10 MAGGIO – reloaded da Politicsblog

“Sono i territori a dover stimolare e supportare in modo operativo la nascita l’organizzazione e lo sviluppo di un’imprenditoria culturale complessiva e diffusa che possa diventare il volano principale della “nostra” economia”

Le “nuove” passeggiate nei Campi Flegrei (dopo quaranta e più anni).

11 maggio 2014

 

Ieri (10 maggio 2014) sono stato a Baia, invitato dalla cortese Angela Schiavone, letterata poetessa ed organizzatrice di splendidi eventi, ad un percorso poetico-narrativo fra i reperti archeologici ordinati nel Museo dei Campi Flegrei dentro il Castello Aragonese che domina sul Golfo di Pozzuoli e quello di Napoli. La grandezza storica ed architettonica del luogo mi permette di disquisire sulle bellezze inequivocabili delle diverse risorse artistiche e naturali che, in queste terre, antichi e moderni viaggiatori italiani e, soprattutto, stranieri sanno di poter trovare, conoscendone ed apprezzandone il valore. Mi dico che varrebbe la pena riflettere di più su queste incommensurabili ricchezze che la Storia (Grecia, Roma, Normanni, Angioini, Aragonesi, Borboni) e la conformazione del territorio così vario (acqua di mare e di terra, fuoco, aria, pianura e collina, coste, golfi e calette) ha regalato all’area flegrea. Ero un ragazzo poco più che ventenne e scrivevo un “appello” a valorizzare ed amare questi luoghi nella loro complessità. Sono trascorsi più di quaranta anni e nuovamente (a sessanta e più anni) avverto il bisogno di affrontare questo argomento. Accenno qualcosa all’Assessore alla Cultura del Comune di Bacoli, Flavia Guardascione, ma mi riservo di riflettere, dopo la visita, con un intervento su Politicsblog. Ed è quello che sto facendo, avendo messo insieme alcuni tasselli ma soprattutto confortato da una lettera che stamani (11 maggio) Domenico De Masi noto sociologo molto attento alle tematiche culturali pubblica su “Repubblica” alla pagina XIII regionale Napoli. Il titolo è significativo del contenuto “Con la Cultura si può mangiare ma noi non ne siamo capaci” (vedi allegato). Un Blog che si occupa di Politica e di Economia del Territorio a livello nazionale non si può esimere dal partecipare ad un dibattito che, in un Paese come l’Italia con un tasso così elevato di disoccupazione, soprattutto quella giovanile, è fondamentale; perché purtroppo si continua a non riconoscere che la Cultura, l’Arte, le manifestazioni sportive, la Storia, la Cura dell’Ambiente e del Territorio siano un volano forte e sicuro per il Turismo, un turismo di ogni tipo, di massa, di qualità, scolastico, della terza età, eno-gastronomico, convegnistico, termale etc etc. A dire il vero di chiacchiere ne abbiamo sentite troppo spesso a vuoto mentre sarebbe ben opportuno che fossero ricercate sui territori quelle competenze che oggi, soprattutto quelle passionalmente giovanili, sembrano essere destinate a diventare dei “vuoti a perdere” da smaltire e rottamare. Si fa tanto parlare inutilmente di far ripartire l’economia ma intanto non vi è una capacità imprenditoriale di “marketing” intorno ai siti storici e culturali ed agli eventi spesso a questi collegati; sarebbero tantissimi i “posti di lavoro” da mettere a regime e a tale scopo si potrebbero utilizzare fondi europei ed interventi regionali e statali tipo “reddito minimo garantito a progetto” riservati a gruppi di giovani e adulti che si organizzino in Associazioni o Cooperative. Ci sembra di ripercorrere in fotocopia (ma vale anche per questo elemento l’assunto di partenza) l’ affermazione del Principe di Salina, “tutto cambia perché nulla cambi”, e si assiste alla stessa tiritera su cambiamento e rinnovamento senza senso anche quando le affermazioni appaiono promettenti come quella sull’ampliamento della platea di giovani che potrebbero (è solo un annuncio – uno dei soliti in campagna elettorale – quello di cui qui si parla) accedere al servizio civile. Ma è “propaganda” ed è una delle solite “boutades” cui ci hanno abituato i leaders populisti degli ultimi venti anni; e non perché non possa essere vero, ma perché già nella fase propositiva si parla “esclusivamente” di costi, la qual cosa significa che, come è accaduto con i LSU (Lavoratori socialmente utili), le loro funzioni non sono specificate e dunque non sarà altro che un’altra operazione clientelare che non darà risultati positivi

