggi chiave di Tati: Francois il postino perdigiorno e stralunato di “Jour de fete” e Monsieur Hulot, la maschera tipica da lui inventata. Si tratta di “Oscar, champion de tennis” (1932) che, peraltro, rimanda ad una delle sue peculiari predilezioni mimico-sportive cui si accennava prima. Seguono negli anni 1934, “On demande une brute” per la regia di Charles Barrois; 1935, “Gui dimanche” regia di Charles Berr, ambedue sceneggiati da Jacques Tati e scarsamente importanti, anche se contribuiscono in qualche modo alla sua maturazione ed a quella del suo “personaggio”.
Nel 1936 è la volta di un film, la cui regia, affidata a René Clement, risulta decisiva per il successo di pubblico, che invece era mancato alle precedenti “performances”: parliamo di “Soigne ton gauche” che, trattando dell’ambiente sportivo pugilistico permette a Tati di esprimere quella sua capacità mimico-sportiva di cui si parlava prima e di affinare tutte le caratteristiche peculiarità del suo personaggio.
L’ultimo film del periodo anteguerra è “Retour à la terre” (1938) realizzato pienamente da Jacques Tati che pur non apparendo determinante per la sua carriera registra però già la presenza di qualche personaggio ed ambientazione tipica della sua produzione successiva (la campagna, i bambini vocianti, l’ameno postino).