L’UOMO DEL FUTURO di Eraldo Affinati

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L'uomo del futuro

L’UOMO DEL FUTURO di Eraldo Affinati

Una serie di “illuminazioni” progressive ed una ricerca di se stessi rincorrendo un “maestro” dell’anima e della mente, qual è don Lorenzo Milani. Questa è la sintesi, questo il senso ultimo per me de “L’uomo del futuro” di Eraldo Affinati.
Una “sintesi” che prende il via da una breve introduzione esplicativa con un “viaggio”, quasi assimilabile a quello del Sommo poeta nel tentativo di recuperare le ragioni della propria esistenza. Si parte da Barbiana ma poi si ritorna in modo alternato tra le strade di don Milani come le tante stazioni di una Via Crucis contemporanea ed una rivisitazione dei luoghi simbolo dell’esperienza pedagogica dell’autore che, non dimentichiamolo, è innanzitutto un insegnante che stimola i propri ragazzi ad interrogarsi e tentare di superare i dubbi esistenziali attraverso continui ragionamenti.
Accanto a riferimenti diretti agli scritti di don Milani e della sua “fabbrica” delle idee troviamo collegamenti letterari di primo livello ed invenzioni letterarie altrettanto eccelse, veri e propri sprazzi poetici. Nel corso del suo pellegrinaggio, Affinati incontra anche persone vive come alcuni “ragazzi” di Calenzano e la mitica Adele Corradi; e rivisita luoghi lontani, le diverse “Barbiane” nel mondo, dove inconsapevolmente si riproducono meccanismi assimilabili pur nelle diverse condizioni ambientali alla “scuola donmilaniana”, come nel Gambia, ai margini di una foresta, o a Berlino in una scuola per adolescenti in crisi; o in Marocco, dove l’autore incontra un vecchio maestro cieco, Sharif, insieme a due suoi allievi, Omar e Faris; o ancora a Pechino dove incrocia una suora cristiana, Mary, ed un gruppo di giovani maestre volontarie “con le treccine e gli occhialetti”. E, poi, in India, a Benares, trascinato dal risciò di Babu, sulle tracce di madre Teresa, in mezzo alla sofferenza dignitosa di corpi stracciati dalla lebbra e da altre patologie, dai quali riescono a sgorgare a volte versi poetici, che all’autore appaiono “come una preghiera: “Perché i cadaveri bruciano? Il sole li ha incendiati. / Perché noi siamo piccoli? Il mondo deve accoglierci tutti./ Perché Haroun ha perso una gamba? Gliel’ho mangiata io./ Perché i gatti non dormono? Lo fanno con un occhio solo. / Perché le donne piangono? Devono dare acqua alla terra.”

Il viaggio di Affinati prosegue poi verso il centro America nella Città degli angeli, che non è quella nordamericana del Pacifico ma quella delle “highland” messicane dove incontra Ramiro, giovanissimo prete colombiano impegnato nel recupero dei “ninos de rua”, ragazzi di strada “i ragazzi difficili, quelli che o non vogliono crescere o lo fanno male”; e poi sulle rive del Volga dove, ripercorrendo idealmente le pagine de “L’obbedienza non è più una virtù” si incontra Ivan, la cui scelta antimilitarista nasce dalle esperienze traumatiche vissute in diretta nella guerra contro i Ceceni. Il viaggio oltre Barbiana si concluderà alla ricerca di altri preti, a Roma; ma prima c’è il ricordo di Hiroshima e dell’incontro con Okamoto Toshiyuki, uno dei sopravvissuti al disastro nucleare del 6 agosto 1945: è un ricordo ancora straziante, in contrasto con la normalità dello scorrere della vita, così come poteva essere quella dei giorni e delle ore precedenti a quel tragico evento.

Ho scritto un post ieri nel quale accennavo alla presunzione di alcuni autori nella volontà di inserire nei loro testi tutto, proprio tutto, rinunciando alla sintesi. Il “mondo” che Eraldo Affinati ci rappresenta è nella maniera più assoluta una “sintesi” davvero preziosa delle conoscenze e dei richiami all’esistenza ed alla presenza immanente dell’opera di don Lorenzo Milani, “uomo del futuro”.

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