VIAGGIATORI – una serie di racconti – Mare e monti seconda parte

MCM20027

Mare monti – seconda parte

A Padova Filippo arrivò che erano le sette del mattino; si diresse al binario al quale era indicato il treno per Belluno che sarebbe partito alle 7.29. Era un treno locale che faceva tutte le fermate e per lunghi tratti percorreva una linea ad un unico binario.

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Arrivò a Belluno poco dopo le 9.30. Chiese informazioni. Il clima non era male; un freddo secco sopportabile, il cielo quasi sereno. Strade ampie, pulite, la scuola non era distante. Filippo si rincuorò: avrebbe avuto la Stazione a due passi e la città non era poi così morta. La gente era abbastanza affabile, non come gliel’avevano descritta alcuni amici che avevano fatto il servizio militare a Vittorio Veneto. Si avviò verso la scuola e con tutti i bagagli entrato nell’atrio mostrò il telegramma ai custodi che lo annunciarono alla Segreteria amministrativa, indicandogliela. Gentili, sì gentili ma con un sottile sorrisino di cui il giovane non comprese il senso, soprattutto dopo aver saputo che la sede da raggiungere era Pelos di Cadore ed avrebbe dovuto prendere una corriera che partiva dopo un’ora dalla Stazione ferroviaria per Auronzo; gli consigliarono di fermarsi ad Auronzo dove c’era una maggiore ricettività, anche se sarebbe passato per Pelos. Filippo chiese quanto tempo avrebbe impiegato la corriera ed una delle signore rispose: “Non molto!” con quel sorrisino di cui prima.

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La corriera cominciò a salire dopo Ponte nelle Alpi e Longarone e dopo circa venti minuti Filippo provò a chiedere quanto mancasse per Auronzo. “Eeehh!” fu la risposta di un signore dai capelli e dalla lunga barba bianca. Ed infatti ci volle più di un’ora, ecco perché sorridevano (e sul telegramma non era chiara la destinazione) le signore a Belluno; il tempo era bello ma dai 383 ai quasi novecento metri sul livello del mare la differenza si doveva per forza sentire. Mentre ci si avvicinava ad Auronzo la vegetazione era sempre più imbiancata e le strade erano piene di neve ammassata ai bordi, di più in quelli in ombra di meno in quelli toccati dai timidi raggi di sole. Filippo si guardò le scarpe; erano invernali ma avevano una sottile para che però non poteva servire a camminare sulla neve: servivano degli scarponi da neve, che non aveva mai comprato perché a lui la neve non era mai piaciuta, anche se nel 1956 si era molto divertito a slittare sulla ripida stradina che conduceva alla sua casa. E così fu che, non appena mise piede a terra dalla corriera ad Auronzo non fece che pochissimi, forse due tre, passi e si ritrovò lungo lungo a terra scivolando senza riuscire a fermarsi, se non ci fosse stata una ragazza, per l’appunto Giovanna.
Filippo arrossì più per la vergogna di non essere attrezzato e di sentirsi un po’ preso in giro da tutti quelli che quel giorno lo avevano trattato come un pivellino, anche se in fondo lo era, piuttosto che per la rovinosa caduta. Giovanna lo sollevò e gli consigliò di percorrere pochi passi per mettersi, dopo averlo aiutato a recuperare la valigia, sul selciato libero dal ghiaccio. Lei aveva anche intuito che si trattasse di un collega, perché in quei giorni erano attesi per le nomine e tutti sapevano. Gli chiese se aveva già un’indicazione. A Filippo a Belluno avevano dato un indirizzo ed il nome della Pensione era “Aquila reale”; si erano impegnate anche a telefonare ed avevano avuto la certezza che una camera fosse libera. Giovanna sapeva bene dove fosse e si mise a disposizione per accompagnarlo.

fine seconda parte

Auronzo

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