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AL MIO PAESE – SETTE VIZI UNA SOLA ITALIA al FESTIVAL DELLA LETTERATURA NEI CAMPI FLEGREI

Al mio Paese - copertina

“Al mio Paese – sette vizi. Una sola Italia” di Melania Petriello 2012 Edimedia collectanea pensierolento si presenta come un’operazione molto intelligente con una struttura unitaria e compatta ma nell’insieme collettiva ed artisticamente varia e composita. Partendo dall’idea di utilizzare come “metafora” universale quella dei sette vizi capitali (ma con l’aggiunta di un Ottavo di cui la Petriello scrive ne “Dal Vizio perduto al Vizio ritrovato”) che sono la Superbia, l’Avarizia , la Lussuria, l’ Invidia, La Gola, L’ Ira, L’ Accidia tutti analizzati in interventi scritti dall’autrice-coordinatrice de “Al mio Paese”. In effetti, un Ottavo vizio era fino al VI secolo d.C. la Tristezza, ma fu “archiviata per volontà di Gregorio Magno. Nel proseguire questo intervento sull’Ottavo, la Petriello lo evidenzia come l’Impunità e, di certo, si riferisce alla realtà politica del nostro Paese. Dicevamo prima che si tratta di un’operazione collettiva ed artisticamente varia e composita. Perché? L’autrice non è sola; si è avvalsa di un gruppo forte di giornalisti ed artisti di vario genere. Intanto vi è un’introduzione che presenta l’idea, il progetto ed i diversi protagonisti che lo incarneranno, scritta con piglio deciso e battagliero facendo forza sul ruolo e la funzione della Cultura. Subito dopo viene data la parola ad uno dei giornalisti più impegnati degli ultimi decenni, Franco Di Mare che nel Prologo prova a scardinare, utilizzando i più validi esempi, la demonizzazione “tout court” dei vizi a scapito delle “virtù”.
L’Ira viene presa in carico da Vanni Truppi in “Mezzo/giorno” che ci racconta di un incontro con un anziano signore che poi si scoprirà essere uno dei maggiori meridionalisti – Nicola Zitara – durante un viaggio allucinante sui treni che dal Sud portano al Nord; e da Gianmaria Roberti in “In/Capaci” dove si analizza il “pozzo nero” colpevolmente inesplorato delle stragi mafiose (ad iniziare da quella di Capaci).
L’Invidia è affidata a Carlo Tarallo con “Monnalisa, Monnamia”; l’Avarizia verrà trattata da Luca Maurelli in “Capo di Gabinetto”; la Superbia da Giuseppe Crimaldi in “Alfa et Omega” che si lancia in un Giudizio Universale contrappuntato dal “Dies Irae”; il tema dell’Accidia è in “La camicia ripiegata” di Fausta Speranza che tratta dei ritardi della Chiesa su temi come quelli della “pedofilia”. La Gola è descritto da Tiziana Di Simone in “Consiglio Europeo, 15 dicembre” dove tratta con ironia amara il ruolo del Menu negli incontri “europei”. La Lussuria è materia analizzata da Luciano Ghelfi in “A letto con l’Italia” che sceglie di impersonare un personaggio molto importante per la Storia italiana, la contessa di Castiglione. Anche Carlo Puca tratta con modalità originalissime il vizio della Lussuria in “Re/pubbliche”.
La Petriello intervalla con suoi interventi quelli degli amici e colleghi che hanno accettato di partecipare a questa impresa. Perché mai manca l’Avarizia? E come mai non si è voluto aggiungere uno dei peggiori difetti che hanno condizionato la vita e l’esistenza dell’umanità ma, per senso di colpa (forse), non si vuole ammettere nel novero dei vizi capitali? Dove è l’IPOCRISIA?
Dicevamo composita questa operazione ed è infatti corredata da un malinconico ma vibrante epilogo scritto da Fabrizio Dal Passo a difesa della nostra Italia, di cui si sente, come tutti noi, figlio, fino a commuoversi. Ma non finisce qui. C’è anche una rielaborazione drammaturgica realizzata dalla Sezione Scuola del Teatro Eliseo ed uno short film – “Al mio Paese” scritto e diretto da Valerio Veloso che potete ritrovare su youtube cliccando


Cosa dirvi di più. Leggetelo!

