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PERCHE’ LA PARTE PIU’ ATTIVA DEL CIRCOLO PD SAN PAOLO DI PRATO NON HA RINNOVATO L’ADESIONE AL PARTITO

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PERCHE’ LA PARTE PIU’ ATTIVA DEL CIRCOLO PD SAN PAOLO DI PRATO NON HA RINNOVATO L’ADESIONE AL PARTITO

Avevo annunciato un mio intervento (ad amici ed ex compagni) a fine dicembreprimi di gennaio proprio per testimoniare con la chiusura dell’anno che nemmeno “in extremis” avrei preso la tessera del PD del 2014. Non passa giorno che si riconfermino in me (parlo per me ma condivido lo sdegno di altri amici e compagni) le ragioni per questa scelta che ha davvero la caratteristica di un allontanamento definitivo non riconoscendo più nell’attuale Partito quello che ho contribuito insieme a tanti a fondare con passione, convinzione ed entusiasmo. Ciò che abbiamo scritto (e molti sanno che in gran parte vi ho personalmente contribuito ricevendone condivisioni e critiche valutate ed accolte) nell’atto fondativo del nostro Circolo non erano parole vuote di trita retorica ma piene convinzioni cui si può solo obiettare un idealismo utopistico al quale sarebbe bene, pur nella furia del preteso rinnovamento, non rinunciare del tutto. So che a molti fra quelli che altrettanto idealisticamente rincorrono le promesse di cambiamento e vanno affermando che “il mondo è cambiato e che una parte del – vecchio Partito – non se ne è accorta” non riusciremo senza che si verifichino “disastri” a farci comprendere; ed è anche per questa “incomunicabilità” con la parte sana, quella in buona fede, che si rinuncia a far parte della comunità degli “iscritti”; anche se una gran parte di coloro che hanno partecipato alla fase iniziale di quel “cambiamento” si guardano bene dal desiderare di farne parte. Il Partito Democratico è nelle mani di persone che non hanno avuto rispetto per la vera richiesta di rinnovamento democratico (se ne accorge oggi Cofferati ma ce ne eravamo accorti già noi qui a Prato per le varie “Primarie” inquinate non solo per la presenza di esponenti del Centrodestra ma anche per l’organizzazione di gruppi di pseudo elettori che arrivavano ai seggi senza neanche sapere cosa fare ed allora toccava ai vari “capibastone” locali indirizzarli adeguatamente). Il gruppo dirigente ha fatto terra bruciata intorno a sé di coloro che proponevano il vero rinnovamento soprattutto dal punto di vista etico (quello che è accaduto a Roma è solo un “assaggio” mediaticamente visibilissimo della irrisolta purtroppo questione morale; quelle figure così discutibili di certo hanno mosso voti ed hanno contribuito a scegliere amministratori e dirigenti). A Prato la parte più attiva del Circolo PD San Paolo si fa da parte per testimoniare l’imbarazzo e lo sdegno nei confronti di un gruppo dirigente che ha offeso, umiliato e sbeffeggiato il loro impegno e lo ha fatto semplicemente perché ha considerato la buona fede di quelle affermazioni e la loro pericolosità nella denuncia di coloro che hanno esclusivamente inteso difendere un percorso che portasse a valorizzare i propri interessi a scapito di quelli “comuni” (si osservi ad esempio tutta la vicenda dell’Aeroporto).
E’ del tutto evidente che questa nostra scelta rischierà di essere strumentalizzata dagli avversari di Destra; lo si è messo in conto ma si vuole dichiarare a piena voce che è finito il tempo di comportamenti ipocriti con il turarsi il naso davanti a miasmi ormai insopportabili.
E d’altra parte, lo scrivo io indirizzandolo al Sindaco Biffoni che in coda ad un evento artistico-culturale mi esortava a non abbandonare la POLITICA, non intendiamo rinunciare a fare POLITICA. Quelle affermazioni che facemmo nel Documento Fondativo del Circolo rimangono punto di riferimento inalterato ed inalterabile per un PARTITO realmente aperto e DEMOCRATICO che riesca a parlare non alla pancia ma al cuore e non con false ed impossibili PROMESSE.
Ne sia prova il nostro impegno sul territorio; un impegno culturale e politico pieno con la nostra presenza all’interno di “progetti” ed interventi che tendono a riconfermarci come punto di riferimento ad ampio raggio.
Andiamo avanti!

GIUSEPPE MADDALUNO

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AD MAIORA! ovvero ANDIAMO AVANTI!

