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GIOIA E DOLORE ( ritornando a Pozzuoli )

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San Celso, vista da Via Pesterola
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La gioia del ritorno ed il dolore nel vedere che (quasi) nulla è cambiato!
Ritornare nei Campi Flegrei, che è la mia terra, dopo tanti anni di “esilio” lavorativo durante i quali non sempre avevo voglia di riannodare antichi rapporti e costruirne di nuovi ad ogni mio ritorno, preso – come di norma deve essere – da affari piccoli e grandi di “famiglia”, deve essere un “piacere”. E, per tanti motivi, di cui ho già più volte parlato, soprattutto afferenti alla vivacità culturale che vi si respira, un “piacere” lo è. Ma qui, oggi, ahimè, voglio affrontare gli aspetti negativi collegati all’incuria che permane diffusa su tanta parte del territorio e che non può essere sempre e solo accreditata allo scarso senso civico della gente “comune” ma va assegnata alla classe dirigente politica ed amministrativa di questo paese, che troppe volte ritiene di poter rappresentare la propria città solo attraverso momenti di esteriorità mondana arricchiti da sermoni accattivanti e solenni che si mantengono lontani dai problemi della gente e soprattutto dalla dilagante maleducazione travestita da aspetti etnici.
Parlo di Pozzuoli. Ci ritorno più frequentemente e riesco a cogliere alcune piccole trasformazioni positive che tuttavia finiscono per scomparire di fronte al peggioramento (negli anni Sessanta e Settanta della mia adolescenza molti aspetti di sciatteria e maleducazione venivano già denunciati) del livello educativo soprattutto nei rapporti sociali. Alcuni di questi difetti forse appartengono al “mondo” ma dalle nostre parti si avvalgono di molti “bonus” peggiorativi. E le Amministrazioni si impegnano, con la loro assenza o con la loro presenza a facilitarne la diffusione. Comincio con un esempio: inizio Agosto, torno a Pozzuoli con l’auto (per fortuna, in autunno ci ritornerò con il treno); risparmio i lettori dall’accanirmi verso i colleghi conducenti che mi hanno accompagnato llungo la Tangenziale (un miglioramento c’è, ma è dovuto alle multe salatissime comminate ai “piloti” di Formula 01 che zigzagavano imperturbati fra gli inermi timidi conducenti rispettosi dei limiti e dei vincoli civili) ma, usciti a via Campana, imbocco la rotonda che mi fa tornare indietro verso la variante Solfatara. Che dire? Sono esterrefatto dalla grande confusione della segnaletica di fronte ad un Progetto che sicuramente ha grande valore ma che evidenzia in questa fase l’incapacità (perlomeno l’incapacità) di far interloquire amministratori e progettisti, progettisti e realizzatori: la “logica” acclarata dai fatti è che si deve procedere in una direzione che viene negata dalla segnaletica per cui procedendo si corre l’enorme rischio di incontrare una vettura di fronte che vanti i medesimi tuoi diritti. Mentre procedo a tentoni (le indicazioni sono carenti e testimoniano sciatteria ed incuria di chi deve amministrare, cui tocca il compito di verificare “scientificamente” – ma forse è chiedere troppo! – sulla carta e sul terreno le modalità di attuazione dei Progetti, ancor più in una strada ad elevato scorrimento come quella di cui si parla) e riesco a sfangarla indenne noto poco più avanti uno strano individuo davanti ad un cassonetto della spazzatura estrarre dal cofano della sua auto e riversare in quello ogni ben di Dio, ivi compreso un televisore maxischermo che certamente non era funzionante. Non doveva essere il primo visto che i cassonetti erano già stracolmi grazie alle “donazioni” di altri “passanti”. Mi sono chiesto quali motivi potessero condurre a tale gesto e sono addivenuto al numero di tre: ignoranza, maleducazione, strafottenza. A pochi metri dal “fattaccio” c’è una splendida isola ecologica in via Vecchia delle Vigne e poi si può contattare direttamente chi si occupa di “RIFIUTI INGOMBRANTI” ai numeri di telefono 0813009111 e 0813000023 o su Internet consultare il sito http://www.elenchi.com/aziende/manutencoop-facility-management-spa-pozzuoli
Dimenticavo di aggiungere che il giovanotto che ha commesso il “reato” se denunciato con documentazione fotografica dovrebbe essere perseguito dall’Amministrazione. A Prato, dove io abito, chi si permette di trasgredire viene redarguito dai cittadini ma perseguito a dovere dalla pubblica Amministrazione. In tutta evidenza ci sono più Italie ed a me dispiace constatarlo. Tuttavia allo stesso modo andrebbero redarguiti e sanzionati quei Dirigenti ed Amministratori “incapaci” di compiere il loro dovere. E non è consolazione per me giustificarsi con “Il pesce puzza dalla testa” perché lo Stato è un “corpus” unico nel quale i diritti ed i doveri di ciascuno devono trovare la loro realizzazione. PURTROPPO non è finita qui! Ma toccherò anche elementi “positivi” che appaiono evidentemente tali a chi, come me, ritorna; mentre sembra che chi su quella terra “felice” vive da anni non se ne accorge o “NON” se ne vuole accorgere (il rapporto con la Cultura mette – forse – in evidenza le contraddizioni?).