 

FESTIVAL DELLA LETTERATURA NEI CAMPI FLEGREI – meno 2

Al mio Paese - copertina

Copertina libro BARBATO

Mancano due giorni all’apertura del Festival – Libri di mare libri di terra – Premio “Michele Sovente”
Vado leggendo ora il libro di Anna Barbato “Io è un’altra – cose che le donne non dicono” dopo aver terminato “Al mio paese” di Melania Petriello & co.
Andiamo avanti – Ieri pomeriggio siamo stati (è una delle poche cose cui ho collaborato con Angela Schiavone e Gabriella Romano che invece trottano alla grande) da Claudio Correale ed i ragazzi di “Lux in Fabula” sia per concordare la loro presenza al Festival sia per un’iniziativa della quale parlerò più diffusamente la prossima settimana.

Il diario

LORENZO DELLA FONTE – L’INFINITA MUSICA DEL VENTO – FESTIVALETTERATURA 2628 SETTEMBRE

Della FonteLorenzo Della Fonte

La lettura di “L’infinita musica del vento” di Lorenzo Della Fonte – 2014 Casa Musicale Eco Editore ha consentito di conoscere una storia realmente accaduta nei suoi contorni generali ed arricchita di elementi romanzeschi di ottimo livello. La figura di Francesco (Cesco o Francis come veniva chiamato a Napoli e verrà chiamato negli Stati Uniti d’America) viene seguita con meticolosa attenzione sin dai suoi primi passi a Napoli dove “dimostrò presto un talento fuori dal comune” già a quattordici anni, dopo aver bruciato le tappe come clarinettista alla “scuola” del maestro Ferdinando Sebastiani. La storia di Francesco viene accompagnata da altri personaggi, alcuni dei quali forse inventati, come Nicola, che imparerà a suonare il corno, uno “strumento…proprio come lui: tondo e, all’occorrenza, possente”. Accanto a Nicola nella prima parte vi è la figura di Sylvie (ma la sua ombra sarà molto presente nella seconda), che troverà un tragico destino sulla sua strada. Il romanzo per l’appunto si snoda in tre parti ben distinte (la prima riferita alla “formazione” dei protagonisti a Napoli; la seconda relativa al viaggio prima nel Mediterraneo e poi nell’Oceano Atlantico sulla “Brandywine”, una fregata della Marina americana; la terza tutta interamente ambientata in terra statunitense) contrappuntate da una serie di “interludi “ con preludi e postludio finale che non hanno alcun collegamento diretto con la “narrazione” degli eventi che contrassegneranno le “storie” intrecciate dei protagonisti nel loro svolgimento complesso. Gli eventi storici, come i prodromi risorgimentali italiani, la guerra fra Stati Uniti e Messico, lo sterminio dei “nativi” americani “pellerossa” ad opera dell’esercito statunitense, la preparazione della guerra di secessione, sono ben presenti ed accompagneranno lo svolgimento dei fatti, incidendo solo relativamente sulle vicende dei “nostri”. Lorenzo Della Fonte dirige l’insieme dei personaggi così come si conviene ad uno stimato (come egli è) Direttore d’orchestra; lo fa con stile e mano lieve, rendendo piacevole e scorrevole la lettura. Da sottolineare la precisione e la cura delle descrizioni, non solo quelle attinenti alla “musica” sulle quali l’autore non può che avere piena padronanza; ma soprattutto colpisce nella seconda parte la capacità di descrivere alla perfezione le caratteristiche minime dell’arte della navigazione. Molto interessante è anche la messa a punto delle problematiche caratteristiche collegate al mondo dell’emigrazione ed ai difficili rapporti tra i rappresentanti della comunità italiana e coloro che, pur provenendo da altre terre negli anni precedenti, intendevano vantare diritti superiori; come a dire: fate attenzione, anche oggi, molto spesso accade che ci sia più “razzismo” nei confronti di coloro che si avvertono come “estranei” proprio da parte di coloro che quelle discriminazioni le hanno vissute sulla propria pelle negli anni precedenti. Ovviamente non è possibile (anche se non sarebbe nemmeno giusto farlo) descrivere per intero le vicende dei personaggi e quelle in primo luogo di Francesco Maria Scala, che ad ogni modo troverà una sua collocazione di primissimo piano come musicista direttore della Banda dei Marines riconosciuto dal Congresso, entrando in diretto contatto anche con alcuni Presidenti degli States ed essendo da questi stimato. La storia ha un andamento rapido ed i colpi di scena si susseguono come in un interessante film d’avventura e d’azione (non mancheranno né i “pirati”, né assalti ai treni ed inseguimenti a cavallo; non mancano le tribù “pellerossa” qui viste dalla loro parte, né la corsa all’oro). Interessante è anche l’apparato didattico finale con le schede dedicate ad un centinaio di personaggi menzionati nella “storia” narrata (sono esclusi quelli dei 43 interludi, del preludio e del postludio e dei due preludietti) ed in ultimo l’elenco dei brani musicali citati negli interludi. Nei ringraziamenti poi Lorenzo Della Fonte chiarisce anche le fonti “umane” che lo hanno introdotto sui “sentieri” da lui meno conosciuti. LORENZO DELLA FONTE SARA’ A “LIBRI DI MARE LIBRI DI TERRA – FESTIVAL DELLA LETTERATURA NEI CAMPI FLEGREI SABATO 27 IL POMERIGGIO DI SABATO 27 SETTEMBRE A BACOLI VILLA CERILLO