Non credo di esprimere una riflessione originale allorquando – e qui ritorno alla visita del 10 maggio – capisci che l’iniziativa organizzata dalla mia amica Angela non è stata promossa dal punto di vista mediatica (ne avrebbe avuto un grande merito, e so di non stare ad utilizzare alcuna piaggeria: ve lo assicuro) dai funzionari del Comune di Bacoli che se ne rimpallano – mi permetto di dire in modo cialtronesco – le responsabilità: gli stessi operatori del sito (il Castello Aragonese di Baia) quando arriviamo sono sorpresi ed impreparati, ignorando non colpevolmente l’effettuazione dell’evento. Non riesco nemmeno più ad essere allibito di fronte a simili contingenze; spero sempre possa essere l’ultima: sono ottimista incallito. La visita al Castello con la sua struttura mastodontica ancora possente ed agli importantissimi reperti archeologici ben distribuiti in oltre quaranta ambienti, accompagnati da esperti ed artisti di varia professionalità (l’archeologa Flavia Guardascione che è anche Assessore alla Cultura del territorio, la responsabile del Castello Aragonese di Baia Paola Miniero, l’antropologa Sara Greco, la psicoterapeuta junghiana Cinzia Caputo, una performer e guida turistica Gabriella Romano che ha splendidamente dato vita ad Isabella d’Aragona ricevendo i visitatori, ed una danzatrice, l’allieva del Liceo Scientifico “Ettore Majorana”, Maria Patacchini) oltre che da una squisita appassionata di poesia e letteratura, la mia amica Angela Schiavone, dura oltre un paio di ore che trascorrono velocemente: non sono qui a descrivere ciò che ho visto ed ascoltato. Ovviamente ne suggerisco la visita, riportando in fondo a questo articolo indirizzi e recapiti telefonici utili allo scopo. Ma poiché il mio intendimento espresso nel corpus dell’articolo è quello di denunciare le inefficienze per poterle superare aggiungo un nuovo tassello. Uscendo dal Castello mi sono fermato alla biglietteria ed ho chiesto di avere un depliant del sito: non ve ne era traccia alcuna. C’erano quelli di Napoli, Pompei, Ercolano ma mancava qualsiasi riferimento al territorio di Baia, di Bacoli e – tout court – dei Campi Flegrei. Mi chiedo – in quell’occasione ed ora – (e vi assicuro che non mi sento e non sono uno sciovinista provinciale) che senso abbia tutto questo affannarsi inutilmente per promuovere a chiacchiere e parole scritte questi luoghi bellissimi, come sto facendo peraltro, se gli Enti e le Istituzioni politiche e culturali statali regionali e locali non sono in grado di organizzare il minimo necessario per informare, diffondere la conoscenza di questi territori che porterebbe loro ricchezza. All’incontro era presente anche Ciro Amoroso fine cultore della Storia e della Cultura dei Campi Flegrei (in allegato un video) Ho conosciuto l’Assessore Flavia Guardascione, archeologa anche molto ben preparata, e vorrei sostenerla in questo suo compito; quindi la mia critica ha caratteristiche di positività ed anche per questo non vorrei che venisse sottovalutata. Non mi dispiacerebbe che su questo Blog qualcuno dei responsabili di quel territorio rispondesse.

di Giuseppe Maddaluno

Sabato 24 maggio nuova visita guidata – siete tuttei invitatei a partecipare!

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Angela Schiavone legge una sua poesia al Castello di Baia 10 maggio 2014

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In allegato

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/05/11/con-la-cultura-si-puo-mangiare-ma-noi-non-ne-siamo-capaciNapoli13.html

 

breve video su Castello

 

Ciro Amoroso illustra i tesori del Castello

 

 

reloaded LA MERAVIGLIOSA STORIA DEL TRAPIANTO DI CUORE A NAPOLI – a richiesta

 

Libro Cotrufo

“La meravigliosa storia del trapianto di cuore a Napoli” è un libro agile sia nella forma che nella sostanza scritto da Maurizio Cotrufo, colonna portante della Cardiochirurgia italiana ed ovviamente napoletana, e Gian Paolo Porreca, noto chirurgo vascolare ma anche valente cultore delle arti letterarie. Libro “agile” letto e riletto nel corso del mio viaggio di ritorno a Prato, viaggio peraltro assillato da un simpatico signore di Casapesenna che non ha chiuso bocca per circa sei ore, peraltro raccontando vari episodi gustosi della sua esistenza (ahimè, veniva a Prato e, dunque, ho rischiato di non avere un attimo di tranquillità; ma, quando prendo un impegno, come questo con Flavio Cersauolo, nemmeno le cannonate mi distraggono). Ed è per questo che ho dovuto rileggerlo questa notte. Il libro si avvale della Prefazione di un amico pittore scritta “Per l’amico professore” (Cotrufo) nella quale ricorda quel che accadde nel gennaio del 1988 mentre insieme ad altri amici si trovavano a Capri. Gianni Pisani, autore della Prefazione ed autore dell’opera in copertina, “Maurizio parte da Capri per Napoli”, una tempera su carta per l’occasione, ringrazia l’amico Maurizio per non aver deciso di percorrere la strada dell’Arte e di aver scelto quella della Medicina e lo fa con ironia: “Grazie, Prufesso’!”