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Ad maiora!

L’anno 2014 si è concluso con l’effettuazione di una iniziativa della quale abbiamo trattato su questo Blog durante la quale abbiamo presentato la silloge delle prime due edizioni del Premio dedicato all’amico “Michele Sovente”. “Scrittura sottoluce” Valtrend Editore contiene tutti i lavori che hanno partecipato nel 2012 e nel 2013 alla Rassegna flegrea. All’iniziativa hanno preso parte, oltre alla Presidente dell’Associazione “Il diario del viaggiatore”, prof.ssa Angela Schiavone, ed agli organizzatori dell’ultima Edizione (settembre 2014), prof. Giuseppe Maddaluno e Gabriella Romano, molti dei poeti e dei narratori presenti nella Silloge. Nella splendida Casina vanvitelliana al Fusaro sono intervenuti anche l’Assessore alla Cultura della città di Bacoli, prof.ssa Flavia Guardascione, l’Assessore al Turismo della stessa città di Bacoli, Michele Petrone e la Presidente del Consiglio della città di Monte di Procida, avvocato Nunzia Nigro che hanno portato il saluto delle loro Amministrazioni oltre alla conferma dell’interesse nei confronti delle attività che l’Associazione “Il diario del viaggiatore” va svolgendo nell’area flegrea. Le poetesse ed i poeti, le scrittrici e gli scrittori presenti hanno letto brani dei loro lavori aggiungendovi riflessioni sull’organizzazione delle iniziative avanzando proposte per il futuro.
Sono intervenuti Roberto Lumuli Gaudioso, Wanda Marasco, Costantino Sgamato, Floriana Coppola, Iaia De Marco, Brigidina Gentile, Roberto Volpe, Luisa De Franchis, Luca Marano, Matilde Iaccarino, Rita Pacilio, Paolo Di Martino ed altrei di cui aggiungeremo il nome nelle prossime modifiche. Nel corso dell’incontro è stato letto un brano dal libro di Mariano Baino “in (nessuna) Patagonia” edito da ad Est dell’Equatore.

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reloaded BAIA 10 maggio (2014) pubblicato il 21 maggio su politicsblog

“Sono i territori a dover stimolare e supportare in modo operativo la nascita l’organizzazione e lo sviluppo di un’imprenditoria culturale complessiva e diffusa che possa diventare il volano principale della “nostra” economia”

Le “nuove” passeggiate nei Campi Flegrei (dopo quaranta e più anni).

11 maggio 2014

 