Festival Pozzuoli

ANIME BIANCHE – racconti dal carcere al FESTIVAL DELLA LETTERATURA NEI CAMPI FLEGREI 2628 SETTEMBRE

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Di “Anime bianche” ho sentito parlare già da metà agosto quando con Angela Schiavone e Gabriella Romano abbiamo avviato una cooperazione per l’organizzazione del Festival della Letteratura nei Campi Flegrei. E’ scattata immediata dentro me quella parte che è attratta dai temi sociali ed antropologici culturali, ed è anche per questo che ho chiesto di poterlo leggere prima che venisse pubblicamente presentato. Allo stesso tempo ho richiesto a Matilde Iaccarino di poter avere il file del suo “Quattordici”, testo base utilizzato per il Laboratorio di Lettura e Scrittura, intitolato al Premio Nobel per la Pace 2012 Aung Sang Suu Kyi, e riservato alle detenute della Casa Circondariale Femminile di Pozzuoli. Quel Laboratorio fin dal 2002 è condotto da Lina Stanco (Ass. Quartieri Spagnoli), Francesca Di Bonito (Ass. FEBE) e Maria Gaita (Ass. FEBE). “Anime bianche – Racconti dal carcere” è il risultato del Laboratorio di quest’ultimo anno. Il testo che ho potuto scorrere velocemente per la caratteristica fondamentale di estrema semplicità è composto, oltre che da interventi istituzionali (il Sindaco di Pozzuoli Enzo Figliolia e la Direttrice del Carcere Stella Scialpi), da una prima Introduzione molto partecipe (“queste storie che a tratti tolgono il fiato, impongono riflessione, mostrano dolorose incapacità, dicono di solitudine, di destini senza riscatto”) di Luisa Cavaliere, storica esponente del movimento femminista ed anima dell’Archivio delle memorie delle donne di Napoli. Le “storie” di cui si parla sono quelle che le detenute hanno elaborato a partire da alcuni (10) dei quattrodici racconti scritti da Matilde Iaccarino nel 2012. Segue, poi, la Premessa delle operatrici già menzionate che sottolineano la loro decisione “di rendere pubblica questa esperienza per far conoscere la realtà interna al luogo di detenzione…la loro (delle detenute n.d.r.) umanità profonda…sconosciuta ai tanti, per cercare di aprire un varco tra chi è dentro e chi è fuori e ..-rendere fattibile la speranza di possibili percorsi di riscatto. Prima di iniziare le elaborazioni delle detenute identificate solo con una lettera iniziale troviamo una nuova Premessa a firma di Matilde Iaccarino, “Il senso di un incontro: il racconto di sé”, che poi firma anche il raccontoriflessione che dà il titolo all’intera raccolta, “Anime bianche”, una prosa poetica dal forte ed intenso impatto emotivo. Le testimonianze delle detenute si ispirano al libro della Iaccarino (“Da una frase, da un ambiente, da un’immagine sono scaturite decine di storie comuni, vissuti così straordinariamente comuni e dolorosamente belli in cui ogni donna può rivedersi, in quel passo sbagliato, in quell’inciampo pericoloso, in quel tormento, ma anche in quelle speranze d’amore e di affetto che caratterizzano l’intera umanità.”). In “Lei mi riporta a casa” (ispirata da “Di martedì”) D. coglie il riferimento al ruolo “materno” che permette di superare tantissimi ostacoli e limiti psicologici e reali. In “Ero molto piccola per ricordare” (ispirata da “Il giorno dei morti”) A. si sofferma sull’assenza nella sua esistenza della figura paterna, tema ripreso da “Il bello delle cose” elaborato da D.. In “Rieccomi” (ispirata da “L’attesa”) Y. con una certa autonomia si riferisce ad una “speranza” collegata a quella che vorrebbe fosse la