LA PRIMA COSA BELLA 21 MARZO A POZZUOLI – i preparativi dell’incontro con Giuseppe Mario GAUDINO

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Voglio ringraziare l’Associazione LUX in FABULA per gli splendidi video realizzati!
Avendo ricevuto anche delle indicazioni dall’Associazione Lux in Fabula allego il link di un sito sul bradisismo flegreo: http://www.bradisismoflegreo.it/

E’ stato naturale che, nell’organizzare “La prima cosa bella- Esordi d’autore” a Pozzuoli io abbia pensato a Giuseppe. Non è stato così semplice rintracciarlo. Ero invece convinto che lo fosse perché avevo dei punti di riferimento che consideravo “sicuri”(dei parenti che erano anche amici miei – vedi link http://www.maddaluno.eu/?p=406ed alcune altre persone che abitavano al Rione “Olivetti”); invece dopo una serie di verifiche a vuoto ero al punto di prima, cioè quasi “zero”. Tornando, però, a casa una sera (credo fosse il 29 dicembre dello scorso anno), incontro Enzo Aulitto, con il quale ho un’antica e solida amicizia: gli dissi che ero alla ricerca di Gaudino e lui mi fornì un numero di cellulare, pur non essendo certo che fosse ancora attivo ed appartenesse a Giuseppe. Non volevo essere invasivo ed inviai a quel numero un messaggio chiedendo di poterlo contattare. “Ciao sono Beppe Gaudino aspetto una tua chiamata” 30/12/2013 09.16.22 – una risposta sollecita e piena di evidente disponibilità. Nel giro di pochi minuti abbiamo poi affrontato i temi che ci interessavano (gli esordi, le passioni, le prospettive) e fermato la data dell’evento nel primo giorno di primavera, il 21 marzo, come sempre un venerdì, alle ore 17.30. e, poi, con gli auguri per il nuovo anno che stava arrivando ci siamo detti che non c’era furia per i “particolari” e che ci saremmo presto risentiti. Lo abbiamo fatto un paio di volte per telefono e con Skype per affinare le tematiche da trattare; mi ha inviato ampi materiali ed in particolare un curriculum molto articolato ed alcuni filmati. Poiché l’iniziativa tratta degli esordi nei dialoghi telfonici ci siamo voluti soffermare su questi, sapendo peraltro che il percorso produttivo e realizzativo del suo primo lungometraggio (“Giro di lune…”) è stato lungo e faticoso. Molta parte della produzione iniziale è stata intimamente legata alla terra flegrea da cui entrambi originiamo ed in essa si inseriscono le ragioni della scelta di temi classici e storici e quelli del “mito” mescolata alla profonda volontà che si eviti l’oblio sia di vicende arcaiche sia della storia più recente soprattutto quella relativa alla “diaspora” del Rione Terra dopo gli eventi del 1970 ( vedi articoli sullo stesso tema – corredati da video – e da me scritti il 9 giugno http://www.politicsblog.it/?p=350 ed il 10 giugno u.s. http://www.politicsblog.it/?p=361) . Oltre a “Giro di lune…” di cui abbiamo parlato (http://www.maddaluno.eu/?p=406) il 22 luglio, grande successo è arriso al film “Calcinacci” premiato in vari Festival e vincitore di un premio di prima grandezza a Cinema Giovani di Torino nel 1990; “Calcinacci” recupera