Ieri (10 maggio 2014) sono stato a Baia, invitato dalla cortese Angela Schiavone, letterata poetessa ed organizzatrice di splendidi eventi, ad un percorso poetico-narrativo fra i reperti archeologici ordinati nel Museo dei Campi Flegrei dentro il Castello Aragonese che domina sul Golfo di Pozzuoli e quello di Napoli. La grandezza storica ed architettonica del luogo mi permette di disquisire sulle bellezze inequivocabili delle diverse risorse artistiche e naturali che, in queste terre, antichi e moderni viaggiatori italiani e, soprattutto, stranieri sanno di poter trovare, conoscendone ed apprezzandone il valore. Mi dico che varrebbe la pena riflettere di più su queste incommensurabili ricchezze che la Storia (Grecia, Roma, Normanni, Angioini, Aragonesi, Borboni) e la conformazione del territorio così vario (acqua di mare e di terra, fuoco, aria, pianura e collina, coste, golfi e calette) ha regalato all’area flegrea. Ero un ragazzo poco più che ventenne e scrivevo un “appello” a valorizzare ed amare questi luoghi nella loro complessità. Sono trascorsi più di quaranta anni e nuovamente (a sessanta e più anni) avverto il bisogno di affrontare questo argomento. Accenno qualcosa all’Assessore alla Cultura del Comune di Bacoli, Flavia Guardascione, ma mi riservo di riflettere, dopo la visita, con un intervento su Politicsblog. Ed è quello che sto facendo, avendo messo insieme alcuni tasselli ma soprattutto confortato da una lettera che stamani (11 maggio) Domenico De Masi noto sociologo molto attento alle tematiche culturali pubblica su “Repubblica” alla pagina XIII regionale Napoli. Il titolo è significativo del contenuto “Con la Cultura si può mangiare ma noi non ne siamo capaci” (vedi allegato). Un Blog che si occupa di Politica e di Economia del Territorio a livello nazionale non si può esimere dal partecipare ad un dibattito che, in un Paese come l’Italia con un tasso così elevato di disoccupazione, soprattutto  quella giovanile, è fondamentale; perché purtroppo si continua a non riconoscere che la Cultura, l’Arte, le manifestazioni sportive, la Storia, la Cura dell’Ambiente e del Territorio siano un volano forte e sicuro per il Turismo, un turismo di ogni tipo, di massa, di qualità, scolastico, della terza età, eno-gastronomico, convegnistico, termale etc etc. A dire il vero di chiacchiere ne abbiamo sentite troppo spesso a vuoto mentre sarebbe ben opportuno che fossero ricercate sui territori quelle competenze che oggi, soprattutto quelle passionalmente giovanili, sembrano essere destinate a diventare dei “vuoti a perdere” da smaltire e rottamare. Si fa tanto parlare inutilmente di far ripartire l’economia ma intanto non vi è una capacità imprenditoriale di “marketing” intorno ai siti storici e culturali ed agli eventi spesso a questi collegati; sarebbero tantissimi i “posti di lavoro” da mettere a regime e a tale scopo si potrebbero utilizzare fondi europei ed interventi regionali e statali tipo “reddito minimo garantito a progetto” riservati a gruppi di giovani e adulti che si organizzino in Associazioni o Cooperative. Ci sembra di ripercorrere in fotocopia (ma vale anche per questo elemento l’assunto di partenza) l’ affermazione del Principe di Salina, “tutto cambia perché nulla cambi”, e si assiste alla stessa tiritera su cambiamento e rinnovamento senza senso anche quando le affermazioni appaiono promettenti come quella sull’ampliamento della platea di giovani che potrebbero (è solo un annuncio – uno dei soliti in campagna elettorale – quello di cui qui si parla) accedere al servizio civile. Ma è “propaganda” ed è una delle solite “boutades” cui ci hanno abituato i leaders populisti degli ultimi venti anni; e non perché non possa essere vero, ma perché già nella fase propositiva si parla “esclusivamente” di costi, la qual cosa significa che, come è accaduto con i LSU (Lavoratori socialmente utili), le loro funzioni non sono specificate e dunque non sarà altro che un’altra operazione clientelare che non darà risultati positivi

Non credo di esprimere una riflessione originale allorquando – e qui ritorno alla visita del 10 maggio – capisci che l’iniziativa organizzata dalla mia amica Angela non è stata promossa dal punto di vista mediatica (ne avrebbe avuto un grande merito, e so di non stare ad utilizzare alcuna piaggeria: ve lo assicuro) dai funzionari del Comune di Bacoli che se ne rimpallano – mi permetto di dire in modo cialtronesco – le responsabilità: gli stessi operatori del sito (il Castello Aragonese di Baia) quando arriviamo sono sorpresi ed impreparati, ignorando non colpevolmente l’effettuazione dell’evento. Non riesco nemmeno più ad essere allibito di fronte a simili contingenze; spero sempre possa essere l’ultima: sono ottimista incallito. La visita al Castello con la sua struttura mastodontica ancora possente ed agli importantissimi reperti archeologici ben distribuiti in oltre quaranta ambienti, accompagnati da esperti ed artisti di varia professionalità (l’archeologa Flavia Guardascione che è anche Assessore alla Cultura del territorio, la responsabile del Castello Aragonese di Baia Paola Miniero, l’antropologa Sara Greco, la psicoterapeuta junghiana Cinzia Caputo, una performer e guida turistica Gabriella Romano che ha splendidamente dato vita ad Isabella d’Aragona ricevendo i visitatori, ed una danzatrice, l’allieva del Liceo Scientifico “Ettore Majorana”, Maria Patacchini) oltre che da una squisita appassionata di poesia e letteratura, la mia amica Angela Schiavone,  dura oltre un paio di ore che trascorrono velocemente: non sono qui a descrivere ciò che ho visto ed ascoltato. Ovviamente ne suggerisco la visita, riportando in fondo a questo articolo indirizzi e recapiti telefonici utili allo scopo. Ma poiché il mio intendimento espresso nel corpus dell’articolo è quello di denunciare le inefficienze per poterle superare aggiungo un nuovo tassello. Uscendo dal Castello mi sono fermato alla biglietteria ed ho chiesto di avere un depliant del sito: non ve ne era traccia alcuna. C’erano quelli di Napoli, Pompei, Ercolano ma mancava qualsiasi riferimento al territorio di Baia, di Bacoli e – tout court – dei Campi Flegrei. Mi chiedo – in quell’occasione ed ora – (e vi assicuro che non mi sento e non sono uno sciovinista provinciale) che senso abbia tutto questo affannarsi inutilmente per promuovere a chiacchiere e parole scritte questi luoghi bellissimi, come sto facendo peraltro, se gli Enti e le Istituzioni politiche e culturali statali regionali e locali non sono in grado di organizzare il minimo necessario per informare, diffondere la conoscenza di questi territori che porterebbe loro ricchezza. All’incontro era presente anche Ciro Amoroso fine cultore della Storia e della Cultura dei Campi Flegrei (in allegato un video) Ho conosciuto l’Assessore Flavia Guardascione, archeologa anche molto ben preparata, e vorrei sostenerla in questo suo compito; quindi la mia critica ha caratteristiche di positività ed anche per questo non vorrei che venisse sottovalutata. Non mi dispiacerebbe che su questo Blog qualcuno dei responsabili di quel territorio rispondesse.

