Una riproposizione per i soloni saccenti che si ostinano a promuovere tempi di guerra per rincorrere i propri vantaggi – senza essere consapevoli che non si può escludere in questo contesto mondiale (globalizzato malgrado ciò non soddisfi una crescita “globale” per la maggior parte del Mondo) la Russia

PREAMBOLO (molto sintetico): Ci sarà un motivo forse più di uno perché la guerra è deflagrata. La Storia – lo si dice – non si fa con i “se” e con i “ma”. Ma questa affermazione viene utilizzata dai potenti e dai loro servitori troppe volte – quasi sempre – per tacitare i provvisori interlocutori che la pensano in modo diverso. E invece questa modalità (dei “se” e dei “ma”) occorre sia utilizzata nei tempi brevi per mettere in evidenza le responsabilità e chiedere di poterle riconoscere. Cosa abbiamo saputo noi dai nostri canali ufficiali – la nostra TASS – che si sono palesati pubblicamente di recente con delle pseudo liste di proscrizione: poco più che l’unico responsabile di tutto questo disastro (umano, economico, ambientale) siano Putin e la Russia. Ancora oggi (8 giugno 2022) non si è compreso – o almeno così appare a noi, poveri bischeri, che tenere fuori la Russia dai rapporti politici, economici, culturali (che aberrazione anche i DASPO culturali e sportivi), istituzionali (il non invito a manifestazioni istituzionali come quella del 2 giugno a Roma) , allontana di gran lunga la possibilità di riaprire un dialogo reciproco, non solo per far cessare la guerra, ma per far vincere la PACE.

28 febbraio quinto giorno di guerra – Attenti alla guerra – arma di distrazione di massa – una introduzione ai temi attuali

In questi giorni in tanti si vanno chiedendo le ragioni per cui fino all’altro ieri il giudizio su Putin fosse quasi identico a quello con il quale oggi si identifica come un despota nemico della Democrazia, ma non si andava oltre e anzi ci si fermava esclusivamente a denunce di tipo morale del tutto inefficaci. La scelta che Putin ha fatto nel minacciare “prima” e nel procedere poi ad una invasione di un territorio non di sua competenza ha messo a nudo l’inadeguatezza di una Politica internazionale, a partire da quella dei Paesi europei, che in questi anni pur criticando l’assenza di Democrazia in Russia e nonostante la presenza di sanzioni preesistenti non cessavano di sottoscrivere accordi commerciali con quel Paese.

Sotto questo aspetto nessun Paese è indenne da critiche e dunque non sono credibili i passi diplomatici di vari leader; addirittura ci potrebbe essere il sospetto di accordi di basso profilo e questo danneggerebbe ancor più la credibilità del mondo politico attuale.

Tali scelte, portate avanti nel nome di un mercato globalizzato, hanno dato la sensazione di una profonda debolezza dell’Europa, sia politica che economica. D’altro canto la Russia, proprio attraverso la sua conduzione politica despotica dei gruppi di potere costituitisi intorno a Putin ha teso a mantenere e far crescere una sempre più profonda divaricazione sia culturale che economica nella sua popolazione.

Il mondo è stato a guardare; anche quello che oggi si erge a difesa della “Pace”, senza peraltro chiedersi quali possano essere le vere ragioni del contendere. Non è affatto sorprendente che da qualche parte si alzino critiche verso forme poco più o poco meno che ideologiche e che si inviti ad una maggiore cautela, pur nella difesa strenua delle ragioni dei più deboli, che in questo momento sono coloro che subiscono le azioni di guerra.

5 marzo –

Il 28 febbraio scrivevo un post sottolineando la debolezza degli Stati europei, della Nato e degli USA, ma non mancavo di cominciare ad esporre le mie perplessità intorno alla inadeguatezza e alla sempre più scarsa credibilità di un fronte pacifista, che finisce per avere connotati ideologici improduttivi. Non basteranno questa volta raduni oceanici a far girare la ruota della Storia; così come in altre occasioni “storiche” non è la bandiera della Pace che può fornire una giusta risposta ai problemi dell’Ucraina e del suo popolo. Piuttosto sarebbe opportuno chiedersi davvero cosa significhi l’invio di armi ai resistenti; solo un atto pietoso simbolico, dopo il quale occorrerà uno sforzo maggiore da parte delle potenze internazionali, UE e Cina comprese, nel perseguire una linea di trattative credibili, che possano concedere a tutti i concorrenti elementi di soddisfazione. Se questo non accade, e ci si limita a mettere in campo personalità in declino come Macron, significa praticamente che finiscono per prevalere posizioni molto personali dei grandi protagonisti, non solo Putin ma anche Biden, che giocano una battaglia poco nobile sulla testa di inermi cittadini e combattenti diversamente armati.

Molto spesso siamo condizionati da punti di vista veicolati dal Potere nostrano, per cui – sì davvero – Putin appare il demonio e Biden l’angelo del Bene. Non è così, a parte quelle che sono le caratteristiche personali di facciata, per cui Putin rappresenta il “machismo” e Biden il “buon padre di famiglia”. Poi è del tutto evidente che chi utilizza le armi (ma gli USA hanno brillato in tal senso) non può avere consensi tra la stragrande maggioranza della gente comune; ma quest’ultima parte della società conta davvero molto poco e prevalgono ristrettissime oligarchie sia tra gli uni (la Russia, per noi i “cattivi”) che tra gli altri (USA, Nato e UE, per noi i “buoni”).

Partendo dalla consapevolezza che non è così netta la distinzione tra buoni e cattivi, bisognerà anche ragionare intorno ad un dilemma che dovrebbe essere motivo di turbamento da parte di coloro che, risvegliandosi dal letargo, ergono il vessillo della Pace, a tutti i costi. Una delle condizioni migliori per loro sarebbe che, toccato da un effetto miracoloso, il despota russo ritorni anche solo parzialmente sui suoi passi e si disponga ad un accordo, facendo fermare e retrocedere l’esercito. Ma questa soluzione appare oggi improbabile utopia. L’altra possibilità potrebbe essere che una parte del gruppo di oligarchi politici e militari che circonda Putin lo convinca a desistere, a farsi da parte in modo pacifico con un suon “buen retiro” una sorta di prepensionamento (ma, visto il lungo tempo di permanenza al Potere, sarebbe cosa buona e giusta) come è accaduto per alcuni suoi predecessori, a partire da Gorbaciov, e di converso si avvii una fase nuova di trattative, che potrebbero essere anche più vantaggiose per la stessa Russia (estromesso Putin, ciò non sarebbe impossibile). Una terza ipotesi tuttavia potrebbe essere elemento di “turbamento” per le menti pacifiste. Ed è il principale dilemma di cui accennavo poco qui sopra: può un pacifista accettare che sia una soluzione l’eliminazione fisica violenta del “despota”?

Questa non è un’ipotesi peregrina, visto il cumulo di odio che si è addensato sulla testa di Putin.

7 marzo –

Concludevo il post del 4 marzo ponendo una domanda scomoda:
può, e aggiungo oggi, un (“vero”) pacifista accettare che sia una soluzione l’eliminazione fisica violenta del “despota”?

La scesa in campo così numerosa di “pacifisti” nelle manifestazioni di questi giorni è solo la cartina di tornasole del senso di colpa profondo che tanti di costoro, forse inconsapevolmente, avvertono nell’aver sottovalutato la pericolosità della presenza antidemocratica di alcuni personaggi sulla scena contemporanea, a partire ma purtroppo non solo da quella di Putin. Sulla sua figura da molto tempo vi erano delle forti perplessità relative al comportamento dispotico che aveva evidenziato soprattutto contro i suoi oppositori, non solo quelli che avrebbero potuto avere un ruolo di concorrenza politica, ma anche tutti coloro che, senza distinzione di classe sociale e di età, avevano provato a dissentire su piccole o grandi scelte. E’ – ed era – a tutti ben nota l’idiosincrasia verso i dissenzienti, che avevano anche portato ad eliminazioni fisiche, come è accaduto alla giornalista Anna Politkovskaja uccisa con un colpo di pistola il 7 ottobre 2006 nell’ascensore del suo palazzo a Mosca; e a tentativi più o meno falliti di eliminazione come nel caso di Alexei Navalny, attualmente in carcere. 

Non si può pensare di alzare barricate di bandiere con proclami semplicistici come il “Fermiamo la guerra, no all’invio di armi”; non si può pensare di avviare una trattativa, allorquando il fragore delle armi è priva di una forma razionale minima di disponibilità da una delle parti, mentre le altre, forse troppe e probabilmente non così unite come vorrebbero sembrare, cincischiano, pensando ad ottenere qualche piccolo vantaggio per sé nell’immediato futuro.

Anche se è vero, profondamente, che non ci si possa oggi fermare a tracciare le linee di demarcazione delle responsabilità della situazione, non di meno bisogna che ciascuno di noi comprenda che da quella consapevolezza occorre ripartire. La qual cosa significa anche che l’alternativa alla guerra potrebbe essere una trattativa nella quale dover riconoscere le ragioni della Russia, ma promuovere allo stesso tempo l’elaborazione di una strategia democratica di collaborazione tra popoli. Detta così è una grande formulazione utopica, a dimostrazione anche che tutte le buone volontà, di pace disarmo fratellanza, finiscono per naufragare di fronte alle velleità di quei pochi che spingono per far prevalere i loro specifici personali interessi.

E ce ne sono tanti, troppi ancora anche tra di noi; oltre ai tanti che fingono ora di essere contrari a Putin e che invece ne hanno esaltato lo stile fino all’altro giorno. E non mi riferisco solo ai nazionalisti nostrani, ma ai tanti che ancora si ostinano ad esaltare l’ex Unione Sovietica e i suoi successori, dimenticando che in quelle realtà “prima durante e dopo” non c’era libertà di pensiero e soprattutto di parole. In soldoni, non c’era la Democrazia. E vale a poco sussurrare che anche nella nostra realtà spesso i livelli democratici vacillano.