Nella Premessa viene presentato il doppio canale attraverso cui si snoda tutta la vicenda; da una parte in caratteri tondi (quelli normali, per intenderci) Maurizio Cotrufo senza coinvolgersi in prima persona ma utilizzando l’anonima “esternalità” del punto di vista racconterà le vicende biografiche (“Chi è?”) che lo riguardano, non prima di aver dedicato un intervento su “La storia e la valenza attuale del trapianto di cuore”, nel quale utilizzando un linguaggio scientifico rende chiarissimi i meccanismi che riguardano un argomento così delicato come il “passaggio” di un “cuore” da un individuo ad un altro. Dall’altra parte c’è la “penna” e lo stile di Gian Paolo Porreca che accompagna la narrazione con un linguaggio elevato qualitativamente e lirico fornendo al libro una valenza al di là della documentazione biografica e scientifica, raggiungendo vette poetiche di grande respiro.
E nel rincorrere i ricordi ritorna “dolce ne la memoria” “un tramonto di mezza estate, incantato dal suo sole rosso, un’icona dell’anima”, “rosso” come il sangue e come il cuore che naturalmente lo pompa. E in un grido pacato e poetico dedicato a Napoli, una città unica che si può odiare ma soprattutto amare alla follia, Porreca dirà: “..in un mattino di gennaio, a pensare al sole rosso di un tramonto sul mare di agosto che abbracci o incendi la tua storia e il tuo amore segreto, di sicuro Napoli, questa città di mare, non è un approdo finito: se non per chi ha una ragione in più, e non troppe in meno, per amarla. Come fosse una donna impervia.” E, poi, nel finale la simbiosi fra “artista” e “chirurgo” si compie naturalmente.
Mancherò alla presentazione e me ne dolgo; ma invito anche coloro che amano le buone letture a parteciparvi. VENERDI’ 3 OTTOBRE ORE 17.00 presso la Biblioteca Comunale di Pozzuoli – Palazzo Toledo – via Ragnisco 29. Saranno presenti gli autori, Maurizio Cotrufo e Gian Paolo Porreca. Il Sindaco Vincenzo Figliolia e l’Assessore alla Cultura Franco Fumo saluteranno; modererà l’incontro Ettore De Lorenzo e Gabriella Romano leggerà due brani dal libro, che invito a leggere.

OGGI IO VIRTUALMENTE SONO IN PIAZZA CON LA CGIL

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Alcuni anni fa in varie occasioni il Sindacato (CGIL da solo oppure in modo unitario) ha indetto manifestazioni a Roma e in altre città per protestare contro le scelte di Governi nei quali la stragrande maggioranza degli iscritti non trovava punti di riferimento (Craxi e Berlusconi sono durati circa trenta anni) ed era consueto sentire i leaders delle maggioranze di Governo sottolineare come la maggioranza degli italiani fosse rimasta a casa e come per l’appunto quella fosse il riferimento cui affidare le valutazioni e le sottovalutazioni. Non credo che la manifestazione di oggi sarà in grado di cambiare l’Agenda del Governo, innanzitutto per un motivo: il Governo Renzi è il frutto di una metastasi della Democrazia e di un Trasformismo diffuso che opera sullo smantellamento delle ideologie, utilizzandole a proprio vantaggio in positivo ed in negativo quando servono. Il Governo Renzi è il frutto di un compromesso politico che diffonderà nella società veleni e divisioni che potrebbero diventare pericolose per il mantenimento del tessuto democratico.
Ed infatti Renzi che dice di essere di Sinistra, così come si affrettano a confermare altri suoi illustri sodali, non smentisce l’arroganza e la presunzione dei suoi illustri predecessori, cui evidentemente intende accostarsi ed ieri sera ha confermato che lui pensa ai milioni di persone che oggi sono rimasti a casa. Bravo! Lo ringrazio perché, anche se non ci sarebbe stato bisogno, si è omologato e mi ha confortato nel giudizio. In un post precedente sottolineavo come in quel 40,8% mancasse il mio voto e, dunque, ci fossero invece parte considerevole dei voti della Destra e di un Centrodestra in generale molto più vicino agli interessi della parte ricca e garantita (in questi non ci sono solo quelli a reddito fisso pubblico ed i pensionati ma anche tutti coloro che evadono impunemente il fisco e tutti coloro che delocalizzano e portano i loro soldi all’estero; ci sono gli sfruttatori della manodopera clandestina e giovanile; ci sono coloro che vogliono che le maglie delle regole in materia di imprenditoria siano più larghe per avvantaggiarsi non di certo per migliorare le condizioni della nostra società: tutti questi hanno compreso di avere finalmente trovato chi avrebbe corrisposto alle loro “esigenze”). Non è strano che la Confindustria in controtendenza perfino a Berlusconi sostenga pienamente convintamente questo Governo.
E, dunque, io sono a casa ma virtualmente sono in piazza con i lavoratori cassintegrati, con i licenziati (a proposito, quando si parla di “nuovi posti di lavoro” e ci si riempie la bocca di numeri, si pensi a tutte quelle persone che il posto di lavoro lo hanno già perso e che lo perderanno nei prossimi giorni, settimane e mesi), con gli sfruttati, con i disoccupati e con tutta quella brava ed onesta gente che oggi invece sarà a Roma.
Renzi sarà a Firenze con i “suoi”; è anche giusto che si distingua e che si distinguano coloro che lo osannano, coloro che lo fanno in buona fede (che io stimo nell’espressione del loro libero pensiero) e coloro che lo fanno in mala fede (che io aborro per la loro evidente grettezza).
A Renzi chiedo però, anche se continuerà ad avere quegli atteggiamenti di superiorità che non contraddistinguono un uomo di Sinistra (ammesso che lui ci creda davvero, e ne dubito), di aggiungere il mio nome fra coloro che parteciperanno con la mente e con il cuore alla manifestazione: più UNO, dunque! e contestualmente di aggiungermi fra coloro che non lo sosterranno mai!