sua vita quando un giorno uscirà di prigione. Questa “speranza” si ritrova anche ne “Il principe azzurro” (ispirata da “Nella carne”) nella quale A. auspica che il suo angelo – la madre, “donna fantastica che aveva sempre la porta aperta, un consiglio da dare”, morta – l’ “aiuterà ad aprire questo cancello che mi divide dalla vita esterna e mi darà le sue ali per volare verso la libertà”. Le riflessioni sono molte altre (venti in totale); ne ho trattate e menzionate soltanto quattro, benché tutte posseggano elementi degni di particolari e concrete attenzioni. Il lavoro delle associazioni all’interno degli Istituti di Pena hanno l’indubbio valore nel far recuperare la dignità e l’umanità di queste persone; manca tuttavia o non è ugualmente evidente il lavoro nella società nella quale esse faranno ritorno una volta conclusa il periodo della loro pena. Esprimo, lo sento, un’ovvietà; ma è un’ovvietà pesante. Ritornando ad “Anime bianche” vorrei sottolineare se non fosse stato già chiaro da quanto ho scritto prima che esso non potrebbe esistere dal punto di vista della comprensione senza “Quattordici”. Con questo non intendo dire che sia stata un’operazione inutile, ma mi permetto di suggerire la lettura di “Anime bianche” con l’ausilio dell’intero testo di “Quattordici” ivi comprese le bellissime significative ed appropriate fotografie che ne corredano i diversi racconti. “Anime bianche – racconti dal carcere” a cura di Matilde Iaccarino, Francesca Di Bonito, Maria Gaita e Lina Stanco 2014 Valtrend Editore verrà presentato in anteprima al Festival della Letteratura nei Campi Flegrei – Libri di mare libri di terra il 27 settembre nella splendida cornice di Villa Cerillo a Bacoli a partire dalle 16.30. Il libro è una forte ed intensa testimonianza di un “mondo” impercettibile alla stragrande maggioranza delle persone ed “utile, vero, necessario” per superare il diaframma che si frappone inevitabilmente fra noi e loro, questa parte infelice e sfortunata della nostra società che ha tutti i diritti di aspirare ad una vita “normale”, ad un’esistenza serena e tranquilla, felice.
Su “Quattordici”  di cui Matilde Iaccarino leggerà un brano venerdì 26 ore 16.30 al Palazzo Migliaresi al rinnovato Rione Terra scriverò dopo. Mi è molto “garbato” (scusate il toscanismo!).

ANTEPRIMA FESTIVAL DELLA LETTERATURA NEI CAMPI FLEGREI – LIBRI DI MARE LIBRI DI TERRA 2628 SETTEMBRE POZZUOLIBACOLIMONTE DI PROCIDA

 

 

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Questa notte ho finito di rileggere “Anime bianche -Racconti dal carcere” a cura di Matilde Iaccarino, Francesca Di Bonito, Maria Gaita, Lina Stanco – 2014 Valtrend Editore (il libro non è, a quanto ne so, ancora disponibile; ho riletto “Quattordici” di Matilde Iaccarino necessario punto di riferimento per comprendere “Anime bianche”. Ho finito di leggere “Liza” di Margi De Filpo. E, poi, mi sono concesso un diversivo andando a visitare, insieme ad un gruppo di amiche e di amici e guidati da una esperta di Archeologia etrusca, il sito di Comeana (il tumulo estrusco di Monteforini) sulle pendici del Montalbano. Fra poco scriverò. Nel pomeriggio avvio la lettura del libro di Lorenzo Della Fonte “L’infinita musica del vento”  2014 Casa Musicale Eco Editore. Andiamo avanti

 

Della Fonte

“IL MIO MESTIERE” (Natalia Ginzburg): CHE COSA SIGNIFICA SCRIVERE? Di Federica Nerini

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“IL MIO MESTIERE” (Natalia Ginzburg): CHE COSA SIGNIFICA SCRIVERE?