altre storie del “dopo bradisisma” del “dopo diaspora” dell’”abbandono” cui il Rione Terra è stato fatto segno per oltre venti anni. A Pozzuoli questi due film (insieme ad altri suoi che trattano questi temi) sono stati spesso proiettati, anche se Beppe comunque – e giustamente – rileva che non sono molti, al di fuori delle cerchie “colte” , i puteolani ad averli realmente visti. I temi trattati partono da una visione locale ma vanno a “pescare” nelle fondamenta archetipiche della Storia di Dicearchia (il nome che i profughi da Samo diedero più di due millenni e mezzo fa alla terra che poi i Romani chiamarono Puteoli e che oggi si chiama Pozzuoli) e si collegano alle “diaspore” antiche e recenti cui la Storia non ci ha mai purtroppo negato di dover assistere. “Giro di lune…” è un film ricchissimo di rimandi mitologici e storici; c’è la Sibilla Cumana, Agrippina e Nerone, Artema e Gennaro, protomartiri, Maria puteolana, guerriera citata da Petrarca, detta anche “la Pazza”. E c’è la storia di una famiglia di pescatori, i Gioia, che ci ricorda lontanamente i Malavoglia (soprattutto il ruolo e la funzione delle donne), che si trovano a subire il dramma del bradisismo sia sulla terra che sul mare all’inizio degli anni Settanta, poco prima e durante la fase dello sgombero “forzato” di cui parla anche Enzo Neri nell’articolo sul Duomo di Pozzuoli pubblicato il 25 luglio u.s. (http://www.maddaluno.eu/?p=433).
Ad ogni modo mi dispiacerebbe dover ripresentare gli stessi film ad un pubblico che forse li ha già veduti. E con Beppe condividiamo questa perplessità, anche se lui mi chiede di organizzare una sua personale più in là dove far vedere tutto quanto possibile. Lui intanto mi ha inviato anche un film più recente del quale parlerò diffusamente in altro post, “Per questi stretti morire” del 2010, e decidiamo di puntare esclusivamente su questo per il 21 marzo. Nei colloqui telefonici intanto ci soffermiamo sui nostri “amori”, sulle passioni che ci hanno fatto crescere e Beppe accenna a Rossellini, a Pasolini e ad Amelio con cui ha più volte lavorato ed al quale ha dedicato nel 1992 anche un documentarioritratto dal titolo “Joannis Amelii animula vagula blandula” girato sul set del film “Il ladro di bambini” dove Gaudino ha agito da scenografo (“La scenografia – dice Beppe – è una forma di narrazione diretta” ed è uno dei suoi principali ed irrinunciabili punti fermi per il suo lavoro). A questi autori italiani egli si ispira in particolare per lo “sguardo etico” che rivolgono verso la realtà. Fra gli autori stranieri aggiunge Elia Kazan e John Cassavetes, oltre ad Andrei Tarkovskij ed il suo “Andrei Rublev” che a me ricorda peraltro le origini culturali di Gaudino, legate sommamente al mondo dell’Arte (il Diploma all’Accademia di Belle Arti e la predilezione per la Scenografia, di cui si diceva appena più sopra). Guardando il film di cui parlerò nel prossimo post ho aggiunto anche altri grandi autori contemporanei che sono, a mio parere, riferibili allo stile di Giuseppe Mario Gaudino.