VIAGGIATORI – una serie di racconti – MARE E MONTI terza ed ultima parte

Tre cime

Prima di lasciarsi Filippo guardò negli occhi Giovanna, ragazza gentile e immediatamente simpatica, e scoprì che erano di un nero profondissimo; Giovanna vide un giovane sorridente e timido, impacciato all’inverosimile; disse che sarebbe passato a prenderlo verso sera dopo cena, che gli avrebbe presentato degli amici. La casa di Giovanna distava un centinaio di metri dalla pensione, anche se per Filippo erano tanti e pericolosi, avesse dovuto percorrerli da solo. Quella ragazza gli infondeva fiducia. Filippo però aveva bisogno di comprare degli scarponi; non poteva muoversi in quell’ambiente senza di essi. Ed allora anticiparono di vedersi prima di cena; anzi, visto che c’era, Giovanna lo invitò a cena a casa sua, dove – rassicurò Filippo – c’erano altri due colleghi. Filippo si impegnò a portare il pane cafone che la mamma gli aveva messo in valigia e quel buon salame paesano che a lui piaceva tanto.

Quella notte Filippo dormì sonni tranquilli; aveva chiamato casa ed aveva rassicurato la madre, le aveva raccontato le vicissitudini senza accennare a Giovanna; le aveva detto di avere acquistato degli scarponi, senza coinvolgere la ragazza che lo aveva accompagnato al negozio. Giovanna gli aveva dato una serenità che non pensava di poter raggiungere visto che di punto in bianco si era ritrovato all’interno di una nuova avventura, una tappa importante della sua vita. Quella sera avevano diviso il cibo come si fa in famiglia; Filippo non si sentì solo e Giovanna era stata affettuosa e gentile a farlo sentire davvero come se fosse a casa sua, quella sera. Il cielo era limpido quando Filippo tornò alla pensione. Giovanna gli aveva anche detto che uno dei suoi coinquilini sarebbe andato via fra pochissimi giorni.
Giovanna era indubbiamente attratta da Filippo, dalla sua semplicità, dai suoi toni gentili ed immediatamente familiari; le aveva riportato alla mente un fratello con il quale aveva vissuto gli anni dell’adolescenza e della prima giovinezza e che era morto in un tragico incidente automobilistico. Aveva tratti comuni a Francesco ed uno sciame di ricordi l’aveva riportata a cinque anni prima, la sera prima della tragedia, quando avevano festeggiato il compleanno di un loro amico e si erano divertiti un mondo a scherzare e ridere per le imitazioni che un altro loro compagno faceva di alcuni personaggi del paese. Con tutti quei ricordi tristi e con negli occhi della mente gli occhi e la voce sicura di Filippo, Giovanna si addormentò tranquilla.
Filippo si svegliò presto il mattino dopo. Lo attendevano a colazione giù nella sala da pranzo della pensioncina. Aprì la finestra ed una luce già intensa a quell’ora entrò nella sua stanza. Il cielo era sgombro di nubi. Davanti a lui uno spettacolo che non dimenticherà mai più: le tre Cime di Lavaredo illuminate dal sole risplendono di un colore rosa quasi fluorescente.
Il viaggio comincia.