Di Federica Nerini
“Il mio mestiere è scrivere delle storie, cose inventate o cose che ricordo nella mia vita ma comunque storie, cose dove non c’entra la cultura ma soltanto la memoria e la fantasia. Questo è il mio mestiere e lo farò fino alla morte”, così Natalia Ginzburg definiva il suo duro e adorato lavoro: una ragione in più per vivere. Fin dall’antichità l’uomo ha avuto sempre l’esigenza di scrivere storie, miti, leggende solo per la gioia di ascoltare, di essere qualcun altro, e per esistere in modo diverso. Quindi la “voglia di scrivere” nasce con l’uomo, e “il desiderio” non ci deve di certo meravigliare.
Ma perché alcuni mentre scrivono, si illuminano di luce propria e ci fanno sognare altre vite, vivere in altri mondi e catapultare in altre ere? Bravura innata o potere donato da Dio? Noi nel momento in cui scriviamo aspiriamo al silenzio, alla vita, alla libertà e alla nostra felicità individuale, poiché ci liberiamo da ogni tristezza e melanconia. “Scrivere” è come andare dallo psicoanalista, infatti la Ginzburg afferma: “Quando uno scrive un racconto, deve buttarci dentro tutto il meglio che possiede e che ha visto, tutto il meglio che ha raccolto nella sua vita. E i particolari si consumano, si logorano a portarseli intorno senza servirsene per molto tempo”. Quindi, scriviamo noi stessi: ci allontaniamo e ci avviciniamo lentamente alla nostra persona. Il narrare è un flusso che proviene dall’inconscio e dall’anima dello scrittore; come le onde marine ritornano sempre nello stesso punto del bagnasciuga, anche le parole si accendono quanto più arriviamo a sfiorare l’Io, solo quest’ultimo è padrone delle nostre storie, soltanto lui saprà fin dove arriveremo e la nostra fine. L’unico problema è che il paziente comune racconta la sua vita soltanto allo psicoanalista junghiano di turno, mentre lo scrittore narra la sua “epopea” a tutte le future generazioni, inclusi noi. Per questo, sovente è bello scrivere, ma anche leggere fa la sua parte.
Il mestiere dello scrittore è un vero e proprio lavoro, perché implica uno sforzo intellettuale sovraumano, indi per cui è giocoforza definirlo non un “mestiere”, come lo definiscono in molti, bensì una “fatica” in senso vivo, interno e perturbante. In napoletano “lavoro” si traduce con ‘a fatìca proprio per indicare la sofferenza fisica a cui il lavoratore deve sottostare; ci deve essere il “trabajo”, come dicono gli spagnoli: l’anima si deve staccare dal corpo per la pena, il tormento e la fatica. Il sostantivo partenopeo ci fa capire la vera ragione dell’essere scrittori, la Ginzburg a tal riguardo scrive: “Ho scoperto allora che ci si stanca quando si scrive una cosa sul serio. È un cattivo segno se non ci si stanca […]. Uno, quando scrive una cosa che sia seria, ci casca dentro, ci affoga dentro proprio fino agli occhi”.
La maggior parte degli scrittori sono “artisti” infelici e spiegherò il perché. Possiamo infatti dire che le persone felici non fantasticano mai, lo fanno solo gli insoddisfatti. Ciò che rappresenta il “motore immobile” delle fantasie sono i desideri insoddisfatti, ed ogni singola fantasia è la realizzazione di un desiderio, una correzione della realtà insoddisfacente. I creatori di storie cercano di captare se stessi, la realtà, gli altri, inglobando ogni istanza nell’inconscio, per poi iniziare la produzione enucleata dentro loro stessi; questo è al centro del “meccanicismo artistico”: la volontà, l’insicurezza, l’infelicità, la solitudine e la bramosia della realizzazione. Il godimento del piacere, scaturito dalla fantasia con il soddisfacimento dei desideri inconsci, è alla base del “processo creativo”. Le fantasie sono come quelle molle elicoidali che si danno ai bambini quando sono piccoli, apparentemente sono prive di potenza, ma basta il minimo movimento per trasformare il potenziale in un dinamismo eccelso. Ecco, la creatività è una molla, e come ogni oggetto “nuovo” bisogna saperlo usare e non abusarne. Addomesticare