reloaded – PRATO UN CASO DI “ANALFABETISMO” INDUSTRIALE DI RITORNO

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PRATO UN CASO DI “ANALFABETISMO” INDUSTRIALE DI RITORNO?
Posted on 31 maggio 2014 by Giuseppe Maddaluno

Prato e le ciminiere

“Un blog non può neanche lontanamente risolvere i problemi ma può denunciarli annunciarli ed avviare una ricognizione, suscitando attenzione e dibattito”

Fra le conseguenze negative della globalizzazione dei “mercati” e delle persone vi è stato di certo in contemporanea un degrado del livello di alfabetizzazione e di preparazione professionale, di acculturamento parallelo rispetto alle trasformazioni economiche e sociali che il mondo, soprattutto quello finanziario globale, stava subendo. A Prato l’imprenditoria piccola e media (ma in qualche caso anche quella medio-grande) non era stata costruita su una solida preparazione culturale ma piuttosto su una “praticità” istintiva che pure aveva prodotto eccellenze, destinate tuttavia a non reggere il passo sia per il susseguirsi di generazioni non sempre ben disposte ad una vita fatta soprattutto di sacrifici sia per il sopraggiungere di tecnologie innovative e mutamenti epocali nelle abitudini e nei consumi. Di fronte al tempo che scorre il mondo cambia e noi non sempre ce ne rendiamo conto.
La crisi del “tessile” a Prato è stata più volte annunciata ma poi in più occasioni con formule provvisorie è stata considerata come superata; ma non si è voluto riconoscere che il problema più importante era di tipo “culturale”, intendendo con questo termine la capacità complessiva di conoscere le trasformazioni ampie in atto. Ed è anche per questo che non si è percepita, forse non si è voluto, forse non si è riusciti a, percepire la cosiddetta “invasione” cinese nei suoi connotati “positivi”. Questa sottovalutazione dal punto di vista “politico” è stata “generale”, con qualche limitata eccezione, generando sia una forma di accoglienza umanitaria di tipo “cristiano” sia – dall’altra parte – un rifiuto categorico di stampo razzistico con in mezzo un atteggiamento ambiguo del tipo “non sono razzista, ma….” che si collocava in ogni caso in un’area culturalmente e socialmente assai modesta.
Se non si comprende questo punto di partenza non si è in grado di fornire alcuna soluzione al fenomeno che da un paio di decenni sta travagliando la società pratese e mettendo in crisi profonda la parte imprenditoriale “tessile”, non di certo quella immobiliarista, né quella commerciale che, grazie alla comunità cinese, ha visto, se non elevare, reggere i propri guadagni: se il mercato immobiliare è crollato meno che altrove lo si deve alla presenza straniera; se alcuni supermercati (vedi la PAM di via Pistoiese) reggono è per lo stesso motivo; se alcune concessionarie non hanno chiuso i battenti è perché hanno i migliori clienti fra la comunità cinese. Ad ogni modo il ”degrado” del territorio è direttamente collegato al degrado che la società “pratese” (quella fatta da “pratesi” doc o non doc poco importa) ha evidenziato negli ultimi ventitrenta anni e di ciò è indubbiamente colpevole la classe politica così come quella imprenditoriale e così anche l’intellighentia che non ha saputo interpretare i mutamenti e, laddove li ha riscontrati, poco ha fatto per divulgarli e chiedere alle diverse istituzioni azioni precise e decise per affrontarne