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VIAGGIATORI – una serie di racconti – Mare e monti seconda parte

MCM20027

Mare monti – seconda parte

A Padova Filippo arrivò che erano le sette del mattino; si diresse al binario al quale era indicato il treno per Belluno che sarebbe partito alle 7.29. Era un treno locale che faceva tutte le fermate e per lunghi tratti percorreva una linea ad un unico binario.

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Arrivò a Belluno poco dopo le 9.30. Chiese informazioni. Il clima non era male; un freddo secco sopportabile, il cielo quasi sereno. Strade ampie, pulite, la scuola non era distante. Filippo si rincuorò: avrebbe avuto la Stazione a due passi e la città non era poi così morta. La gente era abbastanza affabile, non come gliel’avevano descritta alcuni amici che avevano fatto il servizio militare a Vittorio Veneto. Si avviò verso la scuola e con tutti i bagagli entrato nell’atrio mostrò il telegramma ai custodi che lo annunciarono alla Segreteria amministrativa, indicandogliela. Gentili, sì gentili ma con un sottile sorrisino di cui il giovane non comprese il senso, soprattutto dopo aver saputo che la sede da raggiungere era Pelos di Cadore ed avrebbe dovuto prendere una corriera che partiva dopo un’ora dalla Stazione ferroviaria per Auronzo; gli consigliarono di fermarsi ad Auronzo dove c’era una maggiore ricettività, anche se sarebbe passato per Pelos. Filippo chiese quanto tempo avrebbe impiegato la corriera ed una delle signore rispose: “Non molto!” con quel sorrisino di cui prima.

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La corriera cominciò a salire dopo Ponte nelle Alpi e Longarone e dopo circa venti minuti Filippo provò a chiedere quanto mancasse per Auronzo. “Eeehh!” fu la risposta di un signore dai capelli e dalla lunga barba bianca. Ed infatti ci volle più di un’ora, ecco perché sorridevano (e sul telegramma non era chiara la destinazione) le signore a Belluno; il tempo era bello ma dai 383 ai quasi novecento metri sul livello del mare la differenza si doveva per forza sentire. Mentre ci si avvicinava ad Auronzo la vegetazione era sempre più imbiancata e le strade erano piene di neve ammassata ai bordi, di più in quelli in ombra di meno in quelli toccati dai timidi raggi di sole. Filippo si guardò le scarpe; erano invernali ma avevano una sottile para che però non poteva servire a camminare sulla neve: servivano degli scarponi da neve, che non aveva mai comprato perché a lui la neve non era mai piaciuta, anche se nel 1956 si era molto divertito a slittare sulla ripida stradina che conduceva alla sua casa. E così fu che, non appena mise piede a terra dalla corriera ad Auronzo non fece che pochissimi, forse due tre, passi e si ritrovò lungo lungo a terra scivolando senza riuscire a fermarsi, se non ci fosse stata una ragazza, per l’appunto Giovanna.
Filippo arrossì più per la vergogna di non essere attrezzato e di sentirsi un po’ preso in giro da tutti quelli che quel giorno lo avevano trattato come un pivellino, anche se in fondo lo era, piuttosto che per la rovinosa caduta. Giovanna lo sollevò e gli consigliò di percorrere pochi passi per mettersi, dopo averlo aiutato a recuperare la valigia, sul selciato libero dal ghiaccio. Lei aveva anche intuito che si trattasse di un collega, perché in quei giorni erano attesi per le nomine e tutti sapevano. Gli chiese se aveva già un’indicazione. A Filippo a Belluno avevano dato un indirizzo ed il nome della Pensione era “Aquila reale”; si erano impegnate anche a telefonare ed avevano avuto la certezza che una camera fosse libera. Giovanna sapeva bene dove fosse e si mise a disposizione per accompagnarlo.

fine seconda parte

Auronzo

VIAGGIATORI – una serie di racconti – “Mare e monti” prima parte

pozzuoli

Appoggiò la valigia sul letto. Aveva acceso la luce, entrando nella camera della pensioncina, alla quale Giovanna lo aveva accompagnato. La camera era piccola, ma confortevole. Non c’era un balcone, non ne aveva visti nemmeno in altri edifici, solo una finestra alta. La aprì. C’erano nuvole basse; sembrava nebbia, ma a quasi 900 metri di altezza era improbabile che lo fosse. La stanza era calda, riscaldata da un termosifone massiccio; aprì la valigia.
Il mare, soprattutto in tempesta, scaglia onde poderose ad infrangersi sulla scogliera. A Filippo piaceva avvicinarsi pericolosamente agli scogli: le tempeste lo rasserenavano, anche la pioggia, non usava mai l’ombrello, gli infondeva tranquillità. Era nato e vissuto sul mare, nel mare ed era estasiato dalla sua forza, dalla sua inesauribile potenza.