la creatività di ogni artista è come avere a che fare con le belve selvatiche: è un processo arduo ed acuto, infatti non tutti gli artisti sono riusciti a manovrare questa “istanza oscura” e alcuni hanno fatto una brutta fine. Il tema in questione è affrontato non solo nella teoria freudiana, ma è anche contenuto in un saggio di Hanna Segal, psicoanalista britannica chiamato Delirio e creatività artistica: “Ma, come in ogni opera d’arte, il romanzo contiene anche la storia della sua stessa creazione ed esprime i problemi, i conflitti e i dubbi sulla stessa creatività dell’artista. L’angosciosa domanda che l’artista si pone è: Il mio lavoro è una creazione o un delirio?”. La produzione artistica è un vero è proprio delirio secondo la Segal, e noi non dobbiamo certo stupirci, poiché il progetto creativo vive ed è dato dalla catarsi sistematica generata dai ricordi e dalle esperienze dell’io. Si scrive quello che si prova in quel determinato momento, infatti veniamo “posseduti” dalla nostra stessa anima e influenzati dagli eventi accaduti: “Ma l’essere felici o infelici ci porta a scrivere in un modo o in un altro. Quando siamo felici la nostra fantasia ha più forza; quando siamo infelici, agisce allora più vivacemente la nostra memoria. La sofferenza rende la fantasia debole e pigra; essa si muove, ma svogliatamente e con languore, come i deboli moti dei malati […]. Ci è difficile distogliere lo sguardo dalla nostra vita e dalla nostra anima, dalla sete e dall’inquietudine che ci pervade” (Natalia Ginzburg).
Per ogni grande scrittore i momenti in cui scrive sono vissuti con grande intensità, basti pensare a Gustav Flaubert, il quale giunto nel momento di uccidere Madame Bovary, immaginò la sua agonia con tale intensità da sentire il gusto dell’arsenico nella sua bocca fino al punto di vomitare; egli su questo scrive: “perché, bene o male, scrivere – non essere più se stessi, muoversi in un universo di propria creazione – è una cosa deliziosa. Oggi, per esempio sono stato uomo e donna, amante e amata, sono stato a cavallo in un bosco, in un pomeriggio d’autunno, sotto le foglie gialle, ed ero i cavalli, le foglie, il vento, le parole che si dicevano e il sole rosso che faceva socchiudere le loro palpebre pesanti d’amore”. È un mestiere che si nutre di cose orribili, ma anche di cose bellissime.
Chi scrive è figlio del silenzio. Esso è essenziale per narrare. I personaggi dei romanzi classici da noi conosciuti parlano per ingannare il silenzio. Proust per tutto il tempo della “Recherche” è stato in una stanza imbottita da pareti di sughero, quasi in preda ad una crisi di isteria; Franz Kafka detestava ogni minimo bisbiglio, colpo di tosse, l’infinitesimo sussurro, il fruscio delle foglie che si disperde nell’aria, il lieve canto dei passeri solitari; perché qualunque cosa succeda è il suono che distingue la vita dalla morte, ed è il rumore l’archetipo distintivo della vita. “Voleva essere talmente chiuso, sbarrato, tagliato, abbandonato dal mondo: voleva altissimi e impenetrabili muri, come quelli della camera di Gregor Samsa o della cantina dove sognava di scrivere” (Pietro Citati). Del senso di colpa, del senso di inferiorità, del senso del panico, del silenzio, qualcuno cerca in qualche modo di guarire, debellando queste “malattie mortali”. Perché desideriamo così tanto il silenzio? Vivere significa saper “ascoltare” e “sopportare” la nostra cacofonica melodia di vita.
Se studiassimo le regole del “fantasticare”, capiremmo che noi tutti siamo potenzialmente degli scrittori, solo che molti passano la vita senza accorgersene, ed è per questo che esisterà sempre l’infelicità. Ma che cos’è la “fantasia” se non una continuazione di un gioco infantile? Che cosa sta alla base della sfera creativa? I poeti e gli scrittori sono degli eterni bambini: i narratori giocano con i loro trenini e le narratrici con le loro bambole, per sempre, per tutta la vita. Ed io, non smetterò mai di osservarli.