di Giuseppe Maddaluno

Sabato 24 maggio nuova visita guidata – siete tuttei invitatei a partecipare!

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Angela Schiavone legge una sua poesia al Castello di Baia 10 maggio 2014

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In allegato

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/05/11/con-la-cultura-si-puo-mangiare-ma-noi-non-ne-siamo-capaciNapoli13.html

 

breve video su Castello

 

Ciro Amoroso illustra i tesori del Castello

 

 

reloaded da POLITICS BLOG 1° MAGGIO 2014 – Intrecci saldi: San Paolo e il Macrolotto 0 al centro di una importante ricerca internazionale

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Intrecci saldi: San Paolo e il Macrolotto 0 al centro di una importante ricerca internazionale

di Massimo Bressan

Un quartiere che è attraversato con forza da molti dei fenomeni che caratterizzano il recente cambiamento economico e sociale di un sistema sempre più globalizzato. La ricerca evidenzia come un quartiere relativamente giovane sia in realtà connesso con molti luoghi da reti di relazioni economiche e sociali e come sia necessario che i residenti acquisiscano una maggiore consapevolezza della centralità del proprio territorio nei processi di globalizzazione.

Nei primi mesi del 2012 un progetto di ricerca elaborato da due antropologi – Elizabeth Krause, del Dipartimento di Antropologia dell’Università del Massachusetts, e da Massimo Bressan, dell’Istituto di ricerca IRIS di Prato – viene approvato e finanziato da due importanti fondazioni americane, la National Science Foundation (l’agenzia federale creata dal Parlamento degli USA nel 1950 allo scopo di promuovere la ricerca scientifica) e la Wenner Gren Foundation (una fondazione privata americana che promuove lo sviluppo della ricerca antropologica). Il titolo del progetto è: “Intrecci saldi: reti familiari in un distretto industriale globalizzato”. La ricerca si svolge a Prato a partire dall’estate del 2012 e si caratterizza per essere centrata intorno agli snodi dell’incontro tra migranti e residenti, famiglie e istituzioni locali, imprenditori e lavoratori. Ognuno di questi snodi si caratterizza per essere attraversato da flussi (di significato come di valore) che coinvolgono movimenti tra luoghi diversi e lontani.

Molti incontri tra noi ricercatori e i nostri informatori – incontri che si realizzano attraverso interviste o comunque interazioni più o meno formali – hanno avuto luogo presso gli uffici del Servizio “Immigrazione e Cittadinanza” del Comune di Prato – grazie alla collaborazione della dott.ssa Valentina Sardi -, e presso l’Unità Funzionale ‘Salute mentale infanzia e adolescenza’ della USL 4 di Prato – grazie alla collaborazione del dott. Marco Armellini. Oltre agli snodi istituzionali il lavoro sul campo si è svolto in alcuni luoghi particolarmente significativi della città di Prato: in modo particolare nell’area del cosiddetto Macrolotto 0 (il quartiere di San Paolo e tutta l’area che da Via Donizetti arriva fino a Porta Pistoiese, dal tracciato della ferrovia che porta verso la costa fino ai residui rurali che si spingono verso Via Galcianese), negli altri quartieri centrali e nelle aree industriali poste a sud della città (i Macrolotti 1 e 2).