le conseguenze. Ognuno ha pensato a rincorrere i propri vantaggi, le proprie rendite di posizione: politici, imprenditori, intellettuali, quelli che avrebbero potuto e non hanno agito, tanti di quelli che oggi ancora sopravvivono a se stessi, complice il vento di rinnovamento ipocrita che sta investendo la nostra società. Non sarà facile modificare quello che oggi vediamo, per cui ne traggono vantaggio “politico” – in netta e chiara malafede – coloro che spingono a scelte estreme come i blitz hollywoodiani con grande utilizzo di mezzi e di uomini, coloro che urlano in modo insensato che “devono andare tutti via” o che “ci hanno portato e ci portano via il lavoro”, coloro che parlano più alla pancia che alle menti. Ed allora mi vengono in mente due film particolarmente significativi anche se non si tratta di “capolavori”; il primo è già chiaro dal titolo: “Un giorno senza messicani”. Eh già, meno male che si tratta di un solo “giorno”, anche perché i poveri americani non ne saprebbero fare a meno, visto che i messicani svolgono in quella città al confine fra gli States ed il Messico lavori molto umili ma altrettanto utili; eppure di questi messicani si dicono le cose peggiori fin quando non ci si rende conto della loro “utilità” fino ad allora mai riconosciuta. L’altro film è “La macchina ammazzacattivi” (1959) di Roberto Rossellini, una sorta di “favola dark nostrana” e lo utilizzo semplicemente per suggerire un sistema risolutivo per eliminare tutti quelli che non ci piacciono, quelli che anche temporaneamente ci disturbano, che sono colpevoli di qualcosa che non riusciamo nemmeno a spiegarci: lo hanno fatto anche in passato, ad esempio, con gli Ebrei, con i disabili, con i rom, con gli omosessuali, con gli oppositori. Che dite? Ci si vuole provare ancora una volta? Forse una sparizione “temporanea” – ma non di un solo giorno – potrebbe servire a togliere il velo che copre il preesistente “degrado” di cui non si vuole essere consapevoli per non assumersene in quota parte le profonde e fondamentali responsabilità.
Noi non pensiamo tuttavia di poter proporre soluzioni ma non vogliamo rinunciare a leggere, studiare, approfondire la realtà che ci circonda sapendo anche che lo facciamo in modo parziale e gravato da forme di ideologismi che si sono andati accumulando nel tempo e che difficilmente potremmo superare senza un “reset” impossibile per ora nel cervello umano. Ad ogni modo è del tutto evidente che il nostro Paese, e con esso la città di cui abbiamo parlato, evidenzia un’arretratezza “culturale” che la sua Storia non merita, anche se tale “gap” è inscritto nella sua Storia. Ne sono prove certe le difficoltà del settore dell’istruzione che ormai non forma più adeguati “quadri” dirigenti e professionisti: i migliori studenti, al termine del loro percorso formativo, frustrati da una costante sottovalutazione del “merito” e da una sopravvalutazione di ben altre doti non sempre significative dal punto di vista delle relative competenze, trovano il loro spazio vitale in altri Paesi, dai quali difficilmente tornano: è questo da anni il vero drammatico “spread” che inficia l’ingente impiego di risorse a fondo perduto. I dati sono di un’evidenza assoluta anche per il settore del Turismo nel quale il nostro Paese potrebbe eccellere, “dovrebbe” eccellere. Ne parleremo ancora in uno dei prossimi interventi.