Aveva aperto la valigia ed aveva avvertito un profumo sottilmente familiare; non era solo la spicandossa, come si chiamava a Napoli la lavanda; l’aria del mare nei giorni di libeccio contribuiva, anche a volte lentamente, a far asciugare il bucato sull’ampio terrazzo di casa sua. Era l’odore, il profumo di casa, del suo mare, che non distava che poche centinaia di metri, che permaneva su alcuni degli indumenti che, con amore ed un po’ frettolosamente, sua madre aveva sistemato.

Filippo aveva ricevuto un telegramma due giorni prima. Doveva raggiungere Belluno al più presto. C’era un numero di telefono da richiamare: era una nomina per l’insegnamento della sua disciplina, Geografia, in un Professionale per il Commercio. Il giovane non li fece attendere; chiamò subito. Gentili ma gelidi, professionali o scostanti? Gli chiesero di presentarsi a loro entro il giorno dopo, anche a tardissima mattinata. Filippo era pronto. Aveva sperato che quel telegramma arrivasse. Ne parlò con il padre e le due sorelle e poi chiese alla madre, già molto preoccupata ed ansiosa, di preparargli la valigia e corse subito ad acquistare il biglietto del treno. Sarebbe partito la sera stessa con il buio, in cuccetta da Napoli a Padova e poi da lì per Belluno.

La vita in Sicilia, in uno dei tanti paesini dell’interno, soprattutto per una ragazza, non consentiva grandi sbocchi: gli ambienti risentivano ancora di una forma antica di patriarcalità ed i maschi assumevano il ruolo di genere dominante sulle scelte di vita degli altri membri della famiglia, le figlie e le sorelle; a meno che non ci si ribellasse distintamente. E gli esempi non mancavano, ormai, sia di forzosa e violenta repressione sia di decisa e consapevole ribellione. Giovanna da un po’ aveva alzato la testa sin dagli anni dell’Università e dopo la laurea in Matematica aveva fatto domanda di insegnamento in Veneto sapendo che l’avrebbe ottenuto; e ci riuscì. A lei non sarebbe mancato il mare, ma il sole sì. Ad Auronzo a ottobre inoltrato nuvole basse, la neve, il freddo, il ghiaccio ai bordi delle strade.

Decisa, evoluta sin dagli anni degli studi a Palermo, Giovanna, dopo una sola notte alla Pensione “Aquila reale”, aveva trovato insieme ad altri due colleghi, anche loro appena giunti in quella zona, una stanza in un appartamento all’interno di un condominio nuovo poco a ridosso dalla via Alpini, la strada regionale 48 che collega Auronzo a Misurina. Sapeva vivere liberamente ormai mantenendo il suo equilibrio mentale al di fuori dai sentimenti; aveva avuto un ragazzo nei primi anni dell’Università ma era stata una relazione impossibile, visto il taglio provinciale di lui che avrebbe privilegiato la permanenza nell’isola a qualunque costo. Con i maschi non permetteva ambiguità, non era ammiccante e provocatoria anche se le armi le possedeva proprio tutte.

fine prima parte

Tre cime

VIAGGIATORI – I GIORNI 1972 – parte seconda

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I GIORNI – 1972 PARTE SECONDA