La prospettiva transnazionale con cui si osservano i processi migratori è uno dei presupposti della ricerca; questa prospettiva si applica tanto alle intense relazioni economiche che caratterizzano il sistema produttivo pratese, quanto alla fitta rete di relazioni sociali che si svolgono all’interno e tra i poli della migrazione cinese. In tal modo si introducono nella lettura delle trasformazioni della città, dei suoi quartieri, e della società locale, connessioni, movimenti e comportamenti altrimenti relegati nell’opacità della retorica e delle pratiche politiche della separazione e segregazione. Una retorica che ha insistito con forza sulla separazione tra i gruppi cinese e italiano, tanto sul piano economico che su quello sociale, ma che ha solo oscurato le innumerevoli e sostanziali occasioni di contatto, scambio, cooperazione e intreccio che legano i gruppi che vivono e lavorano nel territorio pratese.

La nostra ricerca tende a evidenziare la centralità delle famiglie dei migranti cinesi nella dinamica della globalizzazione e a mostrare come le risorse attivate dai meccanismi della reciprocità siano importanti nel sostenere la competitività e la flessibilità del sistema produttivo locale del “pronto moda”. Questa lettura di un fenomeno economico non è molto distante dal modo in cui nel passato si è descritto ed interpretato il distretto industriale (vedi l’opera di Giacomo Becattini). Anche in quel caso la famiglia era considerata un tratto fondamentale per comprendere i meccanismi di riproduzione del distretto industriale – e in particolare come fosse possibile garantire la flessibilità del lavoro e della produzione in un contesto di forte competizione.

Alcuni ambiti e situazioni della vita urbana che abbiamo osservato a lungo sono: le pratiche di gestione della prole adottate dalle famiglie di lavoratori migranti – che prevede spesso il movimento dei bambini tra i poli della migrazione familiare; le politiche restrittive adottate dalle amministrazioni locali sull’utilizzo dello spazio pubblico nei quartieri di insediamento dei migranti – strutturalmente spesso poco dotati di marciapiedi, piazze, giardini, ecc.; le modalità di relazione tra imprese, lavoratori e residenti italiani e cinesi nei mercati intermedi del ‘pronto moda’; le interazioni che hanno luogo nei servizi pubblici locali, come gli uffici comunali, gli ospedali, le scuole.

Questa strategia ci consente di concentrare l’attenzione sulla dimensione del potere che compenetra i conflitti tra economie locali, pratiche sociali e orientamenti morali dominanti e subordinati; spesso, ad es., quando il discorso pubblico si occupa degli immigrati, il riferimento è ai lavoratori stranieri, ma non sempre si ricorda come all’origine di questi flussi vi sia il bisogno di manodopera poco qualificata che si impiega in lavori faticosi e/o con orari pesanti. L’immigrazione comporta l’allontanamento dal proprio nucleo familiare che, in molti casi, costituisce la conseguenza più difficile da sostenere per i migranti. Le esperienze che descriviamo fanno emergere, come osserva Paul Ricoeur, «il contrasto stridente tra la mobilità del lavoro su scala mondiale e la chiusura dello spazio pubblico della cittadinanza» (P. Ricoeur, Ermeneutica delle migrazioni, 2013).

Ciò che non traspare a sufficienza nel dibattito pubblico (ed in particolare nella retorica politica) ma che emerge in modo lampante nelle interviste con i migranti cinesi, così come con gli imprenditori italiani e gli operatori dei servizi pubblici, è la distanza sempre più ampia tra i processi di regolazione della cittadinanza (democrazia) e del lavoro e la scala locale, di quartiere o di città, dove si svolge gran parte della vita dei residenti (italiani e stranieri). In sostanza il pervadere della dimensione globale del capitalismo alimenta il movimento e la distanza tra i luoghi in cui il potere esercita le proprie decisioni ed i luoghi della vita delle persone, famiglie, comunità. Apatia, rassegnazione, incapacità di concepire il conflitto o la partecipazione nei luoghi della cittadinanza, sono atteggiamenti che traspaiono dalle interviste o dai discorsi che abbiamo realizzato. Resta il fatto che le condizioni poste dal capitalismo alla competizione delle imprese, in particolare per i mercati dei prodotti del tessile-abbigliamento, richiede quasi necessariamente che la produttività del lavoro sia alimentata, ad es., dalle reti e dalle risorse familiari, oltre che dal sacrificio personale e dagli intensi orari di lavoro. Molti distretti industriali italiani hanno seguito questa deriva anche attraverso il lavoro degli immigrati; altre strategie sono state quelle di uscita dal sistema di produzione manifatturiero attraverso lo spostamento verso altre attività economiche nel terziario, oppure la rendita immobiliare che deriva dalla trasformazione delle vecchie fabbriche in condomini o centri commerciali – gli esempi pratesi sono numerosi ed in particolare nell’area di Via Pistoiese e di San Paolo. Questi fenomeni sono una conseguenza delle mutate condizioni della competizione internazionale e il loro impatto non riguarda solo le imprese, ma in modo rilevante anche le famiglie (italiane e straniere) e gli stessi processi di costruzione di comunità locali (nei quartieri e nelle città).