Giuseppe Maddaluno

IL “CANTIERE” DI PRATO – UNA MAGNIFICA PERIFERIA CENTRALE

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Una periferia centrale
Il Cantiere di Prato
Appena al di là delle mura trecentesche della città di Prato scorre il fiume Bisenzio, sul quale un ponte ferroviario porta da Viareggio a Firenze e viceversa. Un’altra arteria ferroviaria più importante collega Bologna a Firenze e viceversa. Le tre rette (il fiume e le ferrovie) formano un triangolo all’interno del quale vi è un Borgo – il Cantiere – nato su terreni demaniali delle Ferrovie occupati temporaneamente fin dai primi anni Venti del ‘900 dagli operai che lavoravano alla costruzione delle stesse linee delle Ferrovie. Su quelle baracche successivamente in anni di deregulation e lassismo amministrativo, soprattutto in tempi di “ricostruzione” postbellica, è andato nascendo un quartiere residenziale. “Il Cantiere” è uno dei primi “luoghi” che ho conosciuto quando sono arrivato a Prato, nel 1982: nei primi giorni di permanenza sono stato ospite di una famiglia che abitava al Soccorso ma che aveva fra le sue amicizie più forti un’altra famiglia che viveva in uno dei fabbricati del “Cantiere”. Ricordo che mi capitò di dover svolgere una commissione e di essermi inoltrato in quel dedalo di stradine; la casa di quella famiglia appariva a me in forma ridotta come il palazzo del protagonista di “Psycho”, Norman Bates o quanto meno quello altrettanto inquietante (e un po’ giustamente grottesco) della famiglia Addams. Le abitazioni erano incerte nella loro struttura e contrassegnate da un patchwork architettonico; le stradine si divincolavano senza prevedere una loro percorribilità al di fuori di quella pedonale. Provenendo da realtà sismiche e vulcaniche di primissimo livello giurai a me stesso che non sarei mai entrato in quelle strutture (per fortuna vi erano anche abitazioni che non si erano montate la testa con orgogliose sopraelevazioni ed in quelle avevo meno timore ad entrare). Nel 2008 richiesto dall’amico Eduardo Bruno, che stava preparando per la Circoscrizione Est una serie di iniziative per il centenario della Direttissima, di scrivere un contributo per il libro, preparai questo testo che ora vi ripropongo. In quegli anni dal 1999 al 2009 sono stato Presidente della Commissione Scuola e Cultura della Circoscrizione Est e come tale seguii l’iter amministrativo per la realizzazione di quel Centenario.

UNA MAGNIFICA PERIFERIA CENTRALE

“Non tutti i pratesi conoscono il Cantiere. Eppure si tratta di una realtà quasi unica che dovrebbe spingere chi si occupa di problematiche sociali, urbanistiche ed antroposociologiche ad analizzarla nel profondo. Il Cantiere è una “magnifica periferia centrale”: non vi si può passare per caso, bisogna andarci e correre il rischio di perdersi attraversandolo a piedi nelle esclusive stradine pedonali contorte su cui affacciano corti e balconcini tipicamente meridionali con i loro fiori e le loro piantine (salvia, rosmarino, lavanda e basilico) profumate di aromi antichi.
Il Cantiere è a due passi dal Centro storico: il fiume Bisenzio lo divide in pratica dalla Stazione ferroviaria di Prato Porta al Serraglio ed è separato dal resto della città (dai quartieri residenziali della Pietà e della Castellina) dalle due linee ferroviarie che collegano Prato con il Tirreno e con Bologna. La storia del Cantiere di cui così intensamente si parla è caratterizzata da questa grande libertà espressa da chi nel corso degli anni vi ha costruito la propria casa partendo da semplici baracche. Si può parlare di anarchia, perfino di illegalità ma non si può nascondere guardando alle diverse unità abitative tirate su con la massima libertà creativa che ci si trova di fronte a vere e proprie invenzioni architettoniche che si richiamano frequentemente alle diverse origini dei loro costruttori.
Un altro aspetto che ha caratterizzato questo luogo è lo spirito cooperativo che ancora oggi vi si respira e la grandissima cordialità, tipica del Mezzogiorno, dei suoi abitanti, che ti accolgono già davanti ai loro ingressi spesso seduti a conversare fra loro nella bella stagione e non solo. Orti e giardini ricchissimi e curatissimi allo stesso tempo emanano profumi di ambienti mediterranei ed i dialetti diversi confermano le diverse provenienze dei più anziani.
I colori delle abitazioni, anche questi, richiamano il clima mediterraneo e appaiono così ben mescolati ed assortiti allorquando guardiamo verso il cantiere dalla parte del Viale Galilei. Quella cornice di case basse multicolori sembra quasi una struttura scenografica preparata per un set cinematografico e mi ricorda de sempre l’isola di Procida quando vi ci si arriva dal mare nel porto di Marina Grande con il suo Palazzo Merlato. Sarebbe ottima cosa che l’Amministrazione Comunale proponesse per questa realtà vincoli tali da preservarne la conservazione e l’integrità nelle forme e nei colori.
Personalmente ed in modo disinteressato ho amato il Cantiere con le sue storie, le sue vicende, le sue difficoltà fin da quando sono arrivato – nel 1982 – a Prato. Ho conosciuto i suoi abitanti, a partire dal suo “Primo cittadino” (Remo Cavaciocchi) che tanto ha dato e sta continuando a dare per questo luogo.
Del Cantiere ho apprezzato il forte richiamo alla mediterraneità, all’essere un’ enclave, un’isola in mezzo al cuore della città: mi ha ricordato tutti gli anni della mia infanzia e della mia adolescenza vissuti in gran parte in una (la più piccola e graziosa di esse) delle isole dell’Arcipelago campano e nelle “cupe” e nelle zone archeologiche e vulcaniche abbandonate e selvagge dei Campi Flegrei fra i profumi intensi della flora mediterranea. Il Cantiere mi riporta quella particolare sensazione che provavo da bambino nel nascondermi in casa (il mio preferito era un piccolo comodino nel quale mi rannicchiavo in posizione fetale: da lì potevo sparire, vedere e non essere visto, sentire e non essere sentito. Oggi avverto più o meno tale emozione quando entro in questo luogo perché mi consente di sentirmi vicino e lontano dai turbinosi e ripetuti andirivieni quotidiani in un luogo dentro il quale sento che potrebbe accadere quel che avviene nella città di Shangri-La, dove il tempo si ferma e si riesce a conquistare anche se per poco la felicità ed un senso di eternità. Il Cantiere è, anche per questo, una parte della mia vita, della mia storia in questa città.”