“DICI TU…Titolo provvisorio” di Riccardo Imperiali di Francavilla – Festival della Letteratura nei Campi Flegrei

Dici tu titolo provvisorio

Festival Pozzuoli

Si parte da un prestesto, pre-testo, da un’occasione, un tema anche banale (il termine non ha accezione necessariamente negativa, a meno che qualcuno non abbia la consapevolezza che lo stesso Dio che ci ha creato dal banale semplice “fango” non abbia fatto nulla di buono), ordinario (è meglio), consueto, di quelli da cui non penseresti mai si possa iniziare a scrivere un racconto decente o un romanzo, e ci si diverte a far venir fuori una serie di riflessioni, di “scatole cinesi” dove ad ogni modo la sorpresa è nel nocciolo, nella parte finale. A dirla con Gambardella (“Vinicio Sparafuoco…”) è come i fuochi d’artificio: si parte con una certa lentezza, con nonchalance per arrivare al “gran finale” (e qui ovviamente non sono maestro, se “maestro” di qualcosa io lo sia). Sto parlando di “Dici tu…Titolo provvisorio” di Riccardo Imperiali di Francavilla 2014 Tullio Pironti Editore, 19 racconti che invito tutti a leggere sia che vi siete arrabbiati ed avete bisogno di ritrovare la pace vostra, sia che siete tranquilli e volete divertirvi e rilassarvi. Non si pensi tuttavia ad una lettura solo rilassante, leggera; c’è della indubbia sostanza nell’autore che, da quel che mi viene detto, ha ritrovato la strada perduta ed a mio parere è bene che la continui. Tutto quello che si è accumulato con l’esperienza umana e professionale potrà continuare a confluire nella produzione letteraria. In questa riflessione inserisco la mia presunzione aggiungendo che i racconti di Riccardo Imperiali sono indirizzati ad un pubblico intelligente e pronto a coglierne le sfumature eleganti. In effetti non sono, lo accennavo all’inizio, dei veri e propri racconti; sembra quasi che da un cilindro l’autore ricavi i temi su cui “ricamare” un ragionamento. Prendete ad esempio, ma solo ad esempio il primo racconto “Due palle” e ci troverete l’anima napoletana (“Napoli è questa: una banale spesa che diventa teatro, chiacchiera, finzione, gioco, una continua presa in giro reciproca, vita.”) Ed era “Maestro” in questo Eduardo De Filippo che giocava frequentemente sulle “banalità” (oh Dio, nuovamente questo termine!): ve lo ricordate il “caffè in “Questi fantasmi”? Nel leggere,poi, si avverte la voce dell’autore con la sua pacata ironia, forse necessitata anche dalle problematiche non sempre positive della quotidianità (se non si sorride cosa rimane? La disperazione) che viene stemperata proprio con una sottile pacata arguta ironia. L’autore infatti riesce a “…fare assurgere a problema esistenziale anche episodi improvvisi come fontane divelte al centro della città, in ora di punta, fuori al supermercato” (“La fontana del Comune”). E, se leggete “Una serata in jazz”, ci troverete l’anima del melomane (non so se mi sbaglio ma l’autore conosce bene le diverse caratteristiche “umane” degli strumenti in un’orchestra pur minima) anche se lui conclude: “Mi sa che, di musica, continuo a non capire un cazzo, però che serata di jazz!”. Io quel racconto l’ho trovato eccezionale. Ed andando avanti, trovando il titolo “Preti, pretini, pretoni” cosa pensate che non vi divertirete? Ma fino alla fine è così: nell’ultimo racconto, “L’Italia, una fiaba per bambini”, ponendosi dalla parte dei più piccoli sviluppa ragionamenti esilaranti (seri, eh!) di un gruppo di bambini (età media cinque anni) che, come accade di norma, si fingono, nei loro giochi, grandi (“Votiamo. Ho sentito che i grandi così fanno….”) discutendo questioni planetarie come quella di portare un po’ di sole del Sud nel freddo di Belluno (non so se qualcuno ricorda l’amenità di quel “signore” che voleva sterrare un monte di 1595 metri – il Tomatico – per portare il sole alle valli del Feltrino) ed esilarante è la discussione su “terrone, terrino, terronone, terronetto” per identificare i meridionali. Ci ho riso tanto senza farmi sentire e vi assicuro che vi ho dato, con il mio modesto commento, solo meno di un decimo di quel che ho ricevuto, leggendo queste pagine.