Per approfondimenti sulla ricerca:

http://www.anthropology-news.org/index.php/2013/01/10/my-trouble-with-the-anti-essentialist-struggle/Betsy

http://blogs.umass.edu/ekrause/Iris

http://www.irisricerche.it/Bressan

http://www.farsiunidea.it/edizioni/volumi/scheda_volume.php?vista=scheda&ISBNART=15023

RELOADED ad uso Tramediquartiere – Comunità su Facebook – La “ciclabile” di San Paolo a Prato – Esempio di uno “spreco” che non sa di essere tale di J.M.

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La “ciclabile” di San Paolo a Prato – Esempio di uno “spreco” che non sa di essere tale di J.M.

A volte l’Amministrazione non sa cosa fare per un Quartiere e si inventa delle soluzioni che sono peggiori dell’inazione. E’ infatti uno di questi casi quello di cui parleremo qui: la “ciclabile” di San Paolo. E’ accaduto che l’Amministrazione di Centrodestra si sia trovata in “debito” elettorale con la popolazione di San Paolo ed abbia avuto la necessità di investire su quel territorio; vi erano dei “fondi” regionali che stavano per scadere e che riguardavano “interventi a favore dell’ambiente e dell’ecosostenibilità”, interventi tipo “ciclabili” per incentivare lo spostamento ecologico delle persone. Interventi che erano stati già preventivati nella legislatura 20042009 e che riguardavano sia la manutenzione delle ciclabili esistenti sia la messa in opera di nuovi percorsi che dalla “periferia” si collegassero al Centro storico. Per San Paolo era stato previsto un percorso che dalla stazione di Borgonuovo si dirigesse verso il Centro in una linea più che altro parallela a quella ferroviaria. Ma vuoi mettere una linea retta banalissima con una a zig zag fra le stradine di San Paolo? Ecco, crediamo che i tecnici del Comune si siano rifiutati di procedere in un progetto così ovvio privilegiando scelte avveniristiche per le emozioni ed i pericoli da affrontare ad ogni giravolta; in effetti è evidente che chi si mette in bicicletta voglia provare anche qualche brivido, no? Penso che si siano chiesti, per l’appunto, se non valesse la pena costruire qualcosa che somigliasse un po’ di più alle “Montagne russe” al posto di una noiosa lunga e diritta linea rossa. Tra le altre cose quest’ultima avrebbe attraversato luoghi tranquilli e poco trafficati, mentre quella prescelta presentava insidie ad ogni passo sia per la presenza di “passi carrabili” sia per gli attraversamenti su strade molto intensamente praticate. Ma, si sa, l’uomo è sognatore ed ha bisogno di mostrare che sa inventare e pensare, per cui a San Paolo ci si è trovati di fronte ad un Progetto che faceva invidia alla Danimarca ed alla Svezia, che non mancheranno di venirlo a studiare. Il percorso, straordinario, ha avuto anche il pregio di passare davanti a molti passi carrabili in pendenza, davanti alle porte di molti negozi, sopra tombini pubblici (Publiacqua) e privati (pozzi neri); percorre uno spazio riservato esclusivamente al mercato settimanale e si interrompe provvisoriamente nell’ingresso con tornelli ad un viale di uno dei Giardini pubblici del Quartiere; inoltre entra in almeno tre casi in strade trafficate con scarsa e difficoltosa visibilità. Ora, è chiaro che – essendo cambiata l’Amministrazione (da Centrodestra a Centrosinistra) – a qualcuno potrebbe venire la voglia di chiedere che questo obbrobrio sia eliminato. Sarebbe una iattura e quasi certamente non lo avremmo chiesto nemmeno se la caratteristica dell’Amministrazione non fosse cambiata; intanto perché è bene che rimanga a memento di come si sprecano i soldi pubblici fingendo di saperli utilizzare. E poi perché il danno sarebbe maggiore; l’avessero potuto chiamare, quell’intervento “cura ed abbellimento del Quartiere” sarebbe stato accettabile: ma la “ciclabile” no, anche perché ora che avete letto questo articolo provate a passarci, magari fatelo anche con una bicicletta. Intanto vi troverete pressochè soli (i lettori di questo Blog non sono tanti ed i frequentatori sono rarissimi) e poi potrete verificare gli addebiti che poniamo. La nuova Amministrazione faccia tesoro di questa esperienza; fra l’altro in essa (in posti chiave!) si trovano anche alcuni strenui difensori del tracciato della “ciclabile” che, per contrappasso, inviterei a frequentare quotidianamente anche per recarsi in Centro. Eh sì, perché in difesa di quell’ obbrobrio di cui i “tecnici” (che sono peraltro sempre gli stessi di prima) si vantano, si sono schierati anche alcuni alti dirigenti del Partito Democratico, che non hanno voluto – se non in minima parte quando si è cercato di limitare i danni – ascoltare le ragionevoli critiche. Occorre dire anche che alcuni pseudo verdi ecologisti d’antan nel corso dei dibattiti telematici senza mai venire a verificare in diretta i motivi dei dissensi espressi hanno difeso a spada tratta la “ciclabile” fidandosi esclusivamente del sostantivo o aggettivo che dir si voglia a dimostrazione che la battaglia per noi concreta veniva interpretata solo in chiave ideologica. E non bastava premettere “non abbiamo nulla in contrario per le “ciclabili”” per convincere della nostra buona disponibilità per la salvaguardia dell’Ambiente. Eppure avevamo ingaggiato contese con l’Amministrazione chiedendo anche che i fondi previsti per l’obbrobrio fossero destinati alla manutenzione delle ciclabili esistenti; ma non eravamo stati ascoltati. Ora, con il cambio di Amministrazione, non siamo affatto convinti che l’atteggiamento possa cambiare. Anche perché i “tecnici” che hanno partorito il progetto sono sempre lì al loro posto. A proposito, che fine hanno fatto le bici di BICINCITTA’ di via Toscanini?