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JOSHUA MADALON – QUESTO BLOG

 

Cielo stellato

QUESTO BLOG APPARTIENE A GIUSEPPE MADDALUNO ED OGNI SCRITTO E’ DI SUO PUGNO (E LA RESPONSABILITA’ DI QUANTO SCRIVE E PUBBLICA E’ SUA) A MENO CHE NON VI SIA CHIARAMENTE SCRITTO IL COGNOME ED IL NOME DEL PROVVISORIO COLLABORATORE O LA FONTE DA CUI LO SCRITTO DERIVI

 

Cara amica e caro amico questo BLOG può essere anche “tuo”! Si occuperà di CULTURA in tutte le sue declinazioni: CULTURA scientifica, CULTURA ambientale, CULTURA economica, CULTURA sociale, CULTURA letteraria, CULTURA storica, teatrale, cinematografica… CULTURA in ogni senso. L’Italia, il nostro Paese ha vissuto e sta vivendo una profonda crisi per mancanza di CULTURA, per l’incapacità e la rapacità di una classe dirigente politica ed imprenditoriale che ha generato i populismi di Berlusconi, Grillo e Renzi che sono stati e sono i profondi persuasori di un popolo che non riesce più a decifrare i processi storici e politici per una profonda mancanza di riferimenti culturali.E’ chiaro che non posso nascondere la profonda delusione che provo nel conoscere la caratteristica di una parte dei “riciclati” e degli “imbucati” nelle diverse “squadre” che sostengono a livelli diversissimi il nuovo leader del Partito Democratico. Ed è anche per questo che non mi ci riconosco più! Punto

Questo Blog è dunque uno dei tentativi di fare “resistenza” a questo appiattimento generalizzato che si va diffondendo all’interno di una mutazione antropologica peggiore di quella di cui parlava Pasolini. Passi indietro in un baratro di ignoranza.

 

 

 

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