Guardai l’orologio.
E affondato lo sguardo sugli orari esposti alla bacheca dello scalo marittimo di Formia, ci accorgemmo di avere ancora più di un’ora a disposizione.
Così, sotto la canicola, alla ricerca di un parcheggio. Ci indicarono un’autorimessa. Il portiere di un hotel: “Giri di là, vada diritto, poi a sinistra e di lì, dove iniziano i giardini, a destra. Imboccate il Corso e sulla vostra sinistra troverete scritto Autorimessa…”
Ringraziammo. Via. Ma l’autorimessa era chiusa.
Adocchiammo un parcheggio libero lungo la strada. Lasciammo lì l’auto.
Alla biglietteria i primi incontri.
Turisti frettolosi. Ponzesi (certamente ponzesi) pazienti e sicuri anche nel loro particolare dialetto misto di romano e campano, ma più di questo che di quello. E la donna che vendeva i biglietti di viaggio nella sua edicola e che aveva tutta l’aria di conoscere un po’ tutti, tanto trattava affabilmente noi e loro.
I lavoratori del porto, con il loro viso bruciato dalle intemperie e dal sole che dava loro una parvenza di cialtroneria e di impunità contribuendo a contraddire le buone dicerie sul lavoro, bestemmiavano divini ed umani generalizzando accomunando questi a quelli e quelli a questi e rimanendo più all’ombra con le braccia incrociate che sotto il sole a lavorare.
Il nostromo, all’ingresso della nave che ormai era già pronta nel porto, fungendo anche da controllore, verificò la validità dei nostri biglietti e ci squadrò ampiamente da cima a fondo, quasi per dire: “Questi sono nuovi!”.
Ci sistemammo con tutti i nostri bagagli in alto in coperta. Al centro.
Intanto che continuava a salire altra gente la scrutavamo e come per scherzo il mio amico si divertiva a indovinare il loro paese d’origine. Salirono molte donne, di tutte le età e le osservavamo con l’attenzione con cui due giovani le avrebbero potute osservare.
“Lasciamole prima sistemare; poi, partiremo all’attacco”. Maschia ironia, scherzando seriamente.
Guardai il mare. Era sporco. Dove non lo è ormai. Ma, affacciandomi dall’altro lato, lo trovai più pulito, increspato leggermente da una brezza pomeridiana. Scherzi di corrente!
“…Sai, vengo per te, solo per te!”
“Sì, lo so, lo avevo capito, ma dimenticami. Io amo un altero ragazzo”
“Ma me lo dici così!?”
“Cerca di dimenticarmi!”
“Non sarà facile!”
E non lo è stato.
Ho quasi dimenticato ormai…ho quasi dimenticato, ho dimenticato, ho…
Un gabbiano ci volò vicino, librandosi come un velivolo. Senza motore. Senza rumore. Forse qualcuno mi notò pensieroso, forse il mio amico.
“Sai, quello deve essere di Potenza” (una delle sue tante scoperte fisiognomiche “fantastiche” su cui continuava a d esercitarsi!) “il viso rincagnito, lo sguardo truce e miope, se non altro deve essere lucano”
Forse annuii, perché il mio amico non aggiunse altro. Ma io non avevo ben compreso chi fosse “quello di Potenza” e non me ne importava affatto di saperlo.
Salì un gruppo di giovani donne. Ce ne era una dal sorriso dolcissimo di bambina. La guardai intensamente, per attrarre la sua attenzione, più di una volta, palesando sicurezza. Ma di lì a poco, senza aver cavato un ragno dal buco, un ragazzo appena arrivato le si avvicinò e cominciò a parlarle in tono confidenziale.
Ma il fatto non mi scoraggiò, non dovette risultare per me molto importante, ed il mio sguardo andò a dirigersi su un altro gruppo. Erano in costume da bagno, con i loro ragazzi forse, o con i loro fratelli. Avevano aria assonnata, mettevano quasi caldo, più di quanto ce ne fosse, a guardarle.
Era salita tanta gente. Avevamo occupato due posti con i nostri bagagli. Era l’ora di partire. Tolsi una pate dei bagagli e mi accomodai. Più nervoso, il mio amico, preferì passeggiare.
Forse fui colpito dal rosso del vestito, forse dalla signora che c’era dentro, o dalla figlia che aveva accanto.
“Prego, accomodatevi, sedetevi, un posto è libero, il mio. Ma…l’altro non lo so…è del mio amico” ed in parte mentendo o comunque esagerando “ha delle periodiche crisi di stanchezza”.
Dentro di me sorrisi per la parziale bugia.
La signora sorrise anche lei ringraziando.
“Ah, sei il cugino di…. Non lo sapevo, non l’avevo mai saputo”
“E sono anche il cugino di…”
Una risata gentile mi fu da risposta.
“Sì, ma tu sei diverso”
Il pensiero in quel momento volava a quest’ultima.
Raggiunsi il mio amico che stava a dirigere con la fantasia le operazioni di imbarco delle merci e delle auto.

INVITO A PASSIONE VIGOTRUFFAUT presso Lux in Fabula martedì 21 ottobre ore 18.00

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Gentilissime amiche e gentilissimi amici

siete invitatei a partecipare confermando la vostra presenza all’iniziativa che Claudio Correale (Lux in Fabula) e Giuseppe Maddaluno (Dicearchia 2008) hanno organizzato per martedì 21 ottobre ore 18.00 oresso la sede dell’Associazione LUX in FABULA Rampe Cappuccini n.5 – La serata che tratterà di due grandi personaggi della Storia della Cultura e del Cinema del Novecento in coincidenza con l’anniversario della loro morte sarà condotta da quattro giovani: Federica Nerini, Emma Prisco, Germana Volpe e Roberto Volpe.

VIAGGIATORI – reloaded prima parte de “I GIORNI” 1972

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Era il 1972 e scrivevo un racconto lungo nel quale immaginavo un viaggio durante il quale la “formazione” di uno dei protagonisti, un ventenne accompagnato da un amico più maturo, avviene attraverso i ricordi e non attraverso le esperienze dirette. A questo racconto, “I giorni”, fu abbinato un altro, scritto dal mio amico Raffaele Adinolfi, noto studioso di archeologia e storia locale nonché Insegnante di Latino e Greco, il cui titolo è “La notte”, e verrà pubblicato su questo Blog dopo le 12 parti da cui è composto “I giorni”. (g.m.)