 

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JOSHUA MADALON – Cari amici questo blog è anche vostro BUON ANNO

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Cielo stellato

QUESTO BLOG APPARTIENE A GIUSEPPE MADDALUNO ED OGNI SCRITTO E’ DI SUO PUGNO (E LA RESPONSABILITA’ DI QUANTO SCRIVE E PUBBLICA E’ SUA) A MENO CHE NON VI SIA CHIARAMENTE SCRITTO IL COGNOME ED IL NOME DEL PROVVISORIO COLLABORATORE O LA FONTE DA CUI LO SCRITTO DERIVI

 

Cara amica e caro amico questo BLOG può essere anche “tuo”! Si occuperà di CULTURA in tutte le sue declinazioni: CULTURA scientifica, CULTURA ambientale, CULTURA economica, CULTURA sociale, CULTURA ambientale, CULTURA letteraria, CULTURA storica, teatrale, cinematografica… CULTURA in ogni senso. L’Italia, il nostro Paese ha vissuto e sta vivendo una profonda crisi per mancanza di CULTURA, per l’incapacità e la rapacità di una classe dirigente politica ed imprenditoriale che ha generato i populismi di Berlusconi, Grillo e Renzi che sono stati e sono i profondi persuasori di un popolo che non riesce più a decifrare i processi storici e politici per una profonda mancanza di riferimenti culturali.E’ chiaro che non posso nascondere la profonda delusione che provo nel conoscere la caratteristica di una parte dei “riciclati” e degli “imbucati” nelle diverse “squadre” che sostengono a livelli diversissimi il nuovo leader del Partito Democratico. Ed è anche per questo che non mi ci riconosco più! Punto

Questo Blog è dunque uno dei tentativi di fare “resistenza” a questo appiattimento generalizzato che si va diffondendo all’interno di una mutazione antropologica peggiore di quella di cui parlava Pasolini. Passi indietro in un baratro di ignoranza.

 

 

 

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LEZIONI DI CINEMA- L’ALBA DEGLI AUTORI – JACQUES TATI quinta ed ultima parte

LEZIONI DI CINEMA- L’ALBA DEGLI AUTORI – JACQUES TATI quinta ed ultima parte

“Playtime”, il film che segue nella produzione di Tati, è datato 1967: sono passati dieci anni da “Mon oncle” ed alcuni, pensando siano tanti, hanno potuto credere si sia trattato di un inaridirsi della vena creativa, mentre, proprio per quanto si è detto dianzi, non vi è attimo della sua vita che non sia impegnato nel rilevare attentamente gli eventi e quindi questo film è il risultato di una cernita fra tutte le osservazioni compiute in quel lungo periodo.
Lo sguardo di Tati si posa in questa nuova occasione sulla città, dopo la campagna, dopo lo stabilimento balneare, dopo i quartieri periferici borghesi e popolari. La città di “Playtime” è guardata con gli occhi di chi si sente estraneo di fronte alla ormai dilagante tecnologia elettronica, di fronte ai palazzi tutti alti ed uguali fra loro, all’interno di questo universo futuristico in cui ormai si è costretti a vivere incasellati ed irreggimentati senza alcuna speranza. La contraddizione, tra il bisogno di sentimenti e di ideali ed il necessario ricorso ad un mondo innaturale ed asettico viene posta in evidenza con sagacia da Tati nell’atto di M. Hulot che porge alla ragazza americana un mazzolino di fiori di plastica. Raccontare il film risulta fondamentalmente impossibile, nel breve spazio a nostra disposizione; esso è costruito in maniera del tutto antitetica rispetto alle normali tecniche di narrazione: è certo il più moderno ed avanzato (e quindi più difficile da intendersi) dei film di Tati. Anche sul piano del successo, esso ottiene in particolar modo quello della critica, che riconobbe in “Playtime” una geniale intuizione di un altrettanto geniale “artefice”; gli mancò il consenso, pur importantissimo, del pubblico, che sarebbe invece stato necessario a coprire il sostanzioso “deficit” finanziario della produzione.
Il film con il suo “fiasco” non costrinse fortunatamente Tati a rivedere le sue idee, nei rapporti con i produttori, anche se gli comportò un ritardo nella definizione e messa a punto del film seguente, che è “Trafic” (1971), in cui viene presa in esame la società sempre più disumanizzata dalle “macchine”. In effetti, ed è ovvio, Tati rinnega questa realtà e sorride di fronte alla catastrofe apocalittica di numerosi cimiteri di auto, di giganteschi ed inestricabili ingorghi, di dispettosi e fastidiosi guasti. Tutta la storia (si ritorna ad una sequenza di vicende molto usuali) ruota intorno ad una invenzione geniale di M. Hulot, una nuova automobile, che può diventare casa, luogo di lavoro e di vita, ed anche, se si volesse, di morte; è la narrazione per immagini, per gags, di come l’uomo si sia innamorato della macchina ed ormai non riesca a farne a meno. Nel viaggio che si compie verso Amsterdam accadono numerosi contrattempi ed incidenti vari che sollecitano Tati-Hulot a sfrenarsi nelle sue pur sempre composte trovate.
L’ultimo dei film di tati è “Parade” del 1974. Non vi appare più come Hulot; egli interpreta un ruolo di presentatore e di coordinatore per uno spettacolo di artisti del circo e si chiama M. Loyal. Prodotto per la televisione svedese, “Parade” potrebbe apparire ancora una volta ciò che non è mai un film di Tati: un insieme di vicende, di numeri, di gag senza un filo logico che le colleghi fra di loro. Il ruolo di Jacques Tati è propriamente doppio: accanto al suo lavoro di animatore egli si presenta anche come protagonista con una serie di pantomime, quelle più importanti e decisive per la sua carriera. Ma, ciò che è più importante, da un lato lo spettatore è ripreso nel circo continuamente coinvolto nel meccanismo dello spettacolo sia come individuo che come collettività, dall’altro lo spettatore che è al di qua dello schermo si trova allo stesso tempo coinvolto nella struttura particolare di questo film che consente di poter vivere qualsiasi momento dello spettacolo: dai lavori dietro le quinte al rincorrere, in ogni istante le diverse reazioni dei partecipanti. Il film ha ottenuto nel 1975 il “Grand Prix du Cinéma Francais”.

Jacques Tati è morto. Non credo gli si addica l’immobilità. Soffrirà molto per questo! Ma Jacques Tati non è morto, ognuno di noi è Jacques Tati, la sua umanità è sempre presente: lui indubbiamente è più bravo, perché è tutti noi indistintamente, i suoi personaggi, il suo mito, come per tutti i grandi, non sono morti con lui. Ed ora, buona visione! Scusate se non si può essere più eloquenti dei suoi film!

Sylvain Chomet nel 2010 realizzò un suo importante film basato su una sceneggiatura inedita scritta nel 1956 dal mimo, attore e regista francese Jacques Tati. La figura del protagonista riprende in disegni animati le sembianze di Tati, che aveva scritto quel soggetto nel 1956 per farne un film da interpretare insieme alla figlia.

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