14 marzo – elogio dell’ipocondria – parte 2 con una digressione sul tema

14 marzo – elogio dell’ipocondria – parte 2 con una digressione sul tema

Di norma, l’ipocondriaco è uno strano individuo, spesso auto isolato nelle sue preoccupazioni di tipo sanitario. E’ un soggetto da racconto o da film e, come sanno bene i miei amici, inducono ad un certo sorrisino beffardo, solo di rado consolatorio. Ovviamente, si parla sempre di quegli…altri che esagerano, non di se stessi nel caso in cui si facesse parte integrante di…quella famiglia. Pur tuttavia, al netto delle esagerazioni, in questo percorso inatteso nel quale mi sono ritrovato, ho fatto qualche riflessione per l’appunto “personale”. E se invece di, sottilmente, deridere fossi stato più attento ad ascoltare i ritmi non più correttamente funzionali della mia salute, non sarebbe stato meglio? Domanda oziosa, ovviamente, fatta “a posteriori”. Ma, a dire il vero, non mi sono mai considerato un ipocondriaco: o, meglio, ho sempre dato un calcio ai pensieri che mi angosciavano e mi sono posto al servizio della società, della politica, del lavoro.

La “digressione” è finita: è stata anche fin troppo lunga.

Vado al “Careggi”, dunque. Una visita accurata, professionalmente e umanamente. Già nella sala d’attesa, ho intercettato una testimonianza positiva da un dialogo telefonico: un signore raccontava come dopo l’operazione al polmone alla quale era stato sottoposto avesse man mano ripreso la normale attività fisica. Accennava a lunghe passeggiate nel verde: e ciò non pteva che rincuorarmi. Ancor più poi in quanto è entrato prima di me nell’ambulatorio dove sapevo perfettamente avrei trovato il dottore che avevo scelto. E non c’è stato alungo. Era solo per un breve controllo. E infatti dopo poco sono entrato io e, come dicevo, il dottore che ha voluto subito vedere le risultanze della TAC, ha proceduto a tutte le verifiche “dirette” con la misurazione dell’ossigeno, l’auscultazione del torace ed alcune domande circa la pratica del fumo. E’ dal gennaio del 1984 che non fumo più; e non ne consumavo certo molte. Ero un modestissimo fumatore; di certo, non avrei mai pensato di poter essere inquisito e colpevolizzato per quelle quattro cinque sigarette, quasi sempre collegate ai riposi post pasti principali, come di consueto. E non ci ho messo tanto tempo a staccarmi da quella “pratica”: non ho fatto come lo Zeno Cosini di Italo Svevo. Non ho atteso tanti eventi, piccoli medi o grandi, ma uno solo, molto significativo ed importante per me: la nascita di Lavinia. 8 gennaio 1984: ultima sigaretta. Anzi, già il giorno prima avevo buttato via tutto l’armamentario utile per il “fumo”: accendino (di quelli di poco conto, ovvio), i residui del pacchetto.  Il dottore, però, non era così tranquillo, appariva severo nel gudizio (o, perlomeno, così a me è apparso), come se accreditasse a quella “pratica”  per me così lontana le ragioni per comprendere il mio attuale stato di salute. Da profano non ero affatto convinto di questo giudizio, pur non espresso in modo chiaro; e pensai che però nel corso degli anni successivi ero stato comunque a contatto con ambienti fumosi, come circoli e sedi di Partito.