ANIME BIANCHE Racconti dal carcere – anticipazione – FESTIVAL DELLA LETTERATURA LIBRI DI MARE LIBRI DI TERRA

ANIME BIANCHE

 

Ho finito di leggere “Mi piacciono i film di Frank Capra” di Maria Caterina Magliocca  Valtrend Editore 2014 sul quale scriverò le mie riflessioni nelle prossime ore. Avvio stasera la lettura di “Anime bianche – Racconti dal carcere” a cura di Matilde Iaccarino, Francesca Di Bonito, Maria Gaita e Lina Stanco Valtrend Editore 2014. Sarò accompagnato dalla lettura del libro fotografico di Matilde Iaccarino “Quattordici” libro base per il Laboratorio di lettura e scrittura “San Suu Kyi” tenuto nel 2002 nel carcere Femminile di Pozzuoli. In particolare mi baserò su 10 delle 14 narrazioni: “Di martedì”, “La casa degli specchi”, “Il giorno dei morti”, “L’attesa”, “Sulla scogliera”, “Quando verrà la neve”, “Napoli Marocco”, “Nella carne”, “Primo tempo” e “Tamponamento a catena”. Andiamo avantiMaria Iaccarino

FESTIVAL DELLA LETTERATURA NEI CAMPI FLEGREI – LIBRI DI MARE LIBRI DI TERRA – PREMIO MICHELE SOVENTE

cartoline-da-pozzuoli-L-jV-IO5Casina VanvitSoventeBacoli

dal 26 al 28 settembre si svolgerà fra Pozzuoli (Rione Terra), Bacoli (Villa Cerillo ed altre locations) e Monte di Procida (Cappella e Casina Vanvitelliana) il Festival della Letteratura nei Campi Flegrei – Libri di mare libri di terra – Premio “Michele Sovente” III Edizione organizzato da “Il Diario del viaggiatore” con il patrocinio dei Comuni di Pozzuoli, Bacoli e Monte di Procida

Fra qualche ora inserirò anche il PROGRAMMA nei suoi dettagli. Mi sembrava logico accompagnare questo mio post con la canzone di Enrico Ruggeri “La poesia”

La poesia nel mondo
è un battito di ciglia
è una farfalla figlia del silenzio
che batte le ali e ha i colori del tempo
e non ha pace non ha età

La poesia nel mondo
è un bambino dispettoso
che non ama il potere e la decenza
e veste l’amore, sottolinea una partenza
ce la troviamo conficcata dentro noi

E dentro alle case tra il ridere e il piangere
quanto bisogno di correre via
quante carezze ed ognuno che aspetta la sua

Dacci quel sonno profondo
dentro a quei sogni che il mondo non fa
dacci una vita da vivere fuori di qua
dacci una vita

La poesia nel mondo
è un affare una salvezza
sospesa tra cinismo e tenerezza
che segna i momenti sui fogli di un diario
poi sbaglia l’orario e se ne va

E lungo le strade cercando di vivere
quanti si perdono lungo la via
quante parole ed ognuno che ascolta la sua

Dacci quel sonno profondo
lungo quel sogno che al mondo non c’è
fa che ciascuno si illumini dentro di se
dacci la vita

E il mondo si ferma e si meraviglia
se l’anima vola ed al cielo somiglia
già prima che scenda la notte leggera su noi

Dacci quel sonno profondo
dentro a quei sogni che il mondo non fa
dacci una vita da vivere fuori di qua
dacci una vita

E il mondo si ferma e si meraviglia
se l’anima vola ed il cielo somiglia a te

Dacci quel sonno profondo
lungo quel sogno che al mondo non c’è
fa che ciascuno si illumini dentro di se
dacci la vita..