PRIMA PARTE

E all’isola Eèa venimmo; qui stava

Circe ……………………………………..

……………………………………………..

Qui con la nave ci avvicinammo alla punta, in silenzio,

fin dentro il porto riposo di navi: un dio ci guidava.

Poi, sbarcati, due giorni e due notti

giacemmo, mangiandoci il cuore di stanchezza e di pena.

(Omero, Odissea, X, vv. 135-36 e 140-43)

 

 

Strada diritta, lunga, senza grandi paesaggi. Tutta pianura. Qua e là, venditori di generi alimentari fra i più vari. Al di là dei recinti, sterpi di macchia, le bufale con la loro pelle bruna dal sole e dal letame. Gli acquitrini lasciavano la loro impronta un po’ dappertutto. Il pino marittimo nano ci accompagnava. Ai margini della strada, qualche giovane viandante straniero autostoppare, col suo cartello di tela e il suo dito sempre pronto. Il traffico non era poco, questa via era sempre tra le più intensamente solcate. Da mezz’ora in auto, senza scambiarci ancora una parola. Di preciso non sapevamo niente. Ci piaceva fare così. Non sapevamo perché eravamo lì su quella strada, non sapevamo dove saremmo andati. Di una sola cosa eravamo convinti, che ci sarebbero stati giorni di vacanza. L’anno, per tutti e due, non era stato dei più sereni. Io venivo fuori da molte delusioni e da qualche insuccesso negli studi. Il mio amico, da travagli spirituali. “Dove si va?” Avevamo pensato, qualche giorno prima, di andare a trascorrere una breve vacanza, la nostra, a Ponza. Ci avevamo ripensato. “Andiamo in qualche posto, qualsiasi sia”: Poi tutto piombato nell’incertezza. Il posto lo avremmo scelto all’ultimo momento. Le isole a me sono sempre un po’ piaciute, forse anche per questo avevo una certa predilezione per Ponza. “Beh, allora facciamo come vuoi, andiamo a Ponza, ma… se mi stanco, te la vedrai tu!” Andavamo a Ponza, l’avevo vinta! In tempo di alta stagione, senza una prenotazione in albergo, col rischio di dormire all’aperto. “Se… mi stanco, te la vedrai tu!”. Di albergo in albergo per postulare un posto non sarebbe stata cosa poco faticosa. Cominciai a sfogliare le guide turistiche (cominciai?) a studiarmi le piantine dell’isola e quelle delle isole circostanti. La topografia e la cartografia erano state sempre la mia passione, forse perché furono oggetto del mio primo esame all’Università. Immaginavo già, così dalle carte, quale forma avesse l’isola: lì un faraglione, là una montagna, più in qua una spiaggia. Riempivo intanto di domande il mio compagno di viaggio e ad ogni risposta l’entusiasmo era crescente. Lui già c’era stato a Ponza, qualche anno prima, e mi fu molto prezioso nelle risposte. “Quanti abitanti ci sono… come è la gente…., come sono le strade… E man mano ne sapevo di più. Contatti umani che si avvicinavano, nuove conoscenze, amicizie. E la fantasia lavorava freneticamente. Tutto quello che importava massimamente nella mia vita era questo. E lo è tuttora. Mia madre quella mattina aveva pianto, alla mia partenza. Quanto è stupido fare così davanti a un figlio che parte per tre giorni! Talvolta immagino cosa potrebbe fare davanti alla mia morte! Per essere coerente dovrebbe stare a piangere tutta la vita. Ma io sono forte, non mi commuovo… e parto. “Ciao. Ti telefonerò non appena arrivati al posto prescelto”. E questo era per lei il maggior dolore: non saper di preciso dove io andassi. “Non appena arriviamo a Formia, fermami ad un telefono pubblico. Dirò a mia madre che andiamo a Ponza”. “Ma no, telefona da Ponza, stasera! Così si sentirà più sicura”. Il mio amico, mentre guidava sulla strada che porta a Formia, mi andava raccontando anche delle sue avventure, di quando era stato all’isola, l’altra volta; mi parlava di una comunità di ragazze, francesi; me le descriveva splendide ingenue e disposte ed il fatto mi eccitava non poco. La nostra vita, qui a Sud, scorre fin troppo monotona, per non lasciarsi accendere nell’immaginare simili venture. Ed una persona come me, che di tali casi ne aveva più fantasticati che corsi, poi… vi lascio immaginare cosa nutrisse nel corpo. Cominciavo già a programmare la mia vicenda, quando scorsi in lontananza il centro abitato di Gaeta e lo additai.

Gaeta