Intrecci saldi: San Paolo e il Macrolotto 0 al centro di una importante ricerca internazionale
di Massimo Bressan
Un quartiere che è attraversato con forza da molti dei fenomeni che caratterizzano il recente cambiamento economico e sociale di un sistema sempre più globalizzato. La ricerca evidenzia come un quartiere relativamente giovane sia in realtà connesso con molti luoghi da reti di relazioni economiche e sociali e come sia necessario che i residenti acquisiscano una maggiore consapevolezza della centralità del proprio territorio nei processi di globalizzazione.
Nei primi mesi del 2012 un progetto di ricerca elaborato da due antropologi – Elizabeth Krause, del Dipartimento di Antropologia dell’Università del Massachusetts, e da Massimo Bressan, dell’Istituto di ricerca IRIS di Prato – viene approvato e finanziato da due importanti fondazioni americane, la National Science Foundation (l’agenzia federale creata dal Parlamento degli USA nel 1950 allo scopo di promuovere la ricerca scientifica) e la Wenner Gren Foundation (una fondazione privata americana che promuove lo sviluppo della ricerca antropologica). Il titolo del progetto è: “Intrecci saldi: reti familiari in un distretto industriale globalizzato”. La ricerca si svolge a Prato a partire dall’estate del 2012 e si caratterizza per essere centrata intorno agli snodi dell’incontro tra migranti e residenti, famiglie e istituzioni locali, imprenditori e lavoratori. Ognuno di questi snodi si caratterizza per essere attraversato da flussi (di significato come di valore) che coinvolgono movimenti tra luoghi diversi e lontani.
Molti incontri tra noi ricercatori e i nostri informatori – incontri che si realizzano attraverso interviste o comunque interazioni più o meno formali – hanno avuto luogo presso gli uffici del Servizio “Immigrazione e Cittadinanza” del Comune di Prato – grazie alla collaborazione della dott.ssa Valentina Sardi -, e presso l’Unità Funzionale ‘Salute mentale infanzia e adolescenza’ della USL 4 di Prato – grazie alla collaborazione del dott. Marco Armellini. Oltre agli snodi istituzionali il lavoro sul campo si è svolto in alcuni luoghi particolarmente significativi della città di Prato: in modo particolare nell’area del cosiddetto Macrolotto 0 (il quartiere di San Paolo e tutta l’area che da Via Donizetti arriva fino a Porta Pistoiese, dal tracciato della ferrovia che porta verso la costa fino ai residui rurali che si spingono verso Via Galcianese), negli altri quartieri centrali e nelle aree industriali poste a sud della città (i Macrolotti 1 e 2).
La prospettiva transnazionale con cui si osservano i processi migratori è uno dei presupposti della ricerca; questa prospettiva si applica tanto alle intense relazioni economiche che caratterizzano il sistema produttivo pratese, quanto alla fitta rete di relazioni sociali che si svolgono all’interno e tra i poli della migrazione cinese. In tal modo si introducono nella lettura delle trasformazioni della città, dei suoi quartieri, e della società locale, connessioni, movimenti e comportamenti altrimenti relegati nell’opacità della retorica e delle pratiche politiche della separazione e segregazione. Una retorica che ha insistito con forza sulla separazione tra i gruppi cinese e italiano, tanto sul piano economico che su quello sociale, ma che ha solo oscurato le innumerevoli e sostanziali occasioni di contatto, scambio, cooperazione e intreccio che legano i gruppi che vivono e lavorano nel territorio pratese.
La nostra ricerca tende a evidenziare la centralità delle famiglie dei migranti cinesi nella dinamica della globalizzazione e a mostrare come le risorse attivate dai meccanismi della reciprocità siano importanti nel sostenere la competitività e la flessibilità del sistema produttivo locale del “pronto moda”. Questa lettura di un fenomeno economico non è molto distante dal modo in cui nel passato si è descritto ed interpretato il distretto industriale (vedi l’opera di Giacomo Becattini). Anche in quel caso la famiglia era considerata un tratto fondamentale per comprendere i meccanismi di riproduzione del distretto industriale – e in particolare come fosse possibile garantire la flessibilità del lavoro e della produzione in un contesto di forte competizione.
Alcuni ambiti e situazioni della vita urbana che abbiamo osservato a lungo sono: le pratiche di gestione della prole adottate dalle famiglie di lavoratori migranti – che prevede spesso il movimento dei bambini tra i poli della migrazione familiare; le politiche restrittive adottate dalle amministrazioni locali sull’utilizzo dello spazio pubblico nei quartieri di insediamento dei migranti – strutturalmente spesso poco dotati di marciapiedi, piazze, giardini, ecc.; le modalità di relazione tra imprese, lavoratori e residenti italiani e cinesi nei mercati intermedi del ‘pronto moda’; le interazioni che hanno luogo nei servizi pubblici locali, come gli uffici comunali, gli ospedali, le scuole.
Questa strategia ci consente di concentrare l’attenzione sulla dimensione del potere che compenetra i conflitti tra economie locali, pratiche sociali e orientamenti morali dominanti e subordinati; spesso, ad es., quando il discorso pubblico si occupa degli immigrati, il riferimento è ai lavoratori stranieri, ma non sempre si ricorda come all’origine di questi flussi vi sia il bisogno di manodopera poco qualificata che si impiega in lavori faticosi e/o con orari pesanti. L’immigrazione comporta l’allontanamento dal proprio nucleo familiare che, in molti casi, costituisce la conseguenza più difficile da sostenere per i migranti. Le esperienze che descriviamo fanno emergere, come osserva Paul Ricoeur, «il contrasto stridente tra la mobilità del lavoro su scala mondiale e la chiusura dello spazio pubblico della cittadinanza» (P. Ricoeur, Ermeneutica delle migrazioni, 2013).
Ciò che non traspare a sufficienza nel dibattito pubblico (ed in particolare nella retorica politica) ma che emerge in modo lampante nelle interviste con i migranti cinesi, così come con gli imprenditori italiani e gli operatori dei servizi pubblici, è la distanza sempre più ampia tra i processi di regolazione della cittadinanza (democrazia) e del lavoro e la scala locale, di quartiere o di città, dove si svolge gran parte della vita dei residenti (italiani e stranieri). In sostanza il pervadere della dimensione globale del capitalismo alimenta il movimento e la distanza tra i luoghi in cui il potere esercita le proprie decisioni ed i luoghi della vita delle persone, famiglie, comunità. Apatia, rassegnazione, incapacità di concepire il conflitto o la partecipazione nei luoghi della cittadinanza, sono atteggiamenti che traspaiono dalle interviste o dai discorsi che abbiamo realizzato. Resta il fatto che le condizioni poste dal capitalismo alla competizione delle imprese, in particolare per i mercati dei prodotti del tessile-abbigliamento, richiede quasi necessariamente che la produttività del lavoro sia alimentata, ad es., dalle reti e dalle risorse familiari, oltre che dal sacrificio personale e dagli intensi orari di lavoro. Molti distretti industriali italiani hanno seguito questa deriva anche attraverso il lavoro degli immigrati; altre strategie sono state quelle di uscita dal sistema di produzione manifatturiero attraverso lo spostamento verso altre attività economiche nel terziario, oppure la rendita immobiliare che deriva dalla trasformazione delle vecchie fabbriche in condomini o centri commerciali – gli esempi pratesi sono numerosi ed in particolare nell’area di Via Pistoiese e di San Paolo. Questi fenomeni sono una conseguenza delle mutate condizioni della competizione internazionale e il loro impatto non riguarda solo le imprese, ma in modo rilevante anche le famiglie (italiane e straniere) e gli stessi processi di costruzione di comunità locali (nei quartieri e nelle città).
Per approfondimenti sulla ricerca:
http://www.anthropology-news.org/index.php/2013/01/10/my-trouble-with-the-anti-essentialist-struggle/Betsy
http://blogs.umass.edu/ekrause/Iris
http://www.irisricerche.it/Bressan
http://www.farsiunidea.it/edizioni/volumi/scheda_volume.php?vista=scheda&